Tutti
vedono e tutti ammettono che il sentimento e l'idea della libertà sono
stati, con la grande guerra e dopo la grande guerra, fortemente scossi e
turbati nel mondo, e non solo gli ordinamenti liberali sono caduti in molti
paesi dove si stimavano ben saldi, ma per ogni dove, e generalmente, gli
animi si dimostrano disaffezionati, perplessi e tiepidi verso quell'ideale
che non più riempie i cuori né regge e dirige le volontà.
Ma tutti dovrebbero anche avvedersi che la decadenza che si suole affermare
dell'idea liberale, o la " crisi ", come altri dicono, in cui
sarebbe entrata, ha il sembiante di una strana decadenza e di una strana
crisi, nella quale non balena la luce di un ideale nuovo che superi e renda
antiquato l'altro; non si delinea un nuovo assetto che succeda a quello
abbattuto e sconvolto. Poiché l'ideale liberale è ideale morale di
umanità e civiltà, il nuovo e vittorioso dovrebbe presentarsi come di
nuova e più vigorosa e più profonda umanità e civiltà; e tale non può,
in verità, considerarsi l'unico partito che praticamente si propone e che
è della costrizione, la quale, in nome di qualsiasi idolo esercitata,
razza, stato o dittatura del proletariato, non ha carattere morale, né ha
virtù creatrici di vita civile e umana, ma soltanto capacità di dilatare
eventualmente la vita materiale di taluni e di comprimere quella di altri.
Può essa certamente gettare a terra con un urto corporale e ridurre al
silenzio chi chieda la soluzione di un problema matematico; ma nessuno
vorrà dire che col silenzio così ottenuto si sia data la soluzione a quel
problema matematico: ci sarà soltanto un uomo a terra e un problema sempre
in sospeso, che aspetta la parola di un matematico che lo risolva. Donde la
sterilità che per la vita del pensiero, della scienza, dell'arte, del
costume sociale, delle relazioni umane dimostrano i regimi fondati
sull'esercizio della costrizione o, come per eufemismo si dice,
dell'autorità, nei quali quel che di sano e di buono in quelle varie parti
ancora esiste e si produce, proviene dalla persistenza e dalla sopravvivenza
di spiriti liberali e di attitudini acquisite, che per altro man mano si
assottigliano per la mancanza di rifornimento e di alimento e per il
trapassare di coloro che le posseggono. D'altra parte, nessuna delle nuove
formole d'ideali ha la capacità di sostenersi in un dibattito metodicamente
condotto, e di giustificare se stessa con le ragioni della critica e reinterpretazione
delle storie, e insomma col pacato e avveduto e cauto ragionare; ed è
costretta perciò a ripetere le sue formole meccaniche, senza plasticità,
senza dimostrazione di sorta, e ad animarle accompagnandole con minacce. In
mezzo a tutto questo fragore di gridi e di armi, e nonostante il ludibrio e
lo scherno che gli si scagliano contro, rimane sostanzialmente intangibile e
intatto l'ideale della libertà, il quale potrebbe dissolversi e cedere il
luogo solo per virtù di un altro più degno, che non è dato nemmeno
concepire.
La conclusione a cui si è condotti dinanzi all'esperienza del presente non
è dunque che la crisi sia di un ideale particolare (come potè essere
quella della polis antica rispetto all'impero o dell'ordinamento feudale
rispetto alla monarchia costituzionale e simili), ma che sia, invece,
dell'idealità per se stessa, uno smarrimento e traviamento e corruttela di
quell'entusiasmo morale che, come nobilita la vita dell'individuo, così
rende alta quella dell'umanità e ne segna le grandi epoche. Perché e come
questo sia accaduto, mostra la storia, e più particolarmente la storia che
seguì al 1870, quando l'opera e la parola e lo spirito del Bismarck, e le
teorie e l'azione del socialismo marxistico, cospirarono a discreditare
l'ideale della libertà, e, pur serbando le istituzioni liberali e di esse
giovandosi, la vita dei popoli prese andamento economico e materiale: storia
che è stata già data altrove, lumeggiata sotto questo aspetto. Che se
dovessi chiudere in breve il senso di questa storia, non ancora compiuta e
che forse ora è pervenuta al suo punto più grave e pericoloso, direi che
è nell'angoscia e nel travaglio della ricerca e della formazione di una
nuova fede religiosa dell'umanità o dei popoli civili, esauste le antiche
religioni e non abbastanza estesa e radicata la religione della libertà, la
quale non solo non si è ancora tradotta in convincimento e giudizio
popolare (come pur deve, se anche rivestendosi di qualche mito), ma non ha
raggiunto tale elaborazione mentale da renderla, nelle classi colte,
tetragona alle insidie e agli assalti.
