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Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività

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   CORPO ED ESISTENZA.

Riflessioni cliniche sull'autismo e la psicosi.

di Salomon Resnik

 

Traduzione dal francese di Giuseppe Leo

  Il presente testo di Salomon Resnik è quello di una conferenza tenuta dall'autore alle "3e. Journées d'Angers" il giorno 8 dicembre 2000. Si ringrazia sentitamente il Prof. Resnik per aver messo a disposizione di Frenis Zero il suo importante contributo.
 

 Salomon Resnik è psicoanalista e psichiatra, membro della International Psychoanalytic Association , ha studiato in Argentina , per poi proseguire la sua formazione a Londra con Melanie Klein , Rosenfeld , Bion e Winnicot . Attualmente esercita la professione a Parigi , e periodicamente a Venezia , dove tiene Seminari di ricerca  e formazione per psichiatri , psicologi , educatori presso il Centro Internazionale Studi Psicodinamici della Personalità , di cui è Presidente. E’ molto noto anche in Italia , in particolare per la sua esperienza terapeutica e i suoi studi sulla psicosi . Oltre a numerosissimi lavori pubblicati in diverse riviste internazionali , ha pubblicato anche in italiano diversi libri , tra cui ricordiamo : “Il teatro del sogno” (1982) uscito per Bollati Boringhieri; “L’esperienza psicotica” (1986); “Spazio mentale:sette lezioni alla Sorbona” (1990); “Sul fantastico” (1993,1996). Ha curato inoltre il volume collettivo “Dialoghi con la psicosi”(1989).

  Foto: Salomon Resnik

 

 

Farò del mio meglio per trasmettervi il mio vissuto sull'esperienza analitica con pazienti psicotici. E' nei pazienti autistici e schizofrenici che la presenza - o assenza, anzi la negazione - del vissuto del corpo si pone come problema essenziale.

  Foto: Italo Calvino

Intorno agli anni '70, ero stato invitato a tenere, per tutta la durata di un anno, un seminario sulla semiologia del corpo all'Università di Censier, a Parigi. Nella bibliografia che avevo consegnato agli studenti, c'era il libro di Italo Calvino intitolato Il Cavaliere inesistente1. All'epoca Calvino abitava a Parigi, ed eravamo molto amici... Lo avevo invitato un giorno a parlare ai miei studenti, in particolare sul tema del corpo nel suo libro. Ne Il Cavaliere inesistente , il cavaliere si chiama Agilulfo, ed è l'eroe di guerra dell'imperatore Carlomagno. Un giorno mentre Carlomagno passa in rassegna  le truppe, quest'ultimo ha fatto notare che Agilulfo aveva sempre la visiera dell'elmo abbassata, chiusa. Carlomagno voleva conoscere il viso del suo eroe. 

