Benedetto Croce - Luigi Einaudi

 

Liberismo e liberalismo

 

B. Croce - Liberismo e liberalismo

 

Pubblicato come il precedente nel 1927, e nella medesima sede, anche questo saggio fu ristampato da Croce, quale terzo e ultimo capitolo, in Aspetti morali della vita politica (pp. 39-45), da cui si riproduce.
Il commento di Einaudi si legge nel citato Dei concetti di liberismo economico e di borghesia e sulle origini materialistiche della guerra.

 

La formola economica del liberismo ha comuni il carattere e l'origine con quella politica del liberalismo, e al pari di essa deriva dalla concezione, di sopra chiarita, immanente e storica della vita. Alla pretesa autoritaria di determinare innanzi come gli uomini debbano politicamente pensare e comportarsi risponde di tutto punto la pretesa di determinare allo stesso modo in economia, per esempio, il prezzo delle cose, il " giusto prezzo " : medievale l'una e l'altra, se anche si riaffaccino in ogni tempo, anche nei nostri, che, dopo quanto è successo nel mezzo, sarebbero da reputare alquanto lontani dall'evo medio; e all'una e all'altra si oppongono liberalismo e liberismo. Si accompagna ad essi, nel dominio della scienza, la formola della libera ricerca e della libera discussione, ossia il concetto che la verità non è qualcosa di bello e fatto, ma un perpetuo farsi, non è una cosa ma un pensiero, e anzi è il pensiero stesso. Gli storici mostrano come tutte coteste e altre libertà analoghe e congiunte abbiano preso coscienza di sé e come si siano venute formando e affermando in istituti giuridici lungo l'età moderna.
Nessuna difficoltà, dunque, fino a quando ci si restringa a riconoscere l'operare di un medesimo principio nelle varie sfere della vita. Ma la difficoltà si fa innanzi non appena al liberismo economico si dia valore di regola o legge suprema della vita sociale; perché allora esso vien posto accanto al liberalismo etico e politico, che è dichiarato altresì regola e legge suprema della vita sociale, e ne nasce di necessità un conflitto. Due leggi di pari grado in pari materia sono, evidentemente, troppe: ce n'è una di più. Tranne il caso che le si dimostri tutte e due fallaci, una delle due deve assoggettare o, per dir meglio, risolvere in sé l'altra; e, se tale risoluzione è operata da quella delle due cui spetta di diritto il primato o l'esclusività, bene; se dall'altra inferiore, si ha un caso di tentata usurpazione.
Ora per l'appunto questo è accaduto quando al liberismo economico è stato conferito il valore di legge sociale, perché allora esso, da legittimo principio economico, si è convertito in illegittima teoria etica, in una morale edonistica e utilitaria, la quale assume a criterio di bene la massima soddisfazione dei desideri in quanto tali, che è poi di necessità, sotto questa espressione di apparenza quantitativa, la soddisfazione del libito individuale o di quello della società intesa in quanto accolta e media d'individui. Questi legami del liberismo con l'utilitarismo etico sono noti, com'è noto che in una forma di esso, resa popolare dal Bastiat, l'utilitarismo si sforzò d'idealizzarsi in una generale armonia cosmica, quale legge della Natura o della divina Provvidenza.
Lasciando da parte la filosofia del Bastiat, che, se non propriamente criticata nel suo fondamento logico, certamente ora non solo è abbandonata ma dimenticata (e bisognerebbe non dimenticarla come tipica forma di un errore che sempre risorge), nell'indebito innalzamento del principio economico liberistico a legge sociale è la ragione onde è parso che quel principio stesso dovesse esser negato. Infatti, alla soddisfazione meramente utilitaria si contrappone come necessità superiore l'esigenza morale; alle medie della soddisfazione utilitaria, al quantitativo più o meno esteso e generale, il qualitativo, ossia il qualitativamente morale. Né vale per uscir dall'impaccio venir delimitando le sfere di quel che è da lasciar fare e di quel che non è da lasciar fare, perché anche questa posizione del problema è fallace al lume dell'etica, la quale ignora o rifiuta il concetto del " lasciato ", del permissivo e del lecito. Tanto vero che, quando ci si prova a eseguire in concreto quella delimitazione, le due sfere si confondono, e si vede che o tutto o niente è lecito.