Non c'è per questo da disanimarsi né da abbandonarsi al pessimismo, per
definizione contraddittorio e inconcludente, né tristemente rassegnarsi
all'avvento ineluttabile di una sequela di secoli di barbarie, conforme alle
visioni e previsioni di qualche scrittore apocalittico dei giorni nostri, le
quali hanno bensì, come ogni costruzione dell'immaginazione, la vuota
possibilità, ma nessuna certezza. Non c'è da disanimarsi, in primo luogo
perché il dovere dell'uomo è di lavorare e combattere, e poi perché la
società umana ha attraversato altri tempi di stanco sentimento morale e di
soverchiante vita materiale, e sempre ne è risorta per uno spontaneo
riaccendersi dell'entusiasmo e dell'idealità, per una sempre rifiorente
primavera spirituale, per la parola e l'esempio di geni religiosi e
apostolici, ai quali, lento o rapido, si è congiunto poi il consenso delle
genti.
Per intanto, a noi studiosi e pensatori spetta di mantenere e accrescere il
preciso concetto della libertà e costruirne la teoria filosofica; ed è
questo il contributo che si ha il diritto di richiedere a noi nel complesso
lavoro della restaurazione e risorgimento dell'ideale e del costume
liberale. C'è chi dubita e sorride della necessità e dell'importanza di
questo concetto: l'albero della teoria (si ripete col poeta) è grigio e
quello della vita è verde, concetti e ragionamenti non producono la
passione e la forza della volontà, che solo operano praticamente. Ma questa
divisione e reciproca indifferenza e inefficacia di pensiero e di azione non
regge allo sguardo che penetra nel fondo. Nella viva e concreta realtà
spirituale si ha la perfetta unità dei due termini, e nell'atto del
pensiero tutt'insieme un atto di volontà, non nascendo da altro il pensiero
che da uno stimolo morale, dal dolore, dall'angoscia e dalla necessità di
togliere un impedimento al fluire della vita e non mettendo capo ad altro
che a un nuovo atteggiamento del volere, a un nuovo contegno e
comportamento, a un nuovo modo di agire nel campo pratico. Un pensatore, che
non soffra il suo problema e non viva il suo pensiero, non è un pensatore
ma un retore, ripetitore di formole che furono pensieri già pensati in
passato o da altri. Che se assai di rado o non mai è accaduto che il
pensatore sia stato insieme uomo di stato o capitano o capopartito o
capopopolo, ciò appartiene alla tecnica specificazione delle attività
umane, ciascuna delle quali, per altro, lavorando nella sua cerchia
particolare, mira sempre al tutto. Nella sua cerchia, il lavoro della
speculazione non resta chiuso, ma raccoglie l'energia necessaria per operare
nel largo mondo; il che non solo si adempie con la comunicazione del
processo logico di quel lavoro ad altri che lo accolgono e per vie
abbreviate lo ripensano e lo fanno proprio, ma sopratutto per la conversione
che accade in molti delle conclusioni ragionate in verità evidenti, in
detti comuni, in proverbi, alleggerite del loro processo dimostrativo,
mutate in articoli di fede, e fattesi guida sicura delle anime. Così si
formano le classi intellettuali e dirigenti, senza le quali nessuna società
umana ha mai potuto vivere, e il cui vigore è la misura del vigore di una
società. E per quel che riguarda l'altra classe, sia pure grande o
grandissima, che rimane estranea o quasi ai problemi della vita pubblica e
morale non volgendo a essi né la mente né l'animo, e solo da a sentire la
soddisfazione o l'insoddisfazione per i suoi particolari bisogni - le
cosidette "masse", a cui un demagogico romanticismo attribuisce
misteriose e magiche virtù e presta un correlativo culto, - certamente,
poiché in quella scarso è il potere dei motivi ideali, non è da aspettare
che le verità, ritrovate dai pensatori e rese possesso comune della
cultura, agevolmente la compenetrino, ma bisogna adoprarsi, con l'educarla,
a metterla in condizione, da una parte, di accrescere la classe dirigente di
sempre fresche forze, di sempre nuovi cooperatori e componenti e,
dall'altra, di venirsi via via con essa affiatando; e, fin quando e dove
ciò non accada, e nella misura in cui non accade, trattarla col politico
avvedimento che i casi consigliano, perché non mandi in rovina l'opera
sociale, ossia la civiltà. Siffatta rovina e sconvolgimento sono accaduti
più volte nel corso della storia, ma sempre, con maggiore o minore
difficoltà, in più lungo o più breve tempo, gli argini abbattuti sono
stati rialzati e il fiume ha ripreso il suo corso regolare.
