A questa
religione dell'era nuova facevano riscontro e contrasto altre rivali e
nemiche, che, quantunque da lei espressamente o virtualmente criticate e
sorpassate, noveravano fedeli e raccoglievano proseliti, e componevano
cospicue realtà storielle, corrispettive a taluni momenti ideali, che in
perpetuo si ripresentano.
Prendeva o avrebbe meritato di prendere il primo luogo tra esse il
cattolicesimo della Chiesa di Roma, la più diretta e logica negazione
dell'ideale liberale, e che tale si sentì e si conobbe e volle
recisamente porsi fin dal primo delinearsi di quell'ideale, tale si fece e
si fa udire con alte strida nei sillabi, nelle encicliche, nelle prediche,
nelle istruzioni dei suoi pontefici e degli altri suoi preti, e tale
(salvo fuggevoli episodi o giochi di apparenze) operò sempre nella vita
pratica, e può per tal riguardo considerarsi prototipo o forma pura di
tutte le altre opposizioni e, insieme, quella che, col suo odio
irremissibile, mette in luce il carattere religioso, di religiosa
rivalità, del liberalismo. Alla concezione per la quale il fine della
vita è nella vita stessa, e il dovere nell'accrescimento ed innalzamento
di questa vita, e il metodo nella libera iniziativa e nella inventività
individuale, il cattolicesimo oppone che, per contrario, il fine è in una
vita oltremondana, alla quale la mondana è semplice preparazione, che si
deve adempiere con l'osservanza di ciò che un Dio che è nei cicli, per
mezzo di un suo vicario in terra e della sua chiesa, comanda di credere e
di fare. Ma, per logica e coerente che questa concezione autoritaria
oltremondana sia nel filo delle sue deduzioni o comparata ad altre simili
e di men salda contestura, nondimeno le fa difetto quella logicità e
coerenza che è l'accordo con la realtà. L'azione della Chiesa cattolica,
guardata nella storia, o si attua anch'essa ai fini della civiltà, del
sapere, del costume, dell'organamento politico e sociale, della vita
mondana, del progresso umano, come si vede spiccatamente nella sua grande
epoca, quando serbò gran parte del retaggio del mondo antico e difese i
diritti della coscienza e della libertà e della vita spirituale contro
genti barbariche e contro le prepotenze materia-listiche d'imperatori e di
re; ovvero, perduto quest'ufficio e perduta l'egemonia che in esso
esercitava, e soverchiata dalla civiltà che essa stessa aveva concorso a
generare, si restringe a tutrice di forme invecchiate e morte, d'incultura,
d'ignoranza, di superstizione, di oppressione spirituale, e si fa a sua
volta, dal più al meno, materialistica. La storia, che è storia della
libertà, si comprova più forte di quella sua dottrina o di quel
programma, e lo sconfigge e lo sforza a contradirsi nel campo dei fatti.
Il Rinascimento, che non fu un'impossibile ripristinazione dell'antichità
precristiana, e la Riforma, che del pari non fu quella, non meno
impossibile, del cristianesimo primitivo, ma l'uno e l'altra avviamento
alla concezione moderna della realtà e della idealità, segnano la
decadenza interiore del cattolicesimo in quanto potenza spirituale; e
questa decadenza non diede luogo a rigenerazione e non fu arrestata, ma,
anzi, resa irrimediabile dalla reazione della Controriforma, quando venne
salvato il corpo e non l'anima della vecchia Chiesa, il suo dominio
mondano e non quello sugl'intelletti, e si compiè opera politica ma non
religiosa. La scienza, che col porglisi a fianco, sostenitrice e
cooperatrice, dimostra la superiorità di un determinato ideale morale e
politico, disertò la Chiesa cattolica; e tutti gl'ingegni originali e
creatori, filosofi, naturalisti, storici, letterati, pubblicisti,
passarono o furono costretti a passare o furono accolti ed ebbero seguaci
nel campo avverso; che, nel suo proprio, essa non potè se non restaurare
l'edificio della scolastica medievale e, per necessità o per politico
accorgimento, introdurvi quelle secondarie variazioni o aggiungervi a mo'
d'ornato quant'altro, senza troppo dare all'occhio, poteva prendere dalla
scienza e dalla cultura eterodosse. La cessazione delle guerre di
religione, il nuovo principio della tolleranza, il deismo inglese, il
concetto della storia naturale delle religioni, il razionalismo e
l'illuminismo, l'antigiurisdizionalismo e l'anticurialismo erano venuti
sempre più distruggendo le condizioni a lei favorevoli; cosicché la
Rivoluzione francese la trovò estenuata e, anche politicamente, quasi
disarmata. Vero è che da quella rivoluzione stessa, dai danni e dai
dolori che inflisse e dalle rivolte e resistenze che le si levarono e
formarono contro, venne alla Chiesa cattolica un inaspettato afflusso di
forze, sia politiche per il rinnovato appoggio degli stati e delle classi
vinte o minacciate e lottanti a propria difesa, sia sentimentali per la
nostalgia che s'insinuò nei cuori verso le placide e molli immagini del
passato a rifugio dal turbinoso e duro e arido presente. Ma le prime forze
erano pur sempre puramente politiche e adoperabili solo per le riuscite
politiche; e le altre, malsicure e facili a tramutarsi nel diverso e
nell'opposto, come sempre le ondeggianti fantasie e i mobili desideri, e
da diffidarne, come la Chiesa assai presto e, si può dire, in generale,
ne diffidò. Il pensiero e la scienza continuarono a sfuggirle; il suo
grembo era in ciò colpito di sterilità come a divino castigo per aver
