|
Farò del mio meglio per
trasmettervi il mio vissuto sull'esperienza analitica con pazienti
psicotici. E' nei pazienti autistici e schizofrenici che la presenza
- o assenza, anzi la negazione - del vissuto del corpo si pone come
problema essenziale.
Foto: Italo Calvino
Intorno agli anni '70, ero stato
invitato a tenere, per tutta la durata di un anno, un seminario
sulla semiologia del corpo all'Università di Censier, a Parigi.
Nella bibliografia che avevo consegnato agli studenti, c'era il
libro di Italo Calvino intitolato Il Cavaliere inesistente1.
All'epoca Calvino abitava a Parigi, ed eravamo molto amici... Lo
avevo invitato un giorno a parlare ai miei studenti, in particolare
sul tema del corpo nel suo libro. Ne Il Cavaliere inesistente ,
il cavaliere si chiama Agilulfo, ed è l'eroe di guerra
dell'imperatore Carlomagno. Un giorno mentre Carlomagno passa in
rassegna le truppe, quest'ultimo ha fatto notare che Agilulfo
aveva sempre la visiera dell'elmo abbassata, chiusa. Carlomagno
voleva conoscere il viso del suo eroe.
<< Il re era giunto di
fronte a un cavaliere dall'armatura tutta bianca; solo una righina
nera correva torno torno ai bordi; per il resto era candida, ben
tenuta, senza un graffio, ben rifinita in ogni giunto, sormontata
sull'elmo da un pennacchio di chissà che razza orientale di gallo,
cangiante d'ogni colore dell'iride. Sullo scudo c'era disegnato uno
stemma tra due lembi d'un ampio manto drappeggiato, e dentro lo
stemma s'aprivano altri due lembi di manto con in mezzo uno stemma
più piccolo, che conteneva un altro stemma ammantato più piccolo
ancora. Con disegno sempre più sottile era raffigurato un seguito
di manti che si schiudevano uno dentro l'altro, e in mezzo ci doveva
essere chissà che cosa, ma non si riusciva a scorgere, tanto il
disegno diventava minuto. -E voi lì, messo su così in pulito... -
disse Carlomagno che, più la guerra durava, meno rispetto della
pulizia nei paladini gli capitava di vedere. -lo sono, - la voce
giungeva metallica da dentro l'elmo chiuso, come fosse non una gola
ma la stessa lamiera dell'armatura a vibrare, e con un lieve
rimbombo d'eco, -Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli
Altri di Corbentraz e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez!
-Aaah... -fece Carlomagno e dal labbro di sotto, sporto avanti, gli
usci anche un piccolo strombettio, come a dire: «Dovessi ricordarmi
il nome di tutti, starei fresco! » Ma subito aggrottò le ciglia.
-E perché non alzate la celata e non mostrate il vostro viso ? Il
cavaliere non fece nessun gesto; la sua destra inguantata d'una
ferrea e ben connessa manopola si serrò più forte all'arcione,
mentre l'altro braccio, che reggeva lo scudo, parve scosso come da
un brivido. -Dico a voi, ehi, paladino! -insiste Carlomagno. -Com'è
che non mostrate la faccia al vostro re?
La voce usci netta dal barbazzale. -Perché io non esisto, sire.
-O questa poi! -esclamò l'imperatore. -Adesso ci abbiamo in forza
anche un cavaliere che non esiste! Fate un po' vedere.
Agilulfo parve ancora esitare un momento, poi con mano ferma ma
lenta sollevò la celata. L'elmo era vuoto. Nell'armatura bianca
dall'iridescente cimiero non c'era dentro nessuno.
-Mah, mah! Quante se ne vedono! -fece Carlomagno. -E com'è 'che
fate a prestar servizio, se non ci siete? -Con la forza di volontà,
- disse Agilulfo, - e la fede nella nostra santa causa!
-E già, e già, ben detto, è cosi che si fa il proprio dovere. Be',
per essere uno che non esiste, siete in gamba!
Agilulfo era il serrafila. L'imperatore ormai aveva passato la
rivista a tutti; voltò il cavallo e s'allontanò verso le tende
reali. Era vecchio, e tendeva ad allontanare dalla mente le
questioni complicate.
La tromba suonò il segnale del « rompete le righe ». Ci fu il
solito sbandarsi di cavalli, e il gran bosco delle lance si piegò,
si mosse a onde come un campo di grano quando passa il vento. I
cavalieri scendevano di sella, muovevano le gambe per sgranchirsi,
gli scudieri portavano via i cavalli per la briglia. Poi,
dall'accozzaglia e il polverone si staccarono i paladini, aggruppati
in capannelli svettanti di cimieri colorati, a dar sfogo alla
forzata immobilità di quelle ore in scherzi ed in bravate, in
pettegolezzi di donne e onori.
