Benedetto Croce - Luigi Einaudi

 

Liberismo e liberalismo

 

B. Croce - Le fedi religiose opposte

 

Secondo dei Capitoli introduttivi di una storia dell'Europa nel secolo decimonono, il saggio fu stampato negli Atti dell'Accademia di Scienze morali e politiche della Società reale di Napoli per il 1931 (voi. LUI, parte prima) e in un estratto (a pp. 20-37) che qui si riproduce.
Il commento di Einaudi si legge nel citato Dei diversi significati del concetto di liberismo economico e dei suoi rapporti con quello di liberalismo, in questo volume.

 

A questa religione dell'era nuova facevano riscontro e contrasto altre rivali e nemiche, che, quantunque da lei espressamente o virtualmente criticate e sorpassate, noveravano fedeli e raccoglievano proseliti, e componevano cospicue realtà storielle, corrispettive a taluni momenti ideali, che in perpetuo si ripresentano.
Prendeva o avrebbe meritato di prendere il primo luogo tra esse il cattolicesimo della Chiesa di Roma, la più diretta e logica negazione dell'ideale liberale, e che tale si sentì e si conobbe e volle recisamente porsi fin dal primo delinearsi di quell'ideale, tale si fece e si fa udire con alte strida nei sillabi, nelle encicliche, nelle prediche, nelle istruzioni dei suoi pontefici e degli altri suoi preti, e tale (salvo fuggevoli episodi o giochi di apparenze) operò sempre nella vita pratica, e può per tal riguardo considerarsi prototipo o forma pura di tutte le altre opposizioni e, insieme, quella che, col suo odio irremissibile, mette in luce il carattere religioso, di religiosa rivalità, del liberalismo. Alla concezione per la quale il fine della vita è nella vita stessa, e il dovere nell'accrescimento ed innalzamento di questa vita, e il metodo nella libera iniziativa e nella inventività individuale, il cattolicesimo oppone che, per contrario, il fine è in una vita oltremondana, alla quale la mondana è semplice preparazione, che si deve adempiere con l'osservanza di ciò che un Dio che è nei cicli, per mezzo di un suo vicario in terra e della sua chiesa, comanda di credere e di fare. Ma, per logica e coerente che questa concezione autoritaria oltremondana sia nel filo delle sue deduzioni o comparata ad altre simili e di men salda contestura, nondimeno le fa difetto quella logicità e coerenza che è l'accordo con la realtà. L'azione della Chiesa cattolica, guardata nella storia, o si attua anch'essa ai fini della civiltà, del sapere, del costume, dell'organamento politico e sociale, della vita mondana, del progresso umano, come si vede spiccatamente nella sua grande epoca, quando serbò gran parte del retaggio del mondo antico e difese i diritti della coscienza e della libertà e della vita spirituale contro genti barbariche e contro le prepotenze materia-listiche d'imperatori e di re; ovvero, perduto quest'ufficio e perduta l'egemonia che in esso esercitava, e soverchiata dalla civiltà che essa stessa aveva concorso a generare, si restringe a tutrice di forme invecchiate e morte, d'incultura, d'ignoranza, di superstizione, di oppressione spirituale, e si fa a sua volta, dal più al meno, materialistica. La storia, che è storia della libertà, si comprova più forte di quella sua dottrina o di quel programma, e lo sconfigge e lo sforza a contradirsi nel campo dei fatti. Il Rinascimento, che non fu un'impossibile ripristinazione dell'antichità precristiana, e la Riforma, che del pari non fu quella, non meno impossibile, del cristianesimo primitivo, ma l'uno e l'altra avviamento alla concezione moderna della realtà e della idealità, segnano la decadenza interiore del cattolicesimo in quanto potenza spirituale; e questa decadenza non diede luogo a rigenerazione e non fu arrestata, ma, anzi, resa irrimediabile dalla reazione della Controriforma, quando venne salvato il corpo e non l'anima della vecchia Chiesa, il suo dominio mondano e non quello sugl'intelletti, e si compiè opera politica ma non religiosa. La scienza, che col porglisi a fianco, sostenitrice e cooperatrice, dimostra la superiorità di un determinato ideale morale e politico, disertò la Chiesa cattolica; e tutti gl'ingegni originali e creatori, filosofi, naturalisti, storici, letterati, pubblicisti, passarono o furono costretti a passare o furono accolti ed ebbero seguaci nel campo avverso; che, nel suo proprio, essa non potè se non restaurare l'edificio della scolastica medievale e, per necessità o per politico accorgimento, introdurvi quelle secondarie variazioni o aggiungervi a mo' d'ornato quant'altro, senza troppo dare all'occhio, poteva prendere dalla scienza e dalla cultura eterodosse. La cessazione delle guerre di religione, il nuovo principio della tolleranza, il deismo inglese, il concetto della storia naturale delle religioni, il razionalismo e l'illuminismo, l'antigiurisdizionalismo e l'anticurialismo erano venuti sempre più distruggendo le condizioni a lei favorevoli; cosicché la Rivoluzione francese la trovò estenuata e, anche politicamente, quasi disarmata. Vero è che da quella rivoluzione stessa, dai danni e dai dolori che inflisse e dalle rivolte e resistenze che le si levarono e formarono contro, venne alla Chiesa cattolica un inaspettato afflusso di forze, sia politiche per il