essa peccato contro lo spirito che è spirito di sincerità; e tutt'al
più, in mezzo a quelle burrasche e a quelle paure, vide ergersi a suo
campione qualche scrittore dottrinario bensì e polemico, ma fanatico e
astrattamente logico e consequenziario, e amante dell'estremo e del
paradossale, dal quale altresì ebbe piuttosto cagione di diffidenza che
effettivo aiuto, fiutandone lo spirito estraneo e la pericolosa
indipendenza. Sopratutto, la storiografia di parte cattolica, messa al
confronto con quella di parte liberale, svelava nel modo più evidente la
povertà a cui il pensiero cattolico era ridotto, e perfino la sua
trivialità o puerilità; perché, laddove quella ricostruiva, intendeva e
ammirava la storia del cristianesimo e della Chiesa negli ultimi secoli
dell'Impero e nel medioevo, e anche, per taluni rispetti, nell'età
moderna delle missioni oltreoceaniche e dei martiri per la fede, essa,
com'è risaputo, tutto il moto della storia moderna considerava
nient'altro che orribile perversione, e autori e colpevoli di tanto male
accusava i Luteri e i Caivini, i Voltaire e i Rousseau, e gli altri "
corruttori ", e la " setta ", che a suo dire, tessendo
secretamente una tela d'insidie, aveva riportato temporaneo e diabolico
trionfo; e, insomma, invece di storia, se ne stava a contare fole di orchi
da spaurire bimbi. Ma assai più grave di tutto ciò era la penetrazione
dell'avversario nella cerchia stessa dei fedeli, nella parte di questi
più eletta per elevatezza intellettuale e purezza di intenzioni, i quali
sentirono l'attrattiva verso le libertà politiche, l'indipendenza dei
popoli, la nazionalità e unità degli stati, la libertà della coscienza
religiosa e della Chiesa stessa, la diffusione della cultura, gli
avanzamenti tecnici e industriali, provarono moti di consenso e palpiti di
simpatia per le creazioni dei filosofi, degli scrittori e dei poeti
moderni, e presero a studiare e pensare diversamente la storia, e anche la
storia della Chiesa, che amarono sopratutto nei tempi in cui fu diversa da
quella che era stata dal cinquecento in poi e che era nel presente. Questo
sforzo di avvicinamento e di conciliazione, vario nei vari paesi e
variamente temperato, si chiamò " cattolicismo liberale ",
nella quale denominazione è chiaro che il sostantivo o la sostanza era
nell'aggettivo, e la vittoria era riportata non dal cattolicismo ma dal
liberalismo, che quel cattolicismo si risolveva ad accogliere e che
introduceva un lievito nel vecchio suo mondo. La Chiesa cattolica lo
guardò con sospetto e lo condannò ad un dipresso come aveva usato col
giansenismo, al quale, per più riguardi, succedeva e di cui continuava
l'opera anche nel campo civile e politico; sebbene, prudente, e
diplomatica com'essa suole essere, cercasse di astenersi, quanto più
poteva, dal colpire personalmente taluni degli uomini che vi
appartenevano, e che erano spesso scrittori di grande fama e popolarità,
e cattolici sinceri e stimati, la cui condanna avrebbe recato troppo
scandalo e disorientamento nelle anime. ' Per tutte queste ragioni, la
concezione cattolica, e la dottrina che la sistemava e ragionava e
propugnava, non era, nella sfera ideale, un'opposizione che desse pensiero
al liberalismo; e di -ciò la più sicura riprova stava nella rinunzia, e
anzi nella ripugnanza, da parte di esso, a proseguire la guerra che si era
combattuta nei secoli precedenti con le armi e con gli scritti,
parti-colarmente dal Voltaire e dagli enciclopedisti, e della quale si era
raccolto il frutto, ma appunto perciò sarebbe stato sconveniente quanto
superfluo insistervi, bastando pel rimanente dar tempo al tempo. E
sconveniente non soltanto, ma sarebbe stato poco fine e poco umano,
perché, cosa a cui il Voltaire e i suoi non avevano badato, la vecchia
fede era pure un modo, mitologico quanto si voglia, di lenire e placare le
sofferenze e i dolori e di risolvere il problema angoscioso della vita e
della morte, e non si doveva strapparla con la violenza né offenderla con
lo scherno. E poco politico altresì, perché su quelle credenze, e sul
conforto che ne veniva e sugli insegnamenti che davano, si fondava, per
molti uomini, la formula e l'autorità dei doveri sociali, e ne nascevano
opere e istituti di provvidenza e di beneficenza, e motivi di ordine e di
disciplina: tutte forze e capacità da assimilare e trasformare
gradualmente, ma non da abbattere senza sapere in qual modo sostituirle o
senza sostituirle di fatto. Come verso ogni passato e sorpassato,
l'atteggiamento si faceva, verso il cattolicesimo e la Chiesa, imparziale,
riguardoso, rispettoso, e anche reverente. D'altro lato, l'ideale
liberale, consapevole, come si è detto, della propria genesi storica, non
rifiutava il legame col cristianesimo, che sopravviveva pur nella Chiesa
cattolica, per quanto utilitaria e materiale fosse diventata; e le anime
evangeliche considerava sue sorelle, con le quali gli era dato
reciprocamente comprendersi di là dai diversi involucri dottrinali, e
lavorare nel medesimo sentimento. La poesia dipinse volentieri, da quel
tempo, le figure del buon frate o del buon vescovo o del buon curato,
semplici e retti e coraggiosi ed eroici, ai quali rese omaggio non meno
fervido che alle sue eroine di bellezza e di virtù e agli altri suoi
eroi: quantunque si compiacesse di con-trapporli sovente al restante clero
e alla Chiesa romana, e sopratutto alle figure dei prelati e dei gesuiti.