Agilulfo fece qualche passo per mischiarsi a uno di questi
capannelli, poi senz' alcun motivo passò a un altro, ma non si fece
largo e nessuno badò a lui. Restò un po' indeciso dietro le spalle
di questo odi quello, senza partecipare ai loro dialoghi, poi si
mise in disparte. Era l'imbrunire; sul cimiero le piume iridate ora
parevano tutte d'un unico indistinto colore; ma l'armatura bianca
spiccava isolata li sul prato. Agilulfo, come se tutt'a un tratto si
sentisse nudo, ebbe il gesto d'incrociare le braccia e stringersi le
spalle.
Poi si riscosse e, di gran passo, si diresse verso gli stallaggi.
Giunto là, trovò che il governo dei cavalli non veniva compiuto
secondo le regole, sgridò gli staffieri, inflisse punizioni ai
mozzi, ispezionò tutti i turni di corvé, ridistribuì le mansioni
spiegando minuziosamente a ciascuno come andavano eseguite e
facendosi ripetere quel che aveva detto per vedere se avevano capito
bene. E siccome ogni momento venivano a galla le negligenze nel
servizio dei colleghi ufficiali paladini, li chiamava a uno a uno,
sottraendoli alle dolci conversazioni oziose della sera, e
contestava con discrezione ma con ferma esattezza le loro mancanze,
e li obbligava uno ad andare di picchetto, uno di scolta, l'altro giù
di pattuglia, e così via. Aveva sempre ragione, e i paladini non
potevano sottrarsi, ma non nascondevano il loro malcontento.
Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz
e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez era certo un modello
di soldato; ma a tutti loro era antipatico2>>.
Ma chi era questo soldato che
rimaneva puro spirito all'interno della sua corazza? Dove abitava il
suo essere? Nella <<santa causa dell'imperatore>>? Nel
Grande Altro (ideale dell'Io)?
Freud nel 1923, nel suo scritto L'Io
e l'Es3, dice:<< L'Io è prima di tutto Io
corporeo, koerperliches Ich, superficie sulla quale si
proietta l'Io psichico>>. Ed è in questa frontiera che si
formalizza la relazione Io-mondo. L'Io ha i suoi limiti, la sua
maschera, e per così dire, il suo corpo4.
Il nostro eroe Agilulfo, il
cavaliere inesistente, è un'identità di superficie, una maschera
svuotata del suo essere. Dov'è andato? Solamente accanto al suo re? Il suo Io psichico, dissociato dall'Io corporeo, si sente
smarrito? In quale dimensione erra? Quando potrà ritornare nel suo
corpo-casa? E' tra il 'des-etre' (il dis-essere) ed il 're-etre'
(ri-essere) che la sua metafisica sull'esistenza si pone.
Ritorniamo al tema del corpo e
dell'esistenza, il tema del mio discorso.
Foto: Paul Schilder
La nostra percezione del proprio
corpo pone dei problemi. L'immagine del corpo per Paul Schilder5
è un concetto molto importante. Schilder parla dell'immagine
del corpo e del suo aspetto, dunque del suo modo di <<apparire>>.
Quindi la dialettica tra essere ed apparire è sempre presente nei
suoi scritti. L'immagine del corpo è la maniera che il corpo ha di
rendersi presente nel nostro spazio mentale. Ma questa presenza non
è anodina, poiché le sensazioni sono tattili, termiche, dolorose,
e fanno parte del nostro sistema sensoriale vivente. Perciò, il
mondo viscerale e la sua <<carcassa>> muscolare è una
presenza vitale, in movimento, che cambia in continuazione: uno
schema corporeo in stato di trasformazione. La posizione del corpo
di Agilulfo, la sua postura, è un messaggio, un modo di parlare, di
dire del suo corpo-armatura. Lo schema del corpo è tridimensionale
per Schilder, e quadri-dimensionale nella misura in cui la vita del
corpo si svolge nel tempo.
Nelle situazioni psico-patologiche
e organiche, l'immagine del corpo cambia e può portare a delle vere
e proprie distruzioni di un tale schemata per una lesione
della corteccia cerebrale oppure per altre cause somato-psichiche (Wernicke).
Vivere è sentire il corpo, rendersi visibile agli altri ed a se
stesso.
La protagonista del mio primo
scritto sulla psicosi6, la Sig.na L., che soffriva della
sindrome di Cotard, diceva di se stessa: <<Non esisto, perché
nessuno mi vede. Sono invisibile, non ho un corpo>>. Si
guardava allo specchio e non si vedeva. Un tale fenomeno, descritto
come allucinazione negativa, o più specificamente autoscopia, in
questo caso esterna negativa, era l'espressione di un delirio di
negazione, come era stato descritto da Jules Cotard7.
Con la sua sindrome di negazione
ed il suo sentimento di essere invisibile, la Sig.na L., proprio
come Agilulfo, aveva quindi il sentimento di non esistere.