rinnovato appoggio degli stati e delle classi vinte o minacciate e lottanti a propria difesa, sia sentimentali per la nostalgia che s'insinuò nei cuori verso le placide e molli immagini del passato a rifugio dal turbinoso e duro e arido presente. Ma le prime forze erano pur sempre puramente politiche e adoperabili solo per le riuscite politiche; e le altre, malsicure e facili a tramutarsi nel diverso e nell'opposto, come sempre le ondeggianti fantasie e i mobili desideri, e da diffidarne, come la Chiesa assai presto e, si può dire, in generale, ne diffidò. Il pensiero e la scienza continuarono a sfuggirle; il suo grembo era in ciò colpito di sterilità come a divino castigo per aver essa peccato contro lo spirito che è spirito di sincerità; e tutt'al più, in mezzo a quelle burrasche e a quelle paure, vide ergersi a suo campione qualche scrittore dottrinario bensì e polemico, ma fanatico e astrattamente logico e consequenziario, e amante dell'estremo e del paradossale, dal quale altresì ebbe piuttosto cagione di diffidenza che effettivo aiuto, fiutandone lo spirito estraneo e la pericolosa indipendenza. Sopratutto, la storiografia di parte cattolica, messa al confronto con quella di parte liberale, svelava nel modo più evidente la povertà a cui il pensiero cattolico era ridotto, e perfino la sua trivialità o puerilità; perché, laddove quella ricostruiva, intendeva e ammirava la storia del cristianesimo e della Chiesa negli ultimi secoli dell'Impero e nel medioevo, e anche, per taluni rispetti, nell'età moderna delle missioni oltreoceaniche e dei martiri per la fede, essa, com'è risaputo, tutto il moto della storia moderna considerava nient'altro che orribile perversione, e autori e colpevoli di tanto male accusava i Luteri e i Caivini, i Voltaire e i Rousseau, e gli altri " corruttori ", e la " setta ", che a suo dire, tessendo secretamente una tela d'insidie, aveva riportato temporaneo e diabolico trionfo; e, insomma, invece di storia, se ne stava a contare fole di orchi da spaurire bimbi. Ma assai più grave di tutto ciò era la penetrazione dell'avversario nella cerchia stessa dei fedeli, nella parte di questi più eletta per elevatezza intellettuale e purezza di intenzioni, i quali sentirono l'attrattiva verso le libertà politiche, l'indipendenza dei popoli, la nazionalità e unità degli stati, la libertà della coscienza religiosa e della Chiesa stessa, la diffusione della cultura, gli avanzamenti tecnici e industriali, provarono moti di consenso e palpiti di simpatia per le creazioni dei filosofi, degli scrittori e dei poeti moderni, e presero a studiare e pensare diversamente la storia, e anche la storia della Chiesa, che amarono sopratutto nei tempi in cui fu diversa da quella che era stata dal cinquecento in poi e che era nel presente. Questo sforzo di avvicinamento e di conciliazione, vario nei vari paesi e variamente temperato, si chiamò " cattolicismo liberale ", nella quale denominazione è chiaro che il sostantivo o la sostanza era nell'aggettivo, e la vittoria era riportata non dal cattolicismo ma dal liberalismo, che quel cattolicismo si risolveva ad accogliere e che introduceva un lievito nel vecchio suo mondo. La Chiesa cattolica lo guardò con sospetto e lo condannò ad un dipresso come aveva usato col giansenismo, al quale, per più riguardi, succedeva e di cui continuava l'opera anche nel campo civile e politico; sebbene, prudente, e diplomatica com'essa suole essere, cercasse di astenersi, quanto più poteva, dal colpire personalmente taluni degli uomini che vi appartenevano, e che erano spesso scrittori di grande fama e popolarità, e cattolici sinceri e stimati, la cui condanna avrebbe recato troppo scandalo e disorientamento nelle anime. ' Per tutte queste ragioni, la concezione cattolica, e la dottrina che la sistemava e ragionava e propugnava, non era, nella sfera ideale, un'opposizione che desse pensiero al liberalismo; e di -ciò la più sicura riprova stava nella rinunzia, e anzi nella ripugnanza, da parte di esso, a proseguire la guerra che si era combattuta nei secoli precedenti con le armi e con gli scritti, parti-colarmente dal Voltaire e dagli enciclopedisti, e della quale si era raccolto il frutto, ma appunto perciò sarebbe stato sconveniente quanto superfluo insistervi, bastando pel rimanente dar tempo al tempo. E sconveniente non soltanto, ma sarebbe stato poco fine e poco umano, perché, cosa a cui il Voltaire e i suoi non avevano badato, la vecchia fede era pure un modo, mitologico quanto si voglia, di lenire e placare le sofferenze e i dolori e di risolvere il problema angoscioso della vita e della morte, e non si doveva strapparla con la violenza né offenderla con lo scherno. E poco politico altresì, perché su quelle credenze, e sul conforto che ne veniva e sugli insegnamenti che davano, si fondava, per molti uomini, la formula e l'autorità dei doveri sociali, e ne nascevano opere e istituti di provvidenza e di beneficenza, e motivi di ordine e di disciplina: tutte forze e capacità da assimilare e trasformare gradualmente, ma non da abbattere senza sapere in qual modo sostituirle o senza sostituirle di fatto. Come verso ogni passato e sorpassato, l'atteggiamento si faceva, verso il cattolicesimo e la