Benedetto Croce - Luigi Einaudi

 

Liberismo e liberalismo

 

B. Croce - Perpetuità ideale e formazioni storiche

 

Ottavo paragrafo della sezione settima, « Storiografia e morale », del citato La storia come pensiero e come azione (pp. 242-7), da cui si riproduce.

 

 

Quel che si è detto di sopra del partito 'liberale, che sia una formazione storica venuta a maturità nel secolo decimonono, e la cui preparazione va dal Rinascimento e dalla Riforma all'illuminismo, fornisce tutt'insieme la giustificazione e la critica del problema che fu agitato e della dottrina che fu formulata, ai primi di quel secolo, sulla differenza della libertà moderna rispetto alla libertà degli antichi. Autori principali di questa dottrina furono il Sismondi nel penultimo capitolo della Histoire des républiques italiennes, pubblicato nel 1818, e Benjamin Constant, in un suo discorso letto all'Ateneo reale di Parigi nel 1819.
La giustificazione sta nel fatto che l'idea di libertà, alla quale si era allora pervenuti, condensava in sé il lungo processo degli ultimi quattro secoli, si coronava di una concezione storica che fin'allora era mancata, e si opponeva alla forma astratta che la libertà aveva ritenuta nel secolo precedente tra immagini greco-romane e semplicismo razionalistico e che aveva data estrema prova di sé nel giacobinismo e nel regno del Terrore. Tutto ciò spiega come la libertà, di cui quegli scrittori parlavano, fosse sentita come cosa affatto nuova e propria dell'età che allora si era aperta. Ma il loro giudizio, nello svolgersi dottrinalmente, cadeva nell'errore di confondere e scambiare un problema di periodizzazione e di classificazione con un problema storico, una determinazione che vale a raccogliere e fissare una certa serie di eventi nell'economia dello spirito, ossia nella memoria, con una determinazione propriamente logica.
Nel classificare la storia, ossia nel costruire i periodi storici, è non solo ammissibile ma indispensabile distinguere una libertà antica e una libertà moderna, e altresì distinguere, suddividendo, altri periodi e altre libertà. Ma non bisogna poi far seguire al fingere per il fine anzidetto il credere (fingit creditque), cioè credere che le due libertà, così distinte per classificazione, siano realmente distinguibili; che, se nella libertà si potessero discernere due libertà, ciascuna con un particolare carattere, è evidente che o una delle due non sarebbe libertà o tutte due sarebbero espressioni imprecise di un'unica libertà superiore e sola effettuale. E perciò le differenze che i citati scrittori arrecavano, riconoscendo agli antichi la libertà che chiamavano politica e ai moderni l'altra che chiamavano civile, soggiungendo che l'una corrispondeva al concetto di virtù e l'altra al concetto di felicità, e simili, non sostengono l'esame della critica, giacché non c'è libertà politica che non sia insieme libertà civile, non c'è società che possa reggersi con la virtù senza benessere o col benessere senza virtù. Coloro che poi, nel mondo accademico, insistettero a freddo sul problema e la soluzione enunciata dai fervidi spiriti del Sismondi e del Constant, si persero in sterili confronti formalistici.
Guardarsi dal calcare sulle divisioni in periodi per spremerne distinzioni e contrapposizioni logiche, importa guardarsi altresì dal credere che nel periodo o età segnata per eminenza da quella parola sia la nascita, vita e morte di quel concetto; e, per restare nel caso nostro, che la libertà abbia avuto il suo cominciamento assoluto nel secolo decimonono, o, se così piace, nel secolo decimottavo o nel decimosettimo o in qualunque altro precedente. La libertà non è un fatto contingente ma un'idea, e, scrutandola veramente a fondo, non è altro che la stessa coscienza morale, la quale, al pari di essa, non in altro consiste che nel pungolo ad accrescere di continuo la vita, e perciò nel riconoscere in sé e negli altri l'uomo, la forza umana da rispettare e da promuovere nella sua varia capacità creatrice. Cercare un cominciamento assoluto alla libertà, tanto, dunque, varrebbe quanto cercare un simile cominciamento alla moralità, cioè cascare nell'errore fenomenistico o empiristico di storicizzare le categorie (il bene e il bello o il logo e le altre tutte o i loro sinonimi), che non sono fatti storici, perché sono le perpetue creatrici dei fatti della storia.
In verità, chi si mette a perseguire quel punto di cominciamento è ricondotto sempre indietro nella serie infinita, trovando via via precedenti di precedenti ai fatti che chiama di libertà: li trova non solo nei secoli immediatamente anteriori al decimo-nono, ma nel medioevo e nell'antichità, e ne troverebbe le tracce perfino nell'età primitiva e preistorica, presso i neolitici e, se così piace, presso i paleolitici, ove i documenti che si posseggono ciò consentissero, ossia ci facessero vedere in particolare quello che pur sappiamo in generale con certezza quando (come il Vico voleva) discendiamo mentalmente dalle nostre umane nature ingentilite nelle primitive, le quali, per fiere e immani che fossero, erano pure agitate da umane passioni e da umani bisogni e ideali. Come non trovarvela, come non trovarla, in quei casi, nei tempi e negli stati della più feroce oppressione, se sempre ci stanno dinanzi uomini, e perciò, per definizione, esseri liberi? La categoria dell'umanità e quella della libertà coincidono; e, per disumano che si dica un regime o un'età, disumano affatto non diventa mai, se (come altresì diceva il Vico) non voglia trarsi fuori dai confini dell'umanità e cadere nel nulla.