Comunque sia, la capacità di
vedersi allo specchio come qualcosa di vivente al pari degli altri,
e di riconoscersi, è una condizione ontologica per eccellenza.
Evidentemente, ciò che Freud chiama 'Selbstbeobachtung', si
dispiega in uno spazio di conoscenza e di riconoscimento. Il campo
analitico, lo spazio del transfert, è un incontro tri-dimensionale,
o piuttosto quadri-dimensionale. Tutto avviene in un tempo che
scorre... ma nella psicopatologia, il fiume di Eraclito, il
divenire, si può immobilizzare. Il paziente è vivente? L'analista
è anche lui vivente?
Foto: Jean Cocteau
Jean Cocteau diceva che uno
specchio (per Narciso era l'acqua) doveva <<riflettere ('reflechir')
bene>> prima di riflettere ('refleter') l'immagine. Ciò è
anche vero per l'analista-psichiatra.
Foto: Donald W. Winnicott
Winnicott ha evocato il viso della
madre come primo specchio del bambino. Anche se il viso della madre
non è piatto, né freddo, né inanimato. Non è solo un Io di
superficie, ma piuttosto un volume che si muove e che talora
commuove. Il viso della madre è normalmente <<nella vita>>,
così come quello del bambino. La dimensione umana è sempre una
relazione dialogante.
Parlerò ora di due casi clinici.
Uno è il caso sempre di un cavaliere, carolingio, come quello di
Calvino. L'altro è il caso della donna dal corpo di cotone.
Un
soldato carolingio.
Si chiama Samuele; è un giovane
che presenta sintomi dissociativi di tipo schizofrenico: era allora
chiuso nella sua casa da quattro o cinque anni, come in un
'bunker' (proprio come l'armatura di Agilulfo). Non c'era alcun modo
di farlo uscire dalla sua fortezza, la casa dei suoi genitori. Alla
fine, parlai ai suoi genitori, che erano venuti a trovarmi perché
io tentassi di trovare il modo per far sì che egli venisse a
Parigi. Pensai ad un sotterfugio che per me assumeva l'aspetto di
una verità secondo la mia esperienza. Dissi loro: <<Vostro
figlio ha paura dello spazio aperto (sapevo che l'agorafobia è un
sintomo caratteristico di tale tipo di psicosi), bisogna allora
trovare il mezzo, un altro contenitore, un vagone ferroviario, un
aereo (un bunker mobile e provvisorio) per venire permanentemente
all'interno di un oggetto>>. Avevo appreso dal dottor Herbert Rosenfeld,
il mio analista a Londra, che certi pazienti psicotici possono
cambiare oggetto a condizione che vi abitino. Bisognava quindi
evitare di farlo uscire in un 'agorà' dialogante, di cui aveva
bisogno, ma che non poteva ancora prendere per sé.
Foto: Herbert Rosenfeld
La fobia degli spazi aperti
equivale a una paura di nascere o di ri-nascere. Tutti gli esseri
umani, anche se sono nati biologicamente, non sono <<nati
psicologicamente>>, diceva Margaret Mahler8.
Foto: Margaret Mahler
Essi abitano, la maggior parte del
tempo, all'interno di oggetti. Samuele è alla fine arrivato a
Parigi per incontrarmi. Egli è dunque arrivato dentro-dentro-dentro
(auto-treno-auto) al mio studio di rue Bonaparte. Quando l'ho avuto
per la prima volta davanti a me, si guardava intorno come se volesse
mostrarmi che aveva delle presenze attorno a sé. Avevo l'impressione che
egli si trovasse all'interno di un bunker allucinato, fatto
d'oggetti allucinati, tra cui dei soldati, dei preti (come l'ho
appreso dopo) che lo proteggevano circondandolo. Io mi sono trovato a
momenti fuori dal <<cerchio>> ed a momenti dentro,
inghiottito; dopo un silenzio molto pesante, ho detto:<<Non
siamo soli>>. In quel momento mi ha fatto comprendere che si
trattava di un esercito allucinato, di un altro tempo. Mi
dice:<<sì, ci sono dei soldati carolingi attorno a noi... ci
sono anche dei preti>>. Ho appreso in seguito che nei suoi
antenati, c'erano in effetti dei militari e dei preti... e persino
uno psichiatra pazzo, ma celebre. Mi guardava con molta attenzione.
Tra gli antenati, c'era anche un aviatore italiano celebre, abbattuto
durante la guerra del 1914 da un aviatore tedesco chiamato il
<<Barone Rosso>>. Ecco il motivo per cui non voleva
viaggiare in aereo, si identificava spesso col suo bisnonno eroe, e
temeva di essere di nuovo abbattuto da un altro <<Barone
Rosso>>. Aveva quindi accettato di viaggiare dentro un
vagone ferroviario.
Mi ha fatto comprendere che i
soldati o cavalieri carolingi erano spesso piatti, bidimensionali.