Chiesa, imparziale, riguardoso, rispettoso, e anche reverente. D'altro lato, l'ideale liberale, consapevole, come si è detto, della propria genesi storica, non rifiutava il legame col cristianesimo, che sopravviveva pur nella Chiesa cattolica, per quanto utilitaria e materiale fosse diventata; e le anime evangeliche considerava sue sorelle, con le quali gli era dato reciprocamente comprendersi di là dai diversi involucri dottrinali, e lavorare nel medesimo sentimento. La poesia dipinse volentieri, da quel tempo, le figure del buon frate o del buon vescovo o del buon curato, semplici e retti e coraggiosi ed eroici, ai quali rese omaggio non meno fervido che alle sue eroine di bellezza e di virtù e agli altri suoi eroi: quantunque si compiacesse di con-trapporli sovente al restante clero e alla Chiesa romana, e sopratutto alle figure dei prelati e dei gesuiti. La necessità della severa vigilanza e della guerra si rivolgeva contro il cattolicesimo politico, che serbava non piccolo peso per gli appoggi che dava ai regimi conservatori e reazionari, e per le plebi, specialmente rurali, che era in grado di sommuovere e che già aveva eccitate, inebriate e guidate nei frangenti della Rivoluzione e dell'Impero, come vandeani, masse di Santa Fede e di Viva Maria, armate cristiane e apostoliche, e che, in diverse condizioni, poteva demagogicamente rieccitare e scatenare, e per intanto valersene, come se ne valeva, per minaccia e impedimento allo svolgersi della libertà e al progredire della civiltà. A segnare il carattere di questa lotta e a differenziarla da quella contro il cristianesimo o contro il cattolicesimo in quanto cristiano, fu coniata, o, per lo meno, ebbe nuovo contenuto e largo uso, la parola " clericalismo ", e si disse che l'avversione era non al cattolicesimo, ma al " clericalismo ", al "nero clericalismo".
Non è il caso di soffermarsi sulle altre chiese e confessioni religiose che o erano chiese di stato e operavano di unita coi governi, o, diventate prima razionalistiche e illuministiche, e in ultimo idealistiche e storicizzanti, non avversavano e piuttosto favorivano il movimento liberale - tanto che la Chiesa romana metteva in un sol fascio protestantismo, massoneria e liberalismo, - e che perciò non rappresentavano, o solo talvolta in forma meno perfetta, l'opposizione radicale che era del cattolicesimo verso il liberalismo. E del pari meno radicale di questa, e anzi solamente di tecnica e di tattica politica, e pertanto priva di sfondo religioso, sembrava l'altra opposizione che il liberalismo si trovò di fronte e contro cui intraprese la sua prima e principale ed aspra battaglia: quella dei governi, cioè delle monarchie assolute, che sole importa qui tener presenti, perché rare e piccole erano le sopravvivenze dei regimi aristocratici e patrizi, i quali sostanzialmente, d'altronde, si ricon-ducevano ai primi. Ma non v'ha ideale che non si appoggi, in ultimo, a una concezione della realtà e perciò non sia religioso; e quello del monarcato assoluto sottintendeva l'idea dei re, pastori dei popoli, e dei popoli, greggi da menare al pascolo, all'accoppiamento e alla prolificazione, e da proteggere contro le intemperie e contro i lupi e le altre bestie feroci.  Mulets li chiamava infatti il Richelieu, ministro di Luigi XIII, e il filantropico marchese d'Argenson, ministro di Luigi XV, similmente li trattava e voleva formarne une ménagerie d'hommes beureux; e un pari concetto ne aveva il principe di Metternich, quando dichiarava che solo ai principi spettava di condurre la storia dei popoli, o quel ministro prussiano della restaurazione, che alle rimostranze della città di Elbing rispondeva essere i provvedimenti del governo " al disopra della intelligenza limitata dei sudditi". Quell'idea, per miscredenti che fossero molti dei suoi rappresentanti, si richiamava all'istituzione divina delle monarchie e al carattere sacerdotale dei primitivi re; e già quando, nel medio evo, Chiesa e Impero entrarono in conflitto, i teorici dell'Impero non abbandonarono il punto della sua istituzione divina, come si vede, tra gli altri, in Dante e nella sua dottrina dei due Soli; né, più tardi, il luterismo si mostrò meno ossequente verso i principi e verso lo stato, che esso fortemente contribuì a consacrare, eseguendo una genuflessione della quale ancor dura l'effetto nel pensiero tedesco. Perciò anche, l'assolutismo, particolarmente nella forma che prese in Francia con Luigi XIV, si compieva giuridicamente con la teoria del diritto divino dei re; e i sovrani della Restaurazione, per disegno del più ideologo e del più mistico tra i vincitori di Napoleone, si strinsero in una Santa Alleanza per governare comme délegués par la Providence (è detto espressamente nell'atto costitutivo) i popoli che erano les branches d'une méme famille, applicando in tal governo les préceptes de la sainte religion, precetti di giustizia, di carità e di pace; e il principe di Mettermeli, nella sopra ricordata sua sentenza, soggiungeva che i re erano delle azioni loro " responsabili solo a Dio ". Ma la virtù delle monarchie assolute non consisteva in questa ideologia, che la scienza politica aveva da lungo tempo dissipata e i rivoluzionari inglesi e francesi