Benedetto Croce - Luigi Einaudi

 

Liberismo e liberalismo

 

B. Croce - Parità degli uomini nella libertà

 

Trascrizione di una conferenza tenuta all'Istituto italiano per gli studi storici di Napoli nel 1949. Delle molte conferenze che l'autore vi tenne nell'anno accademico 1948-1949, cinque soltanto (L'uomo vive nella verità, Come si conosce la storia, La poesia, opera di verità; la letteratura, opera di civiltà, Universalità e individualità nella storia, Parità degli uomini nella libertà) furono messe in carta e, dapprima apparse via via nella rivista " II Mondo ", vennero poi raccolte nel n. 15 dei Quaderni de "La Critica" (novembre 1949, pp. 35-78) con il titolo generale Conversazioni con gli alunni dell'Istituto storico di Napoli e la seguente nota introduttiva (p. 35): "Queste cinque conversazioni, le sole messe in iscritto tra le parecchie che mi è accaduto di fare con gli alunni dell'Istituto storico di Napoli nell'annata accademica 1948-49, furono pubblicate nella bella rivista di Roma-Milano, Il Mondo, tra il marzo e il luglio di quest'anno [1949], e qui si raccolgono, dedicate da me a coloro che primi le ascoltarono e ai quali il mio pensiero era più particolarmente rivolto ". Da tale sede (pp. 70-8) si riproduce il testo di questa, ultima conversazione della serie.

 

 

