Quale è
dunque la società, nella quale gli uomini si sentano veramente liberi e
liberamente operino?
La risposta è venuta da Socrate, è venuta da Cristo. Non dalla società la
quale circonda l'uomo viene la libertà; ma dall'uomo stesso. L'uomo deve
trovare in se stesso, nel suo animo, nella forza del suo carattere la
libertà che va cercando. La libertà è spirito non è materia. Il
prigioniero, il quale potrebbe acquistare la libertà se chiedesse grazia al
tiranno e non la scrive perché non riconosce nel tiranno e nei suoi giudici
la potestà di giudicarlo, è uomo libero. L'eretico, il quale potrebbe
colPabiura od anche solo colla dissimulazione, l'ebreo, il quale potrebbe,
facendosi marrano, salvare la vita, ed invece confessa la sua fede e cammina
diritto verso il rogo, è uomo libero. Il pensatore potrebbe dichiarare nel
libro apertamente il suo pensiero, purché nella dedica, nella prefazione e
nella chiusa avvertisse che i principi da lui esposti si muovono in un campo
terreno ed astratto e non infirmano l'osservanza dovuta ai precetti della
religione dominante od ai comandamenti della setta che è padrona dello
stato. Se non scrive la dedica perché sente che il suo pensiero mina
appunto quella religione o il potere di quella setta e non la scrive, pur
sapendo di correre il rischio di prigionia o di morte, quegli è uomo
libero.
La libertà, che è esigenza dello spirito, che è ideale e dovere morale,
non abbisogna di istituzioni giuridiche che la sanciscono e la proteggono,
non ha d'uopo di vivere in questa o quella specie di società politica,
autoritaria o parlamentare, tirannica o democratica; di una particolare
economia liberistica o di mercato ovvero comunistica o programmata. La
libertà esiste, se esistono uomini liberi; muore se gli uomini hanno
l'animo di servi. I fratelli che si riuniscono a vita religiosa, e
rinunciando ai beni del mondo, mettono tutte le loro ricchezze in monte per
sé e per i poveri, e conducono quella vita che al padre guardiano piace di
ordinare e consumano quei cibi e vestono quei panni che sono ad essi
distribuiti d'autorità, quei fratelli sono liberi nella società
comunistica che essi ogni giorno consapevolmente vogliono e ricreano.
Potrebbero uscire dal convento; ma poiché volontariamente vi rimangono, si
riconosca che quella società comunistica è un frutto della libera
determinazione. Quegli operai, i quali, volendo sottrarsi alle dipendenze di
un imprenditore, hanno, con lunghi mesi di rinuncia, risparmiato
inizialmente il fondo necessario ad acquistare badili e zappe e vanghe e
carrette e cavalli ed a mantenere nell'attesa se stessi e la famiglia ed
hanno costituito una cooperativa, inspirata al principio: tutto il prodotto
del lavoro a chi lavora, ed hanno, fattisi terrazzieri, assunto un appalto
di lavoro e quel lavoro hanno compiuto a regola d'arte; ed avendolo
meritato, hanno ottenuto il credito necessario ad allargar l'impresa; ma
sempre perseverarono nel principio che tutti i nuovi lavoranti, dopo
bastevole prova di onestà e di laboriosità, diventassero soci e sempre,
tratti dal loro seno, ebbero capi pronti ad ordinarne la fatica, con
re-munerazione non diversamente misurata da quella dei grega-ri; quegli
operai, anche essi, sono uomini liberi, sebbene ed appunto perché essi
persistono nel condursi vicendevolmente secondo principi comunistici,
conservando in comune gli strumenti della produzione e ripartendo tra i
singoli soltanto i frutti del lavoro comune. Ma è anche libero l'artigiano,
proprietario della bottega, del macchinario, degli utensili e delle scorte,
il quale acquista sul mercato le materie prime, assolda, pagando il salario
