1. Giova
ritornare, per proporre non soluzioni bensì problemi, sopra al legame fra
idea liberale e liberalismo economico, che il Croce recentemente e
ripetutamente (ad es. in " La Critica ", 1936, pp. 372, 399 e
459)l ha dichiarato contingente, ed in nessun luogo forse meglio che colle
parole seguenti:
"L'idea liberale può avere un legame contingente e transitorio, ma non
ha nessun legame necessario e perpetuo, con la proprietà privata della
terra e delle industrie; essa si oppone primamente e direttamente
all'oppressione e falsificazione della vita morale, da qualunque parte si
eserciti, da assolutisti o da democratici, da capitalisti o da proletari, da
czar o da bolscevici, e sotto qualunque finzione mitica, sia quella
della razza ariana, sia l'altra della falce e martello; e il promovimento
della libertà è il criterio con cui misura istituti politici e ordinamenti
economici, in rapporto alle varie situazioni storiche, a volta a volta
accettandoli o respingendoli, secondo che quegli istituti serbino o
smarriscano efficacia per il suo fine. L'ideale liberale ha natura
religiosa, e la storia della Libertà è storia religiosa che di continuo e
giudica e domina la storia economica, e non è già storia economica che
della religione si serva di maschera, come immaginava Carlo Marx. [...] Solo
movendo dalla libertà come esigenza morale è dato interpretare la storia,
nella quale questa esigenza si è affermata e ha creato di volta in volta le
proprie istituzioni, secondo che di volta in volta era possibile nelle varie
epoche: come monarchie feudali e come repubbliche comunali, come monarchie
assolute e come monarchie costituzionali, e via dicendo, e anche come vario
ordinamento della proprietà nell'economia a schiavi, a servi e a salariati,
nella massima del lasciar fare e lasciar passare, e nell'altra, diversa,
dell'intervento statale, e via" (ivi, 459).
2. Alle considerazioni che qui intendo fare ha fornito lo spunto il Croce
medesimo quando avvertì che, fermato il punto della esigenza etica a cui il
liberalismo risponde, nasceva la " ulteriore questione del mezzo di
assicurare l'esercizio pratico di questo diritto ". Pur riconoscendo
che se " se ne potesse trovare uno diverso e migliore dell'istituto dei
parlamenti, converrebbe adottarlo ", osservava non risultare " che
l'umanità, da quando vive in società politica, ne abbia mai trovato a
quell'effetto un altro di natura radicalmente diversa, né che ora sia
riuscita ad escogitarlo" (ivi, 399).
3. Nelle quali parole è implicita l'affermazione che l'esigenza morale
della libertà non si attui o non si attui pienamente se manchino o sieno
vietati i mezzi all'uopo idonei. Consistano questi mezzi nei parlamenti od
in altro, pare difficile scindere compiutamente l'idea liberale dallo
strumento con cui essa si converte in azione operante, che di sé informa la
vita di pochi, di molti o di tutti i membri della collettività umana.
4. Sono i mezzi o strumenti indifferenti all'idea? Al quesito è facile
rispondere che nessun mezzo è per se stesso bastevole ad assicurare la
libertà morale e che qualunque mezzo, sia pur creato a tal fine, può esser
pervertito a conseguire il fine contrario. Troppo spesso si videro i
parlamenti, sorti a guarentigia dei cittadini contro il potere assoluto dei
re, diventare essi stessi strumenti di tirannia; troppo spesso si vide la
libertà di stampa, reclamata per assicurare la critica contro il dogma
imposto coattivamente, diventare efficacissimo mezzo di perversione del
pensiero, perché sia lecito attribuire ai mezzi o strumenti un'efficacia
autonoma. Tuttavia vi hanno mezzi, i quali per l'indole loro medesima
invincibilmente repugnano all'idea della libertà ed altri, i quali invece,
se pure sono impotenti a crearla, tollerano e talvolta favoriscono il
sorgere ed il fiorire od, almeno, l'allargamento di essa ad un numero più
grande di uomini. Codesto legame di repugnanza o di tolleranza e perfino di
promovimento deve dirsi necessario ovvero contingente, perpetuo o
transitorio?
5. Preferirei dire che gli uomini deliberati a conseguire o preservare
libertà repugnano a taluni mezzi e si attengono ad altri: dimodoché i
mezzi adoperati sono come l'indice esterno delle tendenze morali degli
uomini. Essendo meri indici o manifestazioni della volontà morale, non
possono dirsi certamente attributi necessari e perpetui della idea della
libertà, cosicché, cessando l'attributo, scompaia l'idea.