Che le cose del mondo siano tutte in qualche modo da correggere è ciò che ognuno di noi sa e fa, perché la vita è continua ripresa e correzione di se stessa; e che in questo dire e fare intervenga un certo senso di dispiacere e di scontento, che si esprime talvolta nell'impazienza o nel lamento, è ovvio e naturale. Ma quando lo scontento e dispiacere sorge dinanzi al non attualmente correggibile, pur essendo altresì ovvio e naturale che ciò accada per la mobilità della umana immaginazione, l'azione pratica stessa lo reprime e l'allontana; e perciò l'uomo dignitoso riduce al minimo i suoi lamenti e biasima chi ne abbonda. Ma che cosa dire di coloro che si lamentano e pretendono correggere non già le cose attualmente non correggibili, ma quelle eternamente incorreggibili, perché sono le assise stesse sulle quali si regge il mondo o, come si dice in filosofia, le sue eterne categorie? Il buon senso sorride talvolta di loro, chiamandoli aspiranti a far parte del Dio creatore e provvidente; ma essi, o che non s'accorgano del ridicolo che è nei loro propositi o che, sicuri di sé e fanatici, lo sfidino, non se ne danno per intesi. Superfluo aggiungere che il mondo segue le vie della sua realtà, mentre essi, quando qualcosa pur fanno, accrescono la letteratura delle utopie. 
Ma fra le utopie una ve n'ha che sovraneggia sulle altre perché veramente, laddove le altre si ribellano a una o altra delle singole categorie, essa intende a modificare lo stesso corso dialettico della storia: l'utopia che pone l'ideale nella eguaglianza. L'eguaglianza non è un concetto che abbia luogo nella storia e nel mondo o in alcuna parte e in alcuna epoca della storia del mondo, perché appartiene unicamente alle matematiche, che operano per astrazioni e di cui forse la più adeguata definizione è quella che ne ha dato il matematico e filosofo Russell, come della scienza nella quale " non si sa mai di che cosa si parla, né se ciò di cui si parla sia vero". L'Uno o l'Universale filo-sofico ha nell'Uno delle matematiche un omonimo, impotente nella realtà la quale è unità e diversità, quanto è potente nel servigio che rende del sommare e misurare e in simili operazioni. Se si desse il fiat riformatore al genio egualitario, si vedrebbe in un soffio sparire gli umani individui e con essi i tre regni della natura e le stelle e i pianeti e Dio stesso, che non avrebbe altro da fare al mondo; e se questa rovina non accade, è perché nessuno può conferire tanta potenza a una parola vuota. E vuota essa sarebbe presto sentita da chi la pronuncia se non la si riferisse ora a questa ora a quella delle particolari cose che esistono o che si vuoi mettere in atto, e che non hanno niente da vedere con l'eguaglianza; come sarebbero certi modi di distribuzione di certi beni economici, meglio adatti a certe condizioni sociali e a certi momenti storici, e cangianti più o meno sensibilmente le condizioni degli individui, ma non già la loro effettiva diversità, la quale attraverso le nuove condizioni riappare. Anche quando la parola " Eguaglianza " salì assai in alto, prendendo posto in un famoso trinomio, essa, nonostante il secolo grandemente matematico in cui fiorì, non aveva altro contenuto reale che l'abolizione di determinati privilegi o l'estensione di determinati diritti, che variarono bensì le diversità, ma estinguerle non potevano e non le estinsero. Tuttavia il sogno egualitario (che sarebbe antivitale se non fosse a ogni istante scosso via dal moto della vita) persiste nelle disquisizioni di non certo acuti e avveduti teorici.
Il dichiarato assurdo della eguaglianza negli uomini e la sua estraneità alla vita e alla realtà non vuoi dire che in suo cambio regni l'eterogeneità o manchi la sostanziale medesimezza e parità. Ma questa bisognerà cercarla in un altro dei termini dell'"immobile triangolo immortale ", che Vincenzo Monti cantava, e che, in verità, era un rapporto di concetti assai superficialmente pensato e affastellatamente messo insieme. Bisogna cercarlo nel concetto della Libertà. Alla quale non è da accompagnare neppure la fraternità, che non si sa che cosa possa essere se non sia la fraternità nella libertà, perché, storicamente parlando, i fratelli sono anche rivali e tra loro combattenti e danno la morte gli uni agli altri, sebbene non senza fraterno affetto, tantoché " dopo il rogo non vive ira nemica ": dopo
essersi data la morte, vengono esaltati alla pari per la virtù che anche in quell'atto hanno dimostrata. E la Libertà, che sola resta del disfatto trinomio, salita a principio unico e supremo, è per noi qualcosa eli più profondo che non fosse nel settecentistico giacobinismo, una possanza che, nel secolo seguito a quel
