Che le cose
del mondo siano tutte in qualche modo da correggere è ciò che ognuno di
noi sa e fa, perché la vita è continua ripresa e correzione di se stessa;
e che in questo dire e fare intervenga un certo senso di dispiacere e di
scontento, che si esprime talvolta nell'impazienza o nel lamento, è ovvio e
naturale. Ma quando lo scontento e dispiacere sorge dinanzi al non
attualmente correggibile, pur essendo altresì ovvio e naturale che ciò
accada per la mobilità della umana immaginazione, l'azione pratica stessa
lo reprime e l'allontana; e perciò l'uomo dignitoso riduce al minimo i suoi
lamenti e biasima chi ne abbonda. Ma che cosa dire di coloro che si
lamentano e pretendono correggere non già le cose attualmente non
correggibili, ma quelle eternamente incorreggibili, perché sono le assise
stesse sulle quali si regge il mondo o, come si dice in filosofia, le sue
eterne categorie? Il buon senso sorride talvolta di loro, chiamandoli
aspiranti a far parte del Dio creatore e provvidente; ma essi, o che non
s'accorgano del ridicolo che è nei loro propositi o che, sicuri di sé e
fanatici, lo sfidino, non se ne danno per intesi. Superfluo aggiungere che
il mondo segue le vie della sua realtà, mentre essi, quando qualcosa pur
fanno, accrescono la letteratura delle utopie.
Ma fra le utopie una ve n'ha che sovraneggia sulle altre perché veramente,
laddove le altre si ribellano a una o altra delle singole categorie, essa
intende a modificare lo stesso corso dialettico della storia: l'utopia che
pone l'ideale nella eguaglianza. L'eguaglianza non è un concetto che abbia
luogo nella storia e nel mondo o in alcuna parte e in alcuna epoca della
storia del mondo, perché appartiene unicamente alle matematiche, che
operano per astrazioni e di cui forse la più adeguata definizione è quella
che ne ha dato il matematico e filosofo Russell, come della scienza nella
quale " non si sa mai di che cosa si parla, né se ciò di cui si parla
sia vero". L'Uno o l'Universale filo-sofico ha nell'Uno delle
matematiche un omonimo, impotente nella realtà la quale è unità e
diversità, quanto è potente nel servigio che rende del sommare e misurare
e in simili operazioni. Se si desse il fiat riformatore al genio
egualitario, si vedrebbe in un soffio sparire gli umani individui e con essi
i tre regni della natura e le stelle e i pianeti e Dio stesso, che non
avrebbe altro da fare al mondo; e se questa rovina non accade, è perché
nessuno può conferire tanta potenza a una parola vuota. E vuota essa
sarebbe presto sentita da chi la pronuncia se non la si riferisse ora a
questa ora a quella delle particolari cose che esistono o che si vuoi
mettere in atto, e che non hanno niente da vedere con l'eguaglianza; come
sarebbero certi modi di distribuzione di certi beni economici, meglio adatti
a certe condizioni sociali e a certi momenti storici, e cangianti più o
meno sensibilmente le condizioni degli individui, ma non già la loro
effettiva diversità, la quale attraverso le nuove condizioni riappare.
Anche quando la parola " Eguaglianza " salì assai in alto,
prendendo posto in un famoso trinomio, essa, nonostante il secolo
grandemente matematico in cui fiorì, non aveva altro contenuto reale che
l'abolizione di determinati privilegi o l'estensione di determinati diritti,
che variarono bensì le diversità, ma estinguerle non potevano e non le
estinsero. Tuttavia il sogno egualitario (che sarebbe antivitale se non
fosse a ogni istante scosso via dal moto della vita) persiste nelle
disquisizioni di non certo acuti e avveduti teorici.