Questa è eterna e propria dell'uomo, il quale può escogitare mezzi sempre
nuovi per attuarla. La circostanza che l'idea si " possa " attuare
con certi mezzi e " repugni " ad altri non è tuttavia indegna di
meditazione.
6. Per restringermi, come è nell'indole di questa rivista, a considerazioni
economiche, non pare accettabile senza qualche riserva la tesi che la
libertà possa affermarsi qualunque sia l'ordinamento economico ed anche
nell'economia a schiavi od a servi. Perché lo schiavo od il servo si senta
pienamente libero occorre da un lato che egli affermi l'inesistenza delle
differenze giuridiche che lo distinguono dagli uomini liberi, ossia neghi,
occorrendo colla forza, l'ordinamento economico vigente. L'esigenza
universale della libertà che implica l'esigenza del riconoscimento della
dignità umana altrui pare d'altro canto incompatibile colla affermazione
del diritto proprio a disporre, come di cosa, di un altro uomo. L'idea
liberale trionfa e si perfeziona non con l'uso dello strumento della
schiavitù, bensì col negarlo e collo sforzarsi di spezzarlo e sostituirlo
con altro più congruo. Parimenti, entro i limiti in cui fu storicamente
vero che nei comuni tra il mille ed il milletrecento le corporazioni d'arti
e mestieri furono strumento efficace a servi ed oppressi per unirsi,
rafforzarsi, acquistare coscienza della propria dignità personale,
l'istituto delle corporazioni fu strumento efficace di attuazione dell'idea
della libertà. Ma questa avrebbe repugnato invincibilmente a servirsi dello
strumento medesimo nei secoli XVII e XVIII quando le corporazioni erano
divenuti corpi chiusi cristallizzati da regolamenti regi, i quali
consacravano il privilegio dei maestri in carica. Gli artigiani gli
inventori gli innovatori cercarono allora libertà, che non era soltanto
economica, bensì anche libertà piena di vivere secondo i dettami della
propria coscienza, abbandonando le vecchie città a carta, fornite di
privilegi, per fondare nuove città nella campagna o traversando, come
fecero i pilgrim fathers, i mari per creare nuovi stati nelle vuote
terre americane. Non certo l'istituto della corporazione creò o negò
libertà; ma gli uomini dei comuni intesi a libertà crearono corporazioni
" aperte ", concorrenti le une contro le altre nell'attirare a sé
i migliori; ed invece gli uomini proni a servitù morale del basso impero o
del sei-settecento si adagiarono nelle corporazioni " chiuse "
simili a caste ereditarie, che poi altri uomini ribelli a servitù dovettero
con duro sforzo fuggire o distruggere. Il desiderio di sopraffare la
concorrenza economica degli arabi e degli ebrei nella Spagna del
quattrocento, degli ugonotti nella Francia di Luigi XIV non invocò, no,
principi di libertà, bensì fece appello al mito della necessità di far
trionfare la vera fede contro l'eresia. La cacciata degli ebrei dalla Spagna
e degli ugonotti dalla Francia non riuscì, è vero, a distruggere la
libertà intima dei perseguitati. Il marrano spagnuolo il quale compieva
atti formali di ossequio alla religione da lui aborrita, esaltava forse in
se stesso la propria libertà spirituale; attingeva nella macerazione
intcriore del sentimento e del pensiero virtù più sottili di resistenza
all'oppressione o, come forse Bodin, gioiva nel costruire teorie che si
riannodavano alla fede ed al pensiero aviti. Esaltando la propria libertà
spirituale frammezzo all'esterno obbligatorio conformismo, quei pochi
prepararono il trionfo successivo della libertà per i molti. Indizio del
trionfo avvenuto fu il riconoscimento della uguaglianza economica e
giuridica fra ebrei e cristiani, fra ugonotti e cattolici.
7. La Russia contemporanea è esempio stupendo della incompatibilità fra
pieno conformismo economico e pienezza di libertà morale. La odierna
caratteristica economica russa non è invero l'adozione del sistema detto
comunistico. Io non so che cosa sia questo, perché le definizioni forniteci
dai suoi sacerdoti sono, in sede teorica, troppe e vaghe, e perché, ridotti
alle strette, costoro dichiarano erronea ogni critica ad una concezione la
quale si attuerà in futuro in maniere oggi imprevedute. Qualunque esso sia,
se il sistema fosse consapevolmente voluto da tutti od anche solo da molti
russi, esso sarebbe perfettamente compatibile con la libertà morale.