lo, cominciò a prendere il suo vero significato e valore, non più ristretto al principio di un istituto giuridico, ma come principio del mondo.
A voi non suonerà strano o paradossale, dòpo le considerazioni che insieme facemmo nella passata conversazione ' sulla realtà come perpetua creazione e perciò spiritualità, e sulla creatività delle forze che si chiamano individuali e coincidono con l'unità dell'Universale (" universi ", dicevano i latini, quia in uno loco versi ), la sentenza che gli uomini sono tutti liberi per ciò stesso che vivono, e vivere è vivere per proprio conto e fare a proprio modo. Manca forse la libertà nel più rustico contadino, nel più piccolo operaio, nella donna più intenta e affaticata nelle cure della famiglia, nel più umile impiegato, che sentono il loro onore di uomini, e in semplici parole lo fanno valere quando è necessario? E manca forse del tutto in coloro, grandi e potenti che siano, i quali, rinnegando e trafficando la loro fede, per conseguire vantaggi, per soddisfare ambizioni, per pavoneggiarsi con stupidi titoli, si rendono volontariamente servi, ma la vergogna, che cade sopra di loro, grida che servi essi non sono ma liberi, come attesta nei loro petti il rimorso che li punge e nell'opera loro il nulla che stringono nei loro pugni? E quando noi, in momenti gravi e facendo richiamo al pregio che è in noi e negli altri, ubbidendo a un impeto generoso, vogliamo parlare e parliamo, come si dice, " da uomo ad uomo ", che cosa facciamo se non ricordare a noi e agli altri la nostra comune natura di uomini liberi, la nostra parità sostanziale?
Dall'osservazione che la libertà è legge suprema, si deduce che essa è incondizionata, cioè non dipende da nessuna condizione di fatto. Chiedere una libertà che sia non già di diritto ma di fatto e riporre in ciò la sua perfezione e la sua serietà, vai semplicemente non avere il più lontano sentore di quel che la libertà sia; e poiché quel fraintendimento apparve già nel primo formularsi del moderno comunismo, nella società degli Eguali del Babeuf, se ne trae che fin dalle sue origini il comunismo ha sempre ignorato o voluto nascondere a sé un concetto così importante e anzi fondamentale nella vita. Non c'è condizione di fatto che possa accendere la libertà nei petti nei quali non si è accesa da sé; non c'è condizione di fatto, tortura, minaccia di morte, che possa spegnerla; il che è una deduzione logica ma tale che si fa persona in innumeri eroi che la vita e la storia ci additano. Né la libertà può essere sradicata se la tirannia la comprime e opprime e procura di annullarla, perché questa azione nemica si attua solo parzialmente, e alle radici non può giunger mai senza render nulle le condizioni stesse del tiranneggiare, che annullerebbe sé medesimo; e del resto, anche nella maggiore umiliazione la libertà persiste in forma di rancore, di odio, di aspettazione della vendetta. Neppure interiormente, nella lotta di noi con noi stessi, con le nostre passioni, nella quale talora par che la libertà soccomba nell'errore e nel peccato, essa si perde radicalmente, perché rimane allora come forza di riscossa e principio di redenzione. Nei nostri tempi si è foggiata la formola che l'uomo per esser libero dev'essere liberato dal bisogno; e se con ciò si vuoi dire semplicemente che convien fare in modo che tutti gli uomini abbiano le calorie necessarie alla vita fisiologica, questa non è una verità filosofica ma un atto pratico, un dovere da adempiere, il dovere di non lasciare che gli uomini muoiano di fame e di freddo, dovere che, a onor del vero, non si può dire che la società ignori o trascuri, sebbene sia anche un fine che sventuratamente non sempre si raggiunge, ma che ancorché si raggiungesse, non avvererebbe quella formula, perché i bisogni non sono limitabili con nessun concetto e al soddisfacimento di uno di essi si accompagna la nascita di un altro, e perciò non è dato affrancarsene mai in assoluto.
E poiché legge della vita è creare vita e a questo e non altro si riporta ogni dovere morale, la libertà sta per la vita morale e questa per lei. Ma, appunto per l'amplitudine della vita morale, la libertà signoreggia in tutti i provvedimenti di qualità utile, in tutti i problemi economici, non legandosi esclusivamen te a nessun ordine particolare di essi, non riconoscendolo mai adeguato a se stessa. Nel corso del secolo decimonono, per eventi e circostanze che sarebbe lungo ora esporre, l'idea liberale si trova avvicinata e infine congiunta e fusa con l'idea economica del libero scambio, e il liberalismo economico parve e fu creduto un aspetto e una conseguenza di quello morale e politico, onde il liberalismo divenne tutt'uno con ciò che la lingua italiana, acutamente distinguendo, denomina " liberismo ". La quale fusione e unione in teoria deve essere negata e in pratica sottomessa allo svolgimento e alle varianti situazioni dei problemi morali o di civiltà, e giova qui non rendere partecipe la libertà di tutti i vanti della accresciuta produzione economica nel corso del secolo decimonono, né solidale di tutte le malefatte di cui questa è stata da più parti accusata. I problemi economici hanno dinanzi una scala di soluzioni che vanno da un estremo di liberismo a un estremo di autoritarismo o statalismo; ma la libertà morale non solo non parteggia per alcuno dei due estremi, ma neppure per una o altra delle formule intermedie, e non conosce se non problemi particolari che si debbono risolvere secondo luogo e tempo con soluzioni ad essi appropriate: e questo è il suo travaglio, perché, in concreto, la vita morale copre tutta intera la vita pratica o economica, e investendola del suo spirito e facendola sua materia e strumento, la innalza e risolve in se stessa. Siffatta distinzione, che si pone di sopra a tutte le tendenze e scuole economiche (e che, come ho detto, è in qualche modo preparata dalla lingua italiana e in Italia è stata altresì filosoficamente elaborata) e segna un punto essenziale nella teoria dell'etica e dell'etica politica e dell'economia, è da tenere sempre presente nelle controversie dei giorni nostri, che unificano sovente il non unificabile per combattere le patimenti illegittime unificazioni degli avversati: cioè non entrano nella via feconda della verità, ma si dibattono in quella sterile delle reciproche accuse.
Sono questi alcuni tratti della teoria della libertà, teoria che, sviluppata nei particolari, comprende tutta la filosofia come filosofia dello spirito, nella quale non meno che nelle sue varie parti circola quel concetto, senza di cui né una teoria della logicità e della verità, né una teoria della bellezza, né una teoria dell'utilità, né una teoria del dovere sono pensabili, e perciò in tutte assidua è la polemica contro gli errori che talora le insidiano per asservirle. Ma, perché con gli schiarimenti che ho dato circa i rapporti tra volontà e libertà, e libertà e condizioni di fatto, libertà e problemi economici, libertà e opposizione alla libertà o tirannia di ogni sorta e di ogni grado, ci siamo avvicinati ai problemi che oggi più agitano i popoli, converrà proseguendo dire qualcosa delle condizioni presenti dell'ideale liberale.
Il trapasso ci viene qui offerto dalla distinzione tra " libertà " e quello che si chiama " liberalismo ", perché la prima da luogo a una teoria e il secondo, preparando questa teoria, da luogo invece a una storia delle vicende per le quali è passato e passa l'ideale della libertà o liberalismo. Certo, la storia tutta le appartiene, come Hegel disse benissimo quando la definì storia della libertà; ma non altrettanto bene egli configurò questa storia col concepirla come dell'iniziarsi, crescere e perfezionarsi della libertà, la quale per sé non è storia, ma creatrice di storia, dove lo spirito sta sempre intero col circolo delle sue categorie e non già a pezzi; non si forma a pezzo a pezzo, esso che segna e apre la via di ogni formazione. L'universale, come Dio, è tutto in ogni istante. Ma l'ideale della libertà ha bene una storia, perché combatte le sue guerre, ottiene i suoi trionfi e le sue paci, soffre le sue sconfitte, che converte in forze di nuove e maggiori vittorie. L'età moderna della storia europea si può dire quella in cui veramente la libertà che ogni popolo e ogni tempo conobbe e che non negli imperi dell'antico Oriente, ma nell'antichità greco-romana acquistò grande risalto, ebbe i suoi filosofi, i suoi storici, i suoi critici, i suoi pubblicisti famosi. Ciò accadde per l'ulteriore sviluppo spirituale promosso dal cristianesimo, per le lotte e guerre religiose dei secoli decimosesto e decimosettimo, per l'effetto di queste che fu la decadenza delle chiese confessionali (le quali persero da allora la direzio-ne della scienza e della coscienza, cedendo a fronte di una sorgente e crescente società nuova), per il diffondersi di quell'idea della " tolleranza " (opera anch'essa precipua della equilibrata mente italiana e più propriamente degli italiani esuli dalla loro patria per cause di religione), la quale preparò e, approfondendosi, generò l'idea moderna della libertà, come ideale e religione delle più alte società umane. Né è il caso che io vi rammenti come essa, convertitasi in istituzione politica in Inghilterra sul cadere del secolo decimosettimo, aprì la via a simili istituzioni nel mondo europeo e di qua e di là dell'Atlantico, specie dopo le riforme che con l'arma della ragione compierono prima i re assoluti e poi la rivoluzione