<< Il re era giunto di fronte a un cavaliere dall'armatura tutta bianca; solo una righina nera correva torno torno ai bordi; per il resto era candida, ben tenuta, senza un graffio, ben rifinita in ogni giunto, sormontata sull'elmo da un pennacchio di chissà che razza orientale di gallo, cangiante d'ogni colore dell'iride. Sullo scudo c'era disegnato uno stemma tra due lembi d'un ampio manto drappeggiato, e dentro lo stemma s'aprivano altri due lembi di manto con in mezzo uno stemma più piccolo, che conteneva un altro stemma ammantato più piccolo ancora. Con disegno sempre più sottile era raffigurato un seguito di manti che si schiudevano uno dentro l'altro, e in mezzo ci doveva essere chissà che cosa, ma non si riusciva a scorgere, tanto il disegno diventava minuto. -E voi lì, messo su così in pulito... - disse Carlomagno che, più la guerra durava, meno rispetto della pulizia nei paladini gli capitava di vedere. -lo sono, - la voce giungeva metallica da dentro l'elmo chiuso, come fosse non una gola ma la stessa lamiera dell'armatura a vibrare, e con un lieve rimbombo d'eco, -Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez!
-Aaah... -fece Carlomagno e dal labbro di sotto, sporto avanti, gli usci anche un piccolo strombettio, come a dire: «Dovessi ricordarmi il nome di tutti, starei fresco! » Ma subito aggrottò le ciglia. -E perché non alzate la celata e non mostrate il vostro viso ? Il cavaliere non fece nessun gesto; la sua destra inguantata d'una ferrea e ben connessa manopola si serrò più forte all'arcione, mentre l'altro braccio, che reggeva lo scudo, parve scosso come da un brivido. -Dico a voi, ehi, paladino! -insiste Carlomagno. -Com'è che non mostrate la faccia al vostro re?
La voce usci netta dal barbazzale. -Perché io non esisto, sire.
-O questa poi! -esclamò l'imperatore. -Adesso ci abbiamo in forza anche un cavaliere che non esiste! Fate un po' vedere.
Agilulfo parve ancora esitare un momento, poi con mano ferma ma lenta sollevò la celata. L'elmo era vuoto. Nell'armatura bianca dall'iridescente cimiero non c'era dentro nessuno.
-Mah, mah! Quante se ne vedono! -fece Carlomagno. -E com'è 'che fate a prestar servizio, se non ci siete? -Con la forza di volontà, - disse Agilulfo, - e la fede nella nostra santa causa!
-E già, e già, ben detto, è cosi che si fa il proprio dovere. Be', per essere uno che non esiste, siete in gamba!
Agilulfo era il serrafila. L'imperatore ormai aveva passato la rivista a tutti; voltò il cavallo e s'allontanò verso le tende reali. Era vecchio, e tendeva ad allontanare dalla mente le questioni complicate.
La tromba suonò il segnale del « rompete le righe ». Ci fu il solito sbandarsi di cavalli, e il gran bosco delle lance si piegò, si mosse a onde come un campo di grano quando passa il vento. I cavalieri scendevano di sella, muovevano le gambe per sgranchirsi, gli scudieri portavano via i cavalli per la briglia. Poi, dall'accozzaglia e il polverone si staccarono i paladini, aggruppati in capannelli svettanti di cimieri colorati, a dar sfogo alla forzata immobilità di quelle ore in scherzi ed in bravate, in pettegolezzi di donne e onori.
Agilulfo fece qualche passo per mischiarsi a uno di questi capannelli, poi senz' alcun motivo passò a un altro, ma non si fece largo e nessuno badò a lui. Restò un po' indeciso dietro le spalle di questo odi quello, senza partecipare ai loro dialoghi, poi si mise in disparte. Era l'imbrunire; sul cimiero le piume iridate ora parevano tutte d'un unico indistinto colore; ma l'armatura bianca spiccava isolata li sul prato. Agilulfo, come se tutt'a un tratto si sentisse nudo, ebbe il gesto d'incrociare le braccia e stringersi le spalle.
Poi si riscosse e, di gran passo, si diresse verso gli stallaggi. Giunto là, trovò che il governo dei cavalli non veniva compiuto secondo le regole, sgridò gli staffieri, inflisse punizioni ai mozzi, ispezionò tutti i turni di corvé, ridistribuì le mansioni spiegando minuziosamente a ciascuno come andavano eseguite e facendosi ripetere quel che aveva detto per vedere se avevano capito bene. E siccome ogni momento venivano a galla le negligenze nel servizio dei colleghi ufficiali paladini, li chiamava a uno a uno, sottraendoli alle dolci conversazioni oziose della sera, e contestava con discrezione ma con ferma esattezza le loro mancanze, e li obbligava uno ad andare di picchetto, uno di scolta, l'altro giù di pattuglia, e così via. Aveva sempre ragione, e i paladini non potevano sottrarsi, ma non nascondevano il loro malcontento. Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez era certo un modello di soldato; ma a tutti loro era antipatico2>>.

Ma chi era questo soldato che rimaneva puro spirito all'interno della sua corazza? Dove abitava il suo essere? Nella <<santa causa dell'imperatore>>? Nel Grande Altro (ideale dell'Io)?

Freud nel 1923, nel suo scritto L'Io e l'Es3, dice:<< L'Io è prima di tutto Io corporeo, koerperliches Ich, superficie sulla quale si proietta l'Io psichico>>. Ed è in questa frontiera che si formalizza la relazione Io-mondo. L'Io ha i suoi limiti, la sua maschera, e per così dire, il suo corpo4.

Il nostro eroe Agilulfo, il cavaliere inesistente, è un'identità di superficie, una maschera svuotata del suo essere. Dov'è andato? Solamente accanto al suo re? Il suo Io psichico, dissociato dall'Io corporeo, si sente smarrito? In quale dimensione erra? Quando potrà ritornare nel suo corpo-casa? E' tra il 'des-etre' (il dis-essere) ed il 're-etre' (ri-essere) che la sua metafisica sull'esistenza si pone.

Ritorniamo al tema del corpo e dell'esistenza, il tema del mio discorso.

  Foto: Paul Schilder

La nostra percezione del proprio corpo pone dei problemi. L'immagine del corpo per Paul Schilder5 è un concetto molto importante. Schilder parla dell'immagine del corpo e del suo aspetto, dunque del suo modo di <<apparire>>. Quindi la dialettica tra essere ed apparire è sempre presente nei suoi scritti. L'immagine del corpo è la maniera che il corpo ha di rendersi presente nel nostro spazio mentale. Ma questa presenza non è anodina, poiché le sensazioni sono tattili, termiche, dolorose, e fanno parte del nostro sistema sensoriale vivente. Perciò, il mondo viscerale e la sua <<carcassa>> muscolare è una presenza vitale, in movimento, che cambia in continuazione: uno schema corporeo in stato di trasformazione. La posizione del corpo di Agilulfo, la sua postura, è un messaggio, un modo di parlare, di dire del suo corpo-armatura. Lo schema del corpo è tridimensionale per Schilder, e quadri-dimensionale nella misura in cui la vita del corpo si svolge nel tempo.

Nelle situazioni psico-patologiche e organiche, l'immagine del corpo cambia e può portare a delle vere e proprie distruzioni di un tale schemata per una lesione della corteccia cerebrale oppure per altre cause somato-psichiche (Wernicke). Vivere è sentire il corpo, rendersi visibile agli altri ed a se stesso.