Volendo un fine, ad ipotesi, una certa uguaglianza di vita o di punto di
partenza nella vita economica tra gli uomini, ed essendo persuasi che la
organizzazione comunistica della struttura economica sia mezzo adeguato al
fine, rodesti russi avrebbero creato o creerebbero gli organi produttivi e
distributivi all'uopo opportuni; né si vede come da questa creazione
sarebbe menomata la loro libertà spirituale e morale. Potrebbe darsi che
l'ordinamento così voluto conducesse a risultati, in punto di beni
economici prodotti, minori di quelli conseguibili con altro ordinamento, ad
es. di impresa privata; ma poiché gli uomini consapevolmente avrebbero
voluto quei diversi minori risultamenti, nessuna libertà sarebbe da ciò
offesa. La caratteristica economica della Russia d'oggi non è però un
qualunque non definito ordinamento comunistico, bensì la sua introduzione
ad opera di una piccola minoranza che lo impose e lo conserva, a tacere
delle condanne a morte, con la forza delle armi, della polizia, dei lavori
forzati e dell'esilio in Siberia, con la esclusivistica assidua predicazione
di radio e di stampa, con la soppressione di ogni mezzo di elevazione
intellettuale, con la intolleranza di ogni critica la quale non si svolga
entro i limiti tecnici della adesione ai principi di giorno in giorno bene
accetti ai dirigenti bolscevici. Non l'ordinamento comunistico; ma la
soppressione di ogni possibilità di pensare, di parlare, e di operare
diversamente dai modi dai dirigenti ritenuti conformi all'ordinamento da
essi con quel nome attuato è la caratteristica della Russia economica
odierna. Come non ritenere incompatibile la libertà spirituale con siffatto
conformismo economico? Per vivere l'uomo russo deve conformare la sua
condotta, le sue parole, ogni estrinsecazione esteriore della propria
personalità ai dettami imposti dai dirigenti. Solo chi è disposto a
rinunciare a tutto: non solo all'ambizione, pur legittima, di fare valere se
stesso in ragione dei propri meriti, di procacciare a sé condizioni di vita
migliori, ma anche al dovere, che è morale, di apprestare le necessità
della vita ai propri cari, solo l'eroe può affermare apertamente la propria
libertà. Gli altri, ossia tutti, sono costretti a nascondere il proprio
pensiero nell'intimo foro della coscienza. Il che vale, per quasi tutti gli
uomini, quanto cessare a poco a poco di pensare; poiché il pensiero nasce e
vigoreggia nel contrasto delle tesi, nel diniego delle idee altrui, nella
lotta contro il male e per il bene. A poco a poco il pensiero si ottunde,
vittima del conformismo universale. La libertà spirituale più non esiste,
se non nello spirito dei pochi eroi. Chi sono gli eroi russi? Non le vittime
dei grandiosi processi di tempo in tempo offerti ad esortazione dei fedeli
od a contemplazione inorridita del mondo esterno. Siano poveri diavoli
colpevoli di qualche atto di cosidetto sabotaggio, il che vuoi dire di
piccole negligenze o corruzioni inevitabili in una macchina economica mossa
dalla dotta ignoranza dell'alto o siano membri della minoranza dominante
offerti in olocausto, perché colpevoli di ferocia inopportuna, costoro non
possono per fermo essere fatti passare per campioni della libertà del
pensiero russa. Chi siano i pochi eroi che mantengono viva la fiamma della
libertà del pensiero in Russia noi non sappiamo. Forse qualche superstite
della vecchia intelligenza, riuscito a farsi dimenticare col compiere umili
lavori manuali o scritturali. Forse qualche giovane insoddisfatto del verbo
materialistico appreso sui libri degli epigoni di Marx, il quale cerca da
sé le ragioni della vita attraverso le pagine del vangelo o di Tolstoi.