La necessità della severa vigilanza e della guerra si rivolgeva contro il
cattolicesimo politico, che serbava non piccolo peso per gli appoggi che
dava ai regimi conservatori e reazionari, e per le plebi, specialmente
rurali, che era in grado di sommuovere e che già aveva eccitate,
inebriate e guidate nei frangenti della Rivoluzione e dell'Impero, come
vandeani, masse di Santa Fede e di Viva Maria, armate cristiane e
apostoliche, e che, in diverse condizioni, poteva demagogicamente
rieccitare e scatenare, e per intanto valersene, come se ne valeva, per
minaccia e impedimento allo svolgersi della libertà e al progredire della
civiltà. A segnare il carattere di questa lotta e a differenziarla da
quella contro il cristianesimo o contro il cattolicesimo in quanto
cristiano, fu coniata, o, per lo meno, ebbe nuovo contenuto e largo uso,
la parola " clericalismo ", e si disse che l'avversione era non
al cattolicesimo, ma al " clericalismo ", al "nero
clericalismo".
Non è il caso di soffermarsi sulle altre chiese e confessioni religiose
che o erano chiese di stato e operavano di unita coi governi, o, diventate
prima razionalistiche e illuministiche, e in ultimo idealistiche e
storicizzanti, non avversavano e piuttosto favorivano il movimento
liberale - tanto che la Chiesa romana metteva in un sol fascio
protestantismo, massoneria e liberalismo, - e che perciò non
rappresentavano, o solo talvolta in forma meno perfetta, l'opposizione
radicale che era del cattolicesimo verso il liberalismo. E del pari meno
radicale di questa, e anzi solamente di tecnica e di tattica politica, e
pertanto priva di sfondo religioso, sembrava l'altra opposizione che il
liberalismo si trovò di fronte e contro cui intraprese la sua prima e
principale ed aspra battaglia: quella dei governi, cioè delle monarchie
assolute, che sole importa qui tener presenti, perché rare e piccole
erano le sopravvivenze dei regimi aristocratici e patrizi, i quali
sostanzialmente, d'altronde, si ricon-ducevano ai primi. Ma non v'ha
ideale che non si appoggi, in ultimo, a una concezione della realtà e
perciò non sia religioso; e quello del monarcato assoluto sottintendeva
l'idea dei re, pastori dei popoli, e dei popoli, greggi da menare al
pascolo, all'accoppiamento e alla prolificazione, e da proteggere contro
le intemperie e contro i lupi e le altre bestie feroci. Mulets
li chiamava infatti il Richelieu, ministro di Luigi XIII, e il
filantropico marchese d'Argenson, ministro di Luigi XV, similmente li
trattava e voleva formarne une ménagerie d'hommes beureux; e un
pari concetto ne aveva il principe di Metternich, quando dichiarava che
solo ai principi spettava di condurre la storia dei popoli, o quel
ministro prussiano della restaurazione, che alle rimostranze della città
di Elbing rispondeva essere i provvedimenti del governo " al disopra
della intelligenza limitata dei sudditi". Quell'idea, per miscredenti
che fossero molti dei suoi rappresentanti, si richiamava all'istituzione
divina delle monarchie e al carattere sacerdotale dei primitivi re; e già
quando, nel medio evo, Chiesa e Impero entrarono in conflitto, i teorici
dell'Impero non abbandonarono il punto della sua istituzione divina, come
si vede, tra gli altri, in Dante e nella sua dottrina dei due Soli; né,
più tardi, il luterismo si mostrò meno ossequente verso i principi e
verso lo stato, che esso fortemente contribuì a consacrare, eseguendo una
genuflessione della quale ancor dura l'effetto nel pensiero tedesco.
