Un manifesto per
un'architettura dell'informazione
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Nuove sostanze.
L'Informatica e il
rinnovamento dell'architettura
di Antonino Saggio
La parola "sostanza" deriva
da Edoardo Persico. Concludendo la sua "Profezia dell'architettura" disse:
"Da un secolo la storia dell'arte in Europa non è soltanto una serie di
azioni e di reazioni particolari ma un movimento di coscienza collettiva.
Riconoscere questo significa trovare l'apporto dell'architettura attuale. E
non conta che questa pregiudiziale sia rinnegata da coloro che più
dovrebbero difenderla, o tradita da chi più vanamente la tema: essa desta lo
stesso la fede segreta dell'epoca. 'Sostanza di cose sperate' ". In Persico,
in Pagano, in Terragni, in Venturi, in Argan, in Giolli vi era una tensione
verso "sostanze" che riguardavano la semplificazione e la standardizzazione
dei processi industriali, la risposta ai temi della casa popolare, dei
servizi, dell'urbanistica, la ricerca di una estetica astratta, elementare,
igienica. Oltre i sogni metafisici, classicheggianti, mediterranei,
autoctoni bisognava promuovere una cultura che avvicinasse questa penisola
all'Europa. C'era, in quella "sostanza di cose sperate", la tensione alla
modernità, alla trasformazione delle crisi del mondo in valori estetici ed
etici ad un tempo che l'architettura poteva coltivare e manifestare.
Il tema di fondo di questo
scritto è che il rinnovamento dell'architettura che stiamo vivendo in questi
ultimi anni e in cui questa rivista si inserisce, non è solo un fatto di
gusto, di moda, di linguaggio ma che stanno affermandosi, appunto, nuove
sostanze e con esse nuove crisi ed opportunità.
Quando i nostri accademici
attaccano gli aspetti pubblicitari, ludici, comunicativi, spettacolari,
frammentari delle ricerche contemporanee a noi sembra riproporsi lo stesso
equivoco e lo stesso paradosso della generazione Art nouveau a
confronto dei rappresentanti della Neue Sachlichkeit. Apparentemente
si attacca un'estetica, in realtà ci si oppone a una tensione al
rinnovamento, al cambiamento, alla presa di coscienza di una diversa visione
del mondo.
Ora noi sappiamo che alla
società industriale si è sostituita una società dell'informazione che cambia
e sta cambiando completamente le regole del gioco, di tutti i giochi, ivi
compresi quelli dell'architettura. Se della prima il centro propulsore era
la grande industria e la macchina, della seconda sono i luoghi del
terziario: la macchina di oggi è il computer e il suo carburante sono i
sistemi di formalizzazione, di trasmissione e di sviluppo delle
informazioni. Se i grandi ricchi erano gli industriali, oggi lo sono i
produttori neanche di hardware, ma del software del software. William Gates
insegna. È noto: almeno da quando Alvin Toffler scrisse il suo La terza
ondata. Ma oggi cominciamo a capire come questa onda stia trasformando
il nostro territorio disciplinare.
(dell'urbanscape)
Incominciamo da un fenomeno
macroscopico come le "brown areas" o aree dismesse. La società
dell'informazione ha sempre meno bisogno di grandi porzioni di terreno, in
particolare se dislocate nelle città, per produrre beni manifatturieri. Il
vegetale che compriamo al supermercato è al 90 percento "informazioni", lo
stesso e anche di più lo sono gli elettrodomestici o le automobili e sempre
più persone producono beni che sono "pura" informazione. La produzione si
sposta negli uffici, nelle università, nei centri di ricerca ma anche in
posti una volta impensabili come le case, i luoghi di commercio o di
divertimento. Sempre meno il "luogo" diventa in sé fattore importante.
In questo processo che
investe tutto il mondo occidentale le aree si liberano dalle fabbriche (che
possono divenire sempre più piccole, meno inquinanti e deprivanti) e grandi
risorse sono rimesse in gioco, prima di tutto appunto quelle abbandonate
dalla produzione industriale.