Per un altro verso, quando si muove da un'idea di perfetta e pura libertà, c'è caso che, nel percorrere dall'un capo all'altro la storia, libertà vera non s'incontri mai, neppure nei tempi e negli stati che più spiccatamente si dicono liberi; e questo per la medesima ragione che la libertà è una categoria, e perciò inesauribile, e quell'idea pura e perfetta è, invece, il fantasma proiettato nella nostra immaginazione dal nostro desiderio infinito, dal nostro ardore morale, dalla nostra ansia di purezza e di perfezione, e non si può incontrare nel mondo dei fatti. In questo, che è il mondo della storia, la libertà non è mai. astrattamente perfetta, ma di volta in volta quale concretamente è, e bisogna riconoscerla e accettarla nelle condizioni date. Stranamente si giudica che la libertà antica non era vera libertà, perché la forma sociale in cui essa fioriva si fondava sull'economia schiavistica; ma la libertà bisogna vederla nella cerchia in cui esiste e non in quella in cui non esiste o non esiste ancora, e il fatto che vi fossero schiavi non toglie la realtà delle grandi opere che i liberi di Atene compierono nella politica, nel pensiero, nella poesia, nelle altre arti, in tutta la cultura e civiltà. È stato notato altresì che il cristianesimo non liberò né si sforzò punto di liberare gli schiavi, e che la schiavitù finì quando finì per il cangiamento stesso dei fatti economici che la dimostrarono sempre più gravosa e sempre meno produttiva del lavoro libero; ma non in questa parte, nel caso di cui si parla, bisogna affisare l'occhio, sibbene nella libertà che il cristianesimo aveva conferita alle anime, anche a quelle degli schiavi, fatte pari alle anime degli altri cristiani, tutti fratelli in Cristo, e al carattere rivoluzionario nel presente e per l'avvenire di questo principio. Si revoca in dubbio che possa considerarsi libertà l'ordinamento politico e il costume sociale delle città italiane medievali, perché la loro libertà era fatta di privilegi, non dissimili nella forma giuridica da quelli che godevano i feudatari, ristretta alle città, e anzi ad alcune parti della popolazione cittadina, con esclusione delle campagne, non permettente né tollerante libertà di parola né libertà di religione, e via dicendo; ma con tutto ciò lo spirito si mosse allora libero nella cerchia in cui potè muoversi, e produsse miracoli quali non erano più apparsi al mondo dall'età di Pericle. Sempre che uno o più uomini riconoscono a pieno liberi altri uomini nasce un'istituzione liberale, ristretta che sia in confronto di altre; e la maledizione degli stati dispotici è di non poter consentire libertà né ai pochi né a uno, neppure a quell'uno che è il despota e che è quasi più asservito degli stessi suoi dominati. Le parti della vita sociale, non compenetrate ancora della libertà, rappresentano, in tutti i casi ricordati in via d'esempio, la materia dei problemi dell'avvenire; ma quelle che ne sono compenetrate e vivono di vita operosa compongono la storia effettuale, la storia creatrice di valori, la storia che è avanzamento e progresso, la quale sola si ricerca dalla mente storica che la scorge nelle sue ombre e la vede con le sue ombre, ma non perciò chiama tenebra la luce.
E nondimeno in tale sua indagine e in tale sua affermazione la mente storica non si lascia distrattamente ingannare o goffamente abbagliare dalle voci di libertà quando non siano di genuina ispirazione morale e non comprovino la loro natura con la fecondità nella vita civile. Onde la storiografia sa che cosa pensare delle " libertà " che richiedevano, contro i monarchi e i popoli, i baroni al loro tramonto, e che rappresentavano in teressi privati ed egoistici anche quando coloro si stringevano in leghe e si chiamavano ma non erano " fratelli ", come fratelli certamente non sono i componenti di una banda brigantesca che rivendichi la libertà del brigantaggio; o della "libertà ", che i perseguitati chiedono nelle persecuzioni col segreto proposito di farsi a loro volta persecutori quando riuscirà a loro di afferrare il potere, come ha usato sempre la Chiesa cattolica; o della affine "libertà", che è la falsa moneta che spacciano i demagoghi di ogni tempo, nascondendo sotto la magnificazione e l'invocazione di essa il loro cuore di tiranni o di tirannelli. Questi e consimili travestimenti spiegano come della stessa parola " libertà " si sia diffidato e si sia fatta la satira, e coloro che veramente l'amavano l'abbiano avuta sovente in fastidio o l'abbiano taciuta per quel pudore che ci vieta la volgarizzazione e profanazione delle cose che profondamente amiamo.


 

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