È
probabile che qualche lettore dei miei Elementi di politica abbia provato
come un senso di disorientamento, o almeno di meraviglia, nel percorrere
il giro che vi è delineato della filosofia della politica, senza vedervi
trattata, e nemmeno toccata, una dottrina così cospicua, che ha avuto
tanta parte negli ultimi secoli della storia europea, e l'ha ancora,
qual'è la concezione liberale. È stato bensì, in quella trattazione,
definito il momento della libertà come necessario in ogni forma di vita e
inscindibile da quello stesso di autorità, che non sarebbe senz'esse, non
potendosi dare autorità se non verso ciò che è vivo, e vivo è soltanto
ciò che è libero. Vi è fatto accenno al partito liberale, ma come a
semplice partito tra i partiti, senz'alcuna prerogativa rispetto agli
altri negli intrecci della lotta politica, e soggetto alle leggi stesse
degli altri tutti. Vi è messa in un fascio, con le altre astrazioni
giusnaturalistiche, la ricerca dello " stato ottimo ", e perciò
anche la determinazione di quello liberale come stato ottimo, perché ogni
forma particolare e storica di stato è degna di nascere e degna di
morire, si attua tra contrasti e lotte, e cede a nuove attuazioni e a
nuovi correlativi contrasti e lotte. Ma la concezione liberale,
propriamente detta, è rimasta fuori del quadro di sopra tracciato.
Perché?
Perché, in verità, questa concezione è metapolitica, supera la teoria
formale della politica e, in certo senso, anche quella formale dell'etica,
e coincide con una concezione totale del mondo e della realtà.
L'omissione, dunque, che se n'è fatta innanzi, non è disconoscimento
della sua importanza, ma, per contrario, un modo implicito di riconoscerla
pertinente a una sfera diversa e superiore.
In effetto, in essa si rispecchia tutta la filosofia e la religione
dell'età moderna, incentrata nell'idea della dialettica ossia dello
svolgimento, che, mercé la diversità e l'opposizione delle forze
spirituali, accresce e nobilita di continuo la vita e le conferisce il suo
unico e intero significato. Su questo fondamento teoretico nasce la
disposizione pratica liberale di fiducia e favore verso la varietà delle
tendenze, alle quali si vuole piuttosto offrire un campo aperto perché
gareggino e si provino tra loro e cooperino in concorde discordia, che non
porre limiti e freni, e sottoporle a restringimenti e compressioni.
Concezione immanentistica, che scaturisce dalla critica della concezione
opposta, la quale, dividendo Dio e mondo, ciclo e terra, spirito e
materia, idea e fatto, giudica che la vita umana debba essere plasmata e
regolata da una sapienza che la trascende e per fini che la trascendono,
e, in primo luogo, dalla sapienza divina e dagli interpreti e sacerdoti di
essa, e per fini oltramondani. Donde anche l'opposta disposizione pratica,
che si chiama autoritaria, e che diffida delle forze spontanee e tra loro
contrastanti, cerca di prevenire o troncare i contrasti, prescrive le vie
da seguire e i modi da tenere, e prestabilisce gli ordinamenti ai quali
conformarsi. Non è già, la concezione autoritaria, una concezione, sic
et simpliciter, immorale, ma di altra e inferiore morale, sorgente
sopra altri e inferiori presupposti teoretici, e, come tale, vede la sua
diretta nemica nella concezione liberale, contro cui (senza parlare degli
espressi e solenni cartelli di guerra o " sillabi ") è sempre
convulsa di odio e di paura, e procura sempre d'infliggerle tutto il danno
che può, non cessando di avventarle strali avvelenati e di chiamare a
raccolta in sua offesa i malcontenti della più diversa sorta, profittando
di ogni difficoltà nella quale la scorga impigliata. A ragione, perché
l'opposizione tra le due è irremissibile, in quanto non volge sopra cose
particolari, che ammettono pratici compromessi, ma sulle cose ultime, che
non ammettono compromessi, come contrasto che è di religioni, nel quale
quella liberale e immanente si annunzia all'autoritaria e trascendente in
aspetto di giustizierà e seppellitrice, pietosa in quest'uffizio e
disposta a procedere con tutti gli onori verso la veneranda defunta o
moritura, ma che, nonostante questo o appunto per questo, non può
aspettare di essere accettata da lei con lietezza o con rassegnazione.