Perciò anche, l'assolutismo, particolarmente nella forma che prese in
Francia con Luigi XIV, si compieva giuridicamente con la teoria del
diritto divino dei re; e i sovrani della Restaurazione, per disegno del
più ideologo e del più mistico tra i vincitori di Napoleone, si
strinsero in una Santa Alleanza per governare comme délegués par la
Providence (è detto espressamente nell'atto costitutivo) i popoli che
erano les branches d'une méme famille, applicando in tal governo les
préceptes de la sainte religion, precetti di giustizia, di carità e
di pace; e il principe di Mettermeli, nella sopra ricordata sua sentenza,
soggiungeva che i re erano delle azioni loro " responsabili solo a
Dio ". Ma la virtù delle monarchie assolute non consisteva in questa
ideologia, che la scienza politica aveva da lungo tempo dissipata e i
rivoluzionari inglesi e francesi tradotta in assai rude prosa col
giudicare e mandare al patibolo Carlo Stuart e Luigi Capeto, senza che
quel sangue fosse battesimo e cresima di nuovi re dal diritto divino. Uno
dei grandi uomini, ma dei meno religiosi che siano mai apparsi nella
storia (se tale deficienza è comportabile, come può dubitarsi, con la
grandezza vera), aveva, senza questa ideologia, o ricorrendovi solo in
qualche frase ad effetto, riplasmato testé una monarchia, la quale in
più cose, e specialmente nel suo assolutismo, era modello a quelle
restaurate. La stessa Santa Alleanza non ritenne l'alone religioso di cui
aveva voluto circonfonderla il suo ideatore; e re e ministri ne mossero la
macchina, non curando o ironicamente sorridendo della professione di fede
che ne formava la teorica prefazione. La virtù vera era anche qui, come
nella Chiesa cattolica, nei servigi che le monarchie assolute avevano resi
e rendevano alla civiltà, perché esse avevano buttato giù il
feudalismo, domato il potere ecclesiastico, raccolto i piccoli in grandi
stati e anche in stati nazionali o di prevalenza nazionale, semplificata e
migliorata l'amministrazione, provveduto all'aumento della ricchezza,
difeso l'onore e acquistato gloria ai popoli, e, nel tempo che precedette
la Rivoluzione, si erano largamente aperte alla scienza e alla cultura,
facendosi monarchie illuminate, e, durante la Rivoluzione e l'Impero,
spontaneamente o per imitazione, costrette o volenterose, avevano portato
presso al termine l'opera di abolizione dei privilegi e delle costumanze
feudali, e si erano riformate in monarchie, come si dissero, "
amministrative ". L'esperienza della Rivoluzione francese e delle
altre che le seguirono aveva disgustato delle repubbliche, e l'esempio
dell'Impero rinvigorito il sistema monarchico. Erano, dunque, le monarchie
ancora capaci di storia, e di soddisfare i bisogni dei popoli che
chiedevano rappresentanze e compartecipazione al governo, d'imprendere o
compiere indipendenze e unificazioni statali, di dare grandezza alle
nazioni e impersonarne le aspirazioni; e l'ideale liberale si disponeva a
informarle del suo spirito, facendo in ciò la maggior prova di quel suo
concetto che lo portava a disposare l'avvenire col passato, il nuovo con
l'antico, e a mantenere la continuità storica, impedendo la dispersione
d'istituti e attitudini faticosamente acquistate. Ma, invece di una Santa
Alleanza delle nazioni indipendenti e libere, era apparsa allora quella
che si è già mentovata, composta di monarchie assolute, in parte di
formazione patrimoniale e comprendenti nazioni diverse, e in parte
nazionalmente incomplete; e le promesse e le speranze, fiammeggianti nei
petti di molti dei combattenti contro l'egemonia e il dispotismo
napoleonico, non furono tenute e non si attuarono, passato il pericolo; e
quasi dappertutto si era iniziata dalle monarchie restaurate la difesa e
l'offesa contro l'antico alleato e il nuovo nemico, il patriottismo
nazionale e il liberalismo che lo animava e ne era animato. Stavano, dalla
parte delle monarchie, forze retrive e reazionarie, gente di corte, ceti
nobiliari e semifeudali, clericalume, plebe di città e di campagna, e,
sopratutto, quella forza che è di ogni governo stabilito per il solo
fatto di essere stabilito. Ma stavano anche forze di migliore qualità,
tradizioni amministrative e diplomatiche, eserciti forti e ricchi di
glorie, uomini esperti e devoti servitori dello stato, dinastie che
avevano accompagnato il crescere dei loro popoli per secoli e sembravano
inseparabili dalle loro fortune, e davano ancora prìncipi degni per
virtù personali e per il prestigio che li circondava: forze conservatrici
che avevano le radici nel passato, ma non per questo erano meno preziose,
non per questo si poteva lasciarle dissolvere e perire. Il problema era di
persuadere o costringere le monarchie assolute a farsi costituzionali,
compiendo il passo al quale riluttavano, uscendo dalla situazione contraddittoria
in cui si ostinavano, giacché né potevano tornare, dopo quello che era
accaduto nel mezzo, alle monarchie illuminate del settecento, o più
indietro, dove volentieri le avrebbero risospinte gli aristocratici, alle
monarchie semifeudali e nobiliari, né adottare in pieno i procedimenti
dell'assolutismo napoleonico senza il congiunto impeto militare e
imperiale che li aveva fatti accettare o imposti, avvolgendoli e
ricoprendoli di gloria; onde erano ridotte ad accozzare malamente l'antico
e il moderno, e a stringerli tra loro per mezzo della polizia, della
censura, delle severe repressioni. Con le costituzioni liberali, tutto
quello che meritava di esser conservato sarebbe stato conservato e,
insiememente, tutto rinnovato: la figura del re, cancellate le ultime
tracce del sacerdote e del pastore di greggi, sarebbe diventata non
propriamente, come s'era detto nel settecento, quella del " primo
servitore dello stato ", ma l'altra del custode dei diritti della
nazione e poetico simbolo della sua storia vivente. La " volontà
della nazione ", che li rifaceva re, non discordava dalla
"grazia di Dio", che li aveva prima eletti e sorretti; a quel
modo che l'accettazione del passato non contrasta col presente e con
l'andare innanzi verso l'avvenire.