Nella teoria filosofica della libertà sono da distinguere, affinchè la
trattazione ne riesca compiuta e limpida, tre aspetti o tre gradi: il primo
dei quali è della libertà in quanto forza creatrice della storia, suo vero
e proprio soggetto, tanto che si può dire (in senso alquanto diverso da
quello hegeliano) che la storia è storia della libertà. Invero, tutto ciò
che l'uomo fa, è fatto liberamente, siano azioni o istituzioni politiche o
concezioni religiose o teorie scientifiche o creazioni della poesia e
dell'arte o invenzioni tecniche e modi di accrescimento della ricchezza e
della potenza. L'illibertà, come già si è accennato, è sterile, e le sue
illusorie opere hanno la qualità di quelle che nella poesia e nelle arti
belle si dicono imitazioni e artificiose manipolazioni, le quali ricalcano,
sia pure bizzarramente e sconciamente combinandole, le poesie e le pitture
già esistenti, incapaci di produrre il veramente nuovo e originale, e
perciò, prive come sono di realtà estetica, vengono dal critico e storico
dell'arte escluse dal suo campo. Slmilmente non hanno realtà nella storia
civile tutti quegli atti che si compiono sforzatamente e che se anche
tendono a soddisfare bisogni di protezione, di sostentamento e di comodo dei
singoli, appartengono alla vita fisiologica, e non alla vita morale e civile
di cui mentiscono l'apparenza. I tempi che si considerano di oppressa
libertà, conferiscono anche essi all'opera storica generale, sol perché e
in quanto l'oppressione non può essere, e non è mai, assoluta oppressione
e completo soffocamento e schiacciamento, che anzi la sua stessa violenza
suscita varia reazione in senso opposto. Onde si vedono, da una parte, opere
di libertà che gli oppressori stessi sono portati a favorire e a
promuovere, senza che le desiderino tali e anzi contro il loro desiderio,
per la necessità in cui si trovano di ottenere certi servigi e certi
appoggi dei quali hanno bisogno per il loro qualsiasi ordinamento sociale e
politico, non potendo far a meno di medici, d'ingegneri, di giuristi, di
amministratori, di scienziati, di scrittori e poiché hanno sperimentato che
per pressione meccanica non si formano, costretti a lasciarli più o meno
liberi nella loro formazione e azione. E, dall'altra parte, si vedono gli
sforzi e le opere degli oppositori ed oppressi, che, aperti, nascosti o
taciti, non mancano mai e ravvivano alquanto l'aridità e mitigano la
durezza del presente e pongono germi per un più o meno vicino avvenire. Se
le cose umane non andassero così, quelle età sarebbero affatto infeconde,
sarebbero di morte e non di vita o, in ogni caso, di nessuna vita umana,
intervalli vacui nel corso storico; il che ripugna al pensiero ed è
smentito dal poco o molto che le età per varie ragioni considerate di
oppressione hanno pure prodotto, e più ancora dal lieto rigoglio che, come
dopo ogni oppressione, si vede espandersi nelle età seguenti e che,
preparato dalle condizioni precedenti, doveva già esistere in esse in certa
guisa. Lo storico guarda e giudica in modo diverso dagli uomini appassionati
e lottanti, così da quelli che si danno a credere di avere abbattuto la
libertà come dai loro avversari che la piangono morta e vogliono
risuscitarla a nuova vita; e sa come la lotta non si combatte mai per la
morte o per la vita della libertà (la quale è poi l'umanità che lotta con
se stessa), ma per un meno e per un più, per un ritmo più lento e più
rapido, e che le opposte credenze sono fantasmi e illusioni, simboli della
parte che gli uni e gli altri esercitano e rappresentano.
Il secondo aspetto o il secondo grado è della libertà non come forza
motrice e creatrice della storia, ma come ideale pratico che intende a
creare nella società umana la maggiore libertà, e perciò ad abbattere
tirannie e oppressioni e a porre costumi, istituti e leggi che valgano a
garantirla. Se si va al fondo di questo ideale, si ritrova che esso non è
in niente diverso né distinguibile dalla coscienza e azione morale, e che
alla coscienza e volontà di libertà mettono capo, e in essa si risolvono,
tutte le virtù morali e tutte le definizioni che sono state date
dell'etica, le quali variamente ne ripongono il fine nel rispetto della
persona altrui, nel bene dell'universale, nell'accrescimento della vita
spirituale, nel procurare che il mondo si faccia sempre migliore, e via
discorrendo, cioè, in ultima analisi, nel volere che contro avversioni e
impedimenti trionfi la libertà e spieghi la sua forza creatrice di vita. Se
veniamo in soccorso a un infermo, se calmiamo o leniamo i suoi dolori, è
per riacquistare alla società una fonte di operosità ossia di libertà; se
