Ildegarda di Bingen profetessa teutonica

immagine di Santa Ildegarda (dal sito di don Gabriele Magiarotti, www.augustea.it/dgabriele)

di Mario Gargantini

Accostare la vita e le opere dei santi è sempre occasione di arricchimento da tanti punti di vista; ciò è ancor più vero nel caso di santa Ildegarda di Bingen, monaca benedettina tedesca, che ha saputo coniugare i vertici dell'esperienza religiosa con un'intelligente attenzione ai fermenti culturali della sua epoca (siamo in pieno XII secolo, al culmine del Medio Evo europeo) e con un'appassionata partecipazione alle vicende sociali, ecclesiali e politiche che travagliavano il Sacro Romano Impero.

Ildegarda è poco nota in Italia, ma è molto conosciuta e studiata in Germania, dove si stanno preparando le celebrazioni del nono centenario della sua nascita che inizieranno solennemente nell'autunno del 1997. La sua fama si sta diffondendo anche oltre Oceano, soprattutto negli ambienti cosiddetti "alternativi", dove le sue opere musicali vengono impropriamente accostate al filone della New Age e la sua opera medico-scientifica è molto apprezzata ma isolata dal suo contesto e annoverata tra le pratiche non convenzionali e un po' esoteriche di stampo orientale. Un approfondimento della sua singolare personalità è interessante almeno per due motivi. Anzitutto per riportare la sua figura all'interno dell'alveo cristiano dal quale è sbocciata, nel quale è sempre stata fermamente radicata e senza il quale nessun aspetto della sua molteplice attività può essere compreso. In secondo luogo per l'attualità dell'approccio alla conoscenza che si manifesta nelle sue opere; alcune delle quali, come i canti e le miniature, proposte nella scuola all'interno di un'attività interdisciplinare, possono gettare una nuova luce su un periodo storico decisivo per lo sviluppo della civiltà occidentale.

Una vita intensa il secolo XII, nel quale visse Ildegarda, fu un'epoca di grande fermento, di contrasti, di nuove idee. Fu il secolo di San Bernardo e di Abelardo, delle crociate e dei comuni, di papi e antipapi, del romanico e del gotico, di santi e di eretici. Le città si svilupparono ed acquistarono autonomia, grandi ricchezze vennero accumulate; la cultura si incontrò con le filosofia e le scienze orientali, nonché con gli scritti di Aristotele; la tecnologia fece grandi progressi, introducendo macchine azionate dai mulini ad acqua e a vento.

In tale contesto dinamico e poliedrico si staglia la figura singolare di Ildegarda. Nata nel 1098, l'anno che precede la conquista di Gerusalemme da parte dei primi crociati, Ildegarda è la decima e ultima figlia del nobile Ildelberto di Bermersheim e di sua moglie Matilda; il nome Ildegarda significa proprio protettrice delle battaglie. Ben presto si manifestò la pronta ed acuta intelligenza della bambina, accanto ad una salute instabile; anche la sua natura di visionaria comparve molto presto, se come lei stessa ci racconta "Nel mio quinto anno di vita vidi una luce così grande che la mia anima ne fu scossa, però, per la mia tenera età, non potei parlarne..." E' probabile che l'osservazione delle straordinarie doti della bambina abbia pesato nella decisione dei genitori di affidarla, all'età di otto anni, alla maestra Jutta, una giovane di nobile lignaggio che si era appena ritirata in clausura presso il monastero benedettino di Disibodenberg, non lontano da Magonza. Giunta all'adolescenza Ildegarda decise liberamente di porre la sua vita al servizio di Dio; pronunciò i voti dell'ordine benedettino e ricevette il velo dalle mani del vescovo Ottone di Bamberg. Passarono trent'anni senza che si verificassero grandi eventi, ma intanto: "La reverenda madre (Jutta) scopriva piena di meraviglia come la sua allieva fosse divenuta a sua volta maestra ...".

