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In questo lavoro si trae spunto da fonti documentarie diverse ed eterogenee, dai resoconti dei viaggiatori in Oriente ad opere letterarie (Baudelaire, De Quincey), da testi di Medicina Legale, Tossicologia e Polizia Medica ai primi contributi di analisi sociologica, per delineare gli sviluppi, in un arco temporale tra la metà del XIX e gli anni ’30 del XX secolo, delle conoscenze sul fenomeno del “morfinismo”. Questo preciso periodo storico è significativo poiché la diffusione sociale del consumo di morfina e derivati, portò ad un rapido incremento non solo della letteratura accademico-scientifica, ma anche ad una circolazione più ampia di pubblicistica politica, morale e sociale sul fenomeno.
Un
così ampio arco temporale di riferimento fa sì che giocoforza la scelta delle
opere proposte non possa che essere limitata e parziale. E come in ogni studio
che cerchi di occuparsi della nascita di una nuova scienza, e di una nuova
consapevolezza sociale di un fenomeno, non si sottolineerà mai abbastanza che
qualsiasi schema evolutivo lineare delle conoscenze è fittizio, e non tiene
conto della complessità di cui
ogni opera citata è testimonianza per noi contemporanei.
Il materiale documentario verrà esposto secondo alcuni ambiti di ricerca, quali gli sviluppi della clinica tossicologica, l’evoluzione del pensiero medico-legale (imputabilità), l’immagine sociale e letteraria del consumatore, i mezzi di controllo sociale.
1. L’evoluzione delle conoscenze cliniche sugli effetti del consumo di oppioidi e di morfina.
Riassumiamo
un po’ di date: nel 1816 Serturner per primo preparò la morfina (23), nel
1853 Wood per primo introdusse l’uso dell’iniezione sottocute di morfina.
Nel 1864 il Pravaz inventò la siringa che ne porta il nome. <<Nacque
allora il morfinismo, malattia artificiale, che andò diffondendosi assai grazie
al buon mercato della morfina e alle facilità d’uso costituite dalla siringa
di Pravaz.>> (23).
La
disponibilità di una sostanza dosabile in maniera certa, i cui effetti
farmacodinamici sono standardizzabili in base alla dose ( anzichè l’uso di
oppio in grani), segna il passaggio da una tossicologia empirica (analogica) e
sincronica dell’oppio (si veda Orfila [8], Merat [5] e Foderè) ad una
tossicologia “scientifica” (digitale) e diacronica della morfina, in cui è
possibile definire degli stadi di intossicazione[1]. A differenza
dell’oppio, la morfina non viene importata, non giunge nelle società
occidentali da un Mondo-Altro (orientale, “astorico”, non “scientifico”,
non positivista), ma è prodotta secondo procedure “scientifiche”in seno ad
un Mondo (occidentale,
storicizzato, scientifico) che ne studia quindi gli effetti (medici, ma anche
sociali) con le stesse procedure
cariche di “scientificità”. Perciò tutto
ciò che ha che fare con la morfina, sin dalla sua comparsa, è destinato ad
essere investigato e scrutato da
un’occhio medico consapevole del proprio “status di scientificità”.
La
diffusione della somministrazione ipodermica funge da fattore sociale di
diffusione (in senso epidemiologico) del morfinismo, se è vero che prima degli
anni ’60 dello ‘800 sono estremamente rare le trattazioni “moderne” del
fenomeno. << Vi sono quindi parecchie categorie di morfinisti (…). Tutti
costoro usano, s’intende, morfina per iniezione ipodermica: e infatti il
morfinismo è nato con la siringa di Pravaz, circa cinquant’anni sono. Prima
del 1860 non si conoscevano morfinisti, ma soltanto oppiofagi: oppiofagi europei
ed americani, cioè bevitori di laudano, ed oppiofagi cinesi, cioè fumatori
d’oppio. Da principio i medici ignorarono i pericoli del morfinismo, e i primi
casi di morfinismo furono descritti non come esempi d’avvelenamento, ma come
prove di tolleranza>> (18).
Questo
passo del Tanzi mi sembra estremamente acuto nel senso che non solo formula
ipotesi “sociogenetiche” sulle cause della diffusione del fenomeno, ma
evidenzia come cambino gli oggetti di interesse del pensiero medico. La clinica
medica non si interessa più solo ai
segni dell’intossicazione acuta, ma si dedica a quelli, ben più
“subdoli”, dell’uso cronico, studiando
il fenomeno della tolleranza e dell’astinenza da sospensione (semeiotica
diacronica anziché sincronica). La fisiologia e la fisiopatologia iniziano ad
avvalersi di modelli teorici e di esperienze su animali più sofisticati, per
approdare alle prime ipotesi di un’interazione dinamica (diacronicità) tra
recettori cerebrali e sostanze oppioidi. La psichiatria inizia a fare delle
osservazioni dei casi, non più isolate ed episodiche, ma con una precisa
scansione temporale del’interazione tra personalità di base ed effetti
farmacodinamici delle sostanze. La medicina legale, ed in particolare la
tossicologia e la psicopatologia forense, cominciano a porsi domande cruciali su
come tali sviluppi nel pensiero medico siano recepibili nella pratica peritale.