di Francia, introdotte dalle armi del primo Napoleone nella rimanente Europa. Così il secolo decimonono fu il secolo dell'ideale liberale, il quale, mercé le costituzioni concesse dai principi o dettate da assemblee, divenne la forma che prese lo stato, dal più al meno, in tutti i popoli di Europa, tranne che in Russia, la quale persistette nel suo assolutismo czaristico, di remota origine bizantina, che riuniva in sé stato e chiesa, sebbene fosse di continuo minacciato all'interno da cospirazioni e attentati terroristici e formasse oggetto di scandalo nella progrediente civiltà e libertà europea. Come mai, dopo un secolo di svolgimento e prosperità liberale, tutto ciò si sia cangiato non debbo dire a voi, perché se risalissi al motivo generale, mi converrebbe rammentarvi che il corso del mondo ha le sue ragioni che noi non conosciamo e invano cerchiamo di attingere con le nostre previsioni, e se discendessi nei particolari dei fatti e degli eventi vi ripeterei cose che a un dipresso conoscete. Il processo dei fatti e degli eventi, che ha condotto alle condizioni presenti, è stato vissuto intero dalle generazioni dell'ultimo ottocento, alle quali anche io che vi parlo appartengo, e da quelle seguenti del novecento; e alcuni di voi giovani sono stati impegnati nell'ultima guerra, e tutti, vecchi e uomini maturi e giovani, tutti in vario modo ne siamo partecipi e responsabili, e tutti dolorosamente ci travagliamo, e severamente dobbiamo sostenerne e avviarne le soluzioni, in quella lotta del presente che, come ogni presente, è sforzo verso l'avvenire da costruire. A questa crisi ha concorso tutto il corso della storia dell'ultimo quarantennio, in tutti quelli che paiono incidenti e accidenti e sono necessità storiche; e sommamente rilevanti sono stati in essa, nei rapporti internazionali, l'atteggiamento di un gran popolo che è nel centro dell'Europa ed era pervenuto ad altissimo posto in ogni parte della vita culturale ed economica, ma che, liberale anche esso negli istituti, chiudeva nel fondo del suo cuore ancora l'ideale della primitiva sua storia, di conquiste e invasioni barba-riche, diventata la sua epopea guerriera; e poi la rivoluzione violenta in un paese, il più grande estensivamente d'Europa, e posto tra questa e l'Asia, che ha rivestito il suo secolare czari-smo di una forma ringiovanita, che può dirsi un assolutismo armato di tecnica moderna; e infine, il moto operaio chiamato socialismo e comunismo, che, sorto e cresciuto anch'esso nel corso del secolo decimonono, già pareva si andasse conciliando con la vita della libertà, sempre più democratica e riformatrice, ma che dall'esempio e dallo stimolo russo si è rifatto rivoluzionario e dittatorio e sprezzante di libertà. Certo, nonostante le rovine di ogni sorta, impoverimenti culturali ed economici, devastazioni di intelletti e di città, di affetti gentili e umani e di umana fiducia e cordialità, molto ancora è vivo in Europa della sua millenaria civiltà e della libertà che ne era l'attributo; ma non è da negare che la libertà sia ora dappertutto turbata, confusa, perplessa, smarrita per tutte le opposizioni che incontra, contro le quali la lotta è incessante e quotidiana. Le speranze che coronano il nostro lavoro non sono di certo spente, e balenano e rischiarano d'ora in ora; ma anche si abbuiano ta-lora e sono ben lungi dal dar luogo a un orizzonte sereno.
Non è meraviglia che in questo affannoso modo di vita risuoni frequente la sentenza, che sembra confortata dai fatti: che ormai l'ideale della libertà è antiquato, appartiene al passato che si può nostalgicamente rimpiangere o fare oggetto di poesia, ma più non torna. Miei cari giovani ed amici, ascoltate me a cui par di essere sempre, come diceva Michele Cervantes, con el pie en el estribo, con uno dei pie nella staffa, per accomiatarmi da voi e da questa aiuola che ci fa feroci, ma che ho amato e cercato la verità, unico sicuro rifugio sulla terra: non vi fate mai sedurre e persuadere da detti come questi che sono quintessenza di stoltezza, e respingeteli con disdegno o con fastidio. Tutto cangia nella realtà, salvo l'idea stessa della realtà; la storia è una serie di creazioni, ma l'idea della storia non può cangiare, perché è l'autrice di tutti i cangiamenti. Petrarca non era Dante, né Boccaccio Petrarca, né Poliziano Boiardo, né Boiardo Ariosto, né Ariosto Tasso; e nondimeno essi furono poeti perché tutti attuarono la legge della poesia, che li produce e li oltrepassa. Parimente è da dire di ogni istituzione ed evento storico; e voi intendete ora per quale ragione io ho sempre avversato le presuntuose idiozie dei teorici della poesia pura, che pretendono di aver messo al mondo una poesia la cui