Un giorno scopre nel mio studio
una serie di carte dei tarocchi (fatti secondo i disegni del grande
pittore rinascimentale Giulio Romano). Li guarda con attenzione e
sceglie una carta che rappresenta il bagatto: si tratta di un
personaggio nudo e bisessuale, che tiene una bacchetta in mano e che,
appoggiato a un tavolo, tiene nell'altra mano un bicchiere vuoto.
Samuele guarda le carte dei tarocchi e dice:<<Ho sognato
oggi...ho sognato di essere un mago, un cartomante.
- Ah, ecco! Dunque tu sai come
utilizzare il tuo potere sulle carte. I tuoi soldati sono spesso
piatti come le carte. Quando tu sei la volontà di Carlomagno,
trasformi il mondo attorno a te in un gioco di carte che ti segue
come un esercito.
Egli chiamava in italiano le sue
allucinazioni figurini , che mi ricordano le vecchie figurine
vittoriane che ammiravo da ragazzo a casa delle amichette, e che
talora conservavo anche nei miei libri. Comunque sia, non avevo
tutte le figurine nelle mie mani, come avrei desiderato nella mia
infanzia, mentre invece Samuele, lui le aveva tutte in mano. Egli si
sentiva capace di tenere tutte le carte in mano per dominare il suo
esercito, il suo 'entourage'... Nel transfert, l''entourage' sono
io.
Un giorno, porta in seduta un
poster di Che Guevara. Me lo mostra con ammirazione. Gli era stato
detto che io ero argentino. Dice:<<Questo poster di Che
Guevara l'ho appena comprato. Lo porto a casa e lo appendo nella mia
stanza>>. Dopo un silenzio carico di tensione, col suo sguardo
fisso su di me, mi sento come paralizzato ed appiattito. Dico:<<Mi
sento paralizzato, piatto, e trasformato in poster dal tuo sguardo
magico. Tu sei il bagatto, l'uomo colla bacchetta. Tu mi stimi
molto, come stimi Che Guevara, ma tu ci trasformi in esseri ammirati
ed insieme appiattiti. Siamo controllati ed alla mercé di Samuele
il cartomante. Vorrei uscire dal poster in cui mi hai fatto
entrare...>>. Egli sorride mostrandomi dell'affetto. Aveva
certamente delle motivazioni per controllare ed esercitare i suoi
poteri deliranti sul mondo che lo attorniava, quindi anche nel
transfert psicoanalitico.
Questa uni-dimensionalità, questo
mondo piatto, mi ricorda un libro che mi ha parecchio colpito,
scritto in inglese da Edwin Abbott, intitolato Flatland (1884).
L'autore descrive un mondo
bi-dimensionale abitato da linee, triangoli, quadrati, cerchi e
poligoni... Tali forme hanno esistenze geometricamente euclidee. I
triangoli rappresentavano la classe operaia, il quadrato ed il
pentagono le classi professionali, ed i nobili erano poligoni,
tendenti all'infinito. I preti erano cerchi. Le donne erano linee
dritte potenti e persecutorie. Dal mio punto di vista, il mondo di
Samuele assomigliava a quello di Abbott. Talora, Samuele trovava
difficile trasformare questi esseri devitalizzati ed appiattiti in
esseri tri-dimensionali e viventi. La perdita del suo potere
onnipotente lo deprimeva, ma tale depressione era ancora assai
fredda, con dei momenti tuttavia più calorosi. In genere, il suo
spazio mentale schiacciato si proiettava in parte nell'"oggettualità"
del mondo, non tollerava i propri sentimenti, e dunque Samuele non
sempre perveniva a ri-animare i suoi personaggi. Gli comunico che
situazioni dolorose nella sua vita hanno determinato
l'allontanamento dei suoi affetti che gli sono tanto lontani quanto
lo sono il Medio
Evo ed il Rinascimento.
Il libro di Abbott è
sottotitolato <<un romanzo in più dimensioni>>.
L'autore, nato nel 1838, pubblica questo libro nel 1884. Le case,
gli alberi, i paesaggi sono anch'essi piatti. L'autore dirà del suo
romanzo:<<Un giorno arriverà una sfera, solida e
tridimensionale, che farà scoppiare il mondo di Flatland.
Ciò sarà l'apocalisse, la follia>>. Mi chiedo se Fellini non
si sia ispirato a questa frase per il suo film Prova d'orchestra.
Quale migliore descrizione della
crisi psicotica? La reintroiezione incontrollata di aspetti
intollerabili di un Io sconvolto ritorna in maniera
apocalittica, catastrofica. Inoltre bisogna vedere se la testa
del paziente, il suo spazio mentale, può contenere e riorganizzare
tutto questo smembramento... di pezzi di vita <<ritenuti>>
che ritornano nel loro nido d'origine: l'apparato psichico che li ha
creati. Così, i sentimenti ed i pensieri fuorviati divengono
equivalenti a uccelli perduti nello spazio che cercano un porto, una
porta, un asilo...9
I frammenti o particelle della
<<materia>> del pensiero smembrati si disperdono
tutt'intorno, all'interno così come all'esterno del territorio
autistico. Esistono due forme di membrane-barriere autistiche: una
è quella ripiegata su se stessa, e l'altra è quella in espansione.