La protagonista del mio primo scritto sulla psicosi6, la Sig.na L., che soffriva della sindrome di Cotard, diceva di se stessa: <<Non esisto, perché nessuno mi vede. Sono invisibile, non ho un corpo>>. Si guardava allo specchio e non si vedeva. Un tale fenomeno, descritto come allucinazione negativa, o più specificamente autoscopia, in questo caso esterna negativa, era l'espressione di un delirio di negazione, come era stato descritto da Jules Cotard7.

Con la sua sindrome di negazione ed il suo sentimento di essere invisibile, la Sig.na L., proprio come Agilulfo, aveva quindi il sentimento di non esistere.

Comunque sia, la capacità di vedersi allo specchio come qualcosa di vivente al pari degli altri, e di riconoscersi, è una condizione ontologica per eccellenza. Evidentemente, ciò che Freud chiama 'Selbstbeobachtung', si dispiega in uno spazio di conoscenza e di riconoscimento. Il campo analitico, lo spazio del transfert, è un incontro tri-dimensionale, o piuttosto quadri-dimensionale. Tutto avviene in un tempo che scorre... ma nella psicopatologia, il fiume di Eraclito, il divenire, si può immobilizzare. Il paziente è vivente? L'analista è anche lui vivente? 

  Foto: Jean Cocteau

Jean Cocteau diceva che uno specchio (per Narciso era l'acqua) doveva <<riflettere ('reflechir') bene>> prima di riflettere ('refleter') l'immagine. Ciò è anche vero per l'analista-psichiatra. 

  Foto: Donald W. Winnicott

Winnicott ha evocato il viso della madre come primo specchio del bambino. Anche se il viso della madre non è piatto, né freddo, né inanimato. Non è solo un Io di superficie, ma piuttosto un volume che si muove e che talora commuove. Il viso della madre è normalmente <<nella vita>>, così come quello del bambino. La dimensione umana è sempre una relazione dialogante.

Parlerò ora di due casi clinici. Uno è il caso sempre di un cavaliere, carolingio, come quello di Calvino. L'altro è il caso della donna dal corpo di cotone.

 

Un soldato carolingio.

 

Si chiama Samuele; è un giovane che presenta sintomi dissociativi di tipo schizofrenico: era allora chiuso nella sua casa da quattro o cinque anni, come in un 'bunker' (proprio come l'armatura di Agilulfo). Non c'era alcun modo di farlo uscire dalla sua fortezza, la casa dei suoi genitori. Alla fine, parlai ai suoi genitori, che erano venuti a trovarmi perché io tentassi di trovare il modo per far sì che egli venisse a Parigi. Pensai ad un sotterfugio che per me assumeva l'aspetto di una verità secondo la mia esperienza. Dissi loro: <<Vostro figlio ha paura dello spazio aperto (sapevo che l'agorafobia è un sintomo caratteristico di tale tipo di psicosi), bisogna allora trovare il mezzo, un altro contenitore, un vagone ferroviario, un aereo (un bunker mobile e provvisorio) per venire permanentemente all'interno di un oggetto>>. Avevo appreso dal dottor Herbert Rosenfeld, il mio analista a Londra, che certi pazienti psicotici possono cambiare oggetto a condizione che vi abitino. Bisognava quindi evitare di farlo uscire in un 'agorà' dialogante, di cui aveva bisogno, ma che non poteva ancora prendere per sé.

  Foto: Herbert Rosenfeld

La fobia degli spazi aperti equivale a una paura di nascere o di ri-nascere. Tutti gli esseri umani, anche se sono nati biologicamente, non sono <<nati psicologicamente>>, diceva Margaret Mahler8.

   Foto: Margaret Mahler

 

Essi abitano, la maggior parte del tempo, all'interno di oggetti. Samuele è alla fine arrivato a Parigi per incontrarmi. Egli è dunque arrivato dentro-dentro-dentro (auto-treno-auto) al mio studio di rue Bonaparte. Quando l'ho avuto per la prima volta davanti a me, si guardava intorno come se volesse mostrarmi che aveva delle presenze attorno a sé. Avevo l'impressione che egli si trovasse all'interno di un bunker allucinato, fatto d'oggetti allucinati, tra cui dei soldati, dei preti (come l'ho appreso dopo) che lo proteggevano circondandolo. Io mi sono trovato a momenti fuori dal <<cerchio>> ed a momenti dentro, inghiottito; dopo un silenzio molto pesante, ho detto:<<Non siamo soli>>. In quel momento mi ha fatto comprendere che si trattava di un esercito allucinato, di un altro tempo. Mi dice:<<sì, ci sono dei soldati carolingi attorno a noi... ci sono anche dei preti>>. Ho appreso in seguito che nei suoi antenati, c'erano in effetti dei militari e dei preti... e persino uno psichiatra pazzo, ma celebre. Mi guardava con molta attenzione. Tra gli antenati, c'era anche un aviatore italiano celebre, abbattuto durante la guerra del 1914 da un aviatore tedesco chiamato il <<Barone Rosso>>. Ecco il motivo per cui non voleva viaggiare in aereo, si identificava spesso col suo bisnonno eroe, e temeva di essere di nuovo abbattuto da un altro <<Barone Rosso>>. Aveva quindi accettato di viaggiare dentro un vagone ferroviario.

