La libertà
di cui parlo non è quella della coscienza individuale la quale vive anche
nelle galere e nei campi di concentramento e fa gli eroi ed i martiri; ma è
la libertà pratica dell'uomo comune, dell'italiano medio di esporre
pubblicamente, senza timore, il proprio pensiero e di difenderlo contro gli
avversari; la libertà delle minoranze di far propaganda contro la
maggioranza e di cercare di diventare maggioranza; la libertà di esercitare
o non esercitare quel qualunque mestiere o professione piaccia al singolo,
senza altri vincoli od impedimenti fuor di quelli richiesti dal diritto
altrui di non essere danneggiato dall'operato nostro; la libertà di
muoversi da luogo a luogo senza sottostare a vincoli che, quando ci sono,
non sono nient'affatto diversi dal domicilio coatto o dalla servitù della
gleba; la libertà di dir corna del prossimo e del governo e massimamente di
questo, nei giornali e sulle piazze; salvo a pagare il fio, con adeguate
pene in denaro o in anni di carcere, delle proprie calunnie ed ingiurie.
Quali sono i mezzi atti ad attuare queste libertà e le altre scritte nelle
costituzioni di tutti i popoli liberi ed anche nella nuova Costituzione
italiana? Oggi è assai popolare ed accettata l'idea che le libertà civili
e politiche, proclamate nelle carte dei diritti dell'uomo della fine del
secolo XVIII non possano stare da sé, anzi non abbiano vita vera se non
siano accompagnate da un'altra libertà, quella economica. A che serve la
libertà politica a chi dipende da altri per soddisfare ai bisogni
elementari della vita? Fa d'uopo dare all'uomo la sicurezza della vita
materiale, dargli la libertà dal bisogno, perché egli sia veramente libero
nella vita civile e politica, perché egli si senta davvero uguale agli
altri uomini e libero dall'obbligo di ubbidire ad essi nella scelta dei
governanti, nella manifestazione del pensiero e delle credenze. La libertà
economica è la condizione necessaria della libertà politica.
C'è del vero nella tesi. La libertà che per l'uomo singolo è un fatto
morale, il quale esiste e fiorisce in qualunque clima economico, per l'uomo
comune, nei rapporti con i suoi simili, è un fatto strettamente connesso
con la struttura economica della società. Vi sono due estremi nei quali
sembra difficile concepire l'esercizio effettivo, pratico della libertà:
all'un estremo tutta la ricchezza essendo posseduta da un solo colossale
monopolista privato; ed all'altro estremo dalla collettività. I due estremi
si chiamano comunemente monopolismo e collettivismo: ed ambedue sono fatali
alla libertà.
Il primo estremo coincide suppergiù col termine ultimo assegnato alla
struttura detta capitalistica della società nel manifesto dei comunisti del
1848: quando, divorati i piccoli industriali ed agricoltori dalla
concorrenza vittoriosa dei medi e questi da quella dei grandi e così via
dei grandissimi e dei colossali, tutta l'umanità gemerebbe sotto la ferula
di un solo o di pochi monopolisti, padroni assoluti della sorte delle
moltitudini. Nessuno potendo vivere se non a salario del monopolista, tutti
sarebbero suoi schiavi ed ogni manifestazione del pensiero, della religione,
della stampa, della parola sarebbe alla mercé dell'unico padrone. Arduo
sarebbe invero immaginare che, in siffatta situazione economica, possa
sopravvivere la libertà, eccetto che nel più intimo e nascosto foro della
coscienza individuale. Se ciò è vero, bisogna aggiungere subito che la
previsione del manifesto dei comunisti del 1848 appare oggi la più irreale
delle tante farneticazioni scritte nelle mille e mille " utopie "
di cui si ha notizia nelle storie delle dottrine sociali. La tendenza della
concorrenza a distruggere se stessa ed a convertirsi nel suo opposto, nel
monopolio, non trova conferma nella storia di nessun Paese durante il secolo
corso dopo il 1848. In nessun Paese lo spettacolo di autofagia descritto un
secolo fa ha trovato attuazione; sicché, spazientiti, i comunisti quando
vollero in Russia impadronirsi del potere non aspettarono il fatidico
momento; ma colsero la prima occasione favorevole militare e politica senza
altrimenti occuparsi della esistenza o meno di un propizio ambiente
economico.
All'altro estremo, la ipotesi della ricchezza, dei beni strumentali, dei
cosiddetti mezzi di produzione posseduti unicamente dalla collettività
(ipotesi che si dice dai più collettivisti ca o comunistica ed alla quale
io non vorrei affibbiare alcun aggettivo) è ugualmente fatale alla
libertà. Se noi supponiamo che, salvo forse la casa, il mobilio e gli altri
beni di consumo e forse un pezzo d'orto, in quantità definita, tutti i beni
strumentali - terre, stabilimenti, scorte, ferrovie, strade, porti, ecc.