Ed
ancora il Tanzi :<< Oggi tutti conoscono il rischio e molti medici lo
esagerano, rifuggendo dalla morfina o imponendone l’abbandono anche ad infermi
incurabili e d’età inoltrata, che nulla avrebbero a guadagnare dal
sacrificio; ma intanto le siringhe di Pravaz si trovano dappertutto, i
morfinismi le adoperano con perfetta conoscenza dell’asepsi; niente è più
facile che copiare da un ricettario la prescrizione, mettendovi sotto la firma
d’un medico, e così il morfinismo si è volgarizzato>> (18).
Quell’occhio medico diventa ora anche consapevole della duplicità ed
ambivalenza di senso del pharmakon.
In
realtà la morfina, come in passato l’oppio (5)(6)(7)(14), subito dopo la sua
introduzione, divenne la “panacea” contro tutti i “mali”, anche mentali.
Negli anni ’70 del XIX sec. Il Wolff già usava la morfina nella mania (con
iniezioni al collo più volte al dì). E col passare degli anni diventano sempre
più numerosi i resococonti di consumatori “coatti” di morfina tra i
pazienti, ma anche tra i medici. <<Su 1000 morfinisti Rodet contò 287
medici. In generale si calcola che i due terzi dei morfinisti appartengono al
sesso maschile e un terzo al ceto medico; tra le donne più della metà sono
mogli di medici>> (18).
2. Aspetti medico-legali:Tossicologia e Psichiatria forense.
La
trattazione “tradizionale” delle questioni medico forensi riguardanti la
morfina non differisce da quella, ben più vecchia, concernente l’oppio.
Nell’ambito della tossicologia forense la morfina rientra nella tipologia,
inaugurata da Orfila, dei veleni narcotici: della sostanza si esaminano
caratteristiche chimiche, “azioni” (cioè equivalenza di dosi rispetto
all’oppio in grado di sortire gli stessi effetti), “sintomi” (ordinati
secondo una scala posologica crescente), lesioni organiche riscontrabili
all’autopsia, tecniche di laboratorio per l’ accertamento del supposto
“veneficio” con morfina.
E’
questo lo schema seguito da Perrone nel 1851. Pur non essendo ancora maturi i
tempi per una trattazione dell’intossicazione cronica, tuttavia, “in nuce”,
appare il concetto di “assuefazione”, importato da Bonnet e Trousseau:<<
(…) tutti gli esposti sintomi non avvengono sempre, massime se l’individuo
sia avvezzo a prender dose di morfina>>(16). Nessun cenno a qualcosa che
possa far pensare a fenomeni di astinenza.
Ancora
questo è l’impostazione di base in Briand & Chaudé (17) ed in Laura,
anche se in quest’ultimo si fa strada una prima stadiazione dei sintomi da
intossicazione, con un “embrionale” cenno a sintomi da sospensione:<<
Se sospendono l’uso dell’oppio, oltre ai mali che soffrono nelle precipue
funzioni organiche, fansi inquieti, torbidi, agitati, insonni, allucinati
>> (19).
In
Casper (27), poi, nella casistica degli avvelenamenti trattati manca del tutto
quello da oppiacei, fatto abbastanza singolare per un autore tedesco.
Ziino
(1882) (15), dopo aver ripreso da Bernard ( Etude
phys.de l’opium et de ses principaux alcaloides, 1864)
la suddivisione in “soporifera”, “convulsivante” e “tossica” delle
tre principali proprietà degli alcaloidi dell’oppio, per ogni sostanza
stabilisce una graduazione in ordine decrescente di potenza. Si sottolinea
quindi l’importanza delle osservazioni cliniche, che possono anche contraddire
i risultati degli “sperimenti fisiologici”. Il rischio di tolleranza alla
morfina viene sottolineato: essa può divenire estrema <<massimamente tra
gli infermi di tubercolosi polmonale (…). Abusano grandemente ed impunemente
di iniezioni ipodermiche di morfina coloro i quali soffrono di nevralgie
croniche e soprammodo gli affetti da carcinomi. Altre volte l’abuso di questo
potente narcotico tramutasi in vera frenopatia (morfinomania), di che in questi
ultimi anni si sono tanto occupati Lahar, Friedeler e Hirschfeld (1872), Hallin
(1874), Levinstein (1875-76), Leidesdorf (1878), Obersteiner (1880), Richlin ed
Irwin (1881) e tra noi l’egregio Dott. P. Grilli (1881)>> (15). La
morfinomania inizia così a farsi discorso autonomo nella tossicologia forense;
la sua supposta equivalenza ad una frenopatia sembra accennare ad un
accostamento alle monomanie, che però non viene ripreso nel capitolo sulla
responsabilità giuridica. <<(…) i morfinomani soprammodo (…) sono, a
detta del Lee, i più abietti degli schiavi e i più disperati degl’infelici>>
(15).
