A PROPOSITO DELLA MALATTIA DEL CITTADINO BERLUSCONI
di Michele Serra
Vedo, cittadino Berlusconi,
che sei riuscito a trasformare in virtù
la tua smania, in salute la tua malattia.
Ecco un uomo che ha tutto - oltre il decente -
ma vuole avere di più. Ecco una persona
che ogni mattina dovrebbe svegliarsi e dire:
che culo, grazie, che culo, grazie
e temere soltanto che l'invidia degli dei
arrivi a porre fine alla sua fortuna.
Ma quest'uomo vuole quadrare a suo modo
gli incerti conti con il destino:
perfino l'invidia appartiene a lui, e agli dei
spetta soltanto temerla. La coltiva
tra i marmi a specchio dei suoi settanta cessi
la cuoce al piccolo fuoco che gli scava il cuore
perché che TUTTI lo amino, vuole
che nessuno, dentro e fuori il suo regno,
possa trascurare di considerarlo
il migliore, l'esemplare ottimate
il padre augurabile a ogni figlio
il figlio desiderato da ogni madre
il marito preferibile da ogni moglie
l'amante spiritoso, il buon compagno di gozzoviglie
una specie di dio autoconvocato.
Guai agli dei se questo indiato
scoprisse dove hanno sede: li colpirebbe.
Non mi sorprende, cittadino Berlusconi,
che milioni di italiani ti ammirino.
Salutano in te l'ennesimo Buon Esempio
(come se non ne avessero avuti abbastanza).
Non è la prima volta nella storia, del resto,
che la "gente" (questa parola informe
ottima per rimanersene nascosti, come sempre,
nell'ombra di una abominevole genericità)
agita le proprie catene in segno di giubilo
davanti al principale produttore di ceppi della nazione.
C'è scarsa memoria delle virtù civili
faticosamente individuate dall'uomo
riportate alla luce come cristalli
estorte ai secoli da una lunga e paziente gnosi.
Prima tra tutte il sentimento emerito
della libertà dal bisogno, che sola
può liberarti dal bisogno di servire.
Scrissero i padri della democrazia americana
cose che certo non sospetti: che raggiunto
il doppio obiettivo di avere un tetto e del cibo
e cioè quanto basta a rinnovare il calore del corpo
tutto il resto del tempo, se si vuole essere liberi,
va dedicato alla cura dello spirito
alla lettura, all'osservazione della natura
all'amicizia e alla conversazione
al privilegio (questo sì, divino) della solitudine
così che la vita non venga spesa
interamente a lavorare, senza altro scopo
che la maggior gloria della Produzione.
Nel 1846 il cittadino americano Henry D. Thoreau
scrittore, poeta, carpentiere, imbianchino
nonché praticante emerito di numerosi altri mestieri
per un totale di dieci, da lui descritti
con ironico orgoglio in una lettera a un amico
in segno di dipregio per la "professionalità"
che già allora trasformava gli uomini in maschere
decise di trasferirsi tra i boschi di Walden
dove eresse la sua casa di legno. Visse due anni
di caccia, agricoltura, soprattutto di pensiero
e se nessuno di noi è così orgoglioso da imitarlo
molti di noi hanno il piacere di ammirarlo
e il Mahatma Gandhi, quasi un secolo dopo
conobbe i suoi libri e lo chiamò maestro.
Sono quelli come te, cittadino Berlusconi
la rovina della pace, la cattiva notizia
quelli che indicano nella quantità
la sola misura del valore di ognuno
e nel successo la (mai raggiunta) meta.
Non ti basta essere infelice
tu vuoi che tutti lo siano. Chiami "impresa"
la moltiplicazione dell'inutile
chiami "vittoria" il ridicolo equivoco
di quando il caso ci premia
e osiamo chiamarlo merito.
Quando verrà, cittadino Berlusconi,
la tua estate indiana? Cederai mai
alla tentazione della sosta?
Ti bagnerai le mani nel fiume?
Asciugherai i pensieri all'aria mite
del pomeriggio rosso e viola?