ecc. - appartengano alla collettività, non avremmo forse noi riprodotto,
salvo un particolare, la prima ipotesi della società
capitalistico-monopolistica? L'unico elemento differenziale sarebbe che,
nella ipotesi del monopolio privato, il cosiddetto (adopero spesso
l'aggettivo " cosiddetto " per mettere in guardia il lettore
contro l'uso inevitabile di parole del linguaggio comune, parole spesso
improprie e ribelli a definizioni precise) " profitto "
spetterebbe al monopolista, laddove nel caso del monopolio collettivo o
pubblico dicesi che il profitto spetterebbe alla collettività. Pur
supponendo, cosa contestabilissima, che un profitto continui ad esistere e
che, esistendo, sia destinato alla collettività, chiaro è che la libertà
sarebbe morta. L'ipotesi suppone invero che l'economia di tutto il Paese sia
regolata secondo un piano fissato da un'autorità centrale ed attuato da
organi od autorità o corpi o uffici o organizzazioni o cooperative o
comunità (il nome di nuovo non conta) via via sempre più localizzati o
specializzati sino a giungere all'unità (stabilimento reparto, fattoria,
magazzino, ecc. ecc.) operante e lavorante. Il sistema non può operare se
chi sta in basso non ubbidisce a chi sta in alto; ed esso non differisce
sostanzialmente dalle organizzazioni che noi conosciamo sotto il nome di
ministeri, con i loro gradi gerarchici e le loro categorie funzionali,
muniti dei necessari uffici e sotto uffici periferici. In una organizzazione
consimile, che un tempo si usava dire burocratica, ma non muta indole se,
mutato nomine, la si dice pianificata, possono manifestarsi talune libertà
specifiche, come quelle della critica alla bontà di questo o quel
procedimento amministrativo o tecnico, di questa o quella determinazione
delle merci da produrre e dei prezzi relativi. Le critiche possono risalire
dal basso in alto e contribuire alla formazione definitiva del piano; ma la
possibilità ed anche la eventuale frequenza delle critiche tecniche
scendenti ed ascendenti non muta nulla alla necessaria struttura del tipo
collettivistico della società; che è quello della dipendenza gerarchica di
coloro che sono situati in basso da coloro che sono situati in alto;
dell'operaio dal capo squadra; di questo dal capo reparto, del capo reparto
dall'ingegnere direttore di sezione e così via, ascendendo per li rami ai
direttori generali ed ai membri dei supremi consigli dei piani. In una
struttura che è necessariamente gerarchica, il rapporto tra uomo e uomo non
è quello di libertà, sibbene quello di dipendenza. Nessun uomo che non
voglia porsi fuori del sistema può sottrarsi al rapporto di dipendenza.
Anche l'uomo lavoratore, manuale o intellettuale, è un elemento del piano.
Egli non può spostarsi a suo piacimento da mestiere a mestiere e da piano a
piano, ma deve compiere quella funzione alla quale è ritenuto dai capi più
adatto e nel luogo fissato dal piano. Se egli falla, le sanzioni sono, e non
possono non essere, le solite: richiamo, rimprovero, ritardo
nell'avanzamento, riduzione del salario, sospensione di esso e, nei casi
più gravi, licenziamento. Che cosa, logicamente, vuoi dire licenziamento?
L'impossibilità di trovar lavoro e pane, per sé e la famiglia, presso un
altro imprenditore; che questo in una società collettivistica non esiste.
Se si vuole, ciononostante, lavorare e sopravvivere fa d'uopo rassegnarsi a
qualche specie inferiore di lavoro; tipo colonie punitive, o lavori forzati.
Le considerazioni fatte sopra non sono una critica agli uomini i quali
stanno al sommo della gerarchia in una società collettivistica. Essi
debbono agire in questo modo, se vogliono che la macchina sociale agisca o
funzioni; così come il generale dell'esercito non può tollerare, pena la
dissoluzione e la sconfitta, indisciplina e disubbidienza tra gli ufficiali
ed i soldati. Come in tempo di guerra, la sanzione ultima contro il ribelle
è necessariamente la fucilazione, così in una società collettivistica la
sanzione ultima contro il ribelle è, e non può non essere, il lavoro
forzato. Dove sta di casa, in una società siffatta, la libertà? la
libertà di lavorare e di non lavorare, la libertà di fare il contadino o
diventare operaio in città; la libertà di parlar male e di agitarsi contro
coloro che stanno in alto? la libertà di criticare non i particolari
tecnici, i quali non contano nulla, ma la sostanza, il principio stesso del
sistema? la libertà di agitarsi e tenere adunanze e comizi contro i capi
dei piani, la libertà di scrivere libri e di pubblicar giornali per
dimostrare che il tipo di società collettivistica nega la libertà
all'uomo, gli vieta di esercitare il mestiere preferito, nel luogo prescelto
dal singolo individuo? la libertà di produrre, per consumarli, prodotti non
compresi nel piano voluto dalla collettività o meglio dagli uomini preposti
agli organi supremi della produzione? la libertà di emigrare all'estero
anche contro l'obbligo che il piano contempla di rimanere in paese, perché
il piano suppone la utilizzazione di tutti gli uomini viventi in quel dato
territorio?
Il sistema partorisce necessariamente conformismo alle idee di volta in
volta affermate in alto. Quando si sa che, espulsi dall'unico meccanismo
produttivo, non vi ha più alcuna possibilità di vita, fuor dei campi di
lavoro obbligatorio, gli uomini tendono ad assumere il colore dei superiori
ed a mutare il proprio colore secondo le mutazioni di quello. Le intenzioni
dei dirigenti possono essere ottime, possono essere nelle parole ed anche
nelle intenzioni volte a dar benessere a tutti; ma la conseguenza logica del
sistema è una sola: conformismo, ossia schiavitù spirituale e mancanza del
bene supremo che è la libertà.
Conclusione: coloro i quali si acconciano al monopolismo economico privato,
e coloro i quali predicano il collettivismo o comunismo economico pubblico
sono, tutti, consapevolmente o non, nemici acerrimi della libertà.
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