Mi ha fatto comprendere che i soldati o cavalieri carolingi erano spesso piatti, bidimensionali.

Un giorno scopre nel mio studio una serie di carte dei tarocchi (fatti secondo i disegni del grande pittore rinascimentale Giulio Romano). Li guarda con attenzione e sceglie una carta che rappresenta il bagatto: si tratta di un personaggio nudo e bisessuale, che tiene una bacchetta in mano e che, appoggiato a un tavolo, tiene nell'altra mano un bicchiere vuoto. Samuele guarda le carte dei tarocchi e dice:<<Ho sognato oggi...ho sognato di essere un mago, un cartomante.

- Ah, ecco! Dunque tu sai come utilizzare il tuo potere sulle carte. I tuoi soldati sono spesso piatti come le carte. Quando tu sei la volontà di Carlomagno, trasformi il mondo attorno a te in un gioco di carte che ti segue come un esercito. 

Egli chiamava in italiano le sue allucinazioni figurini , che mi ricordano le vecchie figurine vittoriane che ammiravo da ragazzo a casa delle amichette, e che talora conservavo anche nei miei libri. Comunque sia, non avevo tutte le figurine nelle mie mani, come avrei desiderato nella mia infanzia, mentre invece Samuele, lui le aveva tutte in mano. Egli si sentiva capace di tenere tutte le carte in mano per dominare il suo esercito, il suo 'entourage'... Nel transfert, l''entourage' sono io.

Un giorno, porta in seduta un poster di Che Guevara. Me lo mostra con ammirazione. Gli era stato detto che io ero argentino. Dice:<<Questo poster di Che Guevara l'ho appena comprato. Lo porto a casa e lo appendo nella mia stanza>>. Dopo un silenzio carico di tensione, col suo sguardo fisso su di me, mi sento come paralizzato ed appiattito. Dico:<<Mi sento paralizzato, piatto, e trasformato in poster dal tuo sguardo magico. Tu sei il bagatto, l'uomo colla bacchetta. Tu mi stimi molto, come stimi Che Guevara, ma tu ci trasformi in esseri ammirati ed insieme appiattiti. Siamo controllati ed alla mercé di Samuele il cartomante. Vorrei uscire dal poster in cui mi hai fatto entrare...>>. Egli sorride mostrandomi dell'affetto. Aveva certamente delle motivazioni per controllare ed esercitare i suoi poteri deliranti sul mondo che lo attorniava, quindi anche nel transfert psicoanalitico.

Questa uni-dimensionalità, questo mondo piatto, mi ricorda un libro che mi ha parecchio colpito, scritto in inglese da Edwin Abbott, intitolato Flatland (1884). 

L'autore descrive un mondo bi-dimensionale abitato da linee, triangoli, quadrati, cerchi e poligoni... Tali forme hanno esistenze geometricamente euclidee. I triangoli rappresentavano la classe operaia, il quadrato ed il pentagono le classi professionali, ed i nobili erano poligoni, tendenti all'infinito. I preti erano cerchi. Le donne erano linee dritte potenti e persecutorie. Dal mio punto di vista, il mondo di Samuele assomigliava a quello di Abbott. Talora, Samuele trovava difficile trasformare questi esseri devitalizzati ed appiattiti in esseri tri-dimensionali e viventi. La perdita del suo potere onnipotente lo deprimeva, ma tale depressione era ancora assai fredda, con dei momenti tuttavia più calorosi. In genere, il suo spazio mentale schiacciato si proiettava in parte nell'"oggettualità" del mondo, non tollerava i propri sentimenti, e dunque Samuele non sempre perveniva a ri-animare i suoi personaggi. Gli comunico che situazioni dolorose nella sua vita hanno determinato l'allontanamento dei suoi affetti che gli sono tanto lontani quanto lo sono  il Medio Evo ed il Rinascimento.

Il libro di Abbott è sottotitolato <<un romanzo in più dimensioni>>. L'autore, nato nel 1838, pubblica questo libro nel 1884. Le case, gli alberi, i paesaggi sono anch'essi piatti. L'autore dirà del suo romanzo:<<Un giorno arriverà una sfera, solida e tridimensionale, che farà scoppiare il mondo di Flatland. Ciò sarà l'apocalisse, la follia>>. Mi chiedo se Fellini non si sia ispirato a questa frase per il suo film Prova d'orchestra.