Progettare oggi in queste aree implica una
profonda riconsiderazione della città e del suo funzionamento e apre nuove
strade di ricerca estetica ed espressiva. Le categorie tipo-morfologiche
dell'analisi urbana degli anni Sessanta e Settanta (derivate dallo studio
della città consolidata e strutturata) risultano sempre più sfocate se usate
quali parametri di progetto, mentre emergono modi di guardare la città
rivolte alla complessità, all'interscambio, all'intreccio tra spazi
architetture e ambiente. È del tutto naturale che gli architetti si
allontanino dalla metafisica de chirichiana di una città per archetipi fissi
nella memoria, per guardare alle ricerche degli artisti più attenti a
fenomeni di stratificazione, di residualità, di ibridazione: ai sacchi o ai
cretti di Burri, ai manifesti scorticati di Rotella, al neo-espressionismo
americano di Pollock o di Rauschenberg e naturalmente al fronte più duro
della Pop-art o dell'Arte povera. L'architettura si insinua nelle maglie
dell'esistente, usa e rilancia gli oggetti preesistenti come dei
ready-made, crea con le sue articolazioni dinamiche spazi interstiziali
'tra' nuovo e preesistente. Ma al di là delle scelte espressive, o delle
"ferraglie contorte" che spaventano, è proprio una idea diversa di
architettura per la città che si afferma. A guardare le opere più riuscite
viene proprio da definirle operazioni di urbanscape. Sono grandi
opere di ripensamento della città, delle sue intersezioni, dei suoi flussi
dinamici, dei suoi nessi complessi.
Due opere sono chiave: una
è a Bilbao: apparentemente esercitazione plastica sulle traiettorie
futuriste, in realtà nuova intersezione urbana che crea nuovi spazi civici;
una seconda è a Tourcoing - un'apparente conservazione di manufatti
preesistenti che nei fatti inventa un nuovo spazio interstiziale tra una
nuova copertura tettoia e i tetti preesistenti in una visione mediatica,
multimediale fluidamente digitale di anfratti piranesiani.
(del paesaggio)
Il paesaggio quale
fondamentale paradigma della creazione dell'architettura è diventato, anche
grazie a questo fronte di riflessione sulle residualità, parola di
riferimento. L'uomo della civiltà post-industriale ed elettronica può rifare
i conti con la natura perché se l'industria manifatturiera doveva dominare e
sfruttare le risorse naturali, quella delle informazioni le può valorizzare.
Almeno nei paesi tecnologicamente avanzati, questo strutturale cambio di
direzione apre l'opportunità a un "risarcimento" di portata storica. In zone
spesso costruite a densità altissime si può iniettare ora verde, natura,
attrezzature per il tempo libero. Ma attenzione: non si tratta di
circoscrivere e recintare aree verdi, da contrapporre a quelle residenziali,
terziarie, direzionali come era nella logica dell'organizzare dividendo
della città industriale. Si tratta al contrario di creare nuovi pezzi di
città integrate dove accanto a una forte presenza di natura siano presenti
quell'insieme interagente di attività della società dell'informazione. Anche
in questo caso gli strumenti cambiano. Se, lo zoning era stato il
modo per pianificare la città industriale attraverso la divisione in zone
tra loro omogenee e distinte che simulava il concetto tayloristico di
produzione industriale, la plurifunzionalità e l'integrazione è diventata la
necessità della città dell'informazione e delle sue nuove aree anti-zoning.
L'informatica oltre a creare queste opportunità ne consente anche la
realizzazione. Sistemi interattivi di illuminazione, informazione, di suono,
di controllo che rendano i nuovi brani di città attivi, vivaci, partecipi,
ricchi di eventi.
La natura cui questa
concezione del paesaggio guarda non è più quella floreale o liberty o
neanche quella dei maestri dell'organicismo. È diventata molto più
complessa, molto più cattiva, molto più "nascosta", come diceva già
Eraclito, ed è sondata anche dagli architetti con occhio anti romantico
attraverso i formalismi nuovi della scienza contemporanea (i frattali, il
dna, gli atomi, i salti di un universo che si espande, il rapporto tra vita
e materia). Insomma la categoria della complessità. Nascono in questo
contesto le figure dei flussi, dell'onda, dei gorghi, dei crepacci, dei
cristalli liquidi e la Fluidità diventa parola chiave. Descrive il costante
mutare delle informazioni e mette l'architettura a confronto con le
frontiere di ricerca più avanzate dalla biologia all'ingegneria alle nuove
fertili aree di sovrapposizione come la morfogenesi, la bioingegneria
eccetera.
L'opera chiave è forse uno
degli scarti al Concorso per la chiesa del 2000 a Roma. Una proposta che
vede la chiesa come un ballo tellurico tra zolle che increspano il terreno e
che si articola attorno a uno zigzagante canyon che rimanda alle forre
scavate dai corsi d'acqua in un territorio tufaceo.