Così, alla morte di Jutta le monache la elessero badessa. Per cinque anni ancora la vita a Disibodenberg proseguì il suo corso tranquillo, ma quando Ildegarda arrivò ai quarantadue anni, mentre giaceva afflitta da una penosa malattia, la voce di Dio insistentemente le intimò: " Manifesta le meraviglie che apprendi... Oh tu fragile creatura...parla e scrivi ciò che vedi e senti...". Ildegarda, incerta, resisteva e ciò aumentava le sue sofferenze fisiche; infine trovo la forza di manifestare quanto le accadeva al suo direttore spirituale, il monaco Volmar, che le consigliò di rendere noto quanto Dio le ispirava. Da quel momento le forze le ritornarono e Ildegarda iniziò a comunicare le visioni che l'avevano accompagnata fin dalla più tenera età: iniziava così a scrivere il suo primo grande lavoro, lo Scivias (Conosci le vie). Intanto la sua fama si spandeva nella regione, giungendo anche alle orecchie del papa Eugenio III che lesse personalmente i suoi scritti durante il sinodo di Treviri e, su consiglio di S. Bernardo, diede a Ildegarda il permesso di rendere noto ciò che lo Spirito le ispirava incoraggiandola a scrivere. L'evento del sinodo contribuì a spargere la fama di Ildegarda per tutta Europa; ne sono testimonianza le numerose lettere che tanti le inviavano da ogni dove. Un numero sempre maggiore di nobili ragazze bussavano alla sua porta; così lentamente Ildegarda maturo l'idea di fondare lei stessa un nuovo convento sulla collina di Rupertsberg, vicino alla città di Bingen, alla confluenza della Nahe nel Reno. Dopo una fase travagliata, con rapporti difficili con la comunità monastica maschile, il nuovo convento si consolidò lentamente finchè Ildegarda ottenne la protezione dell'arcivescovo di Magonza e dello stesso imperatore, Federico Barbarossa. Con l'imperatore la santa aveva avuto buoni rapporti fin da quando egli, colpito dalla sua fama, l'aveva invitata nel suo castello di Ingelheim. Ciò non le impedì di prendere risolutamente posizione contro di lui, a favore del papa legittimo Alessandro III, quando l'imperatore entrò in contrasto col papato facendo eleggere due successivi antipapi. Sotto la saggia guida di Ildegarda, la comunità di Rupertsberg viveva nella gioia e nella concordia, suscitando ammirazione ovunque. Così scrive il monaco fiammingo Viberto: "La madre circonda le figlie con tale amore, e le figlie si sottomettono alla madre con tale reverenza, che si stenta a distinguere se siano le figlie o la madre a riportare la vittoria. Praticano con zelo letture e canti e le si può vedere intente a scrivere libri, a tessere paramenti sacri o dedite ad altri lavori manuali". In questo periodo Ildegarda scrisse anche la sua seconda opera, il Liber vitae meritorum (Libro dei meriti della vita). Il convento di Rupersberg attirava sempre più giovani, così che dopo dieci anni dalla fondazione Ildegarda fondò un altro convento sulla riva opposta del Reno, ad Eibingen. Gli aumentati impegni non le impedirono comunque di iniziare un'altra opera, il Liber divinorum operum (Il libro delle opere divine). Ormai anziana, ma piena di energie, Ildegarda non mancò di portare la sua parola, fatto straordinario per una donna, lontano dal suo convento, compiendo quattro grandi viaggi di predicazione nelle principali città dell'Europa centrale. Negli ultimi anni non le mancarono altre sofferenze e contrasti anche col clero locale e ciò logorò ancor più il suo debole fisico.

Le monache la sentivano spesso sospirare: "Vorrei essere liberata e stare vicino a Cristo"; e una notte la luce risplendette di nuovo in lei e le annunciò il giorno in cui sarebbe stata liberata dal peso del corpo. Tranquillamente Ildegarda si preparò alla morte, che sopravvenne nel giorno che le era stato predetto, il 17 settembre 1179, dopo che tutte le monache da lei radunate ebbero intonato, per un suo ultimo desiderio, canti nuziali.

Nel solco tracciato da S. Benedetto

Ildegarda è benedettina, vive la regola, parla della regola e nei suoi scritti si rifà alla regola con allusioni, con citazioni che le vengono spontanee, nominando S. Benedetto assai più spesso di qualsiasi altro santo. Scrive anche una sorta di breve trattato sulla Regola di S. Benedetto, intitolato Explanatio regulae Benedicti, dove Benedetto viene presentato come "una ricca fonte dalla quale sgorgano le acque della saggezza divina. Egli pose il perno della sua dottrina non troppo in alto, nè troppo in profondo, ma nel centro della ruota". La ruota è immagine di Dio, del Dio incarnato: dunque Benedetto ha posto a misura della sua norma di vita, la vita di Cristo. Imitare la vita e la passione di Cristo non vuol dire però ricercare penitenze straordinarie: per Ildegarda la via che Benedetto ha tracciato è discreta e piana, mentre prima di lui la vita monastica era durissima, fatta solo di penitenza e di deserto; ella non mostra mai disprezzo del corpo, che è al servizio dell'anima ma ha i suoi diritti e un alto valore.