Come, nonostante l'affinità di alcuni elementi del cattolicesimo e delle
monarchie assolute col liberalismo, e nonostante la disposizione di questo
a riceverli in sé e farli suoi, i due sistemi gli rimanevano contro
nemici ed esso nemico a loro, così accadeva di un terzo sistema e di una
terza fede, che pareva confondersi col liberalismo o per lo meno unirvisi
in una diade indissolubile: l'ideale democratico. Le concordanze con
questo erano non soltanto negative, nella comune opposizione al
clericalismo e all'assolutismo (il che spiega il frequente confluire dei
loro sforzi), ma anche positive nei comuni intenti della libertà
individuale, dell'eguaglianza civile e politica, e della sovranità
popolare. Ma qui per l'appunto, in mezzo a queste so-miglianze, si
annidava la diversità, perché altrimenti concepivano individuo,
eguaglianza, popolo i democratici, e altrimenti i liberali. Pei primi, gli
individui erano centri di forze pari a cui bisognava assegnare un campo
pari o un'eguaglianza, come dicevano, di fatto; per i secondi,
gl'individui erano persone, la loro eguaglianza quella sola della loro
umanità, e perciò ideale o di diritto, libertà di movimento e di gara,
e il popolo non era già una somma di forze eguali, ma un organismo
differenziato, vario nei suoi componenti e nelle loro associazioni,
complesso nella sua unità, con governati e governanti, con classi
dirigenti, aperte bensì e mobili ma sempre necessarie a quest'ufficio
necessario. I primi, nel loro ideale politico, postulavano una religione
della quantità, della meccanica, della ragion calcolante o della natura,
com'era stata quella del settecento; gli altri, una religione della
qualità, dell'attività, della spiritualità, quale si era levata ai
primi dell'ottocento: sicché, anche in questo caso, il contrasto era di
fedi religiose. Che l'una fede fosse l'antecedente e la genitrice
dell'altra era da ammettere, nel senso generale in cui antecedenti del
liberalismo erano stati anche la teocrazia cattolica e il monarcato
assoluto, e in quello più particolare e prossimo, che il pensiero moderno
dal naturalismo e razionalismo passò progressivamente e dialetticamente
all'idealismo, e Galileo e Cartesio avevano dato la mano a Kant e a Hegel.
Ma, una volta effettuato il passaggio, le due fedi, la vivente e la
sopravvivente, stavano l'una a fronte dell'altra, guardandosi con occhi a
volta a volta amici ed ostili. La filosofia idealistica respingeva il
giusnaturalismo, il contrattualismo, l'atomismo sociale del Rousseau, la
sua " volontà generale ", che mal rappresentava la volontà
provvidenziale e la ragione storica, l'opposizione dell'individuo allo
stato e dello stato all'individuo, che sono termini di un'unica e
indissolubile relazione. Sul terreno più propriamente politico, il
liberalismo aveva compiuto il suo distacco dal democratismo, che, nella
sua forma estrema di giacobinismo, perseguendo a furia e ciecamente le sue
astrazioni, non solo aveva distrutto vivi e fisiologici tessuti del corpo
sociale, ma, scambiando il popolo con una parte e con una manifestazione,
la meno civile, del popolo, con la inorganica folla schiamazzante e
impulsiva, era trascorso nell'opposto del suo assunto, e, in luogo della
eguaglianza e libertà, aveva stabilito l'eguale servitù e la dittatura.
Il ribrezzo per la rivoluzione, che si sentì allora e che percorre tutto
intero il secolo decimonono, il quale pur doveva fare tante rivoluzioni,
era, in realtà, il ribrezzo per la rivoluzione democratica e giacobina,
con le sue convulsioni spasmodiche e sanguinarie, con gli sterili suoi
conati di attuare l'inattuabile, e col conseguente accasciamento sotto il
dispotismo, che abbassa gl'intelletti e abbatte le volontà. Il terrore
del Terrore passò tra i fondamentali sentimenti sociali; e indarno taluni
presero le difese di quel metodo, ragionandolo come necessario, che solo
aveva assicurato i benefici della Rivoluzione francese e solo poteva
assicurare quelli delle nuove che si preparavano; perché altri e più
critici ingegni furono presti a scoprire e a dimostrare il sofisma
dell'argomentazione. Se la Rivoluzione francese, più tardi, gettò in
ombra il suo peggio e die rilievo al mirabile delle passioni e delle
azioni, mercé l'effetto della lontananza e più ancora delle storie
tendenziose e abbellitrici, allora essa era troppo vicina e con troppi
testimoni diretti dell'accaduto perché l'ideale democratico potesse
attingervi forza e splendore: che anzi questo ideale ne era uscito assai
malconcio e veniva generalmente, e dalle più diverse parti, rinnegato.