Vero è che vi sono, o vi sono stati, cattolici-liberali, e segnatamente
la storia italiana del secolo passato ne ha offerto nobilissimi esempi; ma
né essi ebbero mai l'approvazione degli ortodossi (il liberalismo dei
gesuiti fu, com'è noto, un mero espediente politico), né si salvarono
dalle interne contraddizioni, come può vedersi nel caso del Manzoni, con
la sua leale e tenace adesione all'ideale e all'opera dell'indipendenza e
unità d'Italia, e la sua persistente concezione moralistica e
pacifistica, e in sostanza oltremondana, della storia. Del resto, qui non
s'intende entrare nelle complicazioni delle coscienze individuali, ma
soltanto segnare la genesi e le relazioni delle pure idee.
Se la concezione trascendente e autoritaria ha la sua chiara e logica
formula nella trascendenza religiosa, non perciò non le appartengono
anche di pieno diritto tutte quelle concezioni autoritarie della vita
politica e morale, e le congiunte disposizioni, che si presentano alla
prima esenti di ogni riferimento oltremondano, e perfino negatrici o
schernitrici. Tali sono segnatamente (e senza parlare del "
cattolicesimo ateo " dei nazionalisti e autoritari francesi e di
altri paesi, e di consimili manifestazioni stravaganti o ciniche) le
concezioni variamente " socialistiche ", che pongono come ideale
il paradiso sulla terra, un paradiso perduto e da riacquistare ("
ritorno al comunismo primitivo") o un paradiso da conquistare ("
abolizione delle lotte di classe " e " passaggio dal regno della
Necessità nel regno della Libertà", secondo la metafora marxistica
del Paradiso), un paradiso sotto nome di ordinamento razionale o di
giustizia: ideale che non si può cercar di tradurre in atto se non in
quanto si voglia imporlo bello e fatto; che ha a proprio fondamento l'idea
di "eguaglianza", cioè non punto l'eguaglianza intesa come
coscienza di comune umanità, la quale è nel fondo dello stesso
liberalismo e di ogni vera etica, ma l'eguaglianza matematicamente e
meccanicamente costruita; e che, tuttavia, sotto queste forme brutali e
materialistiche, cela la perdurante efficacia dell'idea di un regno di
perfezione senza contrasti, composto di esseri tutti pari innanzi a Dio; e
veramente tolto questo sottinteso e inconsapevole riferimento, non avrebbe
senso e apparirebbe cosa stupida. Appunto per siffatta sostanziale
negazione della lotta e della storia, per l'autoritarismo al quale è
costretto ad appigliarsi e che talvolta chiama " dittatura "
(volendo farlo sperare provvisorio), per l'inevitabile inclinazione a
soffocare la varietà delle tendenze, gli spontanei svolgimenti e la
formazione della personalità, il socialismo incontra l'ostilità della
concezione liberale, e tra loro vengono a un conflitto, che anch'esso
prende il già avvertito carattere religioso. Da altre particolari sue
richieste non sorgerebbe conflitto di principi, perché né il liberalismo
ha ragione alcuna di avversare il sempre maggiore umanamente e
l'ascendente dignità delle classi operaie e dei lavoratori della terra, e
anzi a suo modo mira a questo segno, né ha legame di piena solidarietà
col capitalismo e col liberismo economico o sistema economico della libera
concorrenza, e può ben ammettere svariati modi di ordinamento della
proprietà e di produzione della ricchezza, col solo limite, col solo
patto, inteso ad assicurare l'incessante progresso dello spirito umano,
che nessuno dei modi che si prescelgono impedisca la critica
dell'esistente, la ricerca e l'invenzione del meglio, l'attuazione di
questo meglio; che in nessuno di essi si pensi a fabbricare l'uomo
perfetto o l'automa perfetto, e in nessuno si tolga all'uomo l'umana sua
facoltà di errare e di peccare, senza la quale non si può neppur fare il
bene, il bene come ciascuno lo sente e sa di poter fare. Per le medesime
ragioni, il liberalismo sembra talora confluire col democratismo e talora
divergerne fortemente e contrastarlo: lo contrasta in quanto quello,
idoleggiando l'eguaglianza concepita in modo estrinseco e meccanico, si
avvia, voglia o no, all'autoritarismo, alla stasi e alla trascendenza,
ossia in quanto è o contiene il socialismo; ma sembra confluire con esso
in quanto il democratismo si oppone ad altre forme di autorità e, in
siffatto contegno, è liberale e può porgere braccio di alleato. Sicché
l'oscillante posizione, che si rimprovera al liberalismo verso il
democratismo, si svela nient'altro che l'oscillante natura di questo,
liberale contro certi vecchi o nuovi regimi autoritari, ma non più o non
abbastanza liberale rispetto a certi altri: liberale, per esempio, contro
teocrazie e monarchie assolute, non liberale nei suoi amori con le
repubbliche sociali (che sono non meno teocratiche, se anche
materialistiche), severo verso i governanti e le classi dirigenti, debole
(come si dice) verso la "piazza". Pel liberalismo, che è nato e
intrinsecamente rimane antiegualitario, la libertà, secondo un motto del
Gladstone, è la via per produrre e promuovere, non la democrazia, ma
l'aristocrazia, la quale è veramente vigorosa e seria quando non è
aristocrazia chiusa ma aperta, ferma bensì a respingere il volgo, ma
pronta sempre ad accogliere chi a lei s'innalza.