tradotta in assai rude prosa col giudicare e mandare al patibolo Carlo Stuart e Luigi Capeto, senza che quel sangue fosse battesimo e cresima di nuovi re dal diritto divino. Uno dei grandi uomini, ma dei meno religiosi che siano mai apparsi nella storia (se tale deficienza è comportabile, come può dubitarsi, con la grandezza vera), aveva, senza questa ideologia, o ricorrendovi solo in qualche frase ad effetto, riplasmato testé una monarchia, la quale in più cose, e specialmente nel suo assolutismo, era modello a quelle restaurate. La stessa Santa Alleanza non ritenne l'alone religioso di cui aveva voluto circonfonderla il suo ideatore; e re e ministri ne mossero la macchina, non curando o ironicamente sorridendo della professione di fede che ne formava la teorica prefazione. La virtù vera era anche qui, come nella Chiesa cattolica, nei servigi che le monarchie assolute avevano resi e rendevano alla civiltà, perché esse avevano buttato giù il feudalismo, domato il potere ecclesiastico, raccolto i piccoli in grandi stati e anche in stati nazionali o di prevalenza nazionale, semplificata e migliorata l'amministrazione, provveduto all'aumento della ricchezza, difeso l'onore e acquistato gloria ai popoli, e, nel tempo che precedette la Rivoluzione, si erano largamente aperte alla scienza e alla cultura, facendosi monarchie illuminate, e, durante la Rivoluzione e l'Impero, spontaneamente o per imitazione, costrette o volenterose, avevano portato presso al termine l'opera di abolizione dei privilegi e delle costumanze feudali, e si erano riformate in monarchie, come si dissero, " amministrative ". L'esperienza della Rivoluzione francese e delle altre che le seguirono aveva disgustato delle repubbliche, e l'esempio dell'Impero rinvigorito il sistema monarchico. Erano, dunque, le monarchie ancora capaci di storia, e di soddisfare i bisogni dei popoli che chiedevano rappresentanze e compartecipazione al governo, d'imprendere o compiere indipendenze e unificazioni statali, di dare grandezza alle nazioni e impersonarne le aspirazioni; e l'ideale liberale si disponeva a informarle del suo spirito, facendo in ciò la maggior prova di quel suo concetto che lo portava a disposare l'avvenire col passato, il nuovo con l'antico, e a mantenere la continuità storica, impedendo la dispersione d'istituti e attitudini faticosamente acquistate. Ma, invece di una Santa Alleanza delle nazioni indipendenti e libere, era apparsa allora quella che si è già mentovata, composta di monarchie assolute, in parte di formazione patrimoniale e comprendenti nazioni diverse, e in parte nazionalmente incomplete; e le promesse e le speranze, fiammeggianti nei petti di molti dei combattenti contro l'egemonia e il dispotismo napoleonico, non furono tenute e non si attuarono, passato il pericolo; e quasi dappertutto si era iniziata dalle monarchie restaurate la difesa e l'offesa contro l'antico alleato e il nuovo nemico, il patriottismo nazionale e il liberalismo che lo animava e ne era animato. Stavano, dalla parte delle monarchie, forze retrive e reazionarie, gente di corte, ceti nobiliari e semifeudali, clericalume, plebe di città e di campagna, e, sopratutto, quella forza che è di ogni governo stabilito per il solo fatto di essere stabilito. Ma stavano anche forze di migliore qualità, tradizioni amministrative e diplomatiche, eserciti forti e ricchi di glorie, uomini esperti e devoti servitori dello stato, dinastie che avevano accompagnato il crescere dei loro popoli per secoli e sembravano inseparabili dalle loro fortune, e davano ancora prìncipi degni per virtù personali e per il prestigio che li circondava: forze conservatrici che avevano le radici nel passato, ma non per questo erano meno preziose, non per questo si poteva lasciarle dissolvere e perire. Il problema era di persuadere o costringere le monarchie assolute a farsi costituzionali, compiendo il passo al quale riluttavano, uscendo dalla situazione contraddittoria in cui si ostinavano, giacché né potevano tornare, dopo quello che era accaduto nel mezzo, alle monarchie illuminate del settecento, o più indietro, dove volentieri le avrebbero risospinte gli aristocratici, alle monarchie semifeudali e nobiliari, né adottare in pieno i procedimenti dell'assolutismo napoleonico senza il congiunto impeto militare e imperiale che li aveva fatti accettare o imposti, avvolgendoli e ricoprendoli di gloria; onde erano ridotte ad accozzare malamente l'antico e il moderno, e a stringerli tra loro per mezzo della polizia, della censura, delle severe repressioni. Con le costituzioni liberali, tutto quello che meritava di esser conservato sarebbe stato conservato e, insiememente, tutto rinnovato: la figura del re, cancellate le ultime tracce del sacerdote e del pastore di greggi, sarebbe diventata non propriamente, come s'era detto nel settecento, quella del " primo servitore dello stato ", ma l'altra del custode dei diritti della nazione e poetico simbolo della sua storia vivente. La " volontà della nazione ", che li rifaceva re, non discordava dalla "grazia di Dio", che li aveva prima eletti e sorretti; a quel modo che l'accettazione del passato non contrasta col presente e con l'andare innanzi verso l'avvenire.
