La
formola economica del liberismo ha comuni il carattere e l'origine con
quella politica del liberalismo, e al pari di essa deriva dalla
concezione, di sopra chiarita, immanente e storica della vita. Alla
pretesa autoritaria di determinare innanzi come gli uomini debbano
politicamente pensare e comportarsi risponde di tutto punto la pretesa di
determinare allo stesso modo in economia, per esempio, il prezzo delle
cose, il " giusto prezzo " : medievale l'una e l'altra, se anche
si riaffaccino in ogni tempo, anche nei nostri, che, dopo quanto è
successo nel mezzo, sarebbero da reputare alquanto lontani dall'evo medio;
e all'una e all'altra si oppongono liberalismo e liberismo. Si accompagna
ad essi, nel dominio della scienza, la formola della libera ricerca e
della libera discussione, ossia il concetto che la verità non è qualcosa
di bello e fatto, ma un perpetuo farsi, non è una cosa ma un pensiero, e
anzi è il pensiero stesso. Gli storici mostrano come tutte coteste e
altre libertà analoghe e congiunte abbiano preso coscienza di sé e come
si siano venute formando e affermando in istituti giuridici lungo l'età
moderna.
Nessuna difficoltà, dunque, fino a quando ci si restringa a riconoscere
l'operare di un medesimo principio nelle varie sfere della vita. Ma la
difficoltà si fa innanzi non appena al liberismo economico si dia valore
di regola o legge suprema della vita sociale; perché allora esso vien
posto accanto al liberalismo etico e politico, che è dichiarato altresì
regola e legge suprema della vita sociale, e ne nasce di necessità un
conflitto. Due leggi di pari grado in pari materia sono, evidentemente,
troppe: ce n'è una di più. Tranne il caso che le si dimostri tutte e due
fallaci, una delle due deve assoggettare o, per dir meglio, risolvere in
sé l'altra; e, se tale risoluzione è operata da quella delle due cui
spetta di diritto il primato o l'esclusività, bene; se dall'altra
inferiore, si ha un caso di tentata usurpazione.
Ora per l'appunto questo è accaduto quando al liberismo economico è
stato conferito il valore di legge sociale, perché allora esso, da
legittimo principio economico, si è convertito in illegittima teoria
etica, in una morale edonistica e utilitaria, la quale assume a criterio
di bene la massima soddisfazione dei desideri in quanto tali, che è poi
di necessità, sotto questa espressione di apparenza quantitativa, la
soddisfazione del libito individuale o di quello della società intesa in
quanto accolta e media d'individui. Questi legami del liberismo con
l'utilitarismo etico sono noti, com'è noto che in una forma di esso, resa
popolare dal Bastiat, l'utilitarismo si sforzò d'idealizzarsi in una
generale armonia cosmica, quale legge della Natura o della divina
Provvidenza.
Lasciando da parte la filosofia del Bastiat, che, se non propriamente
criticata nel suo fondamento logico, certamente ora non solo è
abbandonata ma dimenticata (e bisognerebbe non dimenticarla come tipica
forma di un errore che sempre risorge), nell'indebito innalzamento del
principio economico liberistico a legge sociale è la ragione onde è
parso che quel principio stesso dovesse esser negato. Infatti, alla
soddisfazione meramente utilitaria si contrappone come necessità
superiore l'esigenza morale; alle medie della soddisfazione utilitaria, al
quantitativo più o meno esteso e generale, il qualitativo, ossia il
qualitativamente morale. Né vale per uscir dall'impaccio venir
delimitando le sfere di quel che è da lasciar fare e di quel che non è
da lasciar fare, perché anche questa posizione del problema è fallace al
lume dell'etica, la quale ignora o rifiuta il concetto del " lasciato
", del permissivo e del lecito. Tanto vero che, quando ci si prova a
eseguire in concreto quella delimitazione, le due sfere si confondono, e
si vede che o tutto o niente è lecito.
La difficoltà si scioglie col riconoscere il primato non all'economico
liberismo ma all'etico liberalismo, e col trattare i problemi economici
della vita sociale sempre in rapporto a questo. Il quale aborre dalla
regolamentazione autoritaria dell'opera economica in quanto la considera
mortificazione delle facoltà inventive dell'uomo, e perciò ostacolo
all'accrescimento dei beni o della ricchezza che si dica; e in ciò si
muove nella stessa linea del liberismo, com'è naturale, posta la comune
radice ideale. Ma non può accettare che beni siano soltanto quelli che
soddisfano il libito individuale, e ricchezza solo l'accumulamento dei
mezzi a tal fine; e, più esattamente, non può accettare addirittura, dal
suo punto di vista, che questi siano beni e ricchezza, se tutti non si
pieghino a strumenti di elevazione umana. La " libertà ", di
cui esso intende parlare, è indirizzata a promuovere la vita spirituale
nella sua interezza, e perciò in quanto vita morale.