Il dichiarato assurdo della eguaglianza negli uomini e la sua estraneità
alla vita e alla realtà non vuoi dire che in suo cambio regni
l'eterogeneità o manchi la sostanziale medesimezza e parità. Ma questa
bisognerà cercarla in un altro dei termini dell'"immobile triangolo
immortale ", che Vincenzo Monti cantava, e che, in verità, era un
rapporto di concetti assai superficialmente pensato e affastellatamente
messo insieme. Bisogna cercarlo nel concetto della Libertà. Alla quale non
è da accompagnare neppure la fraternità, che non si sa che cosa possa
essere se non sia la fraternità nella libertà, perché, storicamente
parlando, i fratelli sono anche rivali e tra loro combattenti e danno la
morte gli uni agli altri, sebbene non senza fraterno affetto, tantoché
" dopo il rogo non vive ira nemica ": dopo
essersi data la morte, vengono esaltati alla pari per la virtù che anche in
quell'atto hanno dimostrata. E la Libertà, che sola resta del disfatto
trinomio, salita a principio unico e supremo, è per noi qualcosa eli più
profondo che non fosse nel settecentistico giacobinismo, una possanza che,
nel secolo seguito a quel
lo, cominciò a prendere il suo vero significato e valore, non più
ristretto al principio di un istituto giuridico, ma come principio del
mondo.
A voi non suonerà strano o paradossale, dòpo le considerazioni che insieme
facemmo nella passata conversazione ' sulla realtà come perpetua creazione
e perciò spiritualità, e sulla creatività delle forze che si chiamano
individuali e coincidono con l'unità dell'Universale (" universi
", dicevano i latini, quia in uno loco versi ), la sentenza che
gli uomini sono tutti liberi per ciò stesso che vivono, e vivere è vivere
per proprio conto e fare a proprio modo. Manca forse la libertà nel più
rustico contadino, nel più piccolo operaio, nella donna più intenta e
affaticata nelle cure della famiglia, nel più umile impiegato, che sentono
il loro onore di uomini, e in semplici parole lo fanno valere quando è
necessario? E manca forse del tutto in coloro, grandi e potenti che siano, i
quali, rinnegando e trafficando la loro fede, per conseguire vantaggi, per
soddisfare ambizioni, per pavoneggiarsi con stupidi titoli, si rendono
volontariamente servi, ma la vergogna, che cade sopra di loro, grida che
servi essi non sono ma liberi, come attesta nei loro petti il rimorso che li
punge e nell'opera loro il nulla che stringono nei loro pugni? E quando noi,
in momenti gravi e facendo richiamo al pregio che è in noi e negli altri,
ubbidendo a un impeto generoso, vogliamo parlare e parliamo, come si dice,
" da uomo ad uomo ", che cosa facciamo se non ricordare a noi e
agli altri la nostra comune natura di uomini liberi, la nostra parità
sostanziale?
Dall'osservazione che la libertà è legge suprema, si deduce che essa è
incondizionata, cioè non dipende da nessuna condizione di fatto. Chiedere
una libertà che sia non già di diritto ma di fatto e riporre in ciò la
sua perfezione e la sua serietà, vai semplicemente non avere il più
lontano sentore di quel che la libertà sia; e poiché quel fraintendimento
apparve già nel primo formularsi del moderno comunismo, nella società
degli Eguali del Babeuf, se ne trae che fin dalle sue origini il comunismo
ha sempre ignorato o voluto nascondere a sé un concetto così importante e
anzi fondamentale nella vita. Non c'è condizione di fatto che possa
accendere la libertà nei petti nei quali non si è accesa da sé; non c'è
condizione di fatto, tortura, minaccia di morte, che possa spegnerla; il che
è una deduzione logica ma tale che si fa persona in innumeri eroi che la
vita e la storia ci additano. Né la libertà può essere sradicata se la
tirannia la comprime e opprime e procura di annullarla, perché questa
azione nemica si attua solo parzialmente, e alle radici non può giunger mai
senza render nulle le condizioni stesse del tiranneggiare, che annullerebbe
sé medesimo; e del resto, anche nella maggiore umiliazione la libertà
persiste in forma di rancore, di odio, di aspettazione della vendetta.