Quale migliore descrizione della crisi psicotica? La reintroiezione incontrollata di aspetti intollerabili di un Io sconvolto ritorna in maniera apocalittica, catastrofica. Inoltre bisogna vedere se la testa del paziente, il suo spazio mentale, può contenere e riorganizzare tutto questo smembramento... di pezzi di vita <<ritenuti>> che ritornano nel loro nido d'origine: l'apparato psichico che li ha creati. Così, i sentimenti ed i pensieri fuorviati divengono equivalenti a uccelli perduti nello spazio che cercano un porto, una porta, un asilo...9

I frammenti o particelle della <<materia>> del pensiero smembrati si disperdono tutt'intorno, all'interno così come all'esterno del territorio autistico. Esistono due forme di membrane-barriere autistiche: una è quella ripiegata su se stessa, e l'altra è quella in espansione. Si tratta di idee nuove che sto sviluppando in questo periodo in diversi articoli. Per tornare al nostro tema, i pensieri selvaggi alla ricerca di un riparo cercano un'opportunità nel transfert per ritornare a far parte dell'essere. Così, tra essere e dis-essere (des-etre), l'io psicotico o nevrotico tenta di trovare un aiuto, un appoggio. Spesso, è evidente che il paziente non sa coscientemente cosa gli accade. Ma la dimensione inconscia è una realtà che si esprime spesso in modo paranoide. Spesso essa non vuole sapere ciò che dice. Essa risente di una intrusione vissuta come sconvolgente, anche se l'intenzione è terapeutica.

Per tornare ad Abbott, se lo spazio mentale non tollera la tri-dimensionalità, anzi la quadri-dimensionalità, cioé il tempo vissuto, la tendenza sarà quella di appiattire i suoi sentimenti, e  se stesso. Sembra che Einstein fosse molto interessato alle idee di Abbott, persino prima che elaborasse le sue teorie innovative. Una rivista scientifica inglese, Nature, pubblicò il 12 febbraio 1920 un articolo che ricordava Flatland come un libro futurista ed anticipatorio. La nozione bergsoniana di tempo vissuto era anche presente in Abbott.

Torniamo ora al mondo relazionale, quindi al transfert analitico, per riprendere il filo del nostro discorso.

La Weltanschaung di Samuele spazializzata nel campo transferale prende a momenti contatto con un tempo vissuto sospeso. In quel momento, i sentimenti riappaiono, ed i suoi personaggi prendono rilievo, escono dal loro appiattimento; ma la capacità di tollerare il sentito non è sempre intollerabile. La sofferenza e la persecuzione appaiono e scompaiono, secondo la capacità dell'io di tollerare l'essere nella vita.

La ri-trasformazione del tempo spazializzato in spazio vissuto, come è stato studiato da E. Minkowski10, è davvero d'attualità.

   Foto: Eugene Minkowski

In Samuele, il geometrismo ed il razionalismo patologici sono sostituiti dalla vita di un pensiero sempre meno allucinato e sempre più vissuto.

Un giorno Samuele mi dice: <<Sa, dottore, ho scoperto che le mie passate allucinazioni erano in realtà dei pensieri>>. Quale migliore definizione dell'allucinazione? Ciò mostra che se le condizioni del transfert sono adeguate, il paziente può riprendere il corso dei suoi pensieri e dei suoi affetti, cioè egli può prendersi il suo spazio mentale: prendere la responsabilità, o paternità, del suo spazio-madre (<<ogni corpo è madre>>, diceva Meister Eckart (1260-1328)).

In un'altra occasione, egli dice:<<penso a mio fratello morto>>, che in effetti si era appena suicidato qualche mese prima dell'inizio della sua analisi. Quando egli disse ciò, i suoi occhi divennero rossi, e la sua pelle più colorata. Ma siccome sono anni che non piange più, gli chiedo:<<Dove sono le tue lacrime?>>. Egli risponde con un silenzio, ma il clima è allora commovente. Certi psicotici, incapaci di piangere con gli occhi, traspirano eccessivamente dalle mani ad esempio, come l'ho notato in un mio paziente, Piermaria, che piangeva letteralmente con le sue mani.

A proposito di lacrime, dice:<<Sono circondato da un mondo di 'matriochkas' (o bambole russe), ed all'interno di ciascuna di esse, all'interno della più piccola, ci sono delle lacrime>>. Io, che sono russo di origine, mi sono allora molto commosso. D'altronde, la 'matriochka' vive un'esistenza immobile, e Samuele non si muoveva ancora a sufficienza a livello affettivo. Vivere interamente il dramma della sua vita, della sua nascita (era figlio di madre nubile) era ancora troppo doloroso. In più, colui che aveva sposato sua madre, quando Samuele aveva tre anni, gli aveva raccontato di essere suo padre, cosa falsa, e Samuele ne aveva già un'intuizione anche se era accettato ed amato dal <<padre>>. Ci sono sempre dei malintesi consci ed inconsci all'origine di ogni psicopatologia. Per Samuele, ancora fragile ed in fondo troppo sensibile, la <<realtà>> era troppo difficile da affrontare. Il vecchio malinteso si è allora posto di nuovo nel transfert, ed ha cominciato a svelarsi dolcemente in un contesto analitico. Gli dico allora:<<Il mondo, per te, si trasforma in realtà dove la sofferenza esiste...forse anche il piacere...>>. Per lui, il suo sentire nascosto dietro la maschera e quella dei suoi personaggi, immobilizzata come le 'matriochkas', comincia a prendere vita, a muoversi. Egli diviene dunque sempre più capace di sentire le emozioni (e-mouvant).