La difficoltà si scioglie col riconoscere il primato non all'economico liberismo ma all'etico liberalismo, e col trattare i problemi economici della vita sociale sempre in rapporto a questo. Il quale aborre dalla regolamentazione autoritaria dell'opera economica in quanto la considera mortificazione delle facoltà inventive dell'uomo, e perciò ostacolo all'accrescimento dei beni o della ricchezza che si dica; e in ciò si muove nella stessa linea del liberismo, com'è naturale, posta la comune radice ideale. Ma non può accettare che beni siano soltanto quelli che soddisfano il libito individuale, e ricchezza solo l'accumulamento dei mezzi a tal fine; e, più esattamente, non può accettare addirittura, dal suo punto di vista, che questi siano beni e ricchezza, se tutti non si pieghino a strumenti di elevazione umana. La " libertà ", di cui esso intende parlare, è indirizzata a promuovere la vita spirituale nella sua interezza, e perciò in quanto vita morale.
Ciò posto, il problema si configura, per il liberalismo, nel determinare, secondo luoghi e tempi e nel caso dato, non già se un certo provvedimento sia " liberistico " (meramente o astrattamente economico), ma se sia " liberale "; non se sia quantitativamente produttivo, ma se sia qualitativamente pregevole; non se la sua qualità sia gradevole a uno o più, ma se sia salutare all'uno, ai più e a tutti, all'uomo nella sua forza e dignità di uomo.
Può darsi - anzi, così è - che in questo esame il liberalismo approvi molte o la maggior parte delle richieste e dei provvedimenti del liberismo, ai quali tanti benefici deve la moderna ..civiltà; ma esso li approva non per ragioni economiche, sibbene per ragioni etiche, e con queste li sancisce. Per le stesse ragioni, respinge o restringe, in altri casi, certe altre richieste, che, sotto nome o specie di libertà, ostacolano la libertà, o, per usare anche noi questa volta metafore quantitative, per una libertà più piccola la libertà più grande. Il che non è poi negazione, ma inveramento del liberismo, e, tutt'al più, è negazione della morale utilitaria, di cui il liberismo si lasciò in passato, e si lascia ancora talvolta, contaminare. Del resto, quel che noi 'procuriamo di presentare in chiari termini critici si può dire riconosciuto dagli stessi economisti, sia pure in forma poco critica e poco rigorosa, i quali (tranne qualche fanatico, tranne 'qualche parabolano, tranne i propagandisti popolari che hanno bisogno di concetti semplicistici e di frasi ad effetto) hanno sempre ammesso che il principio del " lasciar fare e lasciar passare " sia una massima empirica, e non si possa prenderlo in modo assoluto e bisogni limitarlo. Senonché il limite è qui inteso come qualcosa di posto ab extra, e, come tale, centradittorio al concetto che si vuoi così limitare; onde o il concetto stesso ne esce distrutto o il limite viene rigettato. Il limite vero è quello interno, che non è più limite del concetto, ma è il concetto stesso approfondito e, come dicevamo, inverato.
Se i provvedimenti e ordinamenti economici che il liberalismo disapprova e combatte sono quelli soltanto che si oppongono allo svolgimento e progresso morale, ed essi non possono esser così giudicati se non in concreto, ne discende che tutte le dispute teoriche in proposito sono astratte e mancano di consistenza, e solo valgono le dispute pratiche, quali si svolgono e si concludono nella pienezza effettiva della vita. Le dispute teoriche si aggireranno, per esempio, sul campo che sia da lasciare all'attività degli individui e quello in cui si deve esercitare l'azione dello stato; ma, economicamente, che cosa è lo stato se non gl'individui stessi in certe forme di associazione, e come si può determinare il campo degli uni e quello dell'altro? Passando a considerare in concreto, la disputa ridiventa quella sul carattere di un dato provvedimento, se sia liberale o illiberale, moralmente buono o cattivo. Si aggireranno, per dare un altro esempio, sui due diversi e opposti sistemi economici, il liberistico e il socialistico, e sulla preferenza da accordare all'uno o all'altro; ma dove sono poi, nella realtà concreta, quei due sistemi economici separati e opposti? Quale ordinamento liberistico non è da dire in qualche parte socialistico, e all'inverso? Dunque, anche qui, passando all'intrinseco, la disputa ridiventa di buono e cattivo, di meglio e di men bene e di peggio nel rispetto civile e morale; e ben si potrà, con la più sincera e vivida coscienza liberale, sostenere provvedimenti e ordinamenti che i teorici della astratta economia classificano come socialistici, e, con paradosso di espressione, parlare finanche (come ricordo che si fa in una bella eulogia e apologia inglese del liberalismo, quella dello Hob-house) di un " socialismo liberale ". Una seria opposizione di principio al socialismo è soltanto quella che oppone all'etica e politica autoritaria, che è nel suo fondo, l'etica e politica liberale. Ma di ciò si è discorso nella prima di queste note.

 

 

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