Dell’importanza
che per Ziino rivestono spinte
motivazionali diverse da quelle Jatrogeniche nel condurre alla dipendenza fa
fede il seguente passo:<<I Theriachi, nello scopo di gustare felicità non
altrimenti concessa alla immaginazione de’ miseri mortali, cominciano a
mangiarne mezzo grano, e nel corso di pochi anni arrivano a dosi enormi;
diventano però pallidi, macilenti, marastici, vivono poco, e finiscono
l’esistenza tra atroci spasimi inflitti dalla natura quasi a pena delle
lascive rappresentazioni procurate artificiosamente al loro cervello malato>>
(15). Una tale analisi psicologica, in cui le pulsioni distruttive (Thanatos)
sembrano riversarsi contro quelle libidiche (Eros)
come effetto a lungo termine del pharmakon,
sembra giustificare l’affermazione di Schivelbusch per cui verso la fine
dell’Ottocento i “paradisi artificiali” dei letterati aiutano la società
borghese (e con essa il pensiero medico) nel formulare i tabù contro queste
droghe.
Se
con Ziino il passaggio ad una “moderna” tossicologia è ormai compiuto, in
Strassmann (20) è originale il
modo con cui sono organicamente integrate, e non più schematicamente separate
in capitoli diversi, la tossicologia e le questioni forensi della responsabilità
individuale.
E
proprio prendendo spunto da Strassmann (nalla traduzione dal tedesco del
Carrara) possiamo evidenziare quanta strada si è fatta in mezzo secolo. La
responsabilità giuridica dell’intossicato da morfina veniva
“tradizionalmente” affrontata nel capitolo dell’ubriachezza e del delirium
tremens, poco importava la sostanza in questione (si veda Briand & Chaudé )[2].
Nell’ultimo
decennio del XIX secolo si afferma una trattazione autonoma del morfinismo
rispetto all’alcolismo, con un certo accostamento tra morfinismo e cocainismo
cronico.
Per
Strassmann:<<Il morfinismo cronico e l’assunzione continuata di oppio
hanno spesso suscitato questioni riflettenti la responsabilità individuale:
nella astinenza forzata si producono frequentemente reali disturbi psichici, ed
evidentemente non sono da considerarsi imputabili i delitti commessi in questo
stato specialmente se diretti ad impadronirsi della sostanza sottratta: anche
per il semplice abuso cronico possono insorgere disturbi psichici, ma questi
debbono essere naturalmente dimostrati in ciascun caso e il morfinismo per sé
non basta ad annullare la imputabilità, comecché gli individui nei quali esso
compare vi siano portati da una loro degenerazione organica. Altrettanto si può
dire del cocainismo cronico>>.
Per
Tanzi l’analogia con l’alcolismo, pur ammessa, non va troppo sottolineata,
le problematiche, non solo medico-legali, ma soprattutto socio-politiche
connesse con il morfinismo sono specifiche.
Le
differenze si evincono già nelle “motivazioni psicologiche” per cui si
diventa morfinomani anziché alcolisti:<<Invece il morfinismo è l’uso
volontario, incoercibile, abituale d’un medicamento che, almeno le prime
volte, serve no tanto a procurare un piacere quanto a far cessare un’atroce
sofferenza di natura fisica.>> Da
ciò discende che <<il morfinismo è quindi molto più motivato e
scusabile dell’alcolismo>>, che è basso il potenziale criminogenetico
dei morfinomani. Ciò si tradurrà in giudizi, che in sede peritale, andrà
nella direzione della non responsabilità. <<Perciò di fronte a un
delitto d’impeto e improvviso che risulti commesso durante una crisi di
amorfismo, e specialmente se si tratta d’un delitto specifico, cioè relativo
al bisogno incoercibile e immediato della morfina, si potrà proporre
l’applicazione dell’art.46; altrimenti non si devono oltrepassare le
mitigazioni di pena stabilite dall’art.47>> (18).D’altronde per Tanzi
il morfinismo non arriva mai alla demenza, assai di rado al delirio ed alle
allucinazioni.
In
ambito civile, poi, Tanzi lamenta il fatto che di importanza in psichiatria
forense <<ne ha (…) moltissima e ne potrebbe acquistare di più il
morfinismo, se finora non prevalesse il preconcetto di rispettare eccessivamente
la capacità civile dei degenerati, degli abulici e dei morfinisti>>. E
prosegue:<< Il reato di negligenza esiste a parole; ma, tranne negli
uffici pubblici, non viene mai imputato a nessuno. Un padre di famiglia può
condurre alla rovina moglie, figli e nipoti per abulia morfinica: ebbene, non
solo non si procede contro di lui penalmente, ma spesso i giudici considerano
come temeraria ed indelicata la domanda d’interdizione>>.