Come, nonostante l'affinità di alcuni elementi del cattolicesimo e delle monarchie assolute col liberalismo, e nonostante la disposizione di questo a riceverli in sé e farli suoi, i due sistemi gli rimanevano contro nemici ed esso nemico a loro, così accadeva di un terzo sistema e di una terza fede, che pareva confondersi col liberalismo o per lo meno unirvisi in una diade indissolubile: l'ideale democratico. Le concordanze con questo erano non soltanto negative, nella comune opposizione al clericalismo e all'assolutismo (il che spiega il frequente confluire dei loro sforzi), ma anche positive nei comuni intenti della libertà individuale, dell'eguaglianza civile e politica, e della sovranità popolare. Ma qui per l'appunto, in mezzo a queste so-miglianze, si annidava la diversità, perché altrimenti concepivano individuo, eguaglianza, popolo i democratici, e altrimenti i liberali. Pei primi, gli individui erano centri di forze pari a cui bisognava assegnare un campo pari o un'eguaglianza, come dicevano, di fatto; per i secondi, gl'individui erano persone, la loro eguaglianza quella sola della loro umanità, e perciò ideale o di diritto, libertà di movimento e di gara, e il popolo non era già una somma di forze eguali, ma un organismo differenziato, vario nei suoi componenti e nelle loro associazioni, complesso nella sua unità, con governati e governanti, con classi dirigenti, aperte bensì e mobili ma sempre necessarie a quest'ufficio necessario. I primi, nel loro ideale politico, postulavano una religione della quantità, della meccanica, della ragion calcolante o della natura, com'era stata quella del settecento; gli altri, una religione della qualità, dell'attività, della spiritualità, quale si era levata ai primi dell'ottocento: sicché, anche in questo caso, il contrasto era di fedi religiose. Che l'una fede fosse l'antecedente e la genitrice dell'altra era da ammettere, nel senso generale in cui antecedenti del liberalismo erano stati anche la teocrazia cattolica e il monarcato assoluto, e in quello più particolare e prossimo, che il pensiero moderno dal naturalismo e razionalismo passò progressivamente e dialetticamente all'idealismo, e Galileo e Cartesio avevano dato la mano a Kant e a Hegel. Ma, una volta effettuato il passaggio, le due fedi, la vivente e la sopravvivente, stavano l'una a fronte dell'altra, guardandosi con occhi a volta a volta amici ed ostili. La filosofia idealistica respingeva il giusnaturalismo, il contrattualismo, l'atomismo sociale del Rousseau, la sua " volontà generale ", che mal rappresentava la volontà provvidenziale e la ragione storica, l'opposizione dell'individuo allo stato e dello stato all'individuo, che sono termini di un'unica e indissolubile relazione. Sul terreno più propriamente politico, il liberalismo aveva compiuto il suo distacco dal democratismo, che, nella sua forma estrema di giacobinismo, perseguendo a furia e ciecamente le sue astrazioni, non solo aveva distrutto vivi e fisiologici tessuti del corpo sociale, ma, scambiando il popolo con una parte e con una manifestazione, la meno civile, del popolo, con la inorganica folla schiamazzante e impulsiva, era trascorso nell'opposto del suo assunto, e, in luogo della eguaglianza e libertà, aveva stabilito l'eguale servitù e la dittatura. Il ribrezzo per la rivoluzione, che si sentì allora e che percorre tutto intero il secolo decimonono, il quale pur doveva fare tante rivoluzioni, era, in realtà, il ribrezzo per la rivoluzione democratica e giacobina, con le sue convulsioni spasmodiche e sanguinarie, con gli sterili suoi conati di attuare l'inattuabile, e col conseguente accasciamento sotto il dispotismo, che abbassa gl'intelletti e abbatte le volontà. Il terrore del Terrore passò tra i fondamentali sentimenti sociali; e indarno taluni presero le difese di quel metodo, ragionandolo come necessario, che solo aveva assicurato i benefici della Rivoluzione francese e solo poteva assicurare quelli delle nuove che si preparavano; perché altri e più critici ingegni furono presti a scoprire e a dimostrare il sofisma dell'argomentazione. Se la Rivoluzione francese, più tardi, gettò in ombra il suo peggio e die rilievo al mirabile delle passioni e delle azioni, mercé l'effetto della lontananza e più ancora delle storie tendenziose e abbellitrici, allora essa era troppo vicina e con troppi testimoni diretti dell'accaduto perché l'ideale democratico potesse attingervi forza e splendore: che anzi questo ideale ne era uscito assai malconcio e veniva generalmente, e dalle più diverse parti, rinnegato. Parecchi dei superstiti attori della Rivoluzione e autori del Terrore, i meno inetti, tra i vecchi giacobini, a opere fattive, o quelli che nella esperienza avevano raddrizzata ed educata la naturale capacità, erano passati ai servigi di Napoleone, e poi dei regimi assolutistici della restaurazione, e contavano tra i loro uomini più spregiudicati e i loro strumenti più inesorabili nella guerra contro la