corrente, i garzoni di cui si aiuta e vende il prodotto direttamente alla
clientela. Nessun cliente è costretto, dall'amicizia, dalla vicinanza, o da
vincoli legali a servirsi di lui; nessun apprendista o garzone è legato,
ognuno potendo offrire ad altri i propri servigi ed i più irrequieti si
muovono infatti frequentemente dall'uno all'altro, né è grave la
difficoltà per il giovane laborioso e di buona volontà, di mettere su
bottega per proprio conto. L'artigiano trova libertà nella letizia del
lavoro compiuto, nella soddisfazione di averlo condotto a termine a perfetta
regola d'arte, nella meritata lode del cliente. In una economia di mercato,
non programmata dall'alto, molti imprenditori ed operai, proprietari e
contadini e professionisti sono uomini liberi. Forse non sanno di esserlo;
ma di fatto sono. L'industriale, il quale è riuscito a produrre una data
mercé ad un costo minore dei concorrenti e ne ha cresciuto lo spaccio, con
risparmio dei consumatori e vantaggio proprio, il quale, forse senza
proposito deliberato, ha contribuito con la sua domanda e grazie
all'incremento del prodotto, a migliorare il compenso pagato agli operai
nella sua industria, sente di essere stato qualcheduno, sente di aver creato
qualcosa che prima non esisteva. Se anche la sua creazione è effimera, ha
recato, finché durò, vantaggio a qualcuno. L'orgoglio che egli sente,
forse grossolano, forse oggetto di compassione per gli eredi di una secolare
fine educazione, è orgoglio d'uomo, di uomo che volle e riuscì. I suoi
sentimenti paiono terra terra; né egli innalza lo sguardo verso l'alto; ma
senza il demone interiore che agitava il suo spirito, egli non avrebbe
creato qualcosa. Il proprietario il quale, giunto verso la sera della vita,
ricorda i lunghi decenni durante i quali egli ha rinunciato a godere il
frutto della sua terra e col risparmio cosi compiuto, l'ha trasformata con
strade nuove e case ricostruite e spianamenti ed impianti di frutteti o di
vigneti o di oliveti o con opere di irrigazione, sicché dove viveva
miseramente una famiglia, oggi due o tre famiglie traggono vita decorosa,
sente, anch'egli, di aver creato qualcosa. Quelle case, quegli spianamenti,
quegli alberi fruttiferi, quei campi fecondi sono cose materiali sì, ma
sono creazioni del suo spirito, che volle quel risultato invece di altre
cose materiali che avrebbe potuto godere lungo quel mezzo secolo: dal fumo
delle sigarette, a cui rinunciò, all'eccitazione del gioco, dai viaggi con
amici o famigliati ai pranzi in lieta compagnia, dalla frequenza a
spettacoli agli sport invernali. La volontà sua libera decise altrimenti ed
egli ora si compiace di avere fatto quell'uso della sua libertà. Così
l'avvocato, ripensando la sera al lavoro della giornata trascorsa, ricorda
di avere licenziato il cliente che gli faceva sperare forte lucro se avesse
consentito a difendere una causa ingiusta e si compiace del buon consiglio,
dato ad altro cliente con modico compenso, di transigere, a risparmio di
spese forensi e giudiziarie, una lite pur fondata su sicure ragioni. Così
il medico medita sulla diagnosi che gli fa sperare di ridonar presto la
salute ad un ammalato od all'altra che gli ha fatto sconsigliare un
intervento chirurgico, lucroso per lui ma inutile per il cliente, oramai
condannato. La voce della coscienza gli dice: anche se non avrai coltivato,
prolungandola innocuamente, la malattia dell'uno e sfruttato la speranza di
salvezza dell'altro cliente, tu hai compiuto il tuo dovere. Hai usato della
tua libertà per rinunciare al vantaggio che poteva venirti dal danno
altrui; epperciò tu sei uomo libero.