Forse un altro giovane il quale nelle rinnovate catacombe o russe ascolta la
parola di Dio dalle labbra del sacerdote, che coraggiosamente offrendo se
stesso in quotidiano olocausto tenta di redimere la chiesa ortodossa dalla
abiezione nella quale era caduta, al tempo czaristico, per servilismo verso
i potenti. Dicesi che taluno di questi superstiti o ribelli, rinnovando i
fasti della Tebaide antica, cerchi oggi rifugio nelle foreste degli Urali;
ed ivi, grazie alla compassione dei pastori nomadi, viva libero, predicando
la parola della verità, la quale un giorno dovrà affrancare la Russia
dagli attuali oppressori della sua libertà spirituale.
8. Il bisogno di sottrarsi al conformismo delle regole di vita dettate dalla
burocrazia interprete della religione marxistica, non è proprio solo dei
pochi spiriti eletti, i quali sentono prepotente il bisogno della libertà
morale. In forme più grezze, non chiaramente collegate con i sentimenti
più alti dell'animo e mosse sovrattutto dalle esigenze materiali della
vita, quel bisogno è talvolta fortemente sentito dagli umili. L'operaio
laborioso, il quale tuttavia soffre nel compiere il lavoro secondo il
comando del sovrastante o delle macchine; il commesso o l'impiegato, il
quale è pronto a lavorare intensamente per più di otto ore al giorno, ma
non trae gioia dal compito anche lieve assegnatogli dal superiore di cui
egli ha coscienza di essere dappiù; l'uomo il quale deve lasciarsi passare
dinnanzi, nella chiamata al posto o nell'avanzamento, colui il quale,
secondo le regole conformistiche osservate nella Russia bolscevica, è più
anziano o meglio fornito di documenti scolastici o di attestati di
benemerenza od ha dato prova di più pronto ossequio alla religione
marxistica dominante, costui è un candidato all'anacoretismo. Nei secoli
del basso impero romano, chi voleva sottrarsi agli onori ed agli oneri del
decurionato o dell'appartenenza ereditaria alla casta assegnatagli dalla
nascita nella gerarchla sociale fissata dalla legge, fuggiva, se in Egitto,
nel deserto per darsi all'anacoretismo ascetico od al nomadismo predatorio;
cercava, se viveva nelle Gallie, l'ospitalità dei liberi germani, facendosi
ad essi consigliere di preda o di invasione. In tempi più recenti, i figli
della borghesia, intolleranti del piatto conformismo materialistico della
loro classe, andavano tra il 1880 ed il 1900 verso l'operaio e diventavano
apostoli di socialismo. Una indagine di straordinario interesse storico
sarebbe oggi quella di chi studiasse nel mondo occidentale europeo ed in
quello nord americano i rapporti fra l'incremento del conformismo e quello
dell'anacoretismo economico.
9. Intendo per conformismo economico il vigoreggiare - in parte e forse in
notevole parte, ed anche questa sarebbe indagine storicamente assai
suggestiva, vigoreggiare artificioso dovuto a privilegi legali negatori
della libertà altrui - del tipo monopolistico di intrapresa per consorzi cosidetti
facoltativi o francamente obbligatori, per divieti legali di concorrenza,
per affermate ragioni di pubblico interesse. Cotale tipo è conformistico
perché non mette a capo delle grandi imprese economiche gli uomini, di
fatto rarissimi, i quali posseggono davvero le qualità necessarie a
comandare ed organizzare in aperta competizione con ogni altro capo,
eserciti di operai di impiegati di tecnici e di funzionari. L'impresa
puramente economica non è conformistica, perché è sempre minacciata dai
ribelli, da antichi operai o tecnici od impiegati, i quali attendono il capo
al varco dell'errore, dell'eccesso, dell'affievolimento volitivo o della
decadenza fisica. Conformistica è l'impresa la quale è cresciuta grazie a
qualità che non sono quelle del mero condottiero economico. Conseguire
privilegi legali di dogane, di moneta, di contingente, di provvista di
lavoro, di licenze di esportazione e di importazione, di ampliamento di
forniture è proprio non del capo ma del politico economico. Ed è qualità
che tanto più vale quanto più chi primo la fece valere riesce a impedire
altrui di usarla. L'impresa conformistica non può vivere se non vieta a chi
ha le mere qualità economiche di farle valere e se non diventa ogni giorno
più estesa e regolata e burocratizzata. Cresce il numero degli scontenti, i
quali non vedono modo di sottrarsi, nell'ambito della banca dell'industria e