democrazia e contro la libertà: conforme a quel che il più sereno dei poeti osservava, che bisognerebbe mettere in croce, a trent'anni, ogni fanatico, perché colui che è stato un illuso, rinsavito, si converte in briccone. Altri, di animo candido, avevano serbato l'illusione e sopravvivevano come storditi, oscuramente ripercorrendo nel rimpianto gli errori e le perfidie e gli accidenti che avevano tolto al puro e bellissimo loro ideale di eguaglianza e di sovranità popolare di raggiungere il segno che stava per toccare, e all'attimo felice di fermarsi per sempre, beatificando il genere umano. E, quantunque la parola " repubblica ", come si è già mostrato, in quel tempo suonasse male, ora stridente ora sorda, taluni, anche della giovane generazione, avevano sempre cara la repubblica per i venerandi ricordi classici o per vaghezza razionalistica e semplicistica. Ma né repubblicani né democratici contavano allora tra le maggiori forze in gioco; e il liberalismo, che li aveva sorpassati in filosofia e in politica, e aveva anche fatto tra essi molte conversioni, poteva, da una parte, valersi dei perduranti democratici e repubblicani in certe alleanze che gli si facevano incontro spontanee, e, dall'altra, star vigile a impedire che, nei momenti risolutivi e nei giorni dei rivolgimenti, non compromettessero il frutto dei suoi sforzi con gli eccessi, con le insanie e col disordine, e non preparassero, inconsapevoli e involontari, i ritorni offensivi e vittoriosi del clericalismo e dell'assolutismo.
Ancor meno contava tra le forze in giuoco, in quel principio di secolo, un'altra opposizione, che proprio allora ebbe il suo nascimento e doveva presto farsi sentire e diventar sempre più fiera e minacciosa, e perciò conviene sin da ora ricercarne la fisionomia, penetrarne il carattere e intenderne la genesi: il comunismo, che così chiamiamo col suo nome proprio e classico, e non già con quello di " socialismo ", col quale fu temperato e man mano divenne altra cosa, risolvendosi nel liberalismo, nel democratismo e perfino nel cattolicesimo. Abbiamo " detto che nacque a quel tempo, perché allora quella vecchia idea, che ha accompagnato sempre il genere umano ed è rispuntata più volte nel corso dei secoli, prese forma moderna e si riattaccò non a quelle utopie e fantasie del passato ma alle ! condizioni create dal pensiero e dalla operosità nuova. Diversamente dai comunismi del passato, e anche da quelli settecenteschi, e perfino da quello del Babeuf e della sua cospirazione degli eguali, nel quale persistevano tratti ascetici - tendenze alla rinunzia, al costume semplice, elementare e rozzo, avversione alle città, ritorno ai campi, - esso, quale si presentò ai primi del secolo decimonono, al pari del liberalismo, faceva sua la concezione immanente e terrena della vita, voleva il godimento dei beni e l'accrescimento incessante della ricchezza, promoveva la scienza e le invenzioni tecniche, le macchine e tutti gli altri mezzi del progresso economico. Stava in ciò la sua affinità col liberalismo, che includeva gli stessi oggetti; né il liberalismo sostanzialmente gli si opponeva, come si crede e come credettero taluni teorici, in quanto il comunismo mirasse alla socializzazione di questi o quelli strumenti della produzione o di tutti (se parlare, proprio, di tutti ha un senso, il che non pare), e il liberalismo, invece, mantenesse tra i suoi principi costitutivi la irremovibile proprietà privata di questi o quelli strumenti, e la illimitata libera concorrenza. Come oramai dovrebbe essere pacifico, il liberalismo non coincide col cosiddetto liberismo economico, col quale ha avuto bensì concomitanze, e forse ne ha ancora, ma sempre in guisa provvisoria e contingente, senza attribuire alla massima del lasciar fare e lasciar passare altro valore che empirico, come valida in certe circostanze e non valida in circostanze diverse. Perciò né esso può rifiutare in principio la socializzazione di questi o quelli mezzi di produzione, né l'ha poi sempre rifiutata nel fatto, che anzi ha attuato non poche socializzazioni; e solamente esso le critica e le contrasta in casi dati e particolari, quando cioè è da ritenere che la socializzazione arresti o deprima la produzione della ricchezza e giunga al contrario effetto, non di un eguale miglioramento economico dei componenti di una società, ma di un impoverimento complessivo, che spesso non è neppure eguale. Del resto, il comunismo stesso, dopo avere, nella prima epoca, proposto, per la sua pratica ed integrale attuazione, governi di scienziati e di tecnici, o la fondazione di piccole società-tipi che avrebbero esercitato irresistibile attrattiva col porre innanzi agli occhi degli uomini esempi d'incantevole felicità, dopo essere più volte tornato ai mezzi del democratismo e del giacobinismo ideando o tentando instaurazioni violente e colpi di mano, riconobbe che la sua attuazione aveva per condizione che il corso storico delle cose portasse al bivio o di danneggiare e