Parecchi dei superstiti attori della Rivoluzione e autori del Terrore, i
meno inetti, tra i vecchi giacobini, a opere fattive, o quelli che nella
esperienza avevano raddrizzata ed educata la naturale capacità, erano
passati ai servigi di Napoleone, e poi dei regimi assolutistici della
restaurazione, e contavano tra i loro uomini più spregiudicati e i loro
strumenti più inesorabili nella guerra contro la democrazia e contro la
libertà: conforme a quel che il più sereno dei poeti osservava, che
bisognerebbe mettere in croce, a trent'anni, ogni fanatico, perché colui
che è stato un illuso, rinsavito, si converte in briccone. Altri, di
animo candido, avevano serbato l'illusione e sopravvivevano come storditi,
oscuramente ripercorrendo nel rimpianto gli errori e le perfidie e gli
accidenti che avevano tolto al puro e bellissimo loro ideale di
eguaglianza e di sovranità popolare di raggiungere il segno che stava per
toccare, e all'attimo felice di fermarsi per sempre, beatificando il
genere umano. E, quantunque la parola " repubblica ", come si è
già mostrato, in quel tempo suonasse male, ora stridente ora sorda,
taluni, anche della giovane generazione, avevano sempre cara la repubblica
per i venerandi ricordi classici o per vaghezza razionalistica e
semplicistica. Ma né repubblicani né democratici contavano allora tra le
maggiori forze in gioco; e il liberalismo, che li aveva sorpassati in
filosofia e in politica, e aveva anche fatto tra essi molte conversioni,
poteva, da una parte, valersi dei perduranti democratici e repubblicani in
certe alleanze che gli si facevano incontro spontanee, e, dall'altra, star
vigile a impedire che, nei momenti risolutivi e nei giorni dei
rivolgimenti, non compromettessero il frutto dei suoi sforzi con gli
eccessi, con le insanie e col disordine, e non preparassero, inconsapevoli
e involontari, i ritorni offensivi e vittoriosi del clericalismo e
dell'assolutismo.
Ancor meno contava tra le forze in giuoco, in quel principio di secolo,
un'altra opposizione, che proprio allora ebbe il suo nascimento e doveva
presto farsi sentire e diventar sempre più fiera e minacciosa, e perciò
conviene sin da ora ricercarne la fisionomia, penetrarne il carattere e
intenderne la genesi: il comunismo, che così chiamiamo col suo nome
proprio e classico, e non già con quello di " socialismo ", col
quale fu temperato e man mano divenne altra cosa, risolvendosi nel
liberalismo, nel democratismo e perfino nel cattolicesimo. Abbiamo "
detto che nacque a quel tempo, perché allora quella vecchia idea, che ha
accompagnato sempre il genere umano ed è rispuntata più volte nel corso
dei secoli, prese forma moderna e si riattaccò non a quelle utopie e
fantasie del passato ma alle ! condizioni create dal pensiero e dalla
operosità nuova. Diversamente dai comunismi del passato, e anche da
quelli settecenteschi, e perfino da quello del Babeuf e della sua
cospirazione degli eguali, nel quale persistevano tratti ascetici -
tendenze alla rinunzia, al costume semplice, elementare e rozzo,
avversione alle città, ritorno ai campi, - esso, quale si presentò ai
primi del secolo decimonono, al pari del liberalismo, faceva sua la
concezione immanente e terrena della vita, voleva il godimento dei beni e
l'accrescimento incessante della ricchezza, promoveva la scienza e le
invenzioni tecniche, le macchine e tutti gli altri mezzi del progresso
economico. Stava in ciò la sua affinità col liberalismo, che includeva
gli stessi oggetti; né il liberalismo sostanzialmente gli si opponeva,
come si crede e come credettero taluni teorici, in quanto il comunismo
mirasse alla socializzazione di questi o quelli strumenti della produzione
o di tutti (se parlare, proprio, di tutti ha un senso, il che non pare), e
il liberalismo, invece, mantenesse tra i suoi principi costitutivi la
irremovibile proprietà privata di questi o quelli strumenti, e la
illimitata libera concorrenza. Come oramai dovrebbe essere pacifico, il
liberalismo non coincide col cosiddetto liberismo economico, col quale ha
avuto bensì concomitanze, e forse ne ha ancora, ma sempre in guisa
provvisoria e contingente, senza attribuire alla massima del lasciar fare
e lasciar passare altro valore che empirico, come valida in certe
circostanze e non valida in circostanze diverse. Perciò né esso può
rifiutare in principio la socializzazione di questi o quelli mezzi di
produzione, né l'ha poi sempre rifiutata nel fatto, che anzi ha attuato
non poche socializzazioni; e solamente esso le critica e le contrasta in
casi dati e particolari, quando cioè è da ritenere che la
socializzazione arresti o deprima la produzione della ricchezza e giunga
al contrario effetto, non di un eguale miglioramento economico dei
componenti di una società, ma di un impoverimento complessivo, che spesso
non è neppure eguale. Del resto, il comunismo stesso, dopo avere, nella
prima epoca, proposto, per la sua pratica ed integrale attuazione, governi
di scienziati e di tecnici, o la fondazione di piccole società-tipi che
avrebbero esercitato irresistibile attrattiva col porre innanzi agli occhi
degli uomini esempi d'incantevole felicità, dopo essere più volte