Per Jastrowitz (23) <<è evidente che non insorgono difficoltà d’interpretazione allorché il morfinista vien colpito da psicosi: egli viene allora rinchiuso in un manicomio, e in quell’occasione le questioni d’indole giuridica si semplificano assai. Ma finché egli è un paziente, che di sua spontanea volontà chiede di ricorrere ad uno stabilimento aperto di cura, egli mantiene tutti i suoi diritti civili, quindi può, quando lo voglia, andarsene dallo stabilimento.(…) Per ovviare a questo rischio, alcuni fra i direttori di codesti stabilimenti non accettano ospiti se non a patto che venga pagato in anticipazione un intero mese di cura e che il malato si obblighi a pagare una penale se abbandona lo stabilimento prima di un certo tempo. Io non so se queste convenzioni abbiano un valore giuridico: certo esse sono odiose e per di più non riescono neppure nello scopo. Se si tratta di clienti poveri, essi devono pagare assai caro un atto che essi compiono per una forza superiore alla loro volontà; mentre se si tratta di un cliente ricco, la prospettiva di perdere un po’ di denaro non basta certo ad arrestarlo.
Altri medici fanno firmare ali ospiti una dichiarazione, in cui gli ospiti si obbligano a seguire strettamente le prescrizioni mediche e rinunciano durante la cura d’astinenza alla loro libertà personale.
Ma dal punto di vista giuridico una tale dichiarazione non ha alcun valore: tutt’al più l’ospite che vuol uscire dallo stabilimento sarà tenuto a risarcire i danni materiali al proprietario di esso; ma nessuna legge lo obbliga a fermarsi nello stabilimento in forza della sua dichiarazione precedente>>.
Rispetto
all’imputabilità ed alla capacità civile, lo Jastrowitz, sovrapponendo in
maniera un po’ confusionaria le questioni del diritto penale con quelle del
diritto civile, sostiene che <<il medico sosterrà che essi né
sono punibili, né sono responsabili civilmente per queste loro azioni,
imperocché le hanno commesse in un’epoca in cui a causa di un disturbo
psichico morboso non disponevano della loro libera volontà>> (23).
In
Moglie (24), l’equivalenza tra il
“tossicomane cronico, inveterato, incorreggibile”
e la “psicosi morfinica” è pressoché costante, e quindi tutte le questioni
riguardanti l’imputabilità penale vengono ricondotte ad uno stato di “vera
infermità mentale”, pur riconoscendo che il morfinomane raramente commette
delitti veri e propri. Ciò in parte poiché “la morfina è lo
stupefacente aristocratico”, e ne sono dediti
categorie sociali molto sensibili alle misure di controllo sociale, ma anche
perché, a suo parere, perché si realizzino condotte criminali è necessario
che si verifichi uno “stato psicopatico delirante”
(ulteriore equivalenza tra tossicomania e psicosi ). In generale, per Moglie, i
reati sono più di omissione che non crimini in senso proprio, dato che “il
morfinista, schiavo del tossico, è un vinto, un abulico, incapace di qualunque
reazione e quindi dell’attitudine
a delinquere”. Siamo ancora lontani dalla
scoperta del potenziale criminogenetico che ha la tossicodipendenza,
probabilmente perché in Italia, a differenza di altri Paesi europei, il consumo
di morfina è ancora limitato a classi e professioni non tradizionalmente legate
al mondo della criminalità.
In
ambito civile, poi, Moglie appare ancor più temerario nel sostenere la necessità
dell’interdizione o dell’inabilitazione[3],
poiché manca il minimo riferimento giuridico al riguardo.
Per
Tanzi (21) è invece alto il potenziale criminogenetico associato al morfinismo
se è vero che “la monobulia del morfinista in istato di amorfinismo (cioè,
astinenza) si esplica con l’offuscamento della rettitudine, della
dignità, dell’intelligenza (…) Il morfinomane, prigioniero della casa di
salute o della solitudine o della miseria, commette qualunque bassezza pur di
procurarsi la morfina (…)>> (21).
3.
Le guerre dell’oppio: tra libero mercato e primi provvedimenti legislativi.
Tra XVIII e XIX secolo l’oppio diventa la principale merce con cui l’Inghilterra, rappresentata dalla Compagnia delle Indie Orientali, “paga” le importazioni dalla Cina. La grande “piaga” sociale che colpirà la società cinese, e porterà ad infruttuosi tentativi di proibizionismo gli imperatori cinesi sin dal 1729, trova precise responsabilità nella politica economica inglese. La Compagnia delle Indie Orientali detiene infatti il monopolio dell’oppio coltivato in India, e l’assenza di scrupoli di questo commercio viene dimostrata da una testimonianza dell’epoca[4]:
“L’unico ed esclusivo (…) scopo è quello di assicurare la totale fornitura impedendo ad altri di partecipare ad una cosa nella quale per ora non sono coinvolti; è evidente infatti che i cinesi, come i Malesi, non possono vivere senza prendere l’oppio; e se non fossimo noi a rifornirli della merce di cui hanno bisogno, sarebbe certo qualcun altro a farlo”.
Tra il 1762 ed il 1828 le importazioni cinesi di oppio passano dalle 200 ceste alle 18000, per arrivare nel 1839 alla bellezza di 40000.