Si tratta di idee nuove che sto sviluppando in questo periodo in
diversi articoli. Per tornare al nostro tema, i pensieri selvaggi
alla ricerca di un riparo cercano un'opportunità nel transfert per
ritornare a far parte dell'essere. Così, tra essere e dis-essere (des-etre),
l'io psicotico o nevrotico tenta di trovare un aiuto, un appoggio.
Spesso, è evidente che il paziente non sa coscientemente cosa gli
accade. Ma la dimensione inconscia è una realtà che si esprime
spesso in modo paranoide. Spesso essa non vuole sapere ciò che
dice. Essa risente di una intrusione vissuta come sconvolgente,
anche se l'intenzione è terapeutica.
Per tornare ad Abbott, se lo
spazio mentale non tollera la tri-dimensionalità, anzi la
quadri-dimensionalità, cioé il tempo vissuto, la tendenza sarà
quella di appiattire i suoi sentimenti, e se stesso. Sembra
che Einstein fosse molto interessato alle idee di Abbott, persino
prima che elaborasse le sue teorie innovative. Una rivista
scientifica inglese, Nature, pubblicò il 12 febbraio 1920 un
articolo che ricordava Flatland come un libro futurista ed
anticipatorio. La nozione bergsoniana di tempo vissuto era anche
presente in Abbott.
Torniamo ora al mondo relazionale,
quindi al transfert analitico, per riprendere il filo del nostro
discorso.
La Weltanschaung di Samuele
spazializzata nel campo transferale prende a momenti contatto con un
tempo vissuto sospeso. In quel momento, i sentimenti riappaiono,
ed i suoi personaggi prendono rilievo, escono dal loro
appiattimento; ma la capacità di tollerare il sentito non è
sempre intollerabile. La sofferenza e la persecuzione appaiono e
scompaiono, secondo la capacità dell'io di tollerare l'essere nella
vita.
La ri-trasformazione del tempo
spazializzato in spazio vissuto, come è stato studiato da E.
Minkowski10, è davvero d'attualità.
Foto: Eugene Minkowski
In Samuele, il geometrismo ed il
razionalismo patologici sono sostituiti dalla vita di un pensiero
sempre meno allucinato e sempre più vissuto.
Un giorno Samuele mi dice:
<<Sa, dottore, ho scoperto che le mie passate allucinazioni
erano in realtà dei pensieri>>. Quale migliore definizione
dell'allucinazione? Ciò mostra che se le condizioni del transfert
sono adeguate, il paziente può riprendere il corso dei suoi
pensieri e dei suoi affetti, cioè egli può prendersi il suo spazio
mentale: prendere la responsabilità, o paternità, del suo
spazio-madre (<<ogni corpo è madre>>, diceva Meister
Eckart (1260-1328)).
In un'altra occasione, egli
dice:<<penso a mio fratello morto>>, che in effetti si
era appena suicidato qualche mese prima dell'inizio della sua
analisi. Quando egli disse ciò, i suoi occhi divennero rossi, e la
sua pelle più colorata. Ma siccome sono anni che non piange più,
gli chiedo:<<Dove sono le tue lacrime?>>. Egli risponde
con un silenzio, ma il clima è allora commovente. Certi psicotici,
incapaci di piangere con gli occhi, traspirano eccessivamente dalle
mani ad esempio, come l'ho notato in un mio paziente, Piermaria, che
piangeva letteralmente con le sue mani.
A proposito di lacrime,
dice:<<Sono circondato da un mondo di 'matriochkas' (o bambole
russe), ed all'interno di ciascuna di esse, all'interno della più
piccola, ci sono delle lacrime>>. Io, che sono russo di
origine, mi sono allora molto commosso. D'altronde, la 'matriochka'
vive un'esistenza immobile, e Samuele non si muoveva ancora a
sufficienza a livello affettivo. Vivere interamente il dramma della
sua vita, della sua nascita (era figlio di madre nubile) era ancora
troppo doloroso. In più, colui che aveva sposato sua madre, quando
Samuele aveva tre anni, gli aveva raccontato di essere suo padre,
cosa falsa, e Samuele ne aveva già un'intuizione anche se era
accettato ed amato dal <<padre>>. Ci sono sempre dei
malintesi consci ed inconsci all'origine di ogni psicopatologia. Per
Samuele, ancora fragile ed in fondo troppo sensibile, la <<realtà>>
era troppo difficile da affrontare. Il vecchio malinteso si è
allora posto di nuovo nel transfert, ed ha cominciato a svelarsi
dolcemente in un contesto analitico. Gli dico allora:<<Il
mondo, per te, si trasforma in realtà dove la sofferenza
esiste...forse anche il piacere...>>. Per lui, il suo sentire
nascosto dietro la maschera e quella dei suoi personaggi,
immobilizzata come le 'matriochkas', comincia a prendere vita, a
muoversi. Egli diviene dunque sempre più capace di sentire le
emozioni (e-mouvant).