del commercio esercitate secondo le esigenze degli estesi mercati
contemporanei, alla dura grigia uniforme ubbidiente vita del soldato che si
muove per ordini di cui la ragione non può essere da lui valutata. In
queste condizioni è inevitabile il sorgere del l'anacoretismo economico. Al
margine delle imprese conformi-sticlie regolari ubbidienti alle regole che
il conformismo ogni giorno moltiplica e perfeziona, spuntano gli irregolari
i venturieri i soli. Se un lavoro può essere compiuto dalla mano aiutata da
qualche modesto arnese, accanto all'impresa la quale per le sue dimensioni
è veduta e perciò deve ubbidire alla regola comune, spunta l'offerta
dell'irregolare pronto a compiere lo stesso lavoro a condizioni assai più
favorevoli per il committente. Se il grosso impresario, legato dai vincoli
che egli ed i suoi pari e dipendenti vollero, è costretto a chiedere io
dollari al m.c. per costruire il grattacielo nella città, nelle campagne
casette di pregio non minore sono costrutte a 4 od a 5 dollari dal muratore
il quale lavora, senza ricorrere a mano d'opera estranea, coll'aiuto dei
figli dei cognati e dei generi. Quando la regola conformizza salari ed
orari, sorge l'anacoreta il quale vende direttamente al consumatore il
frutto del suo lavoro compiuto da solo senza vincolo d'orario o salario. Se
la grande fabbrica, con la rete dei grossisti e minutanti e le norme
cresciute attorno ad essi per regolarne i rapporti a seconda di quella che
dicesi equità, è costretta a vendere i cappelli a zoo lire l'uno, il
consumatore attento finisce per scoprire nel buio di un cortile cittadino
l'anacoreta, il quale lavorando da sé, aiutato da famigliari grandi e
piccoli, il feltro acquistato dal produttore, vende cappelli identici, per
eleganza e bontà, a 40 lire. Dico che costoro sono anacoreti, non perché
siano mossi da un qualsiasi anelito spirituale verso l'alto, ma perché
ubbidiscono all'istinto di sviluppare la propria persona secondo l'impulso
che il cuore, cantando nella maniera materiale e grossa loro propria, ordina
ad essi di seguire. Il loro canto non è, certo, quello del poeta; il loro
pensiero di non conformisti non è consapevole e chiaro; ma che vi sia canto
e pensiero è manifesto dalla gioia che l'anacoreta economico sente per il
lavoro compiuto. La gioia di uno dei 50, dei 100 mila dipendenti della
grande impresa conformista nel vedere uscire fuori dalla fabbrica o dal
cantiere una vettura automobile, un quintale di perfosfato, un grattacielo
è gioia diffusa indiretta invidiosa. Ma dopo dieci, dopo venti anni
l'anacoreta il quale, nel buio di una corte dei miracoli, al lume di una
candela, ha ridonato l'oro antico ad uno specchio guasto dal tempo, lo
stuccatore che ha tirato a mano un cornicione, il falegname il quale ha
messo insieme i pezzi del legno del pavimento di una casa alla cui
costruzione egli ha collaborato con pochi altri, ricorda il lavoro compiuto,
è fiero di vederlo durare e gioisce se chi glie l'aveva commesso glie ne fa
complimento. Nella sua rozza maniera, l'anacoreta economico sente che il
compenso ricevuto non fu il salario; ma questo fu per lui solo lo strumento
il quale gli consentì di compiere il suo dovere.
10. Non tutti i tipi di organizzazione economica sono ugualmente atti a
favorire la piena liberazione dello spirito anelante, diversamente a seconda
degli uomini, a svolgere quel che di migliore è in ognuno di noi. Non lo è
il comunismo; se per comunismo noi intendiamo, come è oggi in Russia e come
è probabile sarebbe in ogni paese dove si pretendesse instaurare quel
regime, una organizzazione coercitiva della produzione ordinata a norma di
certe tavole della legge di volta in volta promulgate dal gruppo dominante.
Non lo è il capitalismo, se per capitalismo intendiamo, come tende ad
essere in tanta parte del mondo occidentale, il regime il quale da ad un
numero decrescente di capi, scelti per qualità non economiche, il
privilegio esclusivo di governare gli strumenti materiali della produzione.
Comunismo e capitalismo monopolistico tendono a uniformizzare a
conformizzare le azioni le deliberazioni il pensiero degli uomini, a
distruggere la gioia di vivere, che è gioia di creare, che è sensazione di
aver adempiuto un dovere, che è anelito verso la libertà, che è desiderio
di vivere in una società di uomini ugualmente liberi di compiere la propria
missione.