I provvedimenti proibizionistici varati da parte cinese non fecero che aumentare il contrabbando e posero le premesse per le due guerre dell’oppio( la prima del 1839-44, la seconda scoppiata quindici anni dopo) tra Cina ed Inghilterra, che videro l’affermazione della potenza coloniale inglese, con la nascita di Hong Kong come centro inglese di commercio dell’oppio. E’ stato calcolato che a fine ‘800 i consumatori cinesi di oppio erano circa otto milioni, e che sui proventi di tale mercato si basava il 75 per cento del reddito dell’India.
Solo nel 1946 l’Inghilterra vara la prima legge che vietava l’uso di oppiacei ad Hong Kong, senza però creare una sufficiente rete di servizi sanitari per una popolazione di tossicodipendenti che aveva superato qualsiasi livello di guardia[5].
Resta ora da vedere secondo quali vie si diffuse il consumo di oppiacei in Europa Occidentale.
E’ certamente importante, da un punto di vista storico, la testimonianza di De Quincey (2) su quanto fosse diffuso ed a basso costo l’uso dell’oppio nel proletariato inglese:
“Tre rispettabili farmacisti londinesi che abitano in quartieri distanti l’uno dall’altro e presso i quali, non molto tempo fa, acquistai per caso delle piccole quantità di oppio, mi assicurarono che il numero di oppiomani dilettanti (se posso così chiamarli) era a quel tempo immenso (..) e che questa asserzione si riferiva unicamente a Londra. Eppure il lettore si stupirà ancor di più nel sapere quanto udii da alcuni industriali del cotone in occasione di un mio passaggio a Manchester, e cioè che i loro operai si erano abituati a masticare l’oppio con una tale rapidità che i farmacisti ogni sabato pomeriggio riempivano i loro banchi con pillole da uno, due o tre grani, per essere pronti a soddisfare la domanda d’oppio della sera. Causa diretta di questa abitudine sarebbero stati i bassi salari che non permettevano agli operai di ubriacarsi con la birra o con gli alcolici e c’era da aspettarsi che con delle paghe più alte il vizio scomparisse”.
Quindi ben prima degli anni ’50 del XIX secolo, almeno in Inghilterra, la diffusione del consumo di oppio andava ben al di là delle elites di artisti (a cui apparteneva lo stesso De Quincey) o dei borghesi che immancabilmente avevano l’oppio nel loro armadietto domestico dei medicinali.
Probabilmente in Europa continentale all’epoca non c’era ancora una tale diffusione sociale del problema, se gli storici attribuiscono agli eventi bellici posteriori (guerra di Crimea, guerra franco-prussiana e prima guerra mondiale), oltre che all’ampliarsi delle reti commerciali, un ruolo importante in tal senso. Tali guerre costituirono una novità in quanto furono tutte successive al 1816, data dell’introduzione della morfina, e poiché tale sostanza fu per la prima volta adoperata dai medici militari in quantità enormi. Come osserva Schivelbusch (3), <<le guerre agiscono da moltiplicatori della tossicodipendenza. La morfina passa dalla vita militare a quella civile, un procedimento di espansione che abbiamo già osservato per il tabacco nella guerra dei Trent’anni>>.
Oltre alle guerre, viene sottolineata l’importanza dei flussi migratori di uomini e merci (tra cui l’oppio) in relazione alla politica coloniale delle potenze commerciali. Per Allevi << i funzionari governativi, i soldati, i marinai nel loro lungo soggiorno soprattutto nelle colonie dell’Estremo Oriente si abituano a far uso dell’oppio,(…). L’isolamento di anni e anni, la nostalgia, il clima estenuante, la monotonia della vita, i pericoli frequenti, l’impossibilità di avere qualsiasi conforto all’infuori del dovere compiuto, debbono necessariamente trovare un diversivo nella volontà dei veleni(…)>>(4).
Riguardo al peso dei flussi umani migratori tra ‘800 e ‘900, si vanno producendo i primi studi statistici. Allevi (4) attesta l’importanza delle emigrazioni di cinesi negli Stati Uniti come fattore di diffusione in America degli oppiacei.
Nel 1926 in Italia il Commissariato Generale dell’Emigrazione registrò un aumento statistico del tabagismo ed alcolismo nel campione di italiani residenti all’estero, ma, circa gli oppiacei, non se ne fece il più piccolo cenno (4).
Primi interventi legislativi in senso proibizionistico in Occidente.
Se il mondo scientifico e la pubblicistica occidentale iniziarono a rendersi conto dei pericoli reali dell’oppiomania verso la fine dell’ottocento, in concomitanza non solo con la maggiore “globalizzazione” dei consumi, ma anche dell’uso di prodotti più “puri” (morfina anziché laudano, ecc.), i primi interventi legislativi, sia internazionali che nazionali, non furono certo tempestivi.
Una delle prime leggi nazionali fu il “Pharmacy and poisons act” inglese (1868), il quale però si limitò a stabilire quanto era già di uso comune in Inghilterra, che cioè l’oppio si vendesse solo nelle farmacie.
In Germania le prime misure di lotta contro gli stupefacenti risalgono ad una legge del 1896, e poi a successive del 1898 e del 1902 (4). Ancora più tardi iniziano a legiferare le nazioni “latine”: in Francia nel 1908 e nel 1916, in Italia nel 1923, in Spagna nel 1923 (4).