(della comunicazione)
Una delle critiche spesso
rivolte alle ricerche della nuova architettura è quella di aderire a modelli
"pubblicitari e comunicativi" che implicitamente toglierebbero "verità" alla
fabbrica edilizia e alla costruzione. L'osservazione è senz'altro
pertinente, per rispondere bisogna chiedersi che cosa è avvenuto in questi
trent'anni nel grande settore della comunicazione.
I messaggi dell'epoca
industriale erano dichiarativi, assertivi, certi. Pensiamo alla pubblicità.
Quella della società industriale cercava di dimostrare la bontà del prodotto
attraverso le sue caratteristiche, quella della società dell'informazione
invece trasmette "una narrazione" una storia del prodotto, dando
assolutamente per scontato che il prodotto funzioni. In un caso il messaggio
tende ad essere oggettivo nell'altro soggettivo e sostituisce ai meccanismi
certi della "causa ed effetto" le immagini dinamiche e polidirezionate delle
figure retoriche.
Lo stesso processo avviene
per l'architettura: alla rappresentazione di logiche assolutamente oggettive
(separazione di struttura e riempimento, coerenza tra funzione interna e
forma esterna, divisione in zone congrue ai diverse usi) si sostituisce una
narrazione. Un edificio non è più buono solo se funziona ed è efficiente,
insomma se è una macchina, ma deve dire e dare di più. Tra l'altro quando
serve, anche simboli, storie. Possiamo puntare i piedi e appellarci a una
diversa eticità, a una diversa moralità? Forse, ancora una volta, centrale è
solo il "come". Il momento comunicativo, certo, può essere quello dei grandi
hotel disneyani con cigni, sette nani e cappelli da cow-boy, ma può anche
non essere un'applicazione posticcia di forme e contenuti simbolici a
un'architettura scatolare ad essa estranea. Può essere una narrazione che
pervade l'essenza stessa dell'edificio e che si connatura intimamente nelle
sue fibre.
Insomma bisogna vedere "che" comunicazione
si vuole e noi crediamo che si possa perseguire non solo la celebrazione
bolsa del potere, politico o economico, magari dittatoriale o monopolistico,
ma anche un nuovo sentire.
L'opera chiave è forse a Helsinki dove un
nuovo museo è concepito attraverso la sovrapposizione che i nervi ottici
hanno nel cervello. La metafora anatomica si sovrappone all'omonima figura
retorica. L'operazione è tanto riuscita da essere sancita nel nome stesso
attribuito al museo.
(dell'iper funzionalità)
Un fatto interessante è che il superamento
dei vecchi diktat di coerenza, di organicità, di unitarietà nei casi più
riusciti porta un maggior successo proprio della tanto osannata
funzionalità. Infatti rompendo i diktat si "liberano" le diverse componenti
dell'architettura e si cerca spesso riuscendoci di trovare una più aderente
e piena risoluzione a ciascuna delle componenti in gioco. Il rapporto con lo
spazio urbano, la ricerca concettuale e espressiva dell'immagine,
l'organizzazione dei diversi usi, i modo più efficaci di costruzione,
l'ottimizzazione degli apparati tecnologici spesso riescono ad ottenere,
ciascuno, un grado di efficienza molto più alti se liberate dalle gabbie di
un destino ultimo di immanente coerenza. In questo l'architettura di oggi è
profondamente e visceralmente anti-kahniana. E questo, attenzione, non vuole
dire non riconoscere in quell'esperienza uno dei grandi punti di riflessione
del secolo, ma solo rivelarne appieno la distanza. Tornando ad un
esemplificazione, paragoniamo dal punto di vista squisitamente "funzionale"
un'opera che aderisce a questa nuovo sentimento di "scissione" e di
"libertà" delle diverse componenti con una che cerca ancora di tenere
"unite" le varie sfere. Scopriremo forse con sorpresa che dietro l'apparente
razionalità si nascondono inefficienze e sprechi cospicui. Forse è vero:
costruire opere che svincolano le varie sfere costa un poco, o anche molto,
di più. Ma se una volta la costruzione era il fattore decisivo oggi come ben
si sa il costo della costruzione è una frazione secondaria rispetto a tanti
e tanti altri costi (di impianti, di gestione di uso e manutenzione
eccetera).