11. Quando il filosofo dice che la libertà morale è compatibile con
qualunque ordinamento economico dice il vero per gli eroi per i pensatori e
per gli anacoreti. Costoro vivono spiritualmente e moralmente liberi entro
qualunque ordinamento economico anche il più conformistico e mortificante.
Spinoza, sfaccettando brillanti, crea in se stesso un mondo spirituale e
liberamente pensa e lega al mondo il suo pensiero. Ma il filosofo pronuncia
nel momento medesimo una sentenza terribile per un'umanità composta di
poveri esseri, i quali, bisognosi di essere aiutati a giungere alla
coscienza di sé me desimi, sono incolpevoli della oscurità morale in cui
giacciono ed incapaci di scorgere le mille e mille fila che tolgono libertà
alla loro anima. Se vi sono ordinamenti economici, come il comunismo ed il
capitalismo monopolistico, i quali tendono, per la indole loro propria, a
ridurre gli uomini a meri strumenti, anelli minimi di una ferrea catena che
lavora e produce, se questi ordinamenti tendono, per la loro stessa
invincibile natura, a imprimere uno stampo uniforme su tutti gli uomini, a
farli svegliare muovere entrare in certi luoghi di lavoro, che si direbbero
di pena, alla stessa ora, a compiere i medesimi atti, perché affermare che
la libertà morale può prosperare in qualunque ordinamento economico? Se la
filosofia indaga la realtà, perché chiudere gli occhi al fatto che in
certi ordinamenti economici la libertà è l'appannaggio di pochissimi eroi
o ribelli? Perché non studiare le ragioni per le quali in altri climi
storici, nella Atene di Pericle, in alcune città di un certo tempo del
medioevo, in alcuni decenni del secolo decimo-settimo inglese ed olandese,
in alcuni altri decenni del secolo decimonono del mondo occidentale
europeo-americano la libertà di pensare e di scrivere, il fervore delle
discussioni, il desiderio di elevazione spirituale e di perfezione morale
parve tendessero a divenire propri, se non di tutti, di un non minimo numero
di uomini? Perché non porsi la domanda: non quale ordinamento economico
creò quel moto verso l'alto, ma quale ordinamento gli uomini vollero
perché conforme alla loro esigenza di libertà?
12. Non voglio anticipare una risposta, la quale esige attenta meditazione;
ma forse può essere messa innanzi una ipotesi di studio: che quella
libertà che gli uomini in quei tempi chiedevano per le cose dello spirito
chiedessero altresì per le maniere di procacciarsi i beni economici.
13. Non esiste una esigenza morale del " capitalismo " se per
questo si intende, come dissi sopra, quella organizzazione economica per la
quale taluni uomini, essendo dapprima riusciti per merito proprio ossia per
il possesso di preclare qualità or-ganizzatrici, a mettersi a capo di
importanti imprese, riuscirono poscia a consolidare e ad estendere il loro
dominio vietando ad altri di contendere loro il campo. Ma è esistita, nei
momenti nei quali la libertà spirituale e quella economica furono più
sentite, ed esiste ancora oggi, consapevolmente o confusamente, la esigenza
di molti o pochi uomini a scegliere da sé il modo di procacciarsi i mezzi
di vita rendendo, a proprio rischio, servigio altrui. In ciò e non nel
possesso privato dei mezzi di produzione e in quella che dicesi
organizzazione capitalistica della società economica consiste il cosidetto
" liberalismo economico". Il pensatore è libero, anche se
schiavo, anche se deve ubbidire, senza discutere, strumento inerte, agli
ordini del capo dell'ufficio o della bottega in cui egli presta l'opera sua.
La libertà è da lui posseduta e goduta nel pensiero nella coscienza.
L'operaio di una immaginaria società comunistica, finora non mai esistita e
probabilmente destinata a non esistere mai, è libero quando, piccolissima
ruota di una macchina colossale collettiva, è persuaso di averla
consapevolmente voluta, di avere contribuito a crearla e eli contribuire
tuttora ad amministrarla. Poiché il suo orgoglio, la ragione della sua vita
è quella tal macchina, libertà per lui vuoi dire possibilità di prendere
parte attiva a quella creazione, come per il pensatore è la gioia di creare
e perfezionare il proprio pensiero. Ambi sanno che macchina e pensiero non
sono creazione loro esclusiva; sanno che molti altri uomini hanno
collaborato a crearli nel passato e nel presente; sanno che l'opera propria
sarebbe impossibile senza questa collaborazione; ma tuttavia sentono di
essere liberi perché hanno, essi, voluto in quell'opera collettiva
liberamente innestare il proprio contributo. Ma pensatore ed operaio
comunista diventano tiranni quando, dopo avere così conquistata per sé la
libertà, vogliono impedire ad altri, che non sente la gioia del pensare e
del lavorare allo stesso modo, di seguire la propria via.
