Benedetto Croce - Luigi Einaudi

 

Liberismo e liberalismo

 

B. Croce - Vita morale e ordinamenti economici

 

Settimo paragrafo della sezione settima, « Storiografia e morale », del citato La storia come pensiero e come azione (pp. 238-42), da cui si riproduce.

 

 

L'accenno che si è fatto disopra all'indifferenza del principio della libertà verso la particolarità degli ordinamenti economici, merita di essere ancora sviluppato e schiarito per non dar luogo a perplessità e ad equivoci, che sono assai facili in questo argomento.
È bene preliminarmente sbarazzarsi di una sentenza che, quantunque comunemente ripetuta, e per ottima che ne sia l'intenzione, è tuttavia dottrinalmente e logicamente scorretta: cioè che la libertà trovi di volta in volta i suoi limiti nella legge o coscienza morale. Ma la legge o coscienza morale comanda di esser liberi e si definisce mercé della libertà; cosicché non può porre limiti alla libertà, o, in altri termini, alla moralità. Di conseguenza, quello che la coscienza morale riprova e respinge come male non è mai libertà, ma sempre illibertà, servitù agli appetiti e alle passioni che a lei contrastano e che solo un troppo ardito metaforeggiare potrebbe coprire del nome di libertà.
Neppure il rapporto tra il principio di libertà e l'economia è un rapporto di limiti, perché, invece, è rapporto di forma a materia, trovando la libertà nei contrasti che le porge la vita economica la materia da elaborare e da convertire nell'armonia della forma: non dissimilmente da quel che fa la poesia e l'arte rispetto alle umane passioni, che sono la sua materia e verso la cui particolarità, come dicono gli estetici, essa è indifferente, non parteggiando per l'una e per l'altra, non rifiutando a priori nessuna di esse, di tutte facendo cose belle. Al pari dell'arte, l'attività etico-politica, la libertà, accetta i contrasti economici che la realtà di volta in volta le porge senza pretendere né di fare a meno di essi tutti, che sarebbe uscir fuori dalla vita umana, né di averli diversi da quel che sono, che sarebbe un uscir fuori da se stessa; ma li accetta per affermare concreta mente se stessa nelle condizioni date, che dall'opera sua non sono abolite ma ben trasfigurate. Ciò posto, a quali istituti e ordinamenti giuridici ed economici di quelli che sembrano es-serle più cari e sono i più stabili per lunga consuetudine, la libertà non è disposta e pronta, quando le condizioni di fatto così richiedono, a rinunziare, punto non sentendosi sminuita da questa rinunzia, e anzi in essa esaltandosi? Quando la guerra minaccia la patria, si rinunzia o si restringe l'azione legislativa parlamentare, si accordano pieni poteri ai governanti, si sopportano senza esitazioni gravi imposte, divieti del libero commercio, calmieri e tesseramenti, non si protesta contro la cen-sura della stampa e persino delle private corrispondenze, non si rivendica la libertà di parola che fino allora si era goduta; e nel fatto, in quelle condizioni e con quel contegno, i cittadini non si sentono né servi né oppressi, ma liberi quanto e più di prima. Per contrario, in altre condizioni il più lieve di consimili atti e provvedimenti è sentito insopportabile e da respingere, offesa gravissima alla vita sociale. Sarebbe opera vana cercar di fissare, nel moto incessante e vario e diverso della storia, gli ordinamenti economico-politici che la libertà ammette e quelli che essa rifiuta; perché,,, di volta, in volta, li ammette tutti e tutti li rifiuta.  Contro questa proposizione, tanto evidente quanto ben fondata, sorge una obiezione che non ha aspetto di minore evidenza sebbene non si dimostri poi altrettanto ben fondata: un'obiezione che riceve forte stimolo dagli eventi e dibattiti della società attuale, e, in riferimento ad essi, si svolge con la sicurezza irresistibile di una riduzione all'assurdo. Perché (si argomenta), se la libertà ammettesse qualsiasi sorta di ordinamento economico, dovrebbe ammettere anche il comunismo, che è la più flagrante oppressione e il più sprezzante calpestamento della libertà. Senonché il punto è questo: che noi abbiamo parlato di semplici ordinamenti economici, e il comunismo, che qui si adduce per contrario argomento, non è già un semplice ordinamento economico, ma, cosa ben diversa e più grave, un complesso ordinamento etico-politico, che si appella