educhiamo un fanciullo, è per farne un essere che sappia con-dursi da sé,
autonomo e libero; se difendiamo il giusto contro l'ingiusto, il vero contro
il falso, si è perché l'ingiusto e il falso sono servitù alle passioni e
all'inerzia mentale, e il vero e il giusto sono atti di libertà. E di qui
si vede quanto sia fuori luogo lo spavento e la paura di cui taluni sono
presi quando si parla di libertà piena e illimitata da riconoscere e
favorire nell'uomo, i quali subito ricorrono col pensiero agli abusi che se
ne possono fare da malvagi, da delittuosi, da folli, da fanciulli; quasi che
contro costoro o per provvedere a costoro non stiano giudizi e condanne
morali da parte della società, sanzioni penali da parte dello stato,
manicomi e altri luoghi di cura e di correzione, scuole e istituti di
educazione, e via dicendo, e il discorso circa la necessità della libertà
non si riferisca, come si riferisce, unicamente al modo di spianare la
strada all'attività di chi non è malvagio né delittuoso né matto né
immaturo e inesperto, ossia di coloro che hanno un'attività da spiegare e
non già degli altri che soggiacciono alla varia passività dello
sfrenamento bestiale, della follia, della puerilità, dell'ignoranza o altra
che sia. Ben chiaro dovrebbe essere che solo in riferimento ai primi si
afferma che tutti gli ostacoli frapposti al libero fare sono dannosi alla
società umana. E poiché l'ideale liberale si è visto coincidere con la
coscienza umana, esso in una forma o in altra, in misura maggiore o minore,
si ritrova in tutte le età; e non si può trattarlo come un fatto storico,
nato in un certo tempo, vissuto per un certo tempo e, al pari di tutti i
fatti storici, destinato a trapassare e morire. Vero è, d'altra parte, che
si suoi dire essere l'ideale liberale formazione affatto moderna e i suoi
inizi rintracciarsi nel secolo decimo-settimo e la piena fioritura nella
prima metà del secolo decimo-nono. Senonché, a parlare propriamente, in
questo tempo non nacque già il sentimento e l'ideale di libertà, ma si
acquistò coscienza del suo carattere essenziale, del suo valore di supremo
principio, come non era agevole per l'innanzi a cagione del dominio che
negli animi esercitavano le concezioni del trascendente e le unite leggi e i
divieti posti dall'alto, i quali da ogni parte stringevano e legavano e
impacciavano l'uomo, e si facevano valere con le persecuzioni e i supplizi
dei diversamente pensanti (degli evangelici per opera dei cattolici e dei
cattolici per opera degli evangelici, e via discorrendo). Ma, al declino
delle guerre di religione, venne l'ora del sentimento di tolleranza e
cominciò a scorgersi quanto importasse non sopprimere le idee dei
dissidenti ma lasciarle dibattere con le idee opposte; e questa libertà a
poco a poco si tirò dietro le altre, e, infine, apparve scoperto nella sua
interezza il principio che tutte le reggeva. Era questo l'affermazione di un
più alto e complesso ideale, che irrompeva attraverso le credenze del
trascendente e le sorpassava e illuminava e riscaldava e formava l'anima
dell'uomo moderno, diversa dall'anima medievale, diversa dall'antica: un
puro movimento di liberazione e di elevazione morale, del quale non
s'intende nulla sempre che si creda di averlo spiegato, come usano i
materialisti storici e i molti loro imitatori, con la contemporanea
formazione del capitalismo, dell'indùstria, della libera concorrenza nei
commerci e di una classe sociale detta la borghesia, cioè come un fatto
economico; e neppure, a dir vero, soccorre all'uopo la derivazione puramente
psicologica, che ne è stata tentata, dall'idea calvinistica della vocazione
e missione, e simili. Questa coscienza e volontà della libertà in quanto
bene supremo e fondamentale, così potente nelle generazioni del 1830, del
1848 e del 1860, e che sembrava un acquisto in perpetuo dello spirito umano
e della civiltà, è quella che, come si è detto, si mostra fiaccata e
mortificata, dove più dove meno, dappertutto nel mondo odierno.
Il terzo aspetto o grado qui considerato della libertà è l'elaborazione
della sua forza e del suo ideale a concetto filosofico in una generale
concezione della realtà che lo definisca e giustifichi; il che importa
l'intima unione della sua teoria con la storia della filosofia, alle cui
vicende è andata e va soggetta. Nel lungo dominio della filosofia
metafisica e trascendente, il concetto della libertà come legge della vita
e della storia non trovò il posto che gli spettava e durò difficoltà ad
aprirsi il varco; e anche quando la coscienza della libertà si fece
vivissima, fu tale piuttosto nel sentimento e nell'azione che non nel
pensiero.