Il suo corteo di soldati e preti
merovingi si trasformano poco a poco in sentimenti e pensieri.
In un'altra seduta mi disegnò
l'Arco di Trionfo di Parigi.
Il suo disegno è molto
particolare, poiché sembrava un paio di pantaloni vuoti, come
quello che egli ha immaginato in una seduta in cui era lui stesso
assente: non era nei suoi pantaloni...Era un pantalone vuoto, come
la pubblicità dei jeans Levis dell'epoca. Inconsciamente, aveva
abbandonato la sua carcassa, proprio come il cavaliere inesistente,
per andare altrove, in un'esistenza invisibile. Mi chiedevo a voce
alta dove fosse andato. Non appena mi ha sentito, mi ha risposto:
<<Sono ancora un soldato, e sono andato alla porta con i miei
guardiani per controllare l'entrata e l'uscita>>.
Poi ho appreso che un'altra parte
del suo corteo era andata a controllare la finestra del mio studio.
Egli diveniva allora cosciente che aveva un dentro ed un fuori, e
che bisognava verificare, o piuttosto montare la guardia su ogni
scambio col mondo, quindi anche tra lui e me.
Temeva che certi suoi sentimenti,
<<gettati>> nel mondo, sani o malati, talora vissuti
come pericolosi e sconvolgenti, non potessero accettare lui stesso. Ma
soprattutto, controllava la reintroiezione dei suoi pensieri
selvaggi. Padroneggiare lo scambio col mondo era il suo desiderio, e
la sua realizzazione doveva essere un trionfo, un Arco di Trionfo
alla sua salute. Dopo un momento, egli finisce per reintegrare i
suoi pantaloni: star bene nella sua pelle. Dopo una pausa
sorride:<<Penso alla musica di Underground...
- Ciò si muove in te! Se c'è
della musica, ciò significa che la tua vita comincia a
vibrare.
Il suo Korper ridiviene Leib
con il suo Underground vivente interiore. Poi
aggiunge:<<Desidererei conoscere la Francia.
- Uscire dalle tue prigioni?>>
Dopo tre anni di lavoro, egli
tenta di rientrare nei suoi pantaloni, nel suo corpo, nel suo
abitacolo, e di ritornare alla vita. Ma come riorganizzare le
particelle sparpagliate del suo essere smarrito?
Un giorno dice:<<Sono un
figlio naturale>>. Era vero. Ma ho aggiunto che egli era anche
sempre meno artificiale, e sempre più naturale nel suo modo
d'essere. Egli non era solamente un personaggio importante del
Rinascimento o del Medio Evo, a momenti egli diveniva se stesso: una persona.
LA
DONNA DI COTONE:
Vi parlerò di un secondo caso,
Gilda, una donna di 30 anni (33 oggi). Si è appena risvegliata da
un lungo sogno a occhi aperti, che ella chiama <<essere
addormentata alla vita>>, e la sua ri-nascita è molto
dolorosa. Lei non sa che fare con un corpo di 33 anni che ancora non
riconosce come il suo.
Ora che lei è, si pone,
come per Samuele, il problema della vita e della morte.
Riprenderò certi aspetti della
sua analisi, ed il motivo per cui la chiamo la ragazza dal corpo
di cotone.
Nelle prime sedute, alle quali ho
già fatto riferimento in precedenti lavori, ella era rigida e
fredda. Veniva tutti i giorni, come Samuele. Molto magra, con un
corpo pressocché immobile di cui lei non aveva consapevolezza,
parlava molto poco e diceva spesso:<<Non ho un corpo>>.
Aveva paura di guardarsi allo specchio, ed a volte c'aveva provato
ma senza mai vedersi. Ho scoperto in seguito che non si trattava
solamente di autismo, ma anche di una sindrome di Cotard, che avevo
studiato nella mia tesi apparsa negli anni '50, la quale ho poi
sviluppato nel mio libro Persona e Psicosi11. Lei
aveva per me l'aspetto di una maschera triste, spogliata di vissuto.
All'inizio della sua analisi, si sentiva incapace di pensare.
Guardava spesso in aria, e talora reagiva a tutti i rumori esterni
terrorizzata all'idea di essere invasa. Ho appreso più tardi che
sentiva spesso dei rumori nel suo orecchio destro, che si
trasformavano talora in urla... Erano le urla di sua madre quando lei
era piccola, ma anche il proprio urlo contenuto all'interno della
sua corazza. Aveva una carcassa di cotone, e non di metallo come
Agilulfo, Come lei muoveva la testa reagendo al rumore del
frigorifero della cucina contigua, o dello scaldacqua, e quando
le domandavo cosa guardasse intorno a lei, diceva: <<vedo dei
punti, delle linee, dei cerchi.