definizione sarebbe diversa e opposta a quella che è stata tenuta sempre di ogni poesia, e perciò si farebbe senza moti del sentimento, senza incanto della fantasia, senza l'ispirazione, con riflessione, con calcolo, come un gioco di solitario. Or bene: l'ideale della libertà è nel cuore stesso della realtà, e quel cuore palpiterà sempre col ritmo col quale ha sempre palpitato: le istituzioni cangeranno, come hanno sempre cangiato, ma, fuori di quell'ideale, non ve ne può essere un altro, e molto meno l'ideale inverso della servitù universale, con la diade di tirannia e di schiavitù che è poi l'effettiva unità dell'una e dell'altra e tende verso l'abbassamento della vita e il nullismo, per fortuna inattingibile.
Se dunque la libertà è immortale, e se gli eventi che paiono sopraffarla non sono altro che materia a lei gettata innanzi perché se l'appropri, la trasmuti e se ne fortifichi, come bisogna comportarsi nei tempi dell'ecclesia pressa? Rinnegare la propria fede, che non è un nostro capriccio personale, ma è il dovere che la coscienza ci comanda? Fare forse, come ho visto fare in mia gioventù al sopravvenire del positivismo nella vita universitaria da insegnanti pur formatisi nell'idealismo e conoscitori della sua critica, ai quali, obiettando io che i lavori di fisiopsicologia che essi avevano preso a consigliare ai loro scolari erano contraddittori e ineseguibili, mi udivo rispondere: "Cosa vuole? Questi sono i temi che ora vanno". Niente di tutto ciò, niente di questo eroismo a rovescio; ma unicamente, in molti o in pochi vel uno, tener alto in sé, e come si può negli altri, quell'ideale di salvezza e di salute, ridurlo anche più coerente e puro con la meditazione, coltivarlo con scrupolo maggiore di quel che usava prima, e, pur facendo quanto si può, aspettare con coraggio e con pazienza il momento in cui sarà invocato e gioverà che se ne ritrovino in qualche luogo la tradizione, le memorie, le esperienze e il costume. E da mia parte, quando fui chiamato a presiedere un partito liberale, fissai concetti come questi: - primo, che il liberalismo, in questo suo aspetto, non è un partito ma un " prepartito ", perché senza di esso non vi sarebbero partiti, cioè mancherebbero nervi e muscoli al corpo sociale; - secondo, che esso, perché gli vien meno l'avversario, non può sussistere in età di rispettata ed assodata libertà, ma che deve raccogliersi e operare come tale nei tempi di libertà oppressa o insidiata o pericolante, con la speranza di presto diventare o ridiventare superfluo, come già nell'Italia del risorgimento e dell'unità, dal Cavour al Giolitti, e come del resto accadde in quasi tutti i parlamenti europei quando si smussarono i contrasti dei due grandi partiti della conservazione e del progresso e sorsero altri partiti, come si disse, di contenuto precipuamente economico; - terzo, che pel questo suo ufficio, richiesto dalla situazione storica, il partito liberale non può avere né una destra né una sinistra (e chi di queste cose ha parlato non ha approfondito l'idea di un partito che sia liberale), ma è naturaliter, ed esso solo, partito schiettamente di centro; - quarto, che, certamente, come ogni partito politico che non sia un'accademia di astrattezze propone e difende azioni e riforme economiche che sono la concretezza della stessa vita morale, ma non può delineare (a priori, come si suoi dire) una forma economica fissa, né un programma, come li offrono o li sbandierano altri partiti che tutti prendono il nome da particolari interessi da promuovere, sì invece studiare i problemi a uno a uno, nel tempo e tra le circostanze con cui si presentano, e a uno a uno dibatterli (e qui possono aver luogo tra i componenti del partito i contrasti fra destra e sinistra), e votarli accogliendo disciplinatamente la risoluzione delle maggioranze, salvo a esercitare l'unico diritto delle minoranze, che è di procurare, come diceva il Bagehot, di diventar maggioranze. Lascio le altre più particolari istruzioni, perché queste bastano in sede di teoria a fare intendere quale è l'opera di un partito liberale, quando deve guidare la nave col carico prezioso che gli è affidato, non in placida navigazione, ma tra frangenti.
Come a voi ho detto più volte, e dico ancora in questa che è l'ultima conversazione del nostro anno accademico, i concetti che vi ho esposto sono da ricevere da voi come abbozzi e stimoli al vostro personale pensiero, perché anche quello che si chiama comprensione, consenso e accettazione richiede un complemento personale ed è una conquista solo in quanto è un inizio eli collaborazione e continuazione e correzione nell'incessante accrescimento del pensiero.

 

 

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