Il pensiero e l'anima liberale si formano (con le leghe e i miscugli che
il caso richiede) i corrispondenti istituti nel costume e nello stato
liberale, e nel partito o nei partiti così denominati, che fronteggiano e
combattono i partiti che si sforzano di rovesciarli, reazionari e
rivoluzionali, retrivi e ultra-progressistici. I quali, tuttavia, benché
si sogliano distinguere in coleste duplici classi, sono sostanzialmente,
in quanto antiliberali, tutti retrivi e antirivoluzionari; e, allorché
ottengono il disopra, effettuano non rivoluzioni ma reazioni, come nei
" diciotto brumai " e nei " due decembri ", che
nessuno storico considera rivoluzioni. Solo i moti liberali producono vere
e proprie rivoluzioni. E laddove un regime autoritario, quando viene
ro-vesciato, non può più risorgere quale era innanzi per gli accaduti e
incancellabili mutamenti di persone e d'interessi, lo stato liberale
sembra che sol esso risorga in perpetuo con rinnovata giovinezza: sembra,
ma in effetto non perché risorga, ma perché non muore mai, ed esso solo
è veramente capace di " restaurazioni ". Le sue morti sono
apparenti, e in quell'apparente esser vinto e soggiacere è vinta, in
realtà, una forma di reazione (la cosiddetta "licenza", che non
è libertà, ma tirannia di pochi o di molti) da un'altra forma di
reazione, " come d'asse si trae chiodo con chiodo " : una
reazione, che il metodo liberale, in date contingenze storiche, non era
riuscito a dominare e regolare. Ma la reazione vincitrice non ha in sé
alcuna garanzia di assodare la sua vittoria, salvoché negando se stessa e
risalendo al metodo liberale, cioè rafforzando di se stessa questo
metodo, che aveva bisogno di nuove forze, prestandogli appoggio e poi
ritirandosi, o, più spesso, stimolandolo con le punture e le battiture e
invitandolo, come fa l'aratro con la terra, a nuova prole. Le reazioni
sono sempre crisi e malattie, e il regime liberale designa il sano vigore.
Epperò il cuore dell'umanità non va mai ai tempi di reazione e agli
uomini delle reazioni, per grandi che siano stati; e non pure innanzi ai
Mettermeli, ma perfino innanzi ai Napoleoni si domanda inquieto: "Fu
vera gloria? "; ma palpita di ammirazione e di amore pei tempi di
libertà, per coloro che la fondarono o la restaurarono. Rende poi
giustizia anche ai primi, non il cuore dell'umanità, ma la mente
liberale, la concezione liberale, non più in quanto fondamento di vita e
di lotta pratica, ma in quanto giudizio storico che considera le
sospensioni di libertà e i periodi reazionari come malattie e crisi di
crescenza, come incidenti e mezzi della stessa eterna vita della libertà,
e perciò intende gli uffici che hanno esercitati e l'opera utile che
hanno compiuta. E qui si ha la prova palese di quanto e come la concezione
liberale sia superiore all'autoritaria; perché questa non è in grado di
giustificare teoricamente e storicamente la concezione opposta, ed essa la
giustifica e la comprende in sé in quanto la sorpassa. Le storie scritte
da reazionari di ogni sorta, clericali, feudali, illuministi, socialisti,
nazionalisti, sono sempre sommamente passionali e parziali, acerbe e
pessimistiche, si configurano sempre a contrasti di Dio e del diavolo,
della ragione e dell'irragioncvolezza, laddove quelle dei liberali, figli
come sono dell'intuizione storica dell'età moderna, ingegni a ciò
conformati ed educati, osservano l'imparzialità e attingono la serenità,
perché nelle storie più diverse, e più divise e agitate, non vedono se
non uomini nelle loro varie tendenze e con le loro varie vocazioni e
missioni, e ragioni contro ragioni, e il diavolo, se mai, solo al modo che
proponeva il Fontenelle, come " l'homme d'affaires da bon Dieu
".