- Ah, sono dei pensieri!>>
Avevo così appreso che la forma dei suoi pensieri era geometrica.
Come le figure di Abbott, ogni forma doveva rappresentare delle idee
o dei personaggi, un certo stato dello spirito. A volte, come per
Samuele, una linea poteva ad esempio rappresentare un rumore, le
urla della madre, o la voce seducente di suo padre che le arrivava all'orecchio <<in linea diritta>>. Forse la mia voce
aveva anch'essa un tale significato? Ciò che ho appena espresso, è
una forma di percezione o di pensiero allucinatorio intrusivo. In
quel momento avevo l'impressione che le <<idee plastiche>>
o un tema pittorico neoplasticista, artistico, vagasse attorno la
sua testa. Un giorno lei mi ha mostrato dei suoi disegni, che non
erano molto espressivi, con un'espressione plastica indurita e
ripetitiva. A tratti un colore rosso, brillante ed intrusivo voleva
prendere tutto lo spazio in modo incendiario. L'opposto di tale
aspetto era un comportamento opaco o spento. Lei mi dava
l'impressione di qualcuno che non esisteva veramente, e che non
aveva un corpo. Al posto del corpo lei descriveva una sorta di
abito, di involucro di cotone spesso. Una volta ha evocato un abito
di seta di cui la sorella minore era invidiosa. Per lei provocare
l'invidia in sua sorella era importante, in quanto lei stessa era
gelosa di sua sorella dalla nascita. La sua posizione rivendicatrice
era legata precisamente alla nascita della sorella minore, quando
lei aveva tre anni. E' a quell'epoca che le urla della ferita
narcisistica si sono mescolate con quelle di sua sorella neonata,
che aveva <<preso il suo posto>>, ed a quelle di sua
madre sofferente di non potersi confrontare con le due figlie e di
non poterle soddisfare entrambe. Un giorno, lei aggiunge al rumore
un'allucinazione olfattiva: l'odore della cucina di sua madre, prima
della nascita della sorella minore, quando tutto era ancora fatto
per lei sola. Evidentemente, io ero consapevole, ed anche lei, che
la mia <<cucina analitica>> non era solamente per lei,
in quanto avevo altri <<ospiti>>.
Come l'ho già evocato, ella
reagiva ai rumori della mia cucina e dello scaldacqua posto nel
bagno, che le permettevano di drammatizzare la sua reazione di
fronte a dei suoi aspetti orali ed anali. A proposito di analità,
un giorno mi ha fatto ascoltare una cassetta nella quale, da
piccola, cantava con la sua sorellina, e nella quale ad un certo
punto, in modo aggressivo, la chiama <<culo>>. A momenti
ella era fredda affettivamente come il frigorifero, specie
quando parlava di sua sorella e della sua famiglia. Ultimamente,
ella ha mostrato di poter essere calda e violenta. Mi mostra una
somatizzazione apparsa sulle sue mani, tutte arrossate, che lei
associa al fatto di dare dei pugni a qualcuno. Tutto ciò si
esprimeva nel transfert, e quindi anche riguardo a me, secondo il
personaggio che lei proiettava in me ad un certo momento.
<<Sono tanto calda e sul
punto di scoppiare!...>> E' a quell'epoca che sogna per la
prima volta una chiesa in cui c'era una grande quantità di bare,
tra i venti ed i trenta morti. Tutt'a un tratto, essi si mettono in piedi
ed un incendio <<molto rosso>> ed avvolgente invade e
distrugge la chiesa. Ogni bara rappresentava un anno di <<vita
morta>>, di tempo perduto, i cui la rabbia, la violenza si era
accumulata e devitalizzata. Questo sogno annunciava una crisi in
cui un'enorme violenza incendiaria si era svegliata, quando lei
scopre a 33 anni di avere un corpo. Lei non vuole prendersi il suo corpo vivente, e pensa che non può ricominciare la sua vita,
confinata da così tanto tempo nel cotone che ricopriva un corpo
inesistente: un corpo in negazione.
Un giorno mi parla delle sue idee
che le provocano molta fatica e depressione. Erano idee così tristi ed
indebolite che si
erano lasciate cadere in un <<ambiente ospedaliero
interiore>>: la sua testa tappezzata di cotone per medicazioni
ammortizzava la caduta del suo essere pensante.
Dopo tre anni, comincia
progressivamente a sentire parti del suo corpo. Dapprima il piede,
ed a momenti la testa, o le mani rosse dalla rabbia. Ultimamente, è
tutto il suo corpo, morto e pesante da tanto tempo, che torna a
reclamare il suo posto...Ella è molto arrabbiata, e non vuole
offrirgli questo posto, in quanto non vuole perdere la sua
condizione di donna invisibile. Nonostante la sua volontà, comincia
a guardarsi allo specchio, ma accoglie il suo riflesso come se si
trattasse di un mostro.