Neppure interiormente, nella lotta di noi con noi stessi, con le nostre
passioni, nella quale talora par che la libertà soccomba nell'errore e nel
peccato, essa si perde radicalmente, perché rimane allora come forza di
riscossa e principio di redenzione. Nei nostri tempi si è foggiata la
formola che l'uomo per esser libero dev'essere liberato dal bisogno; e se
con ciò si vuoi dire semplicemente che convien fare in modo che tutti gli
uomini abbiano le calorie necessarie alla vita fisiologica, questa non è
una verità filosofica ma un atto pratico, un dovere da adempiere, il dovere
di non lasciare che gli uomini muoiano di fame e di freddo, dovere che, a
onor del vero, non si può dire che la società ignori o trascuri, sebbene
sia anche un fine che sventuratamente non sempre si raggiunge, ma che
ancorché si raggiungesse, non avvererebbe quella formula, perché i bisogni
non sono limitabili con nessun concetto e al soddisfacimento di uno di essi
si accompagna la nascita di un altro, e perciò non è dato affrancarsene
mai in assoluto.
E poiché legge della vita è creare vita e a questo e non altro si riporta
ogni dovere morale, la libertà sta per la vita morale e questa per lei. Ma,
appunto per l'amplitudine della vita morale, la libertà signoreggia in
tutti i provvedimenti di qualità utile, in tutti i problemi economici, non
legandosi esclusivamen te a nessun ordine particolare di essi, non
riconoscendolo mai adeguato a se stessa. Nel corso del secolo decimonono,
per eventi e circostanze che sarebbe lungo ora esporre, l'idea liberale si
trova avvicinata e infine congiunta e fusa con l'idea economica del libero
scambio, e il liberalismo economico parve e fu creduto un aspetto e una
conseguenza di quello morale e politico, onde il liberalismo divenne
tutt'uno con ciò che la lingua italiana, acutamente distinguendo, denomina
" liberismo ". La quale fusione e unione in teoria deve essere
negata e in pratica sottomessa allo svolgimento e alle varianti situazioni
dei problemi morali o di civiltà, e giova qui non rendere partecipe la
libertà di tutti i vanti della accresciuta produzione economica nel corso
del secolo decimonono, né solidale di tutte le malefatte di cui questa è
stata da più parti accusata. I problemi economici hanno dinanzi una scala
di soluzioni che vanno da un estremo di liberismo a un estremo di
autoritarismo o statalismo; ma la libertà morale non solo non parteggia per
alcuno dei due estremi, ma neppure per una o altra delle formule intermedie,
e non conosce se non problemi particolari che si debbono risolvere secondo
luogo e tempo con soluzioni ad essi appropriate: e questo è il suo
travaglio, perché, in concreto, la vita morale copre tutta intera la vita
pratica o economica, e investendola del suo spirito e facendola sua materia
e strumento, la innalza e risolve in se stessa. Siffatta distinzione, che si
pone di sopra a tutte le tendenze e scuole economiche (e che, come ho detto,
è in qualche modo preparata dalla lingua italiana e in Italia è stata
altresì filosoficamente elaborata) e segna un punto essenziale nella teoria
dell'etica e dell'etica politica e dell'economia, è da tenere sempre
presente nelle controversie dei giorni nostri, che unificano sovente il non
unificabile per combattere le patimenti illegittime unificazioni degli
avversati: cioè non entrano nella via feconda della verità, ma si
dibattono in quella sterile delle reciproche accuse.
Sono questi alcuni tratti della teoria della libertà, teoria che,
sviluppata nei particolari, comprende tutta la filosofia come filosofia
dello spirito, nella quale non meno che nelle sue varie parti circola quel
concetto, senza di cui né una teoria della logicità e della verità, né
una teoria della bellezza, né una teoria dell'utilità, né una teoria del
dovere sono pensabili, e perciò in tutte assidua è la polemica contro gli
errori che talora le insidiano per asservirle. Ma, perché con gli
schiarimenti che ho dato circa i rapporti tra volontà e libertà, e
libertà e condizioni di fatto, libertà e problemi economici, libertà e
opposizione alla libertà o tirannia di ogni sorta e di ogni grado, ci siamo
avvicinati ai problemi che oggi più agitano i popoli, converrà proseguendo
dire qualcosa delle condizioni presenti dell'ideale liberale.