tornato ai mezzi del democratismo e del giacobinismo ideando o tentando
instaurazioni violente e colpi di mano, riconobbe che la sua attuazione
aveva per condizione che il corso storico delle cose portasse al bivio o
di danneggiare e scemare la produzione della ricchezza, conservando
l'ordinamento capitalistico cioè della proprietà privata, o di garantire
e aumentare la produzione, abolendo la proprietà privata; della qual cosa
credette di trovar conferma e prova nelle crisi economiche e nelle
distruzioni di ricchezze a cui l'ordinamento capitalistico darebbe luogo
necessariamente per ristabilire di volta in volta, mercé quelle scosse e
quei fallimenti, il suo equilibrio. E, se così stessero o andassero le
cose, il liberalismo non potrebbe se non approvare e invocare per suo
conto quella abolizione; e il punto è solamente se così vadano in
realtà o così vadano con la regolarità e rapidità che quei teorici
immaginavano, ossia è questione di esperienza e non di ideali. Il
contrasto ideale del comunismo col liberalismo, il contrasto religioso,
consiste in altro, nell'opposizione tra spiritualismo e materialismo,
nell'intrinseco carattere materialistico del comunismo, nel suo farsi Dio
del diavolo o della materia. Materialistico esso nacque già nei primi
suoi apostoli dell'ottocento, sebbene quel suo nome filosofico gli fosse
riconosciuto e conferito solo più tardi, e non dagli avversali ma dal
più forte dei suoi teorici. Il suo principio è la concezione della
economia come fondamento e matrice di tutte le altre forme della vita, che
sarebbero derivazioni o apparenze o fenomenologia di quella, unica
realtà. Ora, se l'attività economica, nel vivo sistema dello spirito nel
quale essa sorge dalle altre e mette capo alle altre, è attività
anch'essa spirituale, avulsa che sia da quel sistema, isolata, posta a
base come una pietra, si cangia in materia e sull'aridità della materia
non possono sorgere e fiorire né morale, né religione, né poesia, né
filosofia, e neppure l'economia stessa, che richiede calor vitale, alacre
intelligenza ed appassionamento. In effetto, già i primi comunisti
dell'ottocento, i cosidetti utopisti, dettero prova di estraneità alla
vita spirituale, tutti intenti ai miracoli delle macchine, ai vantaggi
dell'organizzazione industriale, alla psicologia dei contenti e
soddisfatti nelle opere dell'economia e nella condizione sicura e facile
che questa procaccerebbe; e, ignari o inintelligenti della storia,
impresero a falsificarla, interpretando il liberalismo come maschera
d'interessi capitalistici, togliendo alla civiltà moderna il carattere di
civiltà umana e considerandola classistica e borghese, riducendo la lotta
politica a lotta di classi economiche e le religioni trattando come
invenzioni per tener schiavi e assonnati i proletari, e le filosofie come
costruzioni di concetti innalzate allo stesso fine di presidio degli
sfruttatori; e via per consimili stravaganze. Ma una società configurata
secondo quel concetto materialistico; non poteva esser mai altro se non un
meccanismo; e poiché un meccanismo, diversamente dalla vita organica e
spirituale, non lavora da sé e ha bisogno di chi lo metta in moto e lo
regoli, essa doveva necessariamente venire regolata da una perpetua
dittatura, che costringesse i suoi componenti ad aggirarsi in certi cerchi
segnati e a professare certe credenze e a tenersi lontani da certe altre e
a flettere o a comprimere i loro intelletti, i loro desideri e le loro
volontà. Che se una simile società non è un cenobio che così si
mortifichi pel regno dei cieli, sarà un esercito per fini che sono nella
mente di coloro che la tengono sotto dittatura, o una ciurma di schiavi
ben nutriti e bene addestrati che leveranno stupefacenti piramidi; cioè
le mancherà in ogni caso l'autonomia, per la quale una società è una
società. E se anche il suo lavorare senza gli attriti, ma anche senza gli
stimoli della concorrenza, accrescesse materialmente i prodotti della
terra e dell'uomo, impoverirebbe pur sempre le anime che di quella
ricchezza dovrebbero giovarsi, e, in ultimo, essiccherebbe la fonte vera
della ricchezza, che è la libertà dello spirito umano, e gli uomini vi
diventerebbero pari a quelli che Leonardo definiva " transiti di cibo
" : ideale religioso anche questo, ma di vero e proprio e non
metaforico abétissement. Certo, il diavolo non è mai così brutto come
si dipinge e come abbiamo dovuto dipingerlo qui per andare a fondo della
sua teoria e della sua logica, e dedurne le conseguenze ideali; e il
comunismo, fin quando non giunge alla pienezza del suo rifabbricare che è
un demolire la vita umana, e non si fa dittatura continuata e tirannia,
quando, invece, con le sue censure e con le sue richieste, e altresì con
le sue minacce, combatte gli egoismi degli interessi economici privati e
conferisce al vantaggio comune, quando, coi suoi miti, pur anima di un
qualsiasi ideale politico classi sociali estranee alla politica e le
sveglia e le disciplina e ne inizia una sorta di educazione, dimostra
anch'esso le sue virtù, e sarebbe stolto rigettarlo o volere che non
fosse al mondo, come invece si rigetta e teoricamente si annulla il suo
principio direttivo e la sua materialistica religione.