In Italia è soprattutto dopo la prima guerra mondiale che si registrarono i primi gravi casi conseguenti all’abuso di morfina. Nel 1921, secondo Allevi (4), l’on. Bergamo, che tra l’altro era uno psichiatra, presentò un progetto di legge che << non ebbe nemmeno l’onore della discussione>> in Parlamento.
Bisognerà aspettare il 1923 per vedere in Italia la prima legge relativa agli stupefacenti, sui cui contenuti non ci soffermeremo.
In campo internazionale, tuttavia, i ritardi legislativi furono ancora più macroscopici. <<Il problema degli stupefacenti è stato posto di fronte alle nazioni quando i Governi dell’Estremo Oriente – e specialmente la Cina – avevano manifestato – e non solo a parole – propositi di lotta ad oltranza, e quando gli Stati Uniti avevano visto diffondersi le tossicomanie nel loro grembo. Solo allora l’opinione pubblica si commosse e reclamò provvedimenti; prima i vari Governi trovavano comodo tacere e qualcuno trovò ancor più comodo continuare nel commercio degli stupefacenti, così sicuro e così lucroso per le finanze statali>> (4).
Nel 1909 gli Stati Uniti convocarono a Shangai una conferenza internazionale a cui aderirono tredici Paesi, nella quale si invitarono i partecipanti a prendere urgenti misure contro il contrabbando di oppiacei. Come conseguenza fu stipulata nel 1912 la Convenzione dell’Aja, in cui i Governi si accordarono con la Cina nell’impedire il contrabbando sia nel suo territorio sia in quello delle colonie europee dell’Estremo Oriente.
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, per forza di cose, annullò di fatto gli impegni assunti. Solo con la fondazione della Società delle Nazioni a Ginevra verrà rilanciata una politica internazionale che vedrà allargarsi il numero dei Paesi partecipanti, anche se povera di risultati tangibili immediati.
4. L’immagine sociale dell’oppiomane.
E’ significativo notare come nella letteratura medica, prima della metà del XIX secolo, manchino descrizioni di una tipologia sociale di oppiomane. Anche le descrizioni di De Quincey (che non sono fatte da un medico) sul consumo di oppio nel proletariato inglese non riportano mai un “morfologia psichica o sociale” di un consumatore-tipo.
Successivamente sono due i fattori che concorrono a fissare dei tipi umani:
1) la diffusione del consumo di morfina, e poi di eroina, con effetti sulla salute pubblica analoghi a quelli che ebbe il passaggio dal vino all’acquavite sulla scena del bere un secolo prima.
2) La connotazione eugenetica che assunse la Medicina Sociale dell’epoca, per cui l’individuazione di quadri di degenerazione costituzionale, e quindi di tipi umani degenerati, poteva salvaguardare il futuro della specie umana, o, più limitatamente, della razza.
Significativamente, proprio negli USA, primi propugnatori di trattati internazionali tendenti a regolamentare il mercato degli stupefacenti, trovano applicazione le prime leggi eugenetiche per la sterilizzazione degli anormali: in Indiana nel 1907, e poi, in Virginia, California, Connecticut, Oregon, Utah (4). Pazzi, idioti, paralitici, alcolisti cronici, tubercolotici, epilettici, delinquenti: queste le principali categorie “nosografiche” di cui si componeva l’ampia classe degli anormali.
Anche se tali tecniche di eugenetica positiva verranno respinte dalla maggior parte dei medici italiani, anche durante il regime fascista, è interessante come proprio nei primi anni del XX secolo in Italia inizi un’opera di inclusione e di fissazione dei tossicomani all’interno della classe degli anormali.
L’opera di Allevi, pubblicata nel 1931, che reca come sottotitolo “Tossicomanie e difesa della razza”, è ampiamente esaustiva al riguardo. “I tossicomani nella loro grande maggioranza sono degli anormali. Liberare, il più che sia possibile, la società da questi elementi, vuol dire distruggere il terreno di coltura delle tossicomanie, rimuovere le cause che le determinano” (4). Qui si va oltre la missione della Medicina Sociale, l’eliminazione dei tossicomani costituisce un programma politico tout court. Ed ancora, come corollario di rilevanza medico-legale: <<Il tossicomane quasi sempre è un irresponsabile ed obbedisce a tare organiche, che non sa e non può dominare>> (4).
Ma passiamo alla tipizzazione antropologica che lo stesso Allevi fa dapprima dell’oppiomane, e poi del morfinomane.
L’oppiomane
. <<I fumatori si sdraiano su
un materasso o su una stuoia con la testa appoggiata ad un cuscino, accendono la
pipa ad una lampada ad olio e in due o tre tirate consumano l’oppio
contenutovi. Queste tirate si fanno con lentezza ma si cerca che l’ispirazione
sia profonda. Il fumo poi, gradatamente viene rimesso per le narici; questo
metodo è il più raffinato, ma ne ne è qualche altro molto più spiccio e più
semplice che, si capisce, la gente povera preferisce. I fumatori amano dar sfogo
alla loro passione in riunioni intime o da soli; essi, in genere, cercano di
nascondere il vizio tenendo le riunioni di notte e clandestinamente.(…).