Il trapasso ci viene qui offerto dalla distinzione tra " libertà
" e quello che si chiama " liberalismo ", perché la prima da
luogo a una teoria e il secondo, preparando questa teoria, da luogo invece a
una storia delle vicende per le quali è passato e passa l'ideale della
libertà o liberalismo. Certo, la storia tutta le appartiene, come Hegel
disse benissimo quando la definì storia della libertà; ma non altrettanto
bene egli configurò questa storia col concepirla come dell'iniziarsi,
crescere e perfezionarsi della libertà, la quale per sé non è storia, ma
creatrice di storia, dove lo spirito sta sempre intero col circolo delle sue
categorie e non già a pezzi; non si forma a pezzo a pezzo, esso che segna e
apre la via di ogni formazione. L'universale, come Dio, è tutto in ogni
istante. Ma l'ideale della libertà ha bene una storia, perché combatte le
sue guerre, ottiene i suoi trionfi e le sue paci, soffre le sue sconfitte,
che converte in forze di nuove e maggiori vittorie. L'età moderna della
storia europea si può dire quella in cui veramente la libertà che ogni
popolo e ogni tempo conobbe e che non negli imperi dell'antico Oriente, ma
nell'antichità greco-romana acquistò grande risalto, ebbe i suoi filosofi,
i suoi storici, i suoi critici, i suoi pubblicisti famosi. Ciò accadde per
l'ulteriore sviluppo spirituale promosso dal cristianesimo, per le lotte e
guerre religiose dei secoli decimosesto e decimosettimo, per l'effetto di
queste che fu la decadenza delle chiese confessionali (le quali persero da
allora la direzio-ne della scienza e della coscienza, cedendo a fronte di
una sorgente e crescente società nuova), per il diffondersi di quell'idea
della " tolleranza " (opera anch'essa precipua della equilibrata
mente italiana e più propriamente degli italiani esuli dalla loro patria
per cause di religione), la quale preparò e, approfondendosi, generò
l'idea moderna della libertà, come ideale e religione delle più alte
società umane. Né è il caso che io vi rammenti come essa, convertitasi in
istituzione politica in Inghilterra sul cadere del secolo decimosettimo,
aprì la via a simili istituzioni nel mondo europeo e di qua e di là
dell'Atlantico, specie dopo le riforme che con l'arma della ragione
compierono prima i re assoluti e poi la rivoluzione di Francia, introdotte
dalle armi del primo Napoleone nella rimanente Europa. Così il secolo
decimonono fu il secolo dell'ideale liberale, il quale, mercé le
costituzioni concesse dai principi o dettate da assemblee, divenne la forma
che prese lo stato, dal più al meno, in tutti i popoli di Europa, tranne
che in Russia, la quale persistette nel suo assolutismo czaristico, di
remota origine bizantina, che riuniva in sé stato e chiesa, sebbene fosse
di continuo minacciato all'interno da cospirazioni e attentati terroristici
e formasse oggetto di scandalo nella progrediente civiltà e libertà
europea. Come mai, dopo un secolo di svolgimento e prosperità liberale,
tutto ciò si sia cangiato non debbo dire a voi, perché se risalissi al
motivo generale, mi converrebbe rammentarvi che il corso del mondo ha le sue
ragioni che noi non conosciamo e invano cerchiamo di attingere con le nostre
previsioni, e se discendessi nei particolari dei fatti e degli eventi vi
ripeterei cose che a un dipresso conoscete. Il processo dei fatti e degli
eventi, che ha condotto alle condizioni presenti, è stato vissuto intero
dalle generazioni dell'ultimo ottocento, alle quali anche io che vi parlo
appartengo, e da quelle seguenti del novecento; e alcuni di voi giovani sono
stati impegnati nell'ultima guerra, e tutti, vecchi e uomini maturi e
giovani, tutti in vario modo ne siamo partecipi e responsabili, e tutti
dolorosamente ci travagliamo, e severamente dobbiamo sostenerne e avviarne
le soluzioni, in quella lotta del presente che, come ogni presente, è