14. Il rozzo contadino, il quale cinge con una siepe il campo, vi edifica
una casa per sé e vi fa crescere sopra frutta e viti ed olivi e fiori,
forse non ha mai meditato sulla libertà, eppure istintivamente si sente
libero. Pur tentando di dominarle, egli è servo delle stagioni, della
pioggia, della siccità, della grandine; ma non è servo di altro uomo. Sa
che, se i suoi prodotti sono belli e buoni, potrà sempre permutarli con le
altre cose a lui bisognevoli vendendoli sul mercato a uomini, i quali
rendono servigio a lui come egli lo rende ad essi. Non so se il bisogno di
libertà del contadino del mercante dell'artigiano dell'industriale del
professionista dell'artista, il bisogno di vivere la propria vita nel modo
che ognuno pensa essere più adatto a se stesso, entro i limiti in cui,
servendo a sé, si serve anche degli altri, sia di specie diversa od
inferiore in confronto al bisogno del pensatore di meditare liberamente,
alla libertà del religioso di predicare il proprio verbo, alla libertà
dell'uomo in genere di possedere la uguaglianza giuridica con ogni altro
uomo, alla libertà di essere giudicati da magistrati indipendenti e di
concorrere alla scelta dei capi destinati a governare gli affari comuni.
Dico che tutte queste libertà sono l'ima all'altra legate; e che in una
società comunistica " coercitiva " o in una società
capitalistica " chiusa " le libertà ordinarie non possono
esistere, perché non è libero l'uomo il quale trema al cenno del superiore
che gli può togliere il mezzo di procacciare pane a sé ed ai figli; e la
suprema libertà, quella di pensare ed operare in conformità ai dettami
della coscienza morale, diventa l'appannaggio di alcuni pochi eroi
anacoreti.
15. A far più vicino l'ideale di una società nella quale il massimo numero
di uomini si senta o sia libero, ogni uomo entro i limiti stabiliti da vari
gradi di perfezione della mente e della coscienza sua, non oserei dire, come
pare affermare Benedetto Croce, che sia strumento per sé efficace
l'istituto parlamentare. Questo è davvero mero strumento, privo di vita
autonoma. In una società comunistica "coercitiva", il parlamento
è l'espressione della burocrazia dominante organizzata, del piccolo
segretario alla Stalin, che ha saputo porsi al centro dei dominanti
burocrati, ognuno dei quali è potente in virtù della forza che riceve
dalla carica, non di quella che egli da ad essa; ed ognuno perciò trema di
sé e fa tremare altrui. In una società capitalistica " chiusa ",
il parlamento è la borsa nella quale gli avvocati dei grandi capi
dell'industria della finanza del commercio della navigazione
dell'agricoltura contrattano i privilegi rispettivi. In ambi i tipi di
assemblee le contrattazioni avvengono al suono di parole che Mosca chiamò
formule politiche e Pa-reto disse miti o derivazioni, e tutte conducono alla
schiavitù dei molti. Lo strumento parlamentare adempie all'ufficio di
assicurare libertà al numero massimo possibile di uomini quando già la
libertà è in atto nella società; quando non esiste una forza unica -
dicasi burocrazia comunistica od oligarchia capitalistica - capace di
sovrapporsi alle altre forze sociali; quando le forze esistenti realmente
nella società sono molte, le une dalle altre indipendenti e ognuna
consapevole e gelosa della propria forza autonoma. Non basta esistano
milioni di piccoli e medi proprietari indipendenti a garantire vita libera
ad un paese. Contrariamente alle apparenze, nella Russia degli czar
esistevano, anche prima della emancipazione dei servi della gleba, decine di
milioni di proprietari di fatto indipendenti; ma poiché avevano la faccia
intenta solo alla terra e curavano solo il cibo e la bevanda, non impedirono
che l'oligarchia burocratica czaristica governasse assolutisticamente e non
seppero op-porsi alla propria espropriazione da parte di una nuova
burocrazia la quale prometteva di riempire meglio di cibo e di vodka il loro
ventre. Nella seconda metà del settecento invece gli agricoltori americani
avevano, meditando sul vangelo, imparato ad apprezzare la indipendenza
acquistata col possesso della terra; e, decisi a difenderla, pretesero che i
propri parlamenti valessero quanto i parlamenti della madrepatria
britannica. I parlamenti coloniali prima ed il congresso americano dopo
furono veri strumenti di libertà perché formati in una società di uomini
che si sentivano liberi e di cui nessuno o nessun gruppo era abbastanza
forte da opprimere la libertà altrui. Sarà sempre così in quel paese?