Che cosa era necessario perché quell'ideale trovasse rispondenza e sostegno
in una filosofia? Che la negazione del trascendente, che esso faceva
praticamente, fosse fatta logicamente e la filosofia concepita come un
assoluto immanentismo: un immanentismo dello spirito, e perciò non
naturalismo e materialismo, e neppure dualismo di spirito e natura, ma
spiritualismo assoluto; e, poiché lo spirito è dialettica di distinzioni e
opposizioni e perpetuo crescere su se stesso e perpetuo progresso, uno
spiritualismo che sia storicismo assoluto. Ala consimile concezione
filosofica stava ben lontana dalle menti nel paese nel quale l'ideale di
libertà ebbe la prima e più nobile affermazione e dove fu tradotto in
istituti e costumi e donde ne venne l'esempio più efficace agli altri
popoli, l'Inghilterra; perché la filosofia vi era allora, e vi rimase
ancora per circa due secoli, empirismo sensistico e utilitario, con
congiunto agnosticismo e possibilismo religioso; cosicché il figlio
primogenito del liberalismo fu per lungo tempo il meno adatto a dimostrare
filosoficamente il suo proprio ideale e il suo proprio fare. Intenderà la
giustezza di questa osservazione chi riapra, per esempio, il famoso trattato
dello Stuart Mili sulla libertà, nel quale gli sarà dato osservare la
sincera fede liberale dell'autore meschinamente e bassamente ragionata
mercé dei concetti di benessere e di felicità e di prudenza e di
opportunità, e dell'imperfezione umana che consiglia, finché questa duri,
a lasciar libero campo alle tendenze più diverse, alle opinioni
contrastanti, ai caratteri individuali, sempre che la cosa non sia di danno
a terzi, e così via. A questi poveri e fallaci teorizzamenti si deve
l'origine dell'erronea credenza che liberalismo sia individualismo
utilitario (o, come lo si definisce, riecheggiando Hegel, "atomismo"),
e che abbassi lo Stato a strumento dell'edonismo dei singoli; laddove è da
dire, se mai, individualismo morale, che tratta lo Stato come mezzo o
strumento di più alta vita, e, in quanto così lo pone, vuole che il
cittadino gli sia devoto e lo serva e per esso all'occor-renza sacrifichi la
propria vita. Il concetto stesso di individuo non è, in quel modo di
teorizzare, elaborato criticamente, continuandosi a sostanzializzarlo quale
monade o a naturalizzarlo quale persona fisica da rispettare e da garantire
in quanto tale, invece di risolverlo nell'individualità del fare o
dell'atto, ossia nella concretezza dell'universalità. Inoltre, la poca
severità dell'idea morale, e la superficialità dei correnti concetti
storici, indussero a cullarsi nelle credenze di un roseo progressismo, quasi
che si fosse trovata una volta per sempre - con le elezioni, i parlamenti e
la libera stampa - la via regia, le chemin de velours, per andare
sempre innanzi accumulando comodi, ricchezze e potenza, accrescendo cultura
e affinamento e splendore di civiltà, senza più duri e crudeli conflitti e
devastazioni, senza guerre né rivoluzioni, senza rischio di ridiscese a
forme inferiori di politica e di convivenza sociale, con solo lievi
burrasche, tutte pacificamente da calmare e risolvere mercé di dibattiti e
accordi. Senonché l'idea morale richiede incessante sforzo e vigilanza, un
continuo riacquistare con proprio lavoro e dolore ciò che si è ereditato
dai padri; e il corso storico o " l'educazione del genere umano ",
come lo chiamava il Lessing, procede per vie scabrose e per dirupi, tra
sbalzi e cadute e ferite e morti; e come non mette capo a uno stato finale
d'immobile felicità, così neppure può scoprire e praticare a proprio uso
una via di progresso piana, sicura e priva di accidenti. Tutto il peggio del
peggior passato può sempre tornare, sebbene torni in condizioni sempre
nuove e perciò, vinto e superato che sia, porti a un nuovo e maggior
elevamento: l'epopea della storia è più vicina alla tragedia che non
all'idillio. Il non aver ben meditato questa verità, e Tessersi lasciati
andare a quel fatuo e pericoloso ottimismo, è la principale cagione del
presente pessimismo e della presente sfiducia, che innanzi alle difficoltà
sopraggiunte, - le quali bisognava aspettarsi perché intrinseche alla vita
così degli individui come della storia tutta e rispondenti al suo ritmo
eterno, - invece di disfarsi delle proprie illusioni e correggere la propria
leggerezza, non trova altro miglior partito che di disfarsi dell'ideale
stesso rinnegandolo e rimanere senza ideale, in una sorta di stupefazione,
che rende l'uomo preda delle forze che gli turbinano intorno. Per un altro
verso, in Germania, dove il pensiero filosofia) aveva di gran lunga
distanziato sensismo, edonismo, utilitarismo, empirismo e associazionismo,
gli elementi metafisici e teologici che persistevano in mezzo alle nuove e
originali idee dei suoi grandiosi sistemi filosofici, sottomettevano
l'ideale della libertà a schemi storici prefissi; e, nella sfera politica,
la scarsa e dubbia tradizione di libertà nella vita germanica, la poca
vivezza nel sentimento di essa e la disposizione alla sudditanza la
lasciavano schiacciare sotto l'idea dello Stato, una sorta di astrazione
personificata con attributi e atteggiamenti da nume giudaico. Più felice
congiunzione di storicismo e libertà risplendé nella Francia della
Restaurazione e della Monarchia di luglio; ma colà mancarono, in quel
tempo, menti filosofiche poderose, che stringessero i molteplici fili in un
saldo nodo speculativo. Né l'innalzamento dell'idea della libertà a
principio speculativo ebbe forma dottrinale in Italia, dove il più cospicuo
ed autorevole dei suoi partiti, nel periodo del Risorgimento, alleò il
cattolicismo col liberalismo, e gli altri partiti di libertà rimanevano
legati al razionalismo settecentesco ed astratto, mentre la sua nuova
filosofia o serbava presupposti e tendenze cattoliche o accettava i concetti
dell'idealismo tedesco e della sua statolatria. Peggio fu negli stessi paesi
di tradizione liberale, quando, venuti in auge nella seconda metà del
secolo decimonono l'evoluzionismo e il darwinismo, si prese a giustificare
l'ideale liberale coi concetti della bruta animalità e della lotta per
l'esistenza e della sopravvivenza del più adatto: sicché la dialettica, e
la tesi e l'antitesi e la sintesi, e le reci-proche vittorie e sconfitte, e
le progredienti soluzioni che il liberalismo considerava come intrinseche al
suo concetto spirituale della vita, cessero il campo al quadro feroce di
belve di diversa specie che si azzannano l'una l'altra, le une divorando e
distruggendo le altre.