scemare la produzione della ricchezza, conservando l'ordinamento capitalistico cioè della proprietà privata, o di garantire e aumentare la produzione, abolendo la proprietà privata; della qual cosa credette di trovar conferma e prova nelle crisi economiche e nelle distruzioni di ricchezze a cui l'ordinamento capitalistico darebbe luogo necessariamente per ristabilire di volta in volta, mercé quelle scosse e quei fallimenti, il suo equilibrio. E, se così stessero o andassero le cose, il liberalismo non potrebbe se non approvare e invocare per suo conto quella abolizione; e il punto è solamente se così vadano in realtà o così vadano con la regolarità e rapidità che quei teorici immaginavano, ossia è questione di esperienza e non di ideali. Il contrasto ideale del comunismo col liberalismo, il contrasto religioso, consiste in altro, nell'opposizione tra spiritualismo e materialismo, nell'intrinseco carattere materialistico del comunismo, nel suo farsi Dio del diavolo o della materia. Materialistico esso nacque già nei primi suoi apostoli dell'ottocento, sebbene quel suo nome filosofico gli fosse riconosciuto e conferito solo più tardi, e non dagli avversali ma dal più forte dei suoi teorici. Il suo principio è la concezione della economia come fondamento e matrice di tutte le altre forme della vita, che sarebbero derivazioni o apparenze o fenomenologia di quella, unica realtà. Ora, se l'attività economica, nel vivo sistema dello spirito nel quale essa sorge dalle altre e mette capo alle altre, è attività anch'essa spirituale, avulsa che sia da quel sistema, isolata, posta a base come una pietra, si cangia in materia e sull'aridità della materia non possono sorgere e fiorire né morale, né religione, né poesia, né filosofia, e neppure l'economia stessa, che richiede calor vitale, alacre intelligenza ed appassionamento. In effetto, già i primi comunisti dell'ottocento, i cosidetti utopisti, dettero prova di estraneità alla vita spirituale, tutti intenti ai miracoli delle macchine, ai vantaggi dell'organizzazione industriale, alla psicologia dei contenti e soddisfatti nelle opere dell'economia e nella condizione sicura e facile che questa procaccerebbe; e, ignari o inintelligenti della storia, impresero a falsificarla, interpretando il liberalismo come maschera d'interessi capitalistici, togliendo alla civiltà moderna il carattere di civiltà umana e considerandola classistica e borghese, riducendo la lotta politica a lotta di classi economiche e le religioni trattando come invenzioni per tener schiavi e assonnati i proletari, e le filosofie come costruzioni di concetti innalzate allo stesso fine di presidio degli sfruttatori; e via per consimili stravaganze. Ma una società configurata secondo quel concetto materialistico; non poteva esser mai altro se non un meccanismo; e poiché un meccanismo, diversamente dalla vita organica e spirituale, non lavora da sé e ha bisogno di chi lo metta in moto e lo regoli, essa doveva necessariamente venire regolata da una perpetua dittatura, che costringesse i suoi componenti ad aggirarsi in certi cerchi segnati e a professare certe credenze e a tenersi lontani da certe altre e a flettere o a comprimere i loro intelletti, i loro desideri e le loro volontà. Che se una simile società non è un cenobio che così si mortifichi pel regno dei cieli, sarà un esercito per fini che sono nella mente di coloro che la tengono sotto dittatura, o una ciurma di schiavi ben nutriti e bene addestrati che leveranno stupefacenti piramidi; cioè le mancherà in ogni caso l'autonomia, per la quale una società è una società. E se anche il suo lavorare senza gli attriti, ma anche senza gli stimoli della concorrenza, accrescesse materialmente i prodotti della terra e dell'uomo, impoverirebbe pur sempre le anime che di quella ricchezza dovrebbero giovarsi, e, in ultimo, essiccherebbe la fonte vera della ricchezza, che è la libertà dello spirito umano, e gli uomini vi diventerebbero pari a quelli che Leonardo definiva " transiti di cibo " : ideale religioso anche questo, ma di vero e proprio e non metaforico abétissement. Certo, il diavolo non è mai così brutto come si dipinge e come abbiamo dovuto dipingerlo qui per andare a fondo della sua teoria e della sua logica, e dedurne le conseguenze ideali; e il comunismo, fin quando non giunge alla pienezza del suo rifabbricare che è un demolire la vita umana, e non si fa dittatura continuata e tirannia, quando, invece, con le sue censure e con le sue richieste, e altresì con le sue minacce, combatte gli egoismi degli interessi economici privati e conferisce al vantaggio comune, quando, coi suoi miti, pur anima di un qualsiasi ideale politico classi sociali estranee alla politica e le sveglia e le disciplina e ne inizia una sorta di educazione, dimostra anch'esso le sue virtù, e sarebbe stolto rigettarlo o volere che non fosse al mondo, come invece si rigetta e teoricamente si annulla il suo principio direttivo e la sua materialistica religione.
