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RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE

 

Recensioni bibliografiche 2003

Recensione di Gilberto Corbellini sul libro di Eugenio Borgna "Le intermittenze del cuore" (dal Domenicale de "Il Sole 24 ore" del 1.02.2004)

Eugenio Borgna, "Le intermittenze del cuore", Feltrinelli, Milano, 2003, pag.214, euro 16.
Recensioni dalla stampa 2003 "STATI D'ANIMO ANTISCIENTIFICI. Nel suo ultimo libro Eugenio Borgna conferma i propri pregiudizi verso le neuroscienze"
          Rivista Frenis Zero di GILBERTO CORBELLINI

Piuttosto scontata la presa di distanza nei riguardi delle neuroscienze, ovvero dei modelli biologici e delle terapie farmacologiche dei disturbi psichiatrici. L'ultimo libro di Borgna, rispecchia la tradizione, apparentemente ancora influente, della psichiatria umanistica italiana, con i suoi ascendenti psicoanalitici e filosofici (fenomenologia ed esistenzialismo conditi con un pò di marxismo). Al di là di un'indiscutibile abilità nel costruire trame discorsive grammaticalmente e stilisticamente assai ricche, Borgna non riesce a dimostrare come l'ermeneutica  e la fenomenologia riescano a spiegare  e fronteggiare i disturbi emotivi. Forse possono fungere da palliativi per chi si è acculturato a riconoscere il senso autentico della vita nell'attraversamento delle "dolorose" dispnee di uno stato depressivo grave. Scorrendo i dati statistici, sembrerebbe che, più frequentemente, chi è depresso, soffre per qualche disturbo della personalità o va incontro ad accessi epilettici cerchi, e fortunatamente riesca a trovare sempre più spesso, benefici nella cancellazione o nella prevenzione dei sintomi grazie a interventi farmacologici oggi finalmente disponibili. Queste modificazioni farmacologiche a scopo terapeutico dei pattern neurochimici associati a tali disturbi non funzionano sempre, né agiscono su tutti i fattori che concorrono a scatenare la condizione patologica. Però in una proporzione piuttosto significativa di casi sono efficaci e possono aiutare a riconoscere anche le dinamiche sociopsicologiche associate al disturbo; ovvero, se somministrati in un contesto di dialogo, favorire una individuale ricostruzione di aspettative in grado di migliorare le capacità adattive della  persona nel proprio contesto di vita. 

Insomma,  è quantomeno un pò esagerato sostenere che coloro che soffrono di epilessia, schizofrenia o depressione debbano quasi godere di tale condizione, perché essa coinciderebbe in qualche modo con i <<movimenti dell'anima>>, con la qualità metafisica dell'esistenza umana. Ovvero che per il fatto che tra fondatori di religioni, artisti, scrittori o scienziati si trovano epilettici, schizofrenici e depressi si debba identificare esclusivamente nella condizione di disadattamento l'origine di una diversa sensibilità e creatività.

Che ci piaccia o no, le emozioni sono incarnate nella morfologia cellulare e biochimica del cervello. Anche se le sentiamo come <<intermittenze del cuore>>. E' sintomatico, in tal senso, come Borgna fraintenda completamente la proposta del premio Nobel Kandel di un nuovo quadro neuroscientifico di riferimento per la psicoanalisi, considerando che in sostanza Kandel dice che per le neuroscienze è del tutto spiegabile, date le modalità biochimico-cellulari dei meccanismi che governano il comportamento, che anche operando a livello di qualia attraverso interazioni dialogico-interpretative si possano gestire terapeuticamente alcune forme di disagio emotivo. Purtroppo, gli psichiatri umanisti si dimostrano ancora prigionieri di un antibiologismo astorico, ostinandosi a difendere  l'autonomia del piano psichico-fenomenologico, invece di conoscere meglio e di sfruttare le aperture delle neuroscienze.

C'è da sperare che le nuove sfide che le neuroscienze stanno lanciando alla psichiatria e alla società vengano gestite senza nascondere la testa sotto la sabbia. Perché Borgna ha ragione quando denuncia la pratica sempre più diffusa, soprattutto negli Stati Uniti, di ricorrere con grande facilità a trattamenti farmacologici per gestire disagi che magari non sono neppure clinicamente ben definiti. Ma non è negando l'esistenza di determinate situazioni di disagio o condannando moralmente le soluzioni contingenti che si promuovono scelte più consapevoli. Un esempio emblematico, citato anche da Borgna, è l'impressionante aumento delle diagnosi di disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Adhd) nei bambini, con un non meno impressionante incremento delle prescrizioni di Ritalin (metilfenidato). Il problema esiste, ma forse è esagerato considerarlo, come fa l'ultimo rapporto del President's Council on bioethics scritto dall'iperconservatore Leon Kass, il trattamento farmacologico dell'Adhd un esempio di abuso delle biotecnologie per <<la ricerca della felicità>>.

Sarebbe urgente analizzare senza pregiudizi ideologici le implicazioni, anche etiche, del fatto di disporre presto di conoscenze sul funzionamento del cervello applicabili sempre più efficacemente alla clinica e in grado di identificare predisposizioni comportamentali individuali. Con la consapevolezza che non servirà a evitare usi e abusi negare che l'attività cerebrale registrata da una risonanza magnetica nucleare corrisponda a un profilo di violentatore o riveli una menzogna, nel momento in cui  l'elaborazione dei dati dimostrerà l'affidabilità statistica dell'associazione.

L'unica strada percorribile per ridurre i rischi e massimizzare i benefici è quella di ricostruire all'interno della psichiatria e, auspicabilmente, a livello della cultura in generale una percezione biologicamente più pertinente di come il cervello funziona, ovvero dei vincoli evolutivi e fisiologici che lo governano nell'elaborazione delle esperienze individuali.

 

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