La virtù dell'obbedienza è lo specifico della regola: l'obbedienza impone di non seguire la propria volontà, ma di ritornare a Dio dal quale ci siamo allontanati per la pigrizia della disobbedienza. Nella regola, la voce di Dio a cui obbedire non è una voce astratta, ma è la voce del superiore, dell'abate. Grande dunque è il compito del maestro. Ildegarda, che ha ben conosciuto questo compito, raccomanda che egli non si accanisca per comodità contro i deboli e lasci fare quelli che sono forti per il timore della resistenza; c'è un modo di trattare coloro che hanno un carattere mite e dolce e coloro che hanno un carattere difficile, bisogna sempre guardare al tipo di persona.

La conoscenza per "visione"

Il riferimento a S. Benedetto aiuta a capire l'esperienza monacale di Ildegarda e soprattutto la sua figura di badessa. Ma è fondamentale anche per spiegare il suo approccio alla conoscenza e quell'esperienza strana, poco familiare alla sensibilità dell'uomo contemporaneo e spesso fraintesa o ridotta che sono le visioni. La conoscenza è per Ildegarda un cammino di illuminazione che la impegna nel compito di trasmettere quanto ascolta e vede, non solo agli uomini del suo tempo ma anche alle generazioni future. Per questo la sua prima opera ha come titolo Conosci le vie, cioè guarda, scruta le vie divine, presta attenzione a tutti i percorsi, rettilinei e contorti, a tutte le circostanze nelle quali Dio ti viene incontro. Tutte le vie portano all'unica meta, pertanto in ogni circostanza si può desiderare Dio e conoscerlo. L'intera vita monastica insegna a coltivare il desiderio di Dio; vivendo, come nel caso di Ildegarda, quello che J.Leclerq ha definito come il "paradosso necessario della dotta ignoranza": scienter nescia et sapienter indocta. In lei tale paradosso ha una straordinaria potenza e forza persuasiva nell'espressione della conoscenza per illuminazione o per visione. La sua vita monacale, noviziato che la esercita alla vita eterna, diventa luogo e tempo della sua missione, esercizio che apre tutti alla visione della stessa eternità e al cammino necessario per raggiungerla. La sua dotta ignoranza, la sua sapienza, tutta merito dell'opera di Dio nel debole vaso d'argilla della sua umanità, la abilita ad annunciare con forza all'uomo di tutti i tempi la possibilità e capacità di conoscere il significato proprio e del mondo. La sua sapienza umana e divina è stata di grandissima utilità ai monaci del suo tempo, a persone di ogni tipo, ai poveri e ai potenti. A tutti Ildegarda, riproponendo le verità della fede e la sua concreta storicità nella Chiesa, ha prestato soccorso affinando "le orecchie della percezione interiore" perchè potessero aspirare "con carità ardente" a tutto ciò che è specchio di Dio e a Dio stesso. Nelle sue opere, che per la fusione di testi, immagini e musiche potremmo classificare come "multimediali", Ildegarda ha utilizzato in modo potente lo strumento delle immagini, attingendo e riformulando il grande patrimonio dell'immaginazione medievale, che non era semplice frutto di fantasia ma era carica di significati e di valori. Le sue visioni sono infatti delle straordinarie figurazioni intellettuali e immaginifiche sviluppate sulla base dell'immaginario collettivo dell'epoca (poichè Dio le parlava dall'interno della sua cultura) nel quale erano attivi anche elementi naturalistici e astrologici ereditati dall'antichità precristiana. Le magnifiche miniature che raffigurano le sue visioni (quelle dello Scivias furono eseguite molto probabilmente sotto la sua guida diretta) sono immagini simboliche statiche; la santa vedeva invece immagini dinamiche, che mostravano lo svolgimento della storia della salvezza ed erano accompagnate dalla "voce della luce vivente". C'è da notare che per Ildegarda le visioni non erano momenti di estasi e tanto meno di trance: per ammissione sua e dei testimoni, durante la visione ella non perdeva mai il controllo, manteneva sempre il contatto con la realtà ed era pienamente consapevole, pur nella sofferenze che accompagnavano quelle singolari esperienze. Possiamo quindi intendere le visioni come modo speciale di "vedere", un modo particolare di entrare in rapporto con la realtà, un modo diretto, capace di andare nel profondo, di intuire il vero, di cogliere nessi e relazioni, di immaginare possibilità e perciò a volte anche di prevedere vicende future.