Il suo corteo di soldati e preti merovingi si trasformano poco a poco in sentimenti e pensieri.

In un'altra seduta mi disegnò l'Arco di Trionfo di Parigi.

Il suo disegno è molto particolare, poiché sembrava un paio di pantaloni vuoti, come quello che egli ha immaginato in una seduta in cui era lui stesso assente: non era nei suoi pantaloni...Era un pantalone vuoto, come la pubblicità dei jeans Levis dell'epoca. Inconsciamente, aveva abbandonato la sua carcassa, proprio come il cavaliere inesistente, per andare altrove, in un'esistenza invisibile. Mi chiedevo a voce alta dove fosse andato. Non appena mi ha sentito, mi ha risposto: <<Sono ancora un soldato, e sono andato alla porta con i miei guardiani per controllare l'entrata e l'uscita>>.

Poi ho appreso che un'altra parte del suo corteo era andata a controllare la finestra del mio studio. Egli diveniva allora cosciente che aveva un dentro ed un fuori, e che bisognava verificare, o piuttosto montare la guardia su ogni scambio col mondo, quindi anche tra lui e me.

Temeva che certi suoi sentimenti, <<gettati>> nel mondo, sani o malati, talora vissuti come pericolosi e sconvolgenti, non potessero accettare lui stesso. Ma soprattutto, controllava la reintroiezione dei suoi pensieri selvaggi. Padroneggiare lo scambio col mondo era il suo desiderio, e la sua realizzazione doveva essere un trionfo, un Arco di Trionfo alla sua salute. Dopo un momento, egli finisce per reintegrare i suoi pantaloni: star bene nella sua pelle. Dopo una pausa sorride:<<Penso alla musica di Underground...

- Ciò si muove in te! Se c'è della musica, ciò significa che la tua vita comincia a vibrare. 

Il suo Korper ridiviene Leib con il suo Underground vivente interiore. Poi aggiunge:<<Desidererei conoscere la Francia.

- Uscire dalle tue prigioni?>>

Dopo tre anni di lavoro, egli tenta di rientrare nei suoi pantaloni, nel suo corpo,  nel suo abitacolo, e di ritornare alla vita. Ma come riorganizzare le particelle sparpagliate del suo essere smarrito?

Un giorno dice:<<Sono un figlio naturale>>. Era vero. Ma ho aggiunto che egli era anche sempre meno artificiale, e sempre più naturale nel suo modo d'essere. Egli non era solamente un personaggio importante del Rinascimento o del Medio Evo, a momenti egli diveniva se stesso: una persona.

 

LA DONNA DI COTONE:

Vi parlerò di un secondo caso, Gilda, una donna di 30 anni (33 oggi). Si è appena risvegliata da un lungo sogno a occhi aperti, che ella chiama <<essere addormentata alla vita>>, e la sua ri-nascita è molto dolorosa. Lei non sa che fare con un corpo di 33 anni che ancora non riconosce come il suo. 

Ora che lei è, si pone, come per Samuele, il problema della vita e della morte.

Riprenderò certi aspetti della sua analisi, ed il motivo per cui la chiamo la ragazza dal corpo di cotone.

Nelle prime sedute, alle quali ho già fatto riferimento in precedenti lavori, ella era rigida e fredda. Veniva tutti i giorni, come Samuele. Molto magra, con un corpo pressocché immobile di cui lei non aveva consapevolezza, parlava molto poco e diceva spesso:<<Non ho un corpo>>. Aveva paura di guardarsi allo specchio, ed a volte c'aveva provato ma senza mai vedersi. Ho scoperto in seguito che non si trattava solamente di autismo, ma anche di una sindrome di Cotard, che avevo studiato nella mia tesi apparsa negli anni '50, la quale ho poi sviluppato nel mio libro Persona e Psicosi11. Lei aveva per me l'aspetto di una maschera triste, spogliata di vissuto. All'inizio della sua analisi, si sentiva incapace di pensare. Guardava spesso in aria, e talora reagiva a tutti i rumori esterni terrorizzata all'idea di essere invasa. Ho appreso più tardi che sentiva spesso dei rumori nel suo orecchio destro, che si trasformavano talora in urla... Erano le urla di sua madre quando lei era piccola, ma anche il proprio urlo contenuto all'interno della sua corazza. Aveva una carcassa di cotone, e non di metallo come Agilulfo, Come lei muoveva la testa reagendo al rumore del frigorifero della cucina contigua, o dello scaldacqua, e quando le domandavo cosa guardasse intorno a lei, diceva: <<vedo dei punti, delle linee, dei cerchi.