a un principio opposto a quello della libertà, l'eguaglianza. E non già all'eguaglianza umana, che accomuna gli uomini tutti, per varie e diverse che ne siano le attitudini e le professioni e le condizioni, e che impone il rispetto dell'uomo per l'uomo, la pietà e la giustizia, ma proprio a quell'eguaglianza che si trova solo nel regno astratto e irreale delle matematiche, e che esso, scambiandolo per una realtà o possibilità di fatto, si sforza di attuare. (Tralascio per brevità di tracciare le origini religiose trascendenti di siffatta concezione, che si riconoscono chiarissime nel passaggio dal teismo della scuola hegeliana di destra all'ateismo della sinistra a cui il Marx appartenne, e all'idea della Materia come primo motore ossia Dio, e all'altra, non meno materialisticamente intesa, dell'umanità). Si sforza di attuare quell'ideale, ma non può, appunto perché è astratto; onde il comunismo è costretto, anche oltre le intenzioni dei suoi autori, a entrare nella via trita in cui sono entrati sempre tutti gli assolutismi, tutti i dispotismi, tutte le tirannie, e che è di porre uno o più dominatori da un lato e una moltitudine di dominati dall'altro, e d'imporre ai dominati una uniforme regola di vita che tratta questi non come uomini ma come materia soggetta e della società stessa fa non un organismo vivente ma un meccanismo. La logica delle cose non consente al comunismo di esprimere dal suo seno liberi istituti rappresentativi e libertà di coscienza e di parola; onde mere astuzie politiche sono le asserzioni e le promesse che di ciò gli si ode fare, e sconce combinazioni di idee o sleali mezzi di disputa gl'ircocervi che si sogliono presentare come liberalismo, il che non potrebbero diventare se non con l'effettivo dissolversi del comunismo, lasciando alla libera discussione e risoluzione di accettare o no, secondo che i vari momenti storici consentano o no, quelle delle sue esigenze che sono puramente economiche.
Perché il problema perpetuamente risoluto e perpetuamente rinascente della libertà è appunto di trattare in tal modo le umane faccende che tutt'insieme ne sia garantita la maggior libertà, ossia la libertà conforme alle condizioni date, e il migliore ordinamento economico e sociale nelle condizioni date: due esigenze che solo in apparenza sono due ma in realtà ne formano una sola, non potendosi concepire una libertà senza ordinamento sociale ed economico (neppure gli anarchici veramente la concepiscono), né una società o stato senza libertà, perché non sarebbe più cosa umana. Ma non c'è altro criterio di giudizio, altra misura di utilità dei provvedimenti economici, e delle eguaglianze e diseguaglianze che lasciano sussistere o che tolgono via, fuor di questo del promovimento della libertà; ed è tale criterio che deve rendere, secondo i casi, audacemente arditi o sommamente cauti, rivoluzionari o conservatori. La proprietà privata delle industrie, delle terre, delle case, o il loro accomunamento nello stato, non sono giudicabili e da approvare o riprovare moralmente ed economicamente per sé, ma unicamente in relazione a quel problema perpetuo dai sempre nuovi atteggiamenti, e, com'è chiaro e come del resto la storia comprova, vanno e andranno soggetti alle più varie vicende; cosicché arbitrariamente si comportano coloro che pretendono di dimostrare la bontà intrinseca e perpetua dell'uno o dell'altro ordinamento, ed utopisti sono, non meno degli assoluti comunisti, gli assoluti liberisti.
E poiché non abbiamo escluso che la libertà compia rivoluzioni, bisogna aggiungere che la divisione e l'antitesi che si suoi porre di rivoluzione ed evoluzione non bene le si conforma, perché le sue rivoluzioni sono ritmi accelerati delle stesse evoluzioni, donde il loro carattere non di semplice ripulsa ma di compimento del passato e il loro serbare la tradizione della civiltà e nei figliuoli il ricordo dei padri e degli avi. Rivoluzioni senza evoluzioni sono invece quelle che la libertà non ispira e di cui si è già segnato il carattere, e che, di conseguenza, disconoscono le età della storia e della civiltà, se ne straniano, le vituperano e le irridono, e spengono nei figli i ricordi dei padri e degli avi, che danno sostegno e conforto e versano dolcezza all'uomo nel suo lavorare e nel suo soffrire.

 

 

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