sforzo verso l'avvenire da costruire. A questa crisi ha concorso tutto il
corso della storia dell'ultimo quarantennio, in tutti quelli che paiono
incidenti e accidenti e sono necessità storiche; e sommamente rilevanti
sono stati in essa, nei rapporti internazionali, l'atteggiamento di un gran
popolo che è nel centro dell'Europa ed era pervenuto ad altissimo posto in
ogni parte della vita culturale ed economica, ma che, liberale anche esso
negli istituti, chiudeva nel fondo del suo cuore ancora l'ideale della
primitiva sua storia, di conquiste e invasioni barba-riche, diventata la sua
epopea guerriera; e poi la rivoluzione violenta in un paese, il più grande
estensivamente d'Europa, e posto tra questa e l'Asia, che ha rivestito il
suo secolare czari-smo di una forma ringiovanita, che può dirsi un
assolutismo armato di tecnica moderna; e infine, il moto operaio chiamato
socialismo e comunismo, che, sorto e cresciuto anch'esso nel corso del
secolo decimonono, già pareva si andasse conciliando con la vita della
libertà, sempre più democratica e riformatrice, ma che dall'esempio e
dallo stimolo russo si è rifatto rivoluzionario e dittatorio e sprezzante
di libertà. Certo, nonostante le rovine di ogni sorta, impoverimenti
culturali ed economici, devastazioni di intelletti e di città, di affetti
gentili e umani e di umana fiducia e cordialità, molto ancora è vivo in
Europa della sua millenaria civiltà e della libertà che ne era
l'attributo; ma non è da negare che la libertà sia ora dappertutto
turbata, confusa, perplessa, smarrita per tutte le opposizioni che incontra,
contro le quali la lotta è incessante e quotidiana. Le speranze che
coronano il nostro lavoro non sono di certo spente, e balenano e rischiarano
d'ora in ora; ma anche si abbuiano ta-lora e sono ben lungi dal dar luogo a
un orizzonte sereno.
Non è meraviglia che in questo affannoso modo di vita risuoni frequente la
sentenza, che sembra confortata dai fatti: che ormai l'ideale della libertà
è antiquato, appartiene al passato che si può nostalgicamente rimpiangere
o fare oggetto di poesia, ma più non torna. Miei cari giovani ed amici,
ascoltate me a cui par di essere sempre, come diceva Michele Cervantes, con el
pie en el estribo, con uno dei pie nella staffa, per accomiatarmi da voi
e da questa aiuola che ci fa feroci, ma che ho amato e cercato la verità,
unico sicuro rifugio sulla terra: non vi fate mai sedurre e persuadere da
detti come questi che sono quintessenza di stoltezza, e respingeteli con
disdegno o con fastidio. Tutto cangia nella realtà, salvo l'idea stessa
della realtà; la storia è una serie di creazioni, ma l'idea della storia
non può cangiare, perché è l'autrice di tutti i cangiamenti. Petrarca non
era Dante, né Boccaccio Petrarca, né Poliziano Boiardo, né Boiardo
Ariosto, né Ariosto Tasso; e nondimeno essi furono poeti perché tutti
attuarono la legge della poesia, che li produce e li oltrepassa. Parimente
è da dire di ogni istituzione ed evento storico; e voi intendete ora per
quale ragione io ho sempre avversato le presuntuose idiozie dei teorici
della poesia pura, che pretendono di aver messo al mondo una poesia la cui
definizione sarebbe diversa e opposta a quella che è stata tenuta sempre di
ogni poesia, e perciò si farebbe senza moti del sentimento, senza incanto
della fantasia, senza l'ispirazione, con riflessione, con calcolo, come un
gioco di solitario. Or bene: l'ideale della libertà è nel cuore stesso
della realtà, e quel cuore palpiterà sempre col ritmo col quale ha sempre
palpitato: le istituzioni cangeranno, come hanno sempre cangiato, ma, fuori
di quell'ideale, non ve ne può essere un altro, e molto meno l'ideale
inverso della servitù universale, con la diade di tirannia e di schiavitù
che è poi l'effettiva unità dell'una e dell'altra e tende verso
l'abbassamento della vita e il nullismo, per fortuna inattingibile.