- Ah, sono dei pensieri!>> Avevo così appreso che la forma dei suoi pensieri era geometrica. Come le figure di Abbott, ogni forma doveva rappresentare delle idee o dei personaggi, un certo stato dello spirito. A volte, come per Samuele, una linea poteva ad esempio rappresentare un rumore, le urla della madre, o la voce seducente di suo padre che le arrivava all'orecchio <<in linea diritta>>. Forse la mia voce aveva anch'essa un tale significato? Ciò che ho appena espresso, è una forma di percezione o di pensiero allucinatorio intrusivo. In quel momento avevo l'impressione che le <<idee plastiche>> o un tema pittorico neoplasticista, artistico, vagasse attorno la sua testa. Un giorno lei mi ha mostrato dei suoi disegni, che non erano molto espressivi, con un'espressione plastica indurita e ripetitiva. A tratti un colore rosso, brillante ed intrusivo voleva prendere tutto lo spazio in modo incendiario. L'opposto di tale aspetto era un comportamento opaco o spento. Lei mi dava l'impressione di qualcuno che non esisteva veramente, e che non aveva un corpo. Al posto del corpo lei descriveva una sorta di abito, di involucro di cotone spesso. Una volta ha evocato un abito di seta di cui la sorella minore era invidiosa. Per lei provocare l'invidia in sua sorella era importante, in quanto lei stessa era gelosa di sua sorella dalla nascita. La sua posizione rivendicatrice era legata precisamente alla nascita della sorella minore, quando lei aveva tre anni. E' a quell'epoca che le urla della ferita narcisistica si sono mescolate con quelle di sua sorella neonata, che aveva <<preso il suo posto>>, ed a quelle di sua madre sofferente di non potersi confrontare con le due figlie e di non poterle soddisfare entrambe. Un giorno, lei aggiunge al rumore un'allucinazione olfattiva: l'odore della cucina di sua madre, prima della nascita della sorella minore, quando tutto era ancora fatto per lei sola. Evidentemente, io ero consapevole, ed anche lei, che la mia <<cucina analitica>> non era solamente per lei, in quanto avevo altri <<ospiti>>.

Come l'ho già evocato, ella reagiva ai rumori della mia cucina e dello scaldacqua posto nel bagno, che le permettevano di drammatizzare la sua reazione di fronte a dei suoi aspetti orali ed anali. A proposito di analità, un giorno mi ha fatto ascoltare una cassetta nella quale, da piccola, cantava con la sua sorellina, e nella quale ad un certo punto, in modo aggressivo, la chiama <<culo>>. A momenti ella era  fredda affettivamente come il frigorifero, specie quando parlava di sua sorella e della sua famiglia. Ultimamente, ella ha mostrato di poter essere calda e violenta. Mi mostra una somatizzazione apparsa sulle sue mani, tutte arrossate, che lei associa al fatto di dare dei pugni a qualcuno. Tutto ciò si esprimeva nel transfert, e quindi anche riguardo a me, secondo il personaggio che lei proiettava in me ad un certo momento.

<<Sono tanto calda e sul punto di scoppiare!...>> E' a quell'epoca che sogna per la prima volta una chiesa in cui c'era una grande quantità di bare, tra i venti ed i trenta morti. Tutt'a un tratto, essi si mettono in piedi ed un incendio <<molto rosso>> ed avvolgente invade e distrugge la chiesa. Ogni bara rappresentava un anno di <<vita morta>>, di tempo perduto, i cui la rabbia, la violenza si era accumulata e devitalizzata. Questo sogno annunciava una crisi in cui un'enorme violenza incendiaria si era svegliata, quando lei scopre a 33 anni di avere un corpo. Lei non vuole prendersi il suo corpo vivente, e pensa che non può ricominciare la sua vita, confinata da così tanto tempo nel cotone che ricopriva un corpo inesistente: un corpo in negazione.

Un giorno mi parla delle sue idee che le provocano molta fatica e depressione. Erano idee così tristi ed indebolite che si erano lasciate cadere in un <<ambiente ospedaliero interiore>>: la sua testa tappezzata di cotone per medicazioni ammortizzava la caduta del suo essere pensante.

Dopo tre anni, comincia progressivamente a sentire parti del suo corpo. Dapprima il piede, ed a momenti la testa, o le mani rosse dalla rabbia. Ultimamente, è tutto il suo corpo, morto e pesante da tanto tempo, che torna a reclamare il suo posto...Ella è molto arrabbiata, e non vuole offrirgli questo posto, in quanto non vuole perdere la sua condizione di donna invisibile. Nonostante la sua volontà, comincia a guardarsi allo specchio, ma accoglie il suo riflesso come se si trattasse di un mostro.

Durante le ultime sedute si tocca il viso e particolarmente la bocca...

<<Cosa si tocca?

- Non lo so.

-Ma vedo un dito, verso la bocca...Che età ha la piccola?

- Ah sì, sì...col dito in bocca, sono una bambina piccola.>>

Quindi si tocca l'orecchio:

<<Cosa c'è nell'orecchio?

- Sento il suono di una conchiglia, come alla spiaggia, quand'ero piccola.

- Una conchiglia che le parla di un altro tempo? Un messaggio che viene da lontano?>>

Si ricorda di suo padre che le carezzava l'orecchio quando la faceva dormire mentre la madre si occupava della sorellina. Questo ricordo diviene in un altro contesto una relazione incestuosa: era la voce del padre che cercava di penetrarla. Gilda parla quindi di una relazione erotizzata, della voce che si confondeva a volte con la mia voce. Diceva che in altri momenti suo padre rappresentava per lei la madre, riferendosi così al transfert materno della seduta.