L'inadeguatezza e l'improprietà di una teoria rispetto alla cosa teorizzata
non toglie che la cosa prosperi piena e vigorosa, se vigoroso è l'impulso
della sua propria forza vitale. Poesie e pitture e sculture bellissime si
vedono nascere da quegli stessi che espongono dottrine dell'arte arbitrarie
o convenzionali o viete; azioni moralmente ammirevoli sono compiute con
molta semplicità da uomini che professano un crudo materialismo o
utilitarismo. C'è incoerenza e contrasto, senza dubbio, in questo
accogliere nell'animo pensieri discordanti e atti discordanti; ma ciò
accade, ed è necessario che accada, se attraverso le incoerenze si forma la
coerenza, attraverso i contrasti l'armonia. E non è dunque maraviglia che
l'impetuoso e ferace svolgimento liberale inglese ed europeo del secolo
decimonono, che abbattè gli assolutismi e affrancò i popoli dai domini
stranieri e li unificò in grandi stati e creò un'agile vita di scambi non
solo economici ma intellettuali, morali ed estetici tra le nazioni, se ne
stesse o si acconciasse, per quel che riguarda la teoria della libertà,
alle condizioni che si sono descritte. Un Cavour era così profondamente,
così religiosamente animato e guidato dall'idea della libertà che quasi
pare che in lui la parola e l'opera siano una vivente teoria, e che altro
non occorra. Ma la cosa non va allo stesso modo quando la coscienza pratica
vacilla, si vela, si confonde, e l'azione o s'infiacchisce o si trae
indietro, rinunziando, o rinnega il suo ideale e si abbandona alla corrente
che prima avversava; e, intanto, falsi concetti, falsi giudizi, false storie
si levano come a recitare un poco onorevole necrologio sulla creduta morta e
a dettare per la sua tomba un'epigrafe di condanna. Allora sorge l'esigenza
di una teoria veramente adeguata che, aspettando la piena ripresa
dell'illanguidita attività pratica, per intanto le dia principio nel
proprio campo e, dissipato il nero groviglio delle nuvole addensate,
riconduca nel ciclo mentale la chiarezza. Allora, se la libertà manca o è
insufficiente negli altri, deve nel pensatore ricominciare a tessere la sua
tela.
Con questa rimeditazione del problema della libertà, e con questa
ricostruzione o costruzione delle fondamenta della sua teoria, sarà dato
anche correggere errati concetti che più direttamente interferiscono nella
vita dei nostri tempi. L'uno dei quali è il rapporto, non ancora abbastanza
schiarito, tra liberalismo (morale) e liberismo (economico), che non è già
di principio a conseguenza ma di forma a materia, perché a materia trapassa
la vita economica di fronte alla coscienza morale, e materia sono i vari
sistemi che essa propone, - liberismo, protezionismo, monopolismo, economia
regolata e razionalizzata, autarchia economica, - nessuno dei quali può
vantare verso gli altri carattere morale avendo tutti carattere economico e
non morale, e potendo ciascuno a sua volta, secondo le varie situazioni
storiche, essere adottato o essere rigettato dalla volontà morale. Mirabile
moltiplicatrice di ricchezza è certamente con la divisione del lavoro la
libertà delle industrie e dei commerci; e con tutto ciò questa pratica
viene abbandonata quando, come nei casi di guerra (e guerre non sono solo
quelle di stato con stato) c'è una migliore o diversa ricchezza da salvare:
il che basta a mostrare che non si tratta di regola assoluta. Si dica lo
stesso dell'ordinamento della proprietà capitalistico o comunistico o altro
che sia, anch'esso di necessità vario e non mai fis-sabile secondo un
disegno di generale e definitivo comodo e benessere, che non solo è
utopistico ma intrinsecamente non ha che vedere con la morale, la quale non
può mirare e non mira all'impossibile benessere individuale né generale,
ma all'excelsius. Né bisogna, passando all'altra qui indebita
categoria di causa ed effetto, porre, come da taluni teorici è stato fatto,
il precedente, la base o fondamento della libertà morale e civile fuori di
lei stessa, nella costituzione economica liberistica, laddove anche quando
quella costituzione ha luogo come più delle altre proficua, proprio la
libertà morale e civile, che l'approva e la presceglie, è il suo
fondamento e la sua giustificazione.