Tali sono le opposizioni, o già formate o iniziali, che il liberalismo si trovò contro al suo sorgere o ai primi suoi moti. E come alcune di queste declinarono e quasi disparvero, e altre presero maggior consistenza e vigore, così altre ancora ne vennero nuove, delle quali sarà da parlare più innanzi, non solo perché entrarono in campo più tardi, ma anche perché non hanno il carattere originale delle prime, e possono considerarsi derivate, eclettiche e variamente combinate.
Erano, le opposizioni anzidette, fondamentali, come di diversa religione, esprimibili nel motto mors tua, vita mea, e perciò da non confondere, in questo aspetto, con le varietà che il liberalismo racchiudeva nel suo seno, e coi contrasti e coi partiti che ne derivavano: cose conformi alla sua natura, e, anzi, questa natura stessa, la regola del suo gioco, consistente nella ricerca dell'adatto, del meglio, e svolgentesi in discussioni, associazioni e contrassociazioni, persuasioni e risoluzioni mercé il prevalere di una o altra maggioranza, che determinava ciò che era possibile chiedere e ottenere in condizioni date e pur modificabili. Quelle opposizioni, invece, impedivano o si volgevano ad abbattere il sistema stesso liberale, e non si poteva vincerle se non nel solo modo a cui, in ultima istanza, nella politica si fa ricorso, con la extrema ratio della forza, la quale è momento necessario di ogni atto e di ogni assetto politico: con la forza delle rivolte popolari e delle guerre, dell'armata vigilanza e della repressione. È strano che si usi da più d'uno descrivere il metodo liberale come quello del profeta disarmato, laddove, anche senza risalire al suo concetto e al concetto di ogni politica, il fatto mostra che per nessun'al-tra idea si sono affrontate e vinte più aspre battaglie, si è versato sangue con più larga vena, si è combattuto con maggiore ostinazione, si è stati più pronti e lieti al sacrificio. Ma quella taccia di mitezza e di mollezza accennava ad altro, che era invece la ragion d'essere del liberalismo e sua ragione d'orgoglio: cioè alla legge, che esso osservava, di tener ferma bensì, anche con la forza, quella che abbiamo chiamata la regola del suo gioco, ma avere per regola di gioco appunto la libertà, che vuole tolleranza, rispetto delle altrui opinioni, disposizione ad ascoltare e imparare dagli avversar! e, in ogni caso, a ben conoscerli, e perciò a far sì che non debbano nascondersi nascondendo il loro pensiero e le loro intenzioni. Onde, con l'instaurato ordine liberale, tutti gli ideali, il cattolico, l'assolutista, il democratico e il comunista, avrebbero avuto libera la parola e la propaganda, col solo limite di non rovesciare l'ordine liberale; tutte le particolari esigenze legittime, tutti i motivi di bene, che quegli ideali di volta in volta prendevano con sé e di cui si facevano propugnatori, avrebbero potuto fruttificare al pari di ogni altra varietà di richieste e di proposte. Che era, come si è detto, ragione di orgoglio, ma si fondava sopra una ragione di modestia e di umiltà; perché gli ideali possono ben sceverarsi teoricamente in buoni e cattivi, in superiori e inferiori; ma gli uomini - e la lotta effettiva è di uomini contro uomini - non si possono così discernere e contrapporre, e ciascuno di essi variamente racchiude in sé il vero e il fallace, l'alto e il basso, lo spirito e la materia, ciascuno per reazionario che si professi o che si vanti può, in concreto, difendere e diffondere libertà, e per liberale che si creda, può incorrere nel contrario; e tutti, insomma, cooperano, in guisa positiva e in guisa negativa, al bene, che li adopera e li sorpassa, in quanto individui, tutti. Come aveva detto Giovanni Milton negli incunaboli della moderna libertà, soffocare, dove che sia e presso chiunque, una verità o un germe o una possibilità di verità, è peggio assai che spegnere una vita fisica, perché la perdita di una verità è spesso pagata dal genere umano con tremende sciagure e ricomprata con indicibili dolori.
Se la superiorità di un sistema filosofico si misura dalla sua capacità a dominare gli altri sistemi col riceverne le verità nella sua cerchia più ampia, collocarle ai loro posti propri e farne sue proprie verità, e insieme col riconsiderare le loro parti arbitrarie e fantastiche per convertirle in logici problemi e soluzioni, la superiorità di un ideale morale e politico è in un simile accoglimento, inveramento e adoperamento e conversione delle virtù e delle esigenze che sono negli ideali opposti, la cui condanna è segnata, per contro, dalla loro incapacità a compiere un'opera pari, dallo sterile e totale rigettare i loro opposti. A quella misura l'ideale liberale non voleva sottrarsi, e le si sottometteva con piena consapevolezza, sicuro di sostenerne la prova.

 

 

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