Sì; in ogni tipo di società e di economia, l'uomo che ubbidisce alla voce
della coscienza, è libero. La libertà individuale, dell'uomo consapevole,
dell'uomo che sa di dovere ubbidire alla voce del dovere non dipende da
fatti esteriori come l'organizzazione sociale e politica. Queste sono non la
causa, ma il risultato della libertà o della sua mancanza. Se in una
società esiste un bastevole numero di uomini veramente liberi, non importa
quale sia la sua organizzazione economica sociale o politica. La lettera non
potrà uccidere lo spirito. Una economia comandata o programmata dall'alto
presuppone o cagiona od in ogni modo è inscindibilmente collegata con la
tirannia dei pochi e la servitù dei più, se nei pochi e nei più manca il
sentimento della libertà, se i pochi intendono giovarsi del potere per
affermare la propria dominazione ed i più si acquetano al comando e
perfezionano le qualità di intrigo di adulazione e di ubbidienza cieca che
giovano a far ascendere a posti di comando. Ma se domini invece senso del
dovere, coscienza civica, abnegazione individuale, rispetto alla persona
altrui, potranno essere commessi errori, i risultati ottenuti potranno
essere inferiori a quelli ideali sperati; ma quella sarà la società voluta
dalla coscienza collettiva. E se così è, perché altri può asseverare non
esistere libertà? È nemico di libertà tanto il legislatore il quale vieta
al fratello di rinunciare al voto professato altra volta ed oggi non più
rispondente alla coscienza, quanto quegli il quale espelle a forza i
fratelli dal convento dove essi liberamente intendono rimanere. È nemico di
libertà tanto il governante il quale usa la forza legale o morale per
costringere l'uomo a lavorare nella fabbrica appartenente allo stato quanto
quegli che, in una economia di mercato, vieti od impedisca, a chi vuole
vivere comunisticamente, di costruire una impresa informata a criteri
contrari alla proprietà individuale dei mezzi di produzione.
Gli eretici hanno ragion di vivere in ogni tipo di società; sia che, in una
economia di mercato, eretici siano coloro i quali volontariamente deliberano
di mettere sforzi e risparmi in comune e ripartire il frutto del lavoro
presente e di quello passato secondo la regola del bisogno od altra voluta
dalla comunità, sia che, in una economia comunistica, eretici siano coloro
i quali deliberano di non lavorare in comune e di ripartirsi tra loro i
frutti dell'impresa individuale secondo le regole dello scambio in libera
contrattazione. Dove gli ortodossi sono tali per comando dall'alto e gli
eretici sono messi al bando dall'acqua e dal fuoco; dove è impossibile la
fuga degli anacoreti nel deserto o nella foresta, ivi non è libertà, se
non per i santi e gli eroi.
Neghiamo forse così l'insegnamento il quale afferma il dominio dello
spirito sulla materia, la indipendenza della libertà dalle istituzioni
sociali e politiche ed ordina all'uomo: cerca la libertà in te stesso,
nella tua volontà di essere libero? No. Accanto alla libertà dell'eroe che
sfida la galera, del martire il quale confessa la fede in Cristo dinnanzi
alle belve del circo, del pensatore, il quale, ignorando il tiranno e
reputandolo non esistente, dichiara la verità senza preoccuparsi delle
conseguenze di essa, vi ha invero la libertà dell'uomo, dell'insegnante,
dell'artista, del contadino, del risparmiatore, del lavoratore, del
giornalista, dell'amministratore pubblico, del cittadino comune, in genere,
il quale vuole godere della libertà pratica, della libertà intesa e
desiderata dalla maggior parte degli umani: quella di pensare ad alta voce,
di scrivere e di pubblicare quel che ad ognuno capita di pensare e di voler
scrivere senza essere guidato e diretto da una autorità superiore coattiva;
di operare e lavorare e muoversi senza dovere obbedire ad altre regole se
non quelle dichiarate in leggi scritte, deliberate da organi legislativi
