Come per i
singoli istituti sociali ed i diversi costumi, così esiste un punto
critico, al di là del quale una società degenera e decade per esagerazione
di uno dei suoi elementi. Una società di onesta gente ubbidiente diventa
presto vittima del tiranno o morta gora di impiegati e di mandarini, la cui
carriera si svolge attraverso ad esami e concorsi, concorsi ed esami,
gerarchie di gradi, di onorificenze e di stipendi. Chiamavasi "
regola" quella che S. Benedetto, S. Francesco e gli altri grandi
fondatori avevano dato agli ordini monastici; così come oggi si chiamano
" piani " o " programmi " quelli che i consigli
dirigenti delle società comunistiche formulano per la organizzazione del
lavoro e la giusta ripartizione del prodotto totale sociale fra tutti i
cittadini. La " regola " era fondata sullo spirito di rinuncia
dell'individuo, sulla dedizione dei singoli al bene comune, sull'abbandono
dei beni terreni per la conquista della felicità eterna.
Finché durò lo spirito di rinuncia, di dedizione, di abbandono, conventi e
monasteri prosperarono; si dissodarono lande incolte, la vita materiale e
spirituale risorse attenuando la ferocia dei costumi barbari, furono
coltivate le discipline sacre e profane ed i conventi diventarono fari
luminosi di cultura in mezzo alle tenebre medioevali. Giunse tuttavia il
momento in che i più degni, i fratelli maggiormente dotati dello spirito di
carità, di rinuncia e di ubbidienza riluttarono ad assumere le redini del
convento e queste caddero in mano agli ambiziosi, agli ipocriti, a coloro
che perseguivano ideali terreni. Dappertutto, a distanza di cento anni dalla
fondazione, più o meno, si assiste alla medesima vicenda: un padre
guardiano, un priore il quale per adornare meglio l'altare o per fare
sfoggio di liete accoglienze ai potenti della terra, esige strettamente le
prestazioni dovute dai villani deditizi, i quali avevano donato sé, i
famigliari e la terra al convento in cambio di protezione; riduce il cibo ed
i vestiti prima ai conversi e poi ai fratelli. L'uguaglianza tra i fratelli
ed i conversi è violata a favore dei cadetti delle grandi famiglie feudali;
le cariche vengono attribuite a preferenza ai fratelli privilegiati e poi
diventano ereditarie; sinché verso la fine del secolo XIV l'antica
uguaglianza comunistica è venuta meno e sul convento impera l'abate
commendatario, designato tra i cadetti della famiglia che forse in origine
aveva dotato il convento di qualche terra. I redditi delle terre conventuali
sono suoi; ed i frati vivono di questue e di elemosine. Trascurate le sacre
funzioni, negletti gli studi, la vita trascorre uniforme nell'adempimento
dei riti consueti ed in inutili maldicenze. Sinché i conventi furono
poveri, solo gli uomini pronti al sacrificio vi entravano; e questi si
dedicavano con entusiasmo a dissodar la terra, a leggere negli antichi
codici, a predicare la parola di Cristo; e tra i migliori l'ottimo era, per
consenso universale, eletto capo. Ma egli non aveva uopo di comandare, che
bastava il suo esempio a fare osservare spontaneamente da tutti la regola.
Così il convento prosperava; e le donazioni dei fedeli affluivano; e molti
desideravano dedicar ad esso sé e la famiglia ed i beni, sicuri di
ottenerne protezione e pace. Ma la ricchezza partorisce la corruzione; agli
uomini del sacrificio si aggiungono i procaccianti, gli amanti della vita
detta contemplativa perché comoda. I grandi destinano al convento i cadetti
e questi ambiscono i posti di comando; e così ha inizio la decadenza.
Non diverso è il giudizio sulle società comunistidhe, dove si è
oltrepassato il punto critico dell'equilibrio tra la sfera pubblica e quella
privata; e tutti i mezzi di produzione sono divenuti pubblici. Se tutti gli
uomini fossero nati all'ubbidienza e se esistesse un mezzo di selezione per
cui i migliori fossero portati ai posti di comando, quella società potrebbe
vivere e se non grandeggiare, rendere contento l'universale. Ma ridotta
nelle campagne la sfera privata a quella d'uso, all'economia della casa dove
la famiglia vive, dell'orto e del giardino, degli animali da cortile e di
quell'unico grosso capo il quale può essere alimentato coll'erba del breve
terreno circostante alla casa; scomparsa del tutto ogni sfera privata nelle
città all'infuori delle poche camere d'abitazione, subito si vede quanto
sia grande il potere di coloro che stanno ai posti di comando, là dove si
compilano i piani della produzione e si sovraintende alla loro esecuzione.