Durante le ultime sedute si tocca
il viso e particolarmente la bocca...
<<Cosa si tocca?
- Non lo so.
-Ma vedo un dito, verso la
bocca...Che età ha la piccola?
- Ah sì, sì...col dito in bocca,
sono una bambina piccola.>>
Quindi si tocca l'orecchio:
<<Cosa c'è nell'orecchio?
- Sento il suono di una
conchiglia, come alla spiaggia, quand'ero piccola.
- Una conchiglia che le parla di
un altro tempo? Un messaggio che viene da lontano?>>
Si ricorda di suo padre che le
carezzava l'orecchio quando la faceva dormire mentre la madre si
occupava della sorellina. Questo ricordo diviene in un altro
contesto una relazione incestuosa: era la voce del padre che cercava
di penetrarla. Gilda parla quindi di una relazione erotizzata, della
voce che si confondeva a volte con la mia voce. Diceva che in altri
momenti suo padre rappresentava per lei la madre, riferendosi così
al transfert materno della seduta.
Un giorno ha una sensazione
piacevole:
<<Oggi la voce di mio padre
torna a farmi visita, e sento anche il buon odore della cucina di
mia madre... Ero felice prima della nascita di mia sorella che ha
rovinato (emmerdé) la mia vita.>>
Si riferiva all'età d'oro della
sua vita, quando era figlia unica, o quando si immaginava di essere
la mia unica paziente. Ha bisogno di sapere quale posto occupa nella
mia testa. Ultimamente, telefona spesso per sapere cosa faccio, e se
penso a lei. A sua madre che è rimasta in Italia, telefona fino a
10 volte al giorno, e ad ogni ora della sera, cosa che ha portato la
famiglia a contattarmi per sapere cosa accadeva. D'altra parte, i
familiari sono sorpresi che Gilda possa abitare da sola a Parigi e seguire un
trattamento quotidiano con me...
Finora diceva sempre di essere
addormentata. Ma ora il suo corpo ri-nato la sveglia in maniera
sconvolgente. Si tratta di un <<cambiamento catastrofico>>,
come lo chiama Bion.
Foto: W. R. Bion
Non lo si può evitare, cosa che
ho spiegato ai genitori di Gilda. Da quando ha perduto il cotone
spesso impermeabile alla vita, ella soffre enormemente. Ha
certamente bisogno di farmaci per calmare la sua ansietà e la sua
sofferenza. Ma non ne vuole prendere. In tutti i modi, sa che nessun
farmaco le darà comprensione, ma d'altra parte il suo parto è troppo doloroso, e bisognerà che accetti di essere aiutata. E'
lì che si pone il problema tra il desiderio di un ritorno alla
vita, e la continuazione delle sue rivendicazioni per mostrare al
contempo che i suoi genitori l'hanno resa malata con la nascita
della sorella e che essi non meritano la sua guarigione.
Foto: Herbert Rosenfeld
Herbert Rosenfeld parla in queste
situazioni di narcisismo distruttivo: è più importante dare
scacco al mondo che essere riconoscenti alla vita, che l'analisi
e la famiglia hanno aiutato a ritrovare.
Gilda non è più un frigorifero,
ma piuttosto uno scaldacqua in ebollizione, in stato di esplosione.
In effetti, per molti giorni si è <<ospedalizzata>> in
se stessa, mancando a qualche seduta. Soffre molto, in quanto non
può accogliere tutti i pensieri selvaggi che ritornano e che
cercano di essere addomesticati e consolati. Ella non vuole essere
ricoverata in ospedale, vuole essere il proprio ospedale. Perfino
nella guarigione, non perde affatto la sua onnipotenza. E' così in
piena <<crisi di guarigione>>, pericolosa, lo so,
perché lei è in grado di decidere se vuole vivere o morire...
Ciò mi ricorda Samuele che,
iniziando a soffrire, mi ha chiesto l'eutanasia. Ho raccontato in un altro articolo in che modo Samuele, il cavaliere carolingio,
fosse preso tra il desiderio di mangiare un hamburger e una crepe.
L'hamburger era associato ad un alimento facile da digerire,
digerire la vita. La crepe rinvia al verbo crepare in italiano.
Ecco come il soldato carolingio e
la ragazza dal corpo di cotone si accostano nel mio animo, nel mio
controtransfert.
Volevo così trasmettere certi
aspetti del mio lavoro con pazienti autistici e schizofrenici in
analisi, così come tutte le difficoltà che ciò implica. Ma non ci
sono solo difficoltà; c'è a volte anche la gratificazione di una
complicità e di una riconoscenza per il lavoro fatto insieme.
Dopo tanti
anni di lavoro, provo sempre passione per esso, perché vedo e apprendo con i miei amici-pazienti.
|