Iniziative Culturali del 1998/1999 |
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Gigi Dessì: Un poeta con la fronte segnata da un tau. "Il disegno", di Gigi Dessì: titolo metafisico di un libro di versi che, spandendo fremiti di certo profondo penare sublimato dalle inimitabili Scritture Sacre, riesce a profondere, anche, non meglio identificabili umori di laica invettiva.Il poemetto, è appena edito da "Il Maestrale", di Nuoro, che offre opere passate al vaglio di quellelegante "amateur dart" di Leandro Muoni; il quale ne sa garantire primizie poetiche per la gioia dei prelibati palati dansiosi iniziati.Libro sapienzale di doglianza e di fede. Breviario di sacrale rivolta, anche. A scrutare con ponderatezza dingegno, ma appassionato, cultore di cose letterarie il panorama della poesia religiosa isolana ( dalla Grazia Dore ad Angelo Mundula ), credo che nessun altro poeta sardo sappia invogliare il lettore ai più arditi raffronti con leterno soffrire, come , appunto, sa testimoniare il pensoso Dessì. Il metafisico Gigi Dessì. Neria De Giovanni, nella nota che chiude il libro, riconosce, acutamente, "disegno un titolo poeticamente ambiguo, polisegnico; certo, come opera darte (...) ma anche come il piano, il progetto di qualche opera misteriosa". |
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Nei "Proverbi", Amòn è lArchitetto- lAlta Sapienza- intento a tracciare "un cerchio sullabisso", sullabisso anche del poeta perché meglio si riconosca granello di senape.Tre versi lapidari, questi, scolpiti nel transito religioso sotto lo scalpiccio umbratile dello zodiaco esistenziale? Si, ma anche testimonianza laica capace di fare risaltare, quasi con eco di suono dantica maschera doro percossa da nocche di destino, la più alta e dolorante rassegnazione delluomo Dessì, ovvero: di questa eretta falce di credente, esaltato nel giro ellittico della sofferenza accolta sotto loscuro segno delle più misteriose e imperscrutabili effemeridi stampate dal primo Gutenberg che è quel Sovrano Sapere di Dio: |
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Non sai se sia qui, in questo disarmante,
commovente attimo di ringraziamento, il miracolo che insempra la dolorante strenna,
riscattandola, in buona parte del libro, dalla tentazione di un supplicante, blasfemo
Giobbe: e bene ha inteso locculto estensore delle "elette" ( le quali non
riescono, però, a celare la mano darpista di Leandro Muoni che, con meritata stima,
il poeta riconosce capace di "scandire / nuovi suoni e dare / un espit de
Finesse") il quale ritiene che" tale condizione sentimentale implorativa (
sebbene a tratti anche dissacratoria e al limite blasfema) altro non è se non
amore sconfinato per la vita". Un salmista mediterraneo fra Giuseppe Ungaretti, David Maria Turoldo e Pier Paolo Pasolini."Forse i poeti , Signore / saranno crocifissi. / E così non può dirsi blasfemo / questo mio cantare: / da sé la carne cerca / il suo verbo"./ Un sanguinante "fil rouge", segreto come vena dellaorta, lega questo lamento cristiano del frate dei servi di Maria, Turoldo, al cantare dellumile rivera sarda adagiata presso quel francescano fiume di mitezza, orlata destraniante solitudine, che é la placata Babilonia di Monserrato, dove Dessì, anche se per natura e per cultura é estraneo alle giogaie di rancorosa invettiva, tuttavia non può non denunciare la dantesca Waste Land di questa nostra "aivola che ci fa tanto feroci", additando quella Chiesa "là dove Cristo tutto dì si merca": |
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Al profetismo turoldiano - che alla poverella
anima sua svela che "tuo destino / è stare alla porta dellincantato giardino /
nuovo Lazzaro dellAmore"- Dessì azzarda affiancare, obliquamente in
sottintesopendant, anche il religioso anatema pasoliniano contro "questi
turpi alunni di un Gesù corrotto / nei salotti vaticani, negli oratori, / nelle
anticamere dei ministri, nei pulpiti: / forti di un popolo di servitori": ed é
questa pasoliniana (anche dessiana, credo) "religione del mio tempo", titolo che
stride, ahinoi!, come monito di irreligioso nostro quotidiano. In Dessì, la lacerazione dellimprovviso vulnus ha fatto sanguinare un protestantesimo intersecato, magari inconsciamente, da umori propri di un certo gesuita "proibito" identificabile nellardito e raffinato Teilhard de Chardin (rivisitato da Giancarlo Vigorelli); protestantesimo sodale di un intollerante illuminismo cristiano, che, ospitando, a tratti, la lamentazione giobbica, si propone anche con scatti di frammentismo epigrammatico che, per sua ribelle natura, ha vocazione di febbrile colloquiare morale (in Dessì, mai moraleggiante), grazie ad un periodare sciolto, leggero, quasi scaturito da occasionale vena versificatoria che scorre in fuggevoli rivoli di parole fluide, scarnificate, senza la tesa ragnatela di qullimpalpabile nervatura implicita in certo irrigidito ermetismo ormai plastificato in modulo manieristico; parole ancora sue, dessiane, ridotte allosso molle, sanguinante dellangoscia. E non parole scarne. Non parole solenni: ma lumile salmodiare lontano dalle suggestioni di certa ieraticità liturgica, e al riparo del pulpito accademico. Poesia monogrammatica, perciò, agile nello svicolare sulla pagina con giunture esplicative pronte ad affrontare lagone con la scrittura affondando il vomere del verso, sciolto da obblighi di metrica canonica, sulle pietrose pratitudini di una sofferenza che spande incandescenti brividi di rassegnazione, unica luce, questa, residua, ma capace di scalare le più abissali cielitudini: |