Un utile paragone avviene sulla linea che
unisce Bilbao e Barcellona e su un possibile raffronto "oggettivo" tra i due
recenti musei. Parametri in gioco: efficienza nel rapporto con la città,
flessibilità e sui del sistema museo, utilizzo e dimensione degli spazi di
circolazione "accessori", costo di mantenimento, costo di gestione, numero
di visitatori eccetera.
(dello spazio sistema)
Ora l'insieme di queste modifiche portano
a una differenza sostanziale nel centro stesso della ricerca architettonica
e cioè nell'idea di spazio. Adoperando una formula sintetica diremmo che
dall'idea di "spazio organo" si sta passando a una concezione di "spazio
sistema". Cerchiamo, ancora una volta, di intenderci.
Nel sentire degli anni Venti e della Nuova
Oggettività si perseguiva un rapporto diretto tra uno spazio quindi un
"organo spaziale" e la sua funzione (con un significato, dato a questo
termine, associabile a quello della medicina tradizionale in cui si sostiene
che a un organo è legata appunto una "determinata" mansione.) Ecco perché il
centro era lo spazio interno, l'idea dello spazio interno come motore
dell'architettura. Ora è proprio questa idea che si è di fatto modificata, e
molto arricchita. È permeata con forza in questi ultimi dieci-quindici anni
una concezione spaziale che ha come motore un'idea concertata di
interno-esterno che fa dello spazio pubblico un elemento altrettanto
fondamentale dell'architettura. A volte abbiamo parlato di vuotometrico:
l'architettura è fatta di concerto con lo spazio che conforma, la vita
interna si travasa con naturalezza in quella esterna.
Forse una continua opera in progress che
si sta costruendo in Carinzia non lascia dubbi. Interno ed esterno sono
annullati come entità distinte in un flusso continuo che vorticosamente
ruota su stesso.
(della rivoluzione informatica)
Per concludere almeno tre sostanze sono da
porre all'attenzione quali motori del rinnovamento architettonico che stiamo
vivendo.
La prima è una nuova cognizione della
frammentarietà del paesaggio metropolitano, che è insieme occasione e
ragione di molti progetti di oggi. Le "brown areas" o aree dismesse,
rappresentano un campo fondamentale di opportunità e non deve stupire che
esista una ricerca estetica ad esse congruente e conseguente. Una ricerca
che si basa sulle caratteristiche di vitalità di questi nuovi luoghi
contemporanei. Che li trasforma, come ha sempre fatto la vera architettura,
in nuovo sentire estetico e che prefiguri e immagini una città diversa.
La seconda sostanza ruota sul concetto di
paesaggio, quale grande paradigma della ricerca architettonica contemporanea
che rimette in gioco i rapporti tra architettura e natura. L'architettura
guarda alla natura insieme alla scienza e cerca nel difficile nel complesso
nel tormentato nell'apparentemente caotico nuove strutture per il suo farsi.
La terza sostanza è quella che concepisce lo spazio "come sistema" e non
come un meccanismo che riguarda solo l'interno dell'edificio. Spazio come
sistema vuol dire pensare in un insieme strettamente cospirante la relazione
dei corpi e tra i corpi in cui si frammentano gli edifici. Non perché questo
"piace", ma per permettere allo spazio urbano di essere vivamente partecipe
di un rapporto mutevole e continuamente allacciato tra architettura
dell'edificio e ambiente. Lo abbiamo detto titolando il primo volume della
Rivoluzione Informatica: HyperArchitettura vuol dire interattività.
Queste sostanze trovano nell'informatica
allo stesso tempo la loro causa e il loro strumento. Informatica,
naturalmente, non significa affatto, nessuno più banalizza più sino a questo
punto, che oggi "si disegna al computer", quanto che viviamo in una fase di
cambiamento epocale. Le aree si liberano, si cerca un rapporto più stretto
con l'ambiente, si pensa alla architettura come ibridazione tra natura,
paesaggio e tecnologia, si cercano spazi come sistemi complessi sempre più
interagenti perché l'Informatica ha cambiato e sta cambiando il nostro
essere al mondo ed ha aperto nuove possibilità al nostro futuro.
Mies Van Der Rohe, chiudendo il congresso
del Werkbund a Vienna nel 1930, disse: "Il tempo nuovo è una realtà; esiste
indipendentemente dal fatto che noi lo accettiamo o lo rifiutiamo. Non è né
migliore né peggiore di qualsiasi altro tempo, è semplicemente un dato di
fatto ed è in sé indifferente ai valori. Quel che importa non è il 'che
cosa' ma unicamente e solo 'il come'". Il come è nostro.
Antonino Saggio
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