Oppure, tu che hai tutto, non hai tempo?
E sei davvero così povero da non conoscere
il gratuito, solo bene impagabile
il solo incommensurabile?
Miliardi di miliardi di foglie colorate
fanno una sola, breve estate indiana.
Sappi, cittadino Berlusconi,
che i miei difetti sono meno dannosi
delle tue qualità. Ma non ho l'intenzione
(pur avendone l'occasione)
di dirlo ai quattro venti: perché già dicendolo
e dunque proponendomi come persona da imitare
violerei i presupposti stessi del mio valore
che richiede, per essere tale
imbarazzo, alto senso del ridicolo
e come unico progetto importante
lavorare di meno per garantire ai miei figli
quel me stesso libero da obblighi
che solo può riuscirgli padre.
E accade ancora, cittadino Berlusconi,
che l'imbarazzo che frena i timidi
i rispettosi, i pigri, i meditabondi
coloro che non pensano di essere il Motore
oggi sembri rassegnato timore
perché non è spendibile sulla piazza centrale
quanto la tua rumorosa propaganda.
Ma intanto rimangono a circondarti
soltanto gli smaniosi e gli incontentabili
i fanti servizievoli per mestiere, i santi
della compravendita, i faccendieri malati
di fretta, tutti coloro che non hanno preso
abbastanza impegni con se stessi
e ne hanno presi troppi con la professione.
Noi invece non ci avrai sicuramente
e sottovaluti, per giunta, sottovaluti di molto
quella forma silenziosa di solidarietà
che unisce tutti gli scopritori di misura
tutti i portatori di gentilezza
scuotitori di testa davanti all'arbitrio
portatori di pazienza davanti all'ossessione
di pudore davanti all'esagerazione.
Noi ci riconosciamo con uno sguardo
mentre a te, per sapere di chi ti puoi fidare,
serve un applauso.
Ci credi distratti, e noi stessi
ci crediamo troppo dediti alla nostra salute
per rovinarci il fegato e l'umore
(o la reputazione, nel caso si vada in televisione)
contraddicendo la tua scadente furia.
Ma sappi, cittadino Berlusconi, sappilo bene
che in ogni casa abita almeno un allegro fannullone
in ogni ufficio un bevitore-conversatore
in ogni famiglia qualcuno che invita a non prendersela
in ogni automobile un guidatore divertito
in ogni piscina nuota un ozioso
e in ogni albergo scende un appagato
e tutto questo prima di quanto tu creda
smonterà pezzo per pezzo la tua torre delirante
e farà di te oggetto di compassione.
Perché non esistono i buoni e i cattivi
pessimo cittadino Berlusconi
e nemmeno i migliori e i peggiori
ma esistono, oh se esistono, i discreti e gli invadenti.
E tu stai disgustando i discreti, o invadente.
Coloro che non intendono aggiungere potere
al potere di bastarsi e di sentirsi liberi
che praticano un mestiere senza confonderlo
con un campo di battaglia
coloro ai quali basta e avanza
sentirsi chiamare signore
e ridono di cuore di "cavalieri" e "dottori"
non parliamo nemmeno di "venerabili":
noi veneriamo chi sorride di se stesso
e agli altri comunica questa leggera abitudine.
Il paradosso, Gran Capo della Destra,
è che dalla tua oggi stanno le masse
e dalla nostra gli ultimi individualisti.
Nemmeno ti invito, cittadino Berlusconi,
al bar con biliardo nel quale si guarisce
del tuo delirio inumano, rattristante
perché nessuno oramai può salvarti
dalla tua malattia mortale. E sono troppo occupato
lo dico francamente
ad avere pietà per le tue vittime
per averne anche di te. Io non sono dio
non ho energie illimitate, non ho speranze
di salvezza generale. Ho poco tempo, te l'ho già detto
da dedicare a me stesso, figurati
se ne avrò da dedicare alla tua rovina.
a Cesare Calzolari
(Questa poesia è tratta dalla raccolta Canzoni politiche, Feltrinelli, 2000)