Esiste una sottospecie di oppiofagi data dai cosiddetti ciccatori (…) In
Inghilterra e in Francia si sono notati bevitori di laudano. Tali abitudini-
oltre che il prodotto della degenerazione – sono anche le conseguenze dello
snobismo.(…) In Francia l’oppio dai porti fu introdotto nel cuore della
nazione per opera di demimondaines. (…)Le donne hanno la tendenza ad imitare
gli uomini vivendo una vita quasi di riflesso.(…) Sono frequenti da noi –
scrive lo Zanelli – i casi d’intossicazione a due, coniugale, famigliare; la
donna si eleva sino all’uomo per disputargli il cannello dell’oppio come la
siringa della morfina o il flacone dell’etere.(…). L’uomo maturo è più
portato all’oppio dei giovani. (…) Oggi poi lo sport appassiona, tiene teso
l’animo verso un ideale di forza e di bellezza e automaticamente, si oppone ad
ogni consuetudine degradante della degenerazione. E poi nella giovinezza non
c’è stato il tempo necessario per provare degli sconforti, delle amarezze,
delle delusioni, che stroncano ogni sentimento di poesia alata e lasciano vedere
la vita nella sua dolorosa realtà.(…). Gli europei dediti all’oppio
finiscono per diventare alcoolisti.(…) I tossicomani dopo l’oppio si
darebbero alla cocaina, alla morfina, all’alcool,all’etere, al veronale, al
cloralio, e alcune volte, ai veleni più strani, come la benzina, la polvere di
cannone, ecc.(…). L’oppio è causa di vecchiaia precoce, di dimagrimento
progressivo così grave che alcuni fumatori e mangiatori d’oppio
nell’Oriente esercitano un vero senso di raccapriccio, perché non si immagina
come degli uomini possano ridursi in tale stato di decadenza fisica e di
smarrimento morale.(…) Alcuni oppiomani diventano violentissimi, altri
rimangono estranei a quanto succede loro intorno e sembrano addirittura statue
di marmo(…) L’oppio dunque in genere può costituire un impulso alla
delinquenza non nei primi momenti dell’intossicazione ma in seguito. (…)La
tubercolosi sarebbe agevolata nell’intossicazione tebaica
(…).L’omosessualità è frequente tra gli oppiomani.>>
Come si vede si pongono le basi per la costruzione di un’identità sociale dell’oppiomane molto vicina con le categorie sopra citate (il delinquente, il tubercolotico, l’alcoolista, ecc.).
Morfinomane.
Ancora
da Allevi:<<Il morfinismo è più facile a riscontrarsi tra gli uomini che
tra le donne. Esso appare dai 20 ai 40 anni ossia nel periodo della maggiore
produttività e del maggior stimolo sessuale e perciò i danni sono enormi dal
lato economico e da quello puramente demografico, perché la morfina diminuisce
la capacità lavorativa a chi ne fa uso ed ha una influenza deleteria sulla
procreazione.(…) Per fortuna le donne morfiniste, in genere, appartengono a
quella categoria di persone che sono condannate alla sterilità dal vizio, ma il
mondo va subendo delle radicali trasformazioni. In molte donne la tendenza ai
godimenti purtroppo comincia a far tacere i sentimenti della maternità. I
veleni voluttuari – spezzate le barriere morali – non tardano a farsi
avanti.(…) Secondo una statistica dei morfinomani di tutto il mondo ricordata
dal Lewin, i medici vi figurerebbero per il 40 per cento e le loro mogli per il
10 per cento. (…) Dopo i medici vengono i farmacisti, i professori, i
letterati, gli artisti, gli ufficiali, gli alti funzionari statali, gli
infermieri, le levatrici. A costoro bisogna aggiungere tutto quel mondo di
squilibrati, di pervertiti, di criminali, di oziosi, dati da cavalieri
d’industria, da bari, lenoni, mantenute, avventuriere, meretrici di bassa
risma, ecc..(…) La morfina non è solo il veleno degli intellettuali e delle
classi agiate – ciò si poteva dire parecchi anni addietro – oggi la morfina
va conquistando anche la povera gente.(…) Nei morfinismi l’origine della
malattia sarebbe puramente terapeutica (…) I morfinomani invece sarebbero
degli anormali attratti al vizio dal desiderio di provare un nuovo piacere,
magnificato loro come uno stato paradisiaco.(…) Noi ricordiamo una morfinomane
che aveva il corpo come se fosse una cicatrice sola e ciò era dovuto
all’enorme numero di piccoli ascessi formatisi in seguito alle iniezioni.(…)
I morfinomani (…) non se la danno per intesa, non se ne sentono affatto
preoccupati; alungo andare il loro spirito è unicamente teso verso l’ebbrezza
data dalla droga (…).>> Il
corpo del morfinomane, a differenza di quello dell’oppiomane, è depositario
di una semeiotica fisica, iscritta nel corpo e tradita dalle cicatrici impresse
su di esso. Il corpo, investigato in senso medico-legale, si fa veicolo di
conoscenza positiva in quanto portatore di segni inequivocabili di degenerazione
psichica e morale. La fisionomica
è il fulcro della diagnostica antropologica:<<Il morfinomane è magro, di
un pallore terreo, d’umore cupo>>. E ancora prosegue la tipizzazione con
i consueti addentellati con le varie forme di “degenerazione”:<<Nella
morfinomania si ha una alterazione del senso genetico che conduce al
pervertimento ed alla omosessualità per cui s’arriva – come in altre
intossicazioni croniche d’origine voluttuaria – sino al sadismo e al
masochismo. Nel manifestarsi dell’impotenza si sono visti tossicomani, per
sottrarsi ai doveri coniugali, morfinizzare le proprie mogli.(…)In genere si
diventa morfinomani per combattere il dolore e l’insonnia, per curiosità, per
spirito d’imitazione, per snob.(…) Si tratta di predisposti naturalmente
ossia di psicastenici, di nevrastenici, di figli di alcoolisti o di pazzi, di
criminali, ecc..>>.