Un altro erroneo concetto proviene dal campo opposto, cioè non dei
liberisti ma dei comunisti, ed è la distinzione tra libertà giuridica o
" formale " e libertà di fatto o " reale ", la prima
delle quali soltanto sarebbe stata largita ai popoli per effetto della
rivoluzione dell'Ottantanove, e, con ciò, resa delusoria e vana perché
separata dalla seconda e, peggio ancora, adoprata insidiosamente per sviare
le richieste e le rivendicazioni della seconda. Or quella che si suoi
definire libertà giuridica e formale è, se ben si consideri, nient'altro
che la libertà pura e semplice, vera e propria, nella sua schiettezza di
principio morale, l'unica libertà; e l'altra non è già libertà ma
ordinamento economico, e più particolarmente il vagheggiato ordinamento
economico comunistico di eguaglianza. L'avere sussunto le due, con orrenda
confusione, sotto lo stesso concetto è prova dell'ottusità che il
materialismo storico ha da sua parte concorso a produrre per ciò che si
attiene alla vita spirituale e morale. E non si vuole contestare che
l'ideale comunistico, in quanto meramente economico, sia tra i possibili o i
plausibili, adatto a certe condizioni e in relazione ad esse più o meno
duraturo; ma, per la ragione detta di sopra, bisogna respingere l'asserzione
che fa a sua volta di quest'ordinamento, diverso dal liberistico e
denominato impropriamente di " eguaglianza " e di " giustizia
", il fondamento della libertà, se la libertà non sta in alcuna
dipendenza da uno o altro ordinamento economico, ma tutti li revoca in
questione e tutti di volta in volta accoglie o respinge secondo che giovino
o nocciano al suo fine dell'accrescimento della vita spirituale. Che se
s'insiste nel porre il rapporto dei due al contrario del vero, non resta se
non fondare l'ordinamento economico col prescindere dalla libertà e dal
consenso e ricorrere alla violenza; e di conseguenza, per il noto principio
che gli stati si reggono con le stesse forze che li crearono, continuare a
mantenerlo con la violenza e a opprimere la libertà, attuando quel che
chiamano giustizia col negare all'uomo la prima ed elementare giustizia che
è il rispetto alla sua personalità morale. Ciò che qui si dice non ha
bisogno di una conferma cercata nei fatti (la quale pur si ha indubbia ed
evidente in certe cosiddette dittature del proletariato dei giorni nostri
che non possono attingere la libertà, se anche la fingano in carte
costituzionali, né possono sbarazzarsi del loro carattere dittatorio, cioè
di sé medesime), perché, a confermare la verità del detto, basta la
razionalità della logica. Il vero rapporto è, dunque, come nel caso
precedente, l'inverso: prima e fondamentale la libertà, la quale,
senz'alcun preconcetto, discerne, ammette e sancisce l'uno o l'altro
ordinamento che si dimostri moralmente più salutare e, con ciò stesso,
economicamente più proficuo nelle particolari condizioni storicamente date.
La diade delle "dèe superstiti, Giustizia e Libertà", di cui
cantava il nostro Carducci, si può ben dire risolvere nell'unicità della
Dea, che in quanto è libertà, ossia coscienza morale, è regolatrice di
giustizia.