La concezione dell'uomo del cosmo e della storia

Quasi inesistente è, in noi uomini del XX secolo, la consapevolezza della rete, articolata e profonda, di corrispondenze fra la nostra umanità, fisica e spirituale nello stesso tempo, e il cosmo. Eppure non dovrebbe essere difficile rendersi conto che il mistero percepito nella contemplazione della natura "... non è tanto quello del cosmo in sè, quanto quello del nostro mistero riflesso in quello del cosmo. La funzione originaria dei simboli è precisamente questa rivelazione esistenziale dell'uomo a se stesso, attraverso un'esperienza cosmologica possibile solo perchè fra l'uomo e il cosmo esistono profonde corrispondenze..." (G. De Champeux, S. Sercks).

Per lunghi secoli si sono studiate le relazioni di somiglianza, veicolate da identiche rappresentazioni immaginarie, tra le strutture dell'uomo e quelle del mondo. Se al primo si è guardato come ad un universo completo ma miniaturizzato, un microcosmo, il secondo è stato visto come un Corpo Totale, un Tutto umanizzato. Già nel VII secolo Gregorio Magno aveva detto: Homo quaedammodo omnia, cioè l'uomo è, in un certo modo, tutte le cose, racchiude in sè tutti gli ordini della natura. Nei primi decenni del XII secolo il tema del microcosmo ebbe grandissima diffusione: la scuola teologica di Chartres fu il luogo privilegiato dell'approfondimento di una dottrina fondata, con riferimento al Timeo di Platone, sul parallelismo tra macrocosmo e microcosmo. I monaci cistercensi la fecero propria e la arricchirono; presto la si trovò espressa e condivisa in tutti i centri di cultura, partecipata a tutte le mentalità. A livello iconografico, il modello più diffuso nel Medio Evo del rapporto fra microcosmo e macrocosmo era quello dell'uomo zodiacale, con la figura umana al centro di uno o più anelli su cui si trovavano raffigurati i segni dello zodiaco. Con Ildegarda appare un motivo nuovo o per la prima volta elaborato con chiarezza: è quello proposto nel Liber divinorum operum: l'uomo "splendore di bellezza e di luce" è rappresentato come il nucleo centrale di un cosmo a cerchi concentrici, abbracciati da Dio uno e trino. L'immagine ha una struggente somiglianza con quella della Trinità della stessa Ildegarda, che porta al centro Cristo.

Il Rinascimento avrebbe ripreso questa iconografia riducendola alle sole componenti geometrico - proporzionali (si pensi all'uomo a braccia aperte di Leonardo), affidando ad esse il valore di allusione cosmologica. Anche per quanto riguarda la storia, gli uomini del medioevo hanno elaborato una concezione unitaria, al punto da considerarla come un'unica vicenda, con un intreccio i cui snodi fondamentali sono la Creazione, la Caduta, la Redenzione, il Giudizio. Il senso e lo scopo della storia umana furono problemi profondamente meditati da Ildegarda. Per lei la storia è il dramma del contrasto tra Dio e il suo avversario; un dramma che si svolge nello spazio-tempo della terra e che si conclude solo quando Dio vince definitivamente il nemico suo e dell'uomo. La storia dell'uomo, di ogni uomo, è la sequenza di episodi piccoli e grandi, carichi di tensione e di sorprese a causa della libertà dell'uomo, della infinita misericordia di Dio e dello spazio lasciato da Dio stesso ai movimenti del demonio.

Quando sulla scena del mondo, con Gesù Cristo, appare colui che può e vuole strappare gli uomini alla morte dell'anima, l'uomo viene collocato in una nuova, inedita, posizione: se, lungo tutto il percorso della storia la libertà dell'uomo è e sarà continuamente chiamata in causa, Dio, il regista del dramma, offre nella Chiesa un misterioso e potente sostegno. Il mistero della storia si intreccia dunque profondamente col mistero della Chiesa, nella quale l'uomo fa esperienza di essere capace di salvezza; in altri termini, in Ildegarda il compimento della creazione avviene nella Chiesa, che è garanzia dell'amore costante di Dio per la sua creazione. Nella Chiesa all'uomo, microcosmo nel grande macrocosmo dell'universo, sono offerti futuro e salvezza. Essa, popolo nuovo, è la torre salda eretta da Dio dove gli uomini possono fermamente fronteggiare il nemico. E' una torre aperta al mondo, perchè tutti possano entrarvi.