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Ahi! ecco due eleganti settenari che richiamano, al tocco di chiari fonemi, lora del raccolto breviario nella penombra del crepuscolo, in questo dolce libro nato per celebrare i fasti del dolore... Credo che sia impossibile non incidere con lunghia del razionale pathos, o della provvidenziale vampata di noesi, questi ispirati versi: |
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Epifania di sacro stupore che provoca
contorsioni di viscere! Domanda che cala il suo (riverso!) uncino interrogativo con lintento darpionare risposta impossibile da darsi: e piomba il silenzio come ascia di folgore sopra gli sparsi pianti del nostro quotidiano diluvio esistenziale in cui solo larca del ferito uomo Dessì riesce a valeggiare, contro linfido vento dellincombente abiura, verso la lucente "riversa...intra due rive / dipinte di mirabili primavera". Quale e quando e come - ripetiamo tutti con angoscia - la sempre invocata risposta? E il silenzio di Dio la più terribile risposta? O forse, la risposta di Dio é nellaver, Egli, dipinto un così inimitabile "tableau de maitre"? Sincarnisce sulla pagina del cuore lunghia dellangoscia. E così anche il silenzio è risposta che puç sottintendere altra più incalzante domanda, senza parole. Silenzio di silenzio: e soltanto a lume di lucerna, allora, con la sola nostra ombra alla parete, anche noi ci sorprendiamo a biasciare monologhi di silenzio.Ma dallassillo del dubbio, ancora appare Amon che disegna il misterioso "cerchio sullabisso", e lansia allora assume forma dibisco, fiore che spunta, reciso, a scongiurare, forse, Thanatos, delirante metafora che vorrebbe assumere aspetto di maschera apotropaica, ma invano: perché si é spento libisco , e così |
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Per chi crede nel sacro miraggio del roveto ardente dellascesi, il vulnus, il Male di tutti i possibili |
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Nella pagina/tavola anatomica di Dessì non cè spazio per lanalisi della malattia e del lutto: niente cartelle cliniche4 fotocopia di quelle di Stecchetti Gozzano Corazzini Svevo Campana, eccettera magari di altre illustri patologie: solo prognosi di fausta fede. La malattia di ogni autentico - perché prediletto da Dio - Job è lulcera del Male o del Maligno. |
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Male che lo fa gioire ardendo: è umbratile
sottigliezza dun esteta irredento, questa? No, assolutamente no! |
Dessì, come anche Giobbe, non interpella e non teme la morte perché da dolorante, vero credente sa computare solo quelleterno infinito Presente di Dio: egli sa di essere fiato del Sempre. E così, Dessì medita: |
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Ascoltiamolo, lo dice anche Ezechiele: è lo
scriba vestito di biancoche "passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e
segna un tav" sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono".Quello
scriba ha segnato anche la fronte dun poeta con lultima dellalfabeto
ebraico del dolore. Nel giro poetico del parentado cristiano dellautore sardo sono presenti certamente, il Bettocchi inquieto, il tormentato Testori, ma sicuramente più di tutti, Ungaretti (specie a causa di mediate affinità linguistico-strutturali affioranti nella rielaborata tessitura postermetica e in certe movenze della allure metrica presenti nel "disegno"; che Dessì, però, sa convertire in quotidiano canto penitenziale a mezza voce); lUngaretti del "dolore", intendo, quello degli "inni" che grida "sono un uomo ferito": ma sopratutto, "luomo di pena" al limite della sofferta abiura, come traspare nella poesia "mio fiume anche tu", quando si domanda: "Cristo, pensoso palpito, / perché la tua bontà / sè tanto allontanata?".Almeno: può essere una risposta chiedersi il perché del perché? "Il disegno"come quadro metafisico. |
Questo titolo dato al poemetto credo abbia le
carte giustificative che gli consentono di iscriversi negli annali letterari della
scuola o, se meglio si preferisce, tendenza metafisica della quale, con
lalto avallo di Eliot, può dirsi che faccia propria lelaborazione complessa
di una figura retorica (in questo caso, appunto, il disegno) che si propone non solo come
cifra polisegnica, ma anche polivalente e, sopratutto, azzardo dire, monodialogica, là
dove con il dolente monologo Dessì imbastisce un quasi orfico dialogo con il grande
Presente-Assente che è Dio: e qui il poeta riesce ad elaborare una sorta di
"ghiommere", un occulto discorso-invito a dialogare, di taglio metaespressivo in
cui il verso-lamento-preghiera del poeta si spinge finoalla soglia di una possibile
risposta da ottenere da parte del Divino, dal quale, però, non riesce a districarsi;
viene così a prendere forma linguistico-figurale insolita, quasi di taglio scultureo
visionario: una sorta di (altro) semantico Laocoonte-aniconico, direi- dove il monologo
ansima nellattesa del dialogo che, tuttavia, avviene nel più misterioso teatro
dellassenza: è un monologo del poeta aggiogato al Silenzio: statura dun
originale Laocoonte aniconico, appunto. Ma metafisico é anche limpianto della forte
tematica di questo poemetto. E stato, ancora, Eliot a riconoscere titolo di "poesia metafisica" nella elaborazione di una figura retorica del "mondo ridotto a scacchiera", nella poesia "To Destiny", di Covley; e in quella, ancora più raffinata immagine - metafora di "due amnti" paragonati a "un compasso", nella poesia "A Valediction", di John Donne. Metafisico, questo "saccer liber maestitiae", anche perchè, nel tormentato viaggio alla ricerca dellio cè ansia dassoluto: dove lagonismo di Gigi Dessì arde damore nel ringraziare il suo Architetto |
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(Franco Cocco) |
Testi
Dott.ssa Giuseppina Paddeu |