Ai posti di comando si delibera quanta parte dei fattori di produzione -
terre, macchine, scorte, lavoro -debba essere destinata a produrre beni
strumentali (risparmio-investimenti) e quanta a produrre beni di consumo.
Se i dirigenti hanno l'occhio intento più al futuro che al presente, minore
sarà la quota destinata a produrre beni presenti e più basso il tenore di
vita della popolazione. Il lavoro, impiegato a costruire ferrovie nuove, a
regolar fiumi, a contenere acque ed a renderle atte a produrre energia
elettrica od a irrigar campi non può essere contemporaneamente destinato a
produrre frumento o carni o latte o vestiti o case.
Se i dirigenti paventano o desiderano guerra di difesa o di conquista, hanno
il potere di destinare i fattori produttivi a creare mezzi strumentali di
guerra invece che di pace. Per ciò che si riferisce ai beni di consumo,
essi hanno il potere - e perché, avendolo, non lo userebbero? - di
scegliere quei beni i quali, secondo il loro criterio, sono più utili ai
consumatori. Al luogo della domanda volontaria essi hanno la facoltà di
porre un loro proprio criterio, il quale potrà essere oggettivo,
scientifico, ad esempio l'ottima dieta alimentare calcolata con i più
perfetti metodi consigliati dalla fisiologia e dall'igiene, ma è diverso da
quello che spontaneamente sarebbe adottato dagli uomini consumatori.
Se trattasi di beni di consumo durevoli, gli ordinatori del piano hanno il
potere di dichiarare preferenze per le vetture automobili, o per gli
apparecchi radio o per quelli telefonici, o per una camera di più; e la
scelta può essere determinata da ragioni economiche o politiche o
propagandistiche. Chi, se non le autorità dei piani, deciderà quali
classici debbano essere ristampati, quali correnti di idee diffuse nei
libri, nelle riviste e nei giornali? Chi sceglierà, fra le innumerevoli
proposte di invenzioni, quelle le quali meritano di essere sperimentate e
poi attuate? Chi adotterà metodi, diversi da quelli usati, nel produrre,
nel vendere, nel trasportare?
L'unico criterio il quale sembra dovere essere accolto è quello
consigliato, comandato dalla scienza. Il programma, se non è di
umiliazione, come nei conventi, alla volontà di Dio, di rinuncia ai propri
desideri a vantaggio altrui, non è nulla se non è razionale. Solo la
ragione, guidata dalla scienza, decide le scelte che devono essere compiute
dai dirigenti fra le tante vie le quali si presentano dinnanzi ad essi. La
scienza di chi? La scienza teorica insegnata nelle scuole, accolta dagli
scienziati già famosi; la scienza applicata con successo da tecnici
accreditati, i quali hanno già fatto le loro prove; ovvero la scienza la
quale si oppone ora ai principi accolti, che pretende di scuo-terne le
fondamenta astratte e le applicazioni concrete? I dirigenti del piano non
possono arrischiare le risorse, sempre limitate, della collettività in
esperimenti, i quali potrebbero riuscire male. Affideranno il nuovo, il mai
tentato, l'innovatore ad un laboratorio studi, a uso istituto universitario
sperimentale. Frattanto, il metodo usato sarà quello già provato, già
sperimentato.