Le sottigliezze della natura

L'attività scientifica di Ildegarda, se accostata con occhio superficiale, può far sorridere il ricercatore moderno, abituato all'implacabile rigore dei formalismi matematici. Un'analisi più attenta e libera da preconcetti, sa invece rintracciare, tra le pieghe di un linguaggio immaginifico, suggerimenti e indicazioni che toccano il cuore delle questioni più dibattute nelle scienze fisiche, chimiche e biologiche. Come ad esempio l'esigenza di superare una visione deterministica e chiusa della realtà per rivelarne aspetti imprevedibili e sottili. Una delle opere scientifiche di Ildegarda si intitola proprio Il libro delle sottigliezze delle creature divine, ad indicare quella caratteristica singolare, la subtilitas, che ogni serio osservatore non può evitare di scoprire, se solo avvicina la natura con la disponibilità a vedere al di là di ciò che appare, a superare il senso comune. " interessante notare come otto secoli dopo, riflettendo sui paradossi emersi dalle conquiste della fisica moderna, Albert Einstein riecheggi la stessa espressione rispondendo a chi alludeva ad un cosmo divenuto ormai inconoscibile: "Sottile è il Signore, ma non maligno".

Per riuscire a cogliere le sottigliezze della natura, l'impostazione galileiano-newtoniana, che estrae dalla natura i soli fattori quantitativi, si rivela insufficiente. Emerge oggi la necessità di ampliare il corredo metodologico delle scienze reintroducendo, ad esempio, strumenti di pensiero come l'analogia: individuare analogie di forma, di struttura, di funzioni, di organizzazione, di finalità, può aiutare a costruire modelli più adeguati per un'ampia gamma di nuovi fenomeni. L'intera opera di Ildegarda si basa sull'uso dell'analogia e del simbolo: attraverso tali strumenti ella tenta di comunicare non solo le idee ma anche l'esperienza, incomunicabile a parole.

Un altro dei concetti base di Ildegarda è la già citata concezione unitaria del creato, che è ricca di implicazioni per la sua attività scientifica e medica. Non è possibile conoscere la struttura dell'uomo separatamente dalla struttura del cosmo: esse sono compenetrate e rette da una radicale analogia derivante dall'avere una causa comune, la Trinità. Tutti gli elementi del creato si riflettono nell'uomo e l'uomo si riflette negli elementi, potendo contribuire ad una maggiore o minore armonia dell'universo.

Questa stessa concezione ha sorretto l'attività di assistenza e cura di malati che Ildegarda ha svolto assiduamente: dispensando consigli e indicazioni pratiche, stilando ricette di farmaci e medicamenti, assistendo direttamente religiosi e laici infermi.

Secondo il tipico approccio medievale, salute del corpo e salvezza dell'anima sono strettamente correlate; del resto l'una e l'altra sono indicate, in latino, dall'unica parola salus; così nelle sue opere, la medicina è concepita essenzialmente come una terapia che aiuta a vivere come piace a Dio. L'uomo può contribuire alla propria redenzione con una misurata condotta di vita; di conseguenza i medicinali sono sempre intesi come regole di vita e viceversa. Nella natura l'uomo trova i costituenti elementari del suo corpo; se interviene la malattia (che è mancanza di viriditas, concetto col quale Ildegarda indica l'energia inerente ad ogni cosa con la quale la potenza del Creatore sostiene il creato), nella natura egli troverà tutto ciò che può sostenerlo e ridargli le forze: "[Il Signore] su questo mondo ha circondato l'uomo di tutto e perfuso ogni cosa di grande forza, così che l'intero creato assista l'uomo in tutto".

Armonia celeste e armonia musicale

Simphonia è un concetto chiave nell'universo spirituale di Ildegarda, che lo usa per indicare non solo l'armonia dei suoni creati dalle voci e dagli strumenti, ma anche l'armonia celeste e l'armonia intima dell'uomo. Secondo Ildegarda l'anima umana e simphonalis (sinfonica) e questa caratteristica si esprime, sia nell'accordo fra anima e corpo, sia nel far musica. La musica è celeste e terrestre insieme: essa evoca, almeno per un momento, la consonanza celeste che regnava in Paradiso prima del peccato originale, riproducendola nel giubilo delle voci e degli strumenti. Il primo uomo spontaneamente cantava, con voce simile a quella degli angeli, fin quando il peccato non ruppe l'armonia con Dio. La musica ed il canto richiedono reciproco accordarsi ed adattarsi: cosÏ il demonio, che non può accordarsi con nessuno, non può cantare. Il titolo della raccolta di opere musicali di Ildegarda, Symphonia harmoniae caelestium revelationum (Sinfonia dell'armonia delle rivelazioni celesti) sta ad indicare l'origine divina della sua ispirazione ed il concetto di musica come massima forma di inno di lode alle armonie della Creazione, eco dell'armonia delle sfere celesti.