Ciò posto, il problema si configura, per il liberalismo, nel determinare,
secondo luoghi e tempi e nel caso dato, non già se un certo provvedimento
sia " liberistico " (meramente o astrattamente economico), ma se
sia " liberale "; non se sia quantitativamente produttivo, ma se
sia qualitativamente pregevole; non se la sua qualità sia gradevole a uno
o più, ma se sia salutare all'uno, ai più e a tutti, all'uomo nella sua
forza e dignità di uomo.
Può darsi - anzi, così è - che in questo esame il liberalismo approvi
molte o la maggior parte delle richieste e dei provvedimenti del
liberismo, ai quali tanti benefici deve la moderna ..civiltà; ma esso li
approva non per ragioni economiche, sibbene per ragioni etiche, e con
queste li sancisce. Per le stesse ragioni, respinge o restringe, in altri
casi, certe altre richieste, che, sotto nome o specie di libertà,
ostacolano la libertà, o, per usare anche noi questa volta metafore
quantitative, per una libertà più piccola la libertà più grande. Il
che non è poi negazione, ma inveramento del liberismo, e, tutt'al più,
è negazione della morale utilitaria, di cui il liberismo si lasciò in
passato, e si lascia ancora talvolta, contaminare. Del resto, quel che noi
'procuriamo di presentare in chiari termini critici si può dire
riconosciuto dagli stessi economisti, sia pure in forma poco critica e
poco rigorosa, i quali (tranne qualche fanatico, tranne 'qualche
parabolano, tranne i propagandisti popolari che hanno bisogno di concetti
semplicistici e di frasi ad effetto) hanno sempre ammesso che il principio
del " lasciar fare e lasciar passare " sia una massima empirica,
e non si possa prenderlo in modo assoluto e bisogni limitarlo. Senonché
il limite è qui inteso come qualcosa di posto ab extra, e, come
tale, centradittorio al concetto che si vuoi così limitare; onde o il
concetto stesso ne esce distrutto o il limite viene rigettato. Il limite
vero è quello interno, che non è più limite del concetto, ma è il
concetto stesso approfondito e, come dicevamo, inverato.
Se i provvedimenti e ordinamenti economici che il liberalismo disapprova e
combatte sono quelli soltanto che si oppongono allo svolgimento e
progresso morale, ed essi non possono esser così giudicati se non in
concreto, ne discende che tutte le dispute teoriche in proposito sono
astratte e mancano di consistenza, e solo valgono le dispute pratiche,
quali si svolgono e si concludono nella pienezza effettiva della vita. Le
dispute teoriche si aggireranno, per esempio, sul campo che sia da
lasciare all'attività degli individui e quello in cui si deve esercitare
l'azione dello stato; ma, economicamente, che cosa è lo stato se non
gl'individui stessi in certe forme di associazione, e come si può
determinare il campo degli uni e quello dell'altro? Passando a considerare
in concreto, la disputa ridiventa quella sul carattere di un dato
provvedimento, se sia liberale o illiberale, moralmente buono o cattivo.
Si aggireranno, per dare un altro esempio, sui due diversi e opposti
sistemi economici, il liberistico e il socialistico, e sulla preferenza da
accordare all'uno o all'altro; ma dove sono poi, nella realtà concreta,
quei due sistemi economici separati e opposti? Quale ordinamento
liberistico non è da dire in qualche parte socialistico, e all'inverso?
Dunque, anche qui, passando all'intrinseco, la disputa ridiventa di buono
e cattivo, di meglio e di men bene e di peggio nel rispetto civile e
morale; e ben si potrà, con la più sincera e vivida coscienza liberale,
sostenere provvedimenti e ordinamenti che i teorici della astratta
economia classificano come socialistici, e, con paradosso di espressione,
parlare finanche (come ricordo che si fa in una bella eulogia e apologia
inglese del liberalismo, quella dello Hob-house) di un " socialismo
liberale ". Una seria opposizione di principio al socialismo è
soltanto quella che oppone all'etica e politica autoritaria, che è nel
suo fondo, l'etica e politica liberale. Ma di ciò si è discorso nella
prima di queste note.
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