Tali sono le opposizioni, o già formate o iniziali, che il liberalismo si
trovò contro al suo sorgere o ai primi suoi moti. E come alcune di queste
declinarono e quasi disparvero, e altre presero maggior consistenza e
vigore, così altre ancora ne vennero nuove, delle quali sarà da parlare
più innanzi, non solo perché entrarono in campo più tardi, ma anche
perché non hanno il carattere originale delle prime, e possono
considerarsi derivate, eclettiche e variamente combinate.
Erano, le opposizioni anzidette, fondamentali, come di diversa religione,
esprimibili nel motto mors tua, vita mea, e perciò da non confondere, in
questo aspetto, con le varietà che il liberalismo racchiudeva nel suo
seno, e coi contrasti e coi partiti che ne derivavano: cose conformi alla
sua natura, e, anzi, questa natura stessa, la regola del suo gioco,
consistente nella ricerca dell'adatto, del meglio, e svolgentesi in
discussioni, associazioni e contrassociazioni, persuasioni e risoluzioni
mercé il prevalere di una o altra maggioranza, che determinava ciò che
era possibile chiedere e ottenere in condizioni date e pur modificabili.
Quelle opposizioni, invece, impedivano o si volgevano ad abbattere il
sistema stesso liberale, e non si poteva vincerle se non nel solo modo a
cui, in ultima istanza, nella politica si fa ricorso, con la extrema
ratio della forza, la quale è momento necessario di ogni atto e di
ogni assetto politico: con la forza delle rivolte popolari e delle guerre,
dell'armata vigilanza e della repressione. È strano che si usi da più
d'uno descrivere il metodo liberale come quello del profeta disarmato,
laddove, anche senza risalire al suo concetto e al concetto di ogni
politica, il fatto mostra che per nessun'al-tra idea si sono affrontate e
vinte più aspre battaglie, si è versato sangue con più larga vena, si
è combattuto con maggiore ostinazione, si è stati più pronti e lieti al
sacrificio. Ma quella taccia di mitezza e di mollezza accennava ad altro,
che era invece la ragion d'essere del liberalismo e sua ragione
d'orgoglio: cioè alla legge, che esso osservava, di tener ferma bensì,
anche con la forza, quella che abbiamo chiamata la regola del suo gioco,
ma avere per regola di gioco appunto la libertà, che vuole tolleranza,
rispetto delle altrui opinioni, disposizione ad ascoltare e imparare dagli
avversar! e, in ogni caso, a ben conoscerli, e perciò a far sì che non
debbano nascondersi nascondendo il loro pensiero e le loro intenzioni.
Onde, con l'instaurato ordine liberale, tutti gli ideali, il cattolico,
l'assolutista, il democratico e il comunista, avrebbero avuto libera la
parola e la propaganda, col solo limite di non rovesciare l'ordine
liberale; tutte le particolari esigenze legittime, tutti i motivi di bene,
che quegli ideali di volta in volta prendevano con sé e di cui si
facevano propugnatori, avrebbero potuto fruttificare al pari di ogni altra
varietà di richieste e di proposte. Che era, come si è detto, ragione di
orgoglio, ma si fondava sopra una ragione di modestia e di umiltà;
perché gli ideali possono ben sceverarsi teoricamente in buoni e cattivi,
in superiori e inferiori; ma gli uomini - e la lotta effettiva è di
uomini contro uomini - non si possono così discernere e contrapporre, e
ciascuno di essi variamente racchiude in sé il vero e il fallace, l'alto
e il basso, lo spirito e la materia, ciascuno per reazionario che si
professi o che si vanti può, in concreto, difendere e diffondere
libertà, e per liberale che si creda, può incorrere nel contrario; e
tutti, insomma, cooperano, in guisa positiva e in guisa negativa, al bene,
che li adopera e li sorpassa, in quanto individui, tutti. Come aveva detto
Giovanni Milton negli incunaboli della moderna libertà, soffocare, dove
che sia e presso chiunque, una verità o un germe o una possibilità di
verità, è peggio assai che spegnere una vita fisica, perché la perdita
di una verità è spesso pagata dal genere umano con tremende sciagure e
ricomprata con indicibili dolori.
Se la superiorità di un sistema filosofico si misura dalla sua capacità
a dominare gli altri sistemi col riceverne le verità nella sua cerchia
più ampia, collocarle ai loro posti propri e farne sue proprie verità, e
insieme col riconsiderare le loro parti arbitrarie e fantastiche per
convertirle in logici problemi e soluzioni, la superiorità di un ideale
morale e politico è in un simile accoglimento, inveramento e adoperamento
e conversione delle virtù e delle esigenze che sono negli ideali opposti,
la cui condanna è segnata, per contro, dalla loro incapacità a compiere
un'opera pari, dallo sterile e totale rigettare i loro opposti. A quella
misura l'ideale liberale non voleva sottrarsi, e le si sottometteva con
piena consapevolezza, sicuro di sostenerne la prova.
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