eletti secondo la volontà liberamente e segretamente manifestata da tutti
gli uomini; di lodare o biasimare, senza ingiuria o calunnia, legislatori e
governanti senza tema di carcere, di multe o di confische; di tentare di
cacciar di seggio il governo in carica se a taluno riesca di conquistare la
maggioranza degli elettori o degli eletti; di rimanere al governo sinché
non si sia cacciati via dalla maggioranza medesima degli elettori e degli
eletti; di condurre la propria vita, da solo od associato ai propri compagni
di lavoro, costruendo imprese individuali od associate o cooperative o
comunistiche, entro limiti posti dalla legge esclusivamente allo scopo di
impedire che ognuno danneggi l'uguale diritto altrui a condurre
medesimamente la propria vita a proprio piacimento. L'uomo della strada,
l'uomo comune, quando cerca di riassumere in poche parole quella che egli
intende per libertà, è portato ad identificarla con uno stato di cose nel
quale non esista il tiranno, il dittatore in tempo di pace, sia che il
tiranno a sua volta ubbidisca alla volontà dei pochi sia che si faccia eco
o sfrutti la volontà o gli oscuri desideri delle moltitudini. Egli sa che
la mala pianta della tirannide, coll'accompagnamento necessario dello stato
di polizia, della mancanza della indipendenza della magistratura, dello
spionaggio universale e persino famigliare, della soppressione della
libertà di stampa e della sostituzione ai giornali dell'unico bollettino,
con titoli diversi, della voce del padrone, della riduzione ad uno solo dei
partiti politici, delle elezioni plebiscitarie al 99% dei sì, prospera
volentieri in un dato clima economico e preferisce perciò una struttura
della società nella quale al sorgere del tiranno siano posti argini
variamente efficaci di forze sociali avverse per indole propria alla
tirannia. Egli sa che la tirannia è vicina quando esista una disparità
notevole nelle fortune e nei redditi dei cittadini, sicché accanto a pochi
ricchissimi si osservino moltitudini di nullatenenti e non esista un
numeroso e prospero ceto medio; sì che il tiranno può venir fuori sia dai
pochi desiderosi di disporre di uno strumento della propria dominazione
economica, sia dai molti ai quali il demagogo ambizioso di conquistare il
potere assoluto prometta il saccheggio delle ricchezze dei pochi. Egli sa
che la tirannia è vicina ed anzi è già quasi in atto quando lo stato
abbia cresciuto siffattamente i suoi compiti che troppa parte della
popolazione attenda i mezzi di esistenza da un pubblico impiego in una delle
tradizionali pubbliche amministrazioni ovvero in qualcuna delle nuove
gestioni industriali assunte dallo stato; poiché quando l'uomo dipende per
il pane quotidiano da un funzionario statale il quale sta ai disopra idi
lei, e questi a sua volta dipende da un funzionario ancor più alto situato,
nasce una gerarchia di uomini ubbidienti invece di una società di liberi
cittadini. Perciò l'uomo della strada, nemico del tiranno e desideroso di
vivere liberamente così come piace all'uomo comune, desideroso di pace e di
giustizia, involontariamente, pur non avendo notizia di alcuna teoria in
proposito, aborre dai tipi di società i quali si avvicinino al punto
critico; aborre cioè ugualmente dalle società dove la ricchezza è
concentrata in poche mani come da quelle nelle quali i beni strumentali, i
cosiddetti strumenti della produzione, sono posseduti da una mitica cosiddetta
collettività, che vuoi dire il gruppo politico o sociale impadronitosi del
potere, qualunque sia la formula, nazionalistica o razzistica o comunistica,
con la quale si sia giustificata la conquista del potere. Egli sa o sente
che questi tipi di società e di governo tendono alla tirannia ed, essendo
instabili, abbisognano di sempre nuove conquiste e sono perciò
inesorabilmente tratti alla guerra.
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