Una società a programma non può subito tentare il nuovo. Che se,
nelle cose riguardanti la materia, la produzione dei beni materiali, le
invenzioni finiranno pur sempre, essendo apprensibili dalla ragione, con
l'essere accolte, quali probabilità ci saranno che il nuovo e il diverso
trovino accoglienza nelle cose dello spirito? Quale la sorte di colui il
quale affermasse che, accanto ai libri indirizzati a spiegare ed a
descrivere il "programma", a dimostrarne la razionalità, a
chiarire i vantaggi del consumare quei tanti grassi e proteine e vitamine le
quali compongono l'ottima razione posta dai dirigenti a disposizione dei
consumatori, devono essere pubblicati libri i quali cerchino di dimostrare
la necessità di lasciare ai dirigenti il piano alimentare la mera facoltà
del consiglio, non mai della decisione? Spettare questa decisione all'uomo
singolo, al quale deve essere riconosciuto il diritto di non seguire i piani
ottimi dei dirigenti, di mettere sotto i piedi i consigli più razionali
della scienza; di preferire il pane di segala, se così gli talenta, a
quello di frumento, pur maggiormente nutritivo, di mettere la polenta al
disopra della carne; di non volerne sapere della radio o del telefono o dei
giornali pubblicati col consenso dei dirigenti intellettuali; ma di volere
invece dar opera a restaurare una cappella distrutta dagli atei o di voler
acquistare un giornale straniero, il quale ogni giorno pubblica critiche
delle economie a programma ed insegna che i programmi consacrano
l'onnipotenza dei dirigenti?
Come nei conventi, coloro i quali non credono nella " regola " e
discutono qualcuno degli articoli di fede su cui la regola è fondata, sono
eretici vitandi e, scomunicati, sono posti al bando della comunità, così i
ribelli ai principi medesimi del programma in una società comunistica sono
corpi estranei, i quali non possono essere tollerati. Anche se si fa
astrazione dallo sterminio fisico dei milioni di eretici, presunti tali
perché appartenenti ai ceti dell'aristocrazia o della borghesia o della
vecchia intelligenza, anche se non si voglia, contro le offerte
testimonianze, prestar fede ai processi contro gli eretici usciti fuori
dalle file medesime dei comunisti ma non ossequenti in tutto al comando dei
dirigenti, è evidente che in una società programmata o comunistica il
dissidente, colui che nega il diritto dei dirigenti di decidere al luogo dei
singoli uomini nelle cose che li riguardano singolarmente, non può né ora
né poi né mai essere tollerato. In tempi divenuti più gentili, meno
feroci per essere oramai il sistema saldo in arcione, l'eretico deve essere
se non soppresso, messo al bando. L'ostracismo è la sanzione più tenue si
possa immaginare contro il ribelle ai programmi.
La scelta dei nuovi dirigenti è fatta in ragione dell'ossequio prestato a
coloro i quali già si trovano a capo dei corpi, dei consessi direttivi dei
programmi. Prima importa essere ammessi a dirigere; e poi si potrà
dimostrare che la via seguita fino ad ora non è in tutto razionale, ma può
e deve essere modificata in ossequio alla ragione. Il dettame della scienza
deve, prima di diventare norma di condotta, passare attraverso alla trafila
degli organi costituzionali. Giova ciò al progresso della scienza e delle
sue applicazioni? Anche se non si voglia risolvere il quesito, importa
constatare che il metodo dei programmi applicato a tutta la vita, quella
materiale e quella intellettuale, accentua il carattere di uniformizzazione,
di livellamento, di adeguamento ad un metro comune che è proprio della
civiltà moderna industriale e ne costituisce uno dei maggiori pericoli. In
omaggio alla ragione, in ossequio alla scienza, la vita che è il nuovo, che
è l'insolito, che è varietà, che è contrasto, che è dissidio, che è
lotta, perde la sua medesima ragione d'essere.
Ancora una volta, coll'estendere il programma fuori della sua sfera propria,
che è quella pubblica, alla sfera che è invece propria dell'individuo,
della famiglia, del gruppo sociale, della vicinanza, della comunità, della
associazione volontaria, della fondazione scolastica benefica educativa,
tutti istituti coordinati bensì ed interdipendenti ma forniti di propria
vita autonoma, di propria volontà, noi abbiamo oltrepassato il punto
critico. Siamo di fronte non ad una società di uomini vivi, ma ad un
aggregato di automi manovrati da un centro, da una autorità superiore.
Sinché in costoro non siano ancora spenti altri impulsi, altri sentimenti
ereditati dalle generazioni passate, succhiati col sangue materno, appresi
dalla tradizione degli avi, questi automi saranno dei magnifici soldati
pronti ad ubbidire al comando di chi ordina loro di farsi uccidere; ma non
sono cittadini consapevoli, non sono uomini, i quali a chi comanda di
compiere un atto contro coscienza sappiano rispondere: no, fin qui comanda
Cesare, al di qua ubbidiamo solo a Cristo ed alla nostra coscienza.
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