L'assalto odierno roosveltiano contro la Corte suprema, palladio ultimo in
quel paese della libertà delle minoranze contro la tirannia delle
maggioranze, non è certo debba produrre conseguenze dannose alla libertà,
prima dei pochi e poi di tutti; ma è indizio di uno stato d'animo il quale
non tollera, anche se il freno fu voluto dalla sapienza dei fondatori della
confederazione, alcun ritardo all'attuazione di piani economici voluti da un
gruppo di uomini definiti " sapienti " o " periti " e
fatti accettare a milioni di elettori dal fascino di un capo. Se negli Stati
Uniti dovesse trionfare il governo dei sapienti preconizzato all'alba del
secolo scorso da Saint Simon, lo strumento parlamentare, il quale agì in
difesa della libertà, finché fu l'eco di molte contrastanti forze sociali,
diventerebbe giocattolo in mano di un sinedrio di saggi. Sarebbe la fine
della libertà di quegli americani la cui saggezza fosse diversa da quella
propria del sinedrio. In breve ora sarebbe la fine della libertà di tutti
gli americani. Per ora siamo lontani dal tramonto, perché ancora la
saggezza dei sapienti consiglieri del presidente deve lottare con la
prepotenza dei gruppi chiusi del capitalismo, con le forze tradizionali dei
giudici, dei giuristi e dei professionisti, e con quelle vivacissime degli
agricoltori indipendenti, delle classi medie e dei ceti operai organizzati.
La libertà americana vede le sue sorti affidate non ai parlamenti ma
all'esito della lotta fra il conformismo della stampa gialla, della radio
dei vari frati Coughlin e dei diversi spacciatori di ricette sociali alla
Huey Long ed alla dott. Townsend, delle vetture automobili utilitarie, della
propaganda commerciale e simili macchine stritolatrici della volontà umana
ed il tenace non conformismo di uomini che vogliono vivere nella propria
casa, interpretare da sé la bibbia, creare la propria scuola, sovvenire la
propria chiesa dissidente dalle altre, rischiare la vita nella creazione del
proprio affare.
16. Perciò io guardo con scetticismo alla ipotesi, che ho fatto sopra per
chiarezza di ragionamento, della compatibilita della libertà con un
ordinamento comunistico non coercitivo: " se il sistema fosse
consapevolmente voluto... ". Che cosa vuoi dire volere consapevolmente
un dato ordinamento economico? Vuole consapevolmente il monaco il quale fa
voto di vivere tutta la vita dentro un convento, ossia dentro un
ordinamento, del quale non saprebbe concepirsi altro più squisitamente
comunistico? Sì, se egli conferma ogni giorno il voto, rinunciando a
tornare nel mondo che gli offre tante altre diverse maniere di vita; no, se
la norma legale gli vieta di rinnegare il voto non più suo. La società
comunistica, della quale si tratta, offre modo, a chi voglia, di uscirne? A
leggere i vangeli odierni, parrebbe escluso il ritorno od il passaggio ad
altri tipi sociali. In ciò gli ordinamenti comunistici oggi predicati (cosidetti
scientifici), si distinguono dagli esperimenti comunistici in voga nella
prima metà del secolo XIX (cosidetti utopistici). Il comunismo utopistico
alla Owen o alla Cabet pare compatibile, laddove quello scientifico alla
Marx sembra incompatibile, colla libertà.
17. La mia tesi torna dunque sempre al medesimo punto: l'idea della libertà
vive, sì, indipendente da quella norma pratica contingente che si chiamò
liberismo economico; ma non si attua, non informa di sé la vita dei molti e
dei più se non quando gli uomini, per la stessa ragione per cui vollero
essere moralmente liberi, siano riusciti a creare tipi di organizzazione
economica adatti a quella vita libera.
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