Ildegarda, in musica come nelle altre sue opere, fa propri gli elementi della cultura del suo tempo, il canto gregoriano in questo caso, ma ne infrange i limiti: la straordinaria estensione delle tonalità dei suoi canti può superare le due ottave ed il suo linguaggio poetico fa volentieri ricorso agli effetti strani o addirittura violenti, rifiutando le forme stilistiche levigate, usuali nelle composizioni di inni dei suoi contemporanei.

Oltre che per le necessita della vita comunitaria, la composizione musicale serve ad Ildegarda a dar corpo alle sue visioni, alle sue intuizioni ed a comunicare, almeno in parte i contenuti, cosÏ individuali, della sua esperienza mistica. Come lei stessa dice, infatti, quando la parola e la musica si uniscono nel canto, la musica "aumenta" la santità della parola, risvegliando vibrazioni simpatetiche nel corpo e facendo cosÏ penetrare direttamente nell'anima il senso delle parole.

Ildegarda oggi

C'è una tensione che attraversa quasi in sordina il mondo contemporaneo: la si può definire bisogno di una visione unitaria (olistica) dell'uomo, della natura, di Dio. Essa affiora spesso deformata nelle correnti esoteriche, oppure concettualmente articolata negli ambiti di scienza come la biologia, la chimica e la fisica. Qualche volta un poeta, oppure un pittore, ce ne danno suggestive rappresentazione attraverso il dinamismo estetico con cui investono al contempo cielo, terra, uomini, cose. La tradizione cristiana nella sua storia, non solo ha conosciuto questa tensione ma ha saputo elaborarne, attraverso l'attività e la riflessione di alcune sue grandi personalità, uno sviluppo critico coerente. Ildegarda di Bingen è luminosa testimone della visione olistica della tradizione cristiana, visione che non è stata per lei soltanto fulminea intuizione, ma anche, e soprattutto, esercizio potente di uno sguardo e di un pensiero aperti alla totalità del reale. Conoscere la storia, le visioni, la dottrina, il sapere di Ildegarda è introdursi da una concezione dell'esistenza integralmente positiva; è scoprire che, nella costellazione delle grandi personalità cristiane, brilla anche la figura di questa profetessa teutonica.

Fonti e documentazione

Non sono ancora disponibili in Italia le traduzioni delle sue opere mentre uno dei codici più importanti, il Liber Divinorum Operum, con dieci stupende miniature, è conservato presso la Biblioteca Statale di Lucca (dove è possibile richiedere documentazione iconografica). Per quanto riguarda l'opera principale, lo Scivias, un buon numero di miniature accompagnate dalla traduzione di testi originali, sono contenute in una Videocassetta abbinata alla Mostra Conosci le vie realizzata per il "Meeting per l'Amicizia fra i Popoli" di Rimini (1996) e ordinabile presso la medesima associazione (Tel. 0541-783100). Per le musiche, segnaliamo le interpretazioni dell'ensamble "Sequentia" pubblicate dalla casa discografica Deutsche Harmonia Mundi:

A livello bibliografico suggeriamo anzitutto il testo:

  • E. Gronau, Hildegard, vita di una donna profetica alle origini dell'età moderna, ed. Ancora 1996 forse l'opera più completa oggi disponibile in italiano. Interessanti anche:
  • R. Pernoud: Storia e visioni di sant'Ildegarda, ed. Piemme 1996
  • S. Flanagan: Ildegarda di Bingen, vita di una profetessa, ed. Le Lettere 1991

    Materiale utile si può trovare anche in Internet, specialmente nelle pagine curate dalle università di Wiesbaden e Magonza e nel sito dell'Ordine Benedettino. Segnaliamo infine la presenza in Italia di un Centro Studi S. Ildegarda (via Previati, 40 - 20149 Milano, tel. 02-48020732) che organizza incontri, seminari, pubblicazioni e opera in diretto contatto col monastero di Eibingen.


    Mario Gargantini


    articolo pubblicato sulla rivista "Insegnare religione", ed. ElleDiCi - Torino, nov. 98