È stato più volte e da varie parti osservato che l'idea disopra
delineata della libertà, ossia la concezione liberale, è cosa affatto
moderna, estranea al mondo antico e a quello medievale, che conoscevano
soltanto la libertà come diritto del cittadino o come privilegio di
questa o quella classe, cioè (per parlare più esattamente) solo la
libertà correlativa alla legge, garantita dalla legge e dal contratto.
Quest'osservazione non solo è vera, ma a noi che abbiamo rammentato il
presupposto filosofia) della libertà moderna, deve anche sembrare ovvia,
perché si riduce alla più generale affermazione, che la filosofia
moderna non è quella antica o medievale; che la concezione storicistica,
che ormai i moderni portano nel sangue, non è quella naturalistica o
teologica dell'antichità e del medioevo. Si potrebbe certamente mostrare,
come si è mostrato per la filosofia in genere, che tra antichità,
medioevo ed età moderna non sussistono tagli netti, e che, così per la
filosofia moderna e storicistica come per la concezione liberale, si
ebbero nell'antichità e nel medioevo presentimenti, precorrimenti e
preparazioni, dei quali basta ricordare, rispetto alla seconda delle due,
il sublime anelito degli antichi eroi alla libertà, e il cristianesimo
col suo nuovo concetto dell'umanità e della storia dell'umanità, e la
cavalleria coi sentimenti che coltivò di reciproco rispetto tra guerrieri
di diversa fede. Ma tutto questo, d'altro lato, confermerebbe la loro
modernità, nel senso del loro fiorire ed espandersi nell'età moderna,
dopo il Rinascimento e la Riforma. Assai pregevoli sono le indagini
condotte di recente circa la genesi della concezione liberale dal seno del
calvinismo, le quali valgono altresì a far intendere il carattere
morale-religioso di quella concezione e a differenziare la libertà
calvinistica, fondata sull'idea dell'ineguaglianza e della vocazione
propria di ciascun individuo, dalle costruzioni del giusnaturalismo, che,
con la sua eguaglianza meccanica, rappresenta piuttosto l'origine delle
concezioni democratico-socialistiche, contraddittorie e soggette a
convertirsi nell'autoritarismo, come accadde fin nella prima epoca, nel
giusnaturalismo dell'Hobbes. Ma non bisogna, esagerando le conseguenze di
tali indagini, dimenticare che alla concezione e disposizione liberale, di
cui si è chiarito il legame con la filosofia moderna, questa concorse
tutta, col suo storicismo e dialettismo non meno che con le speculazioni
etico-teologiche del calvinismo, e vi concorre ancor oggi coi suoi
ulteriori svolgimenti e determinazioni. Quando, ai primi del settecento,
lo Shaftesbury diceva, con patriottico compiacimento, che la sua
Inghilterra aveva raggiunto ormai il " buon gusto del governo ",
non rifaceva certamente la questione de optimo stata, ma attestava
l'ideale dei tempi nuovi, che aveva levato colà la sua face splendente.
Cosicché, sempre che si ode (e s'ode di frequente) tacciare la concezione
liberale di " formalistica ", " vuota ", "
scettica " e " agnostica ", conviene girare quest'accusa
alla filosofia moderna, alla quale tocca in modo più diretto e che cura
di ri-spondervi con tutta se stessa: la filosofia moderna, che ha
rinunziato alla pretesa di esser mai " definitiva ", e perciò a
ogni dommatismo, appagandosi di essere, in cambio, perpetuamente viva e
valida a porre e risolvere tutti i problemi che all'infinito si generano
dalla vita, e a svolgere in perpetuo i dorami senza mai annullarli ma
sempre approfondendoli e accrescendoli. La concezione liberale, come
concezione storica della vita, è " formalistica ", " vuota
", " scettica " e " agnostica " al pari
dell'etica moderna, che rifiuta il primato a leggi e casistiche e tabelle
di doveri e di virtù, e pone al suo centro la coscienza morale; al pari
dell'estetica moderna, che rifiuta modelli, generi e regole, e pone al suo
centro il genio che è gusto, delicato e severissimo insieme. Come questa
estetica vuole non già servire a scuole e scolette, ma interpretare le
aspirazioni e le opere degli spiriti originali e creatori, così la
concezione liberale non è fatta pei timidi e pei pigri e pei quietisti,
ma vuole interpretare le aspirazioni e le opere degli spiriti coraggiosi e
pazienti, pugnaci e generosi, solleciti dell'avanzamento dell'umanità,
consapevoli dei suoi travagli e della sua storia.
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