Se dunque la libertà è immortale, e se gli eventi che paiono sopraffarla
non sono altro che materia a lei gettata innanzi perché se l'appropri, la
trasmuti e se ne fortifichi, come bisogna comportarsi nei tempi
dell'ecclesia pressa? Rinnegare la propria fede, che non è un nostro
capriccio personale, ma è il dovere che la coscienza ci comanda? Fare
forse, come ho visto fare in mia gioventù al sopravvenire del positivismo
nella vita universitaria da insegnanti pur formatisi nell'idealismo e
conoscitori della sua critica, ai quali, obiettando io che i lavori di
fisiopsicologia che essi avevano preso a consigliare ai loro scolari erano
contraddittori e ineseguibili, mi udivo rispondere: "Cosa vuole? Questi
sono i temi che ora vanno". Niente di tutto ciò, niente di questo
eroismo a rovescio; ma unicamente, in molti o in pochi vel uno, tener alto
in sé, e come si può negli altri, quell'ideale di salvezza e di salute,
ridurlo anche più coerente e puro con la meditazione, coltivarlo con
scrupolo maggiore di quel che usava prima, e, pur facendo quanto si può,
aspettare con coraggio e con pazienza il momento in cui sarà invocato e
gioverà che se ne ritrovino in qualche luogo la tradizione, le memorie, le
esperienze e il costume. E da mia parte, quando fui chiamato a presiedere un
partito liberale, fissai concetti come questi: - primo, che il liberalismo,
in questo suo aspetto, non è un partito ma un " prepartito ",
perché senza di esso non vi sarebbero partiti, cioè mancherebbero nervi e
muscoli al corpo sociale; - secondo, che esso, perché gli vien meno
l'avversario, non può sussistere in età di rispettata ed assodata
libertà, ma che deve raccogliersi e operare come tale nei tempi di libertà
oppressa o insidiata o pericolante, con la speranza di presto diventare o
ridiventare superfluo, come già nell'Italia del risorgimento e dell'unità,
dal Cavour al Giolitti, e come del resto accadde in quasi tutti i parlamenti
europei quando si smussarono i contrasti dei due grandi partiti della
conservazione e del progresso e sorsero altri partiti, come si disse, di
contenuto precipuamente economico; - terzo, che pel questo suo ufficio,
richiesto dalla situazione storica, il partito liberale non può avere né
una destra né una sinistra (e chi di queste cose ha parlato non ha
approfondito l'idea di un partito che sia liberale), ma è naturaliter, ed
esso solo, partito schiettamente di centro; - quarto, che, certamente, come
ogni partito politico che non sia un'accademia di astrattezze propone e
difende azioni e riforme economiche che sono la concretezza della stessa
vita morale, ma non può delineare (a priori, come si suoi dire) una forma
economica fissa, né un programma, come li offrono o li sbandierano altri
partiti che tutti prendono il nome da particolari interessi da promuovere,
sì invece studiare i problemi a uno a uno, nel tempo e tra le circostanze
con cui si presentano, e a uno a uno dibatterli (e qui possono aver luogo
tra i componenti del partito i contrasti fra destra e sinistra), e votarli
accogliendo disciplinatamente la risoluzione delle maggioranze, salvo a
esercitare l'unico diritto delle minoranze, che è di procurare, come diceva
il Bagehot, di diventar maggioranze. Lascio le altre più particolari
istruzioni, perché queste bastano in sede di teoria a fare intendere quale
è l'opera di un partito liberale, quando deve guidare la nave col carico
prezioso che gli è affidato, non in placida navigazione, ma tra frangenti.
Come a voi ho detto più volte, e dico ancora in questa che è l'ultima
conversazione del nostro anno accademico, i concetti che vi ho esposto sono
da ricevere da voi come abbozzi e stimoli al vostro personale pensiero,
perché anche quello che si chiama comprensione, consenso e accettazione
richiede un complemento personale ed è una conquista solo in quanto è un
inizio eli collaborazione e continuazione e correzione nell'incessante
accrescimento del pensiero.
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