Né sarà da lasciare senza menzione un terzo concetto, che proviene non
più dai contrasti dei sistemi economici ma dal campo propriamente politico,
della pratica politica, la quale, formulandosi nel motto del "
non-intervento ", suoi ricingersi con ciò di un tal quale alone
liberale, rispettosa, come si dichiara, della libertà dei singoli popoli
che debbono dibattere e risolvere da sé, magari in guerra civile, i loro
interni dissidi. Sotto quel motto e questa ideologia c'è senza dubbio, una
cosa ben seria, che è il dovere prossimo dei governi di tutelare la vita e
la prosperità del singolo stato a ciascuno di loro affidato, e trattare le
cose degli altri stati unicamente secondo le speranze e le minacce, i
vantaggi o i danni che possono arrecargli. Il ricordo delle crociate, così
idealistiche nelle illusioni e così diverse nei fatti, e quello di certe
crociate cattoliche dissennatamente tentate dalla Spagna degli Asburgo, e
l'altro delle guerre di religione, che devastarono e bagnarono di sangue le
terre d'Europa e si conclusero non con la vittoria dell'una o dell'altra
chiesa ma con un ritorno al cuius regio, eius religio, seguito da
un'ondata generale di razionalismo e d'illuminismo e dallo interno
scadimento così del cattolicismo come dell'evangelismo, e altri casi
simili, portano con loro una certamente non irragionevole ritrosia per la
politica ideologica o per l'esercizio della cosiddetta morale
internazionale. Ma, se questo è vero, importa tuttavia fermare ben chiaro
che il non-intervento ha carattere di espediente e di necessità politica, e
non già di metodo liberale, perché gli stati in quanto tali non sono in
grado di promuovere la libertà di altri stati se non quando questa torni a
loro utile, e sia perciò, rispetto ad essi, non un fatto morale ma
accrescimento o mantenimento della propria potenza. È senza dubbio da
augurare che sempre più i reggitori dei vari stati sentano come loro
interesse politico la maggiore estensione della libertà nei popoli e ne
favoriscano la nascita, e avvertano il pericolo delle diverse formazioni
statali per la vita del mondo, dalla quale non è lecito astrarre. Proximus
ardet Ucalegon; e la fiamma si appicca ai vicini e si dilata. Pur
tuttavia essi non possono mai uscir fuori dei loro propri limiti, né
assumere direttamente la parte di creatori di libertà, che è soltanto
degli spiriti religiosi, simili a quelli che riempirono e mossero la storia
italiana del Risorgimento, e seppero piegare al loro fine anche la politica
dei gabinetti e convertire le proprie richieste in necessità e utilità
politiche.
Infine, poiché abbiamo discorso di teoria della libertà, è da soggiungere
che una teoria di questa sorta non si deve cercare nelle costruzioni e
sistemazioni giuridiche degli istituti e delle garanzie di libertà, la cui
utilità e importanza non si nega ma consiste nel contenuto storico delle
concrete e gravi esigenze politiche che ivi si dibattono, si esprimono e si
affermano, e non già nella definizione del concetto di libertà, che è
assunto filosofia) e non giuridico. L'assenso morale che si da a particolari
istituzioni non si riferisce alla loro astratta forma, che il giurista
propriamente considera, ma alla loro efficacia pratica in dati tempi e
luoghi e circostanze e situazioni, e perciò, per duraturo che sia, è
sempre condizionato e transeunte: tanto che congegni di libertà che paiono
perfetti giuridicamente possono essere effettivamente strumenti d'illibertà,
e all'inverso. Anche il Montesquieu, che assai si travagliò in questi
problemi, e formulò la famosa teoria dei tre poteri, esecutivo, legislativo
e giudicante, che si fanno ostacolo a vicenda e, costretti a muoversi col
movimento delle cose, sono costretti a procedere d'accordo, non era in grado
di sostenere che con questo meccanismo istituzionale si generasse e
mantenesse libertà e si impedisse servitù, perché, se manca l'animo
libero, nessuna istituzione serve, e se quell'animo c'è, le più varie
istituzioni possono secondo tempi e luoghi rendere buon servigio. Le
concrete istituzioni liberali le crea di volta in volta il genio politico
ispirato dalla libertà o (che è lo stesso) il genio liberale fornito di
prudenza politica. E tener vivo questo genio in un popolo è il supremo
dovere, sebbene non si possa aspettare che ciò accada consapevolmente nei
più, richiedendo esso profondità di sentimento e forza sintetica del
pensiero che è delle schiere elette, delle legioni devote all'ideale.
Tutto dunque, per questa parte, torna sempre alla disposizione degli animi,
al fervore e all'amore; e perciò non può non formare oggetto di
sollecitudini e di gravi pensieri lo scarso o nessun posto che l'idea della
libertà e l'affetto per le sue sorti tiene nella odierna letteratura
filosofica e in ogni altra letteratura che sia di romanzi, di drammi o di
storia: all'opposto di quel che accadeva nella prima metà dell'ottocento, e
dovrebbe riaccadere oggi in cui quanto allora si acquistò è gravemente
offeso ed è a rischio di andar perduto. Filosofia e letteratura, incommosse
dai travagli di quanti amano e temono per un bene così sacro, attendono ad
altro e remoto, o riempiendosi di cupe brame e di torbido sentire concorrono
all'effetto di abbrutire e istupidire il mondo. Ciò considerando, io, per
quel che so e posso, ho procurato da un ventennio in qua di ripigliare con
trattazioni filosofiche e storiche il tema della libertà; nel corso dei
quali lavori mi è avvenuto di accertare le condizioni assai imperfette
della relativa dottrina, che si è lasciata sorprendere, nel giorno della
prova, rivestita di troppo leggiera corazza e facile bersaglio ai colpi
degli avversari. Ma, segnando come ora ho fatto alcune linee della dottrina
che mi sembrano fondamentali, non posso chiudere queste pagine senza dire
che l'argomento ha così molteplici aspetti e s'intreccia a tanti e tanto
gravi problemi della vita e della storia da richiedere la forza e la
solerzia di molti studiosi, i quali è da augurare che non mancheranno a
questo alto dovere.
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