Un giorno ha una sensazione piacevole:

<<Oggi la voce di mio padre torna a farmi visita, e sento anche il buon odore della cucina di mia madre... Ero felice prima della nascita di mia sorella che ha rovinato (emmerdé) la mia vita.>>

Si riferiva all'età d'oro della sua vita, quando era figlia unica, o quando si immaginava di essere la mia unica paziente. Ha bisogno di sapere quale posto occupa nella mia testa. Ultimamente, telefona spesso per sapere cosa faccio, e se penso a lei. A sua madre che è rimasta in Italia, telefona fino a 10 volte al giorno, e ad ogni ora della sera, cosa che ha portato la famiglia a contattarmi per sapere cosa accadeva. D'altra parte, i familiari sono sorpresi che Gilda possa abitare da sola a Parigi e seguire un trattamento quotidiano con me...

Finora diceva sempre di essere addormentata. Ma ora il suo corpo ri-nato la sveglia in maniera sconvolgente. Si tratta di un <<cambiamento catastrofico>>, come lo chiama Bion.

  Foto: W. R. Bion

Non lo si può evitare, cosa che ho spiegato ai genitori di Gilda. Da quando ha perduto il cotone spesso impermeabile alla vita, ella soffre enormemente. Ha certamente bisogno di farmaci per calmare la sua ansietà e la sua sofferenza. Ma non ne vuole prendere. In tutti i modi, sa che nessun farmaco le darà comprensione, ma d'altra parte il suo parto è troppo doloroso, e bisognerà che accetti di essere aiutata. E' lì che si pone il problema tra il desiderio di un ritorno alla vita, e la continuazione delle sue rivendicazioni per mostrare al contempo che i suoi genitori l'hanno resa malata con la nascita della sorella e che essi non meritano la sua guarigione.

  Foto: Herbert Rosenfeld

Herbert Rosenfeld parla in queste situazioni di narcisismo distruttivo: è più importante  dare scacco al mondo che  essere riconoscenti alla vita, che l'analisi e la famiglia hanno aiutato a ritrovare.

Gilda non è più un frigorifero, ma piuttosto uno scaldacqua in ebollizione, in stato di esplosione. In effetti, per molti giorni si è <<ospedalizzata>> in se stessa, mancando a qualche seduta. Soffre molto, in quanto non può accogliere tutti i pensieri selvaggi che ritornano e che cercano di essere addomesticati e consolati. Ella non vuole essere ricoverata in ospedale, vuole essere il proprio ospedale. Perfino nella guarigione, non perde affatto la sua onnipotenza. E' così in piena <<crisi di guarigione>>, pericolosa, lo so, perché lei è in grado di decidere se vuole vivere o morire...

Ciò mi ricorda Samuele che, iniziando a soffrire, mi ha chiesto l'eutanasia. Ho raccontato in un altro articolo in che modo Samuele, il cavaliere carolingio, fosse preso tra il desiderio di mangiare un hamburger e una crepe. L'hamburger era associato ad un alimento facile da digerire, digerire la vita. La crepe rinvia al verbo  crepare in italiano.

Ecco come il soldato carolingio e la ragazza dal corpo di cotone si accostano nel mio animo, nel mio controtransfert.

Volevo così trasmettere certi aspetti del mio lavoro con pazienti autistici e schizofrenici in analisi, così come tutte le difficoltà che ciò implica. Ma non ci sono solo difficoltà; c'è a volte anche la gratificazione di una complicità e di una riconoscenza per il lavoro fatto insieme.

Dopo tanti anni di lavoro, provo sempre passione per esso, perché vedo e apprendo con i miei amici-pazienti.

 

Riferimenti bibliografici:

[1] Italo Calvino, Il Cavaliere inesistente, Einaudi, 1962, Torino.

[2] Cit. p12-14, ibid.

[3] Freud, The Ego and the Id, 1923, vol. XIX,, S.E., The Hogarth Press, London,

[4] cf. Freud, G.W XIII, p.254 : Das Ich ist vor allem ein körperliches, es ist nicht nur ein Oberflächenwesen, sondern selbst die Projektion einer Oberfläch

[5] Paul Schilder, The Image and appearence of the human body, p.11-12, International NY city Press, NY, 1950.

[6] S. Resnik, Personne et Psychose, Editions du Hublot, réédition 1999, Larmor-Plage

[7] La première chose que j'ai faite, quand je suis arrivé à Paris en 1957, ça a été de dénicher l'original du livre de  Cotard, que j’ai acheté fort cher - j'avais très peu d'argent - avec la dédicace de Jules Falret à un ami à lui. Je le garde avec beaucoup d’affection.

[8] M. Mahler, Psychose infantile, Payot, 1973, Paris.

[9] S. Resnik, « Pensées sauvages en quête d’abri », in Sauvagerie, revue Le Fait de l’analyse, éditions Autrement, 1999.

[10] Minkowski, Le temps vécu, Delachaux et Niestlé, 1968

[11] ibid.

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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