Fonti bibliografiche:
1) Baudelaire Ch., “Paradisi artificiali”, (1861), ediz.ital. Garzanti, 1988.
2) De Quincey Th., ‘Confessioni di un mangiatore d’oppio’ (1856), ed.ital. Rizzoli, 1994.
3) Schivelbusch W., ‘Storia dei generi voluttuari’, Mondatori, 1999.
4) Allevi G., ‘Gli stupefacenti. Tossicomanie e difesa della razza’, Hoepli, Milano, 1931.
5)
Merat , voce ‘Opium’, Dictionaire des Sciences Medicales, Panckoucke,
Paris, 1819.
6)
De Lens, voce ‘Morphine’,
Dictionnaire des Sciences Medicales, Panckoucke, 1819.
7) Mead R., ‘De opio’, 1747.
8) Orfila, ‘Lezioni di Medicina Legale’, Catellacci, Firenze, 1841.
9) Fantonetti G.B., ‘Delle malattie mentali in rapporto alla Medicina Legale’, Bresciani, Ferrara, 1863.
10) Colajanni N., “L’alcoolismo. Sue conseguenze morali e sue cause”, Tropea, Catania, 1887.
11) Barzellotti G., “Medicina Legale secondo lo spirito delle leggi civili e penali veglianti nei governi d’Italia”, Capurro, Pisa, 1819.
12) Puccinotti F., “Lezioni di Medicina Legale”, Jovene, Napoli, 1838.
13) Boussiron B., “De l’action du tabac sur la santé…”, Dussillion,Paris,1845 (su un caso di disassuefazione da oppio mediante l’uso del tabacco).
14) Sannicola G., “Sull’uso dei rimedii narcotici nel trattamento dell’alienazione mentale”, “Il Linguiti.Repertorio psicologico-medico delle malattie mentali…”, Aversa, 1855.
15) Ziino G., “Compendio di Medicina Legale…”, Pasquale, Napoli, 1882.
16) Perrone P., “Trattato elementare di Medicina Legale”, Tip. Del Sebeto, Napoli, 1851(p.432)
17) Briand G. & Chaudé E.,”Manuale completo di Medicina Legale”, Batelli,Napoli,1853(p.315).
18) Tanzi E.,”Psichiatria forense”, Vallardi, Milano,1911 (p.312).
19) Laura, “Trattato di Medicina Legale”, Camilla e Bertolero, Torino, 1874 (p.493).
20) Strassmann F., “Manuale di Medicina Legale”, Torino, 1901 (p.678).
21) Tanzi E., “Trattato delle malattie mentali”, Milano, Società Editrice Libraria, 1905.
22) Lombroso C., “Lezioni di Medicina Legale”, in “L’uomo alienato”, Bocca, Torino, 1913.
23) Jastrowitz M., “Morfinismo”, in “La clinica contemporanea. Psichiatria”, a cura di Leyden & Klemperer, vol.VI, Soc.Editrice Libraria, Milano,1908.
24) Moglie G., “La psicopatologia forense”, Pozzi, Roma, 1938.
25) Scattolini V., “Morfinomania (Delirium tremens)”, Cecconi Editore, Firenze, senza data (inizio ‘900).
26) Lugiato “I disturbi mentali. Patologia speciale delle anomalie dello spirito”, Hoepli, Milano, 1922.
27) Casper,”Manuale pratico di Medicina Legale”, Botta, Torino, 1858.
[1] (trattazione
del 1819 di De Lens).
(nel 1845 opera sulla disassuefazione di Boussirion)
Per avere le prime descrizioni “moderne” del morfinismo
bisogna attendere la metà del XIX secolo con i primi contributi di
Christison (1850) e Fleming (1869), a cui seguirono quelli via via più
esaustivi di Laehr (1871), di Fiedler (1874), di Levinstein (1877) e di
Erlenmeyer (1887) (tutti citati da Jastrowitz, 23). Nel 1901 Deutsch ultimò
un lavoro in cui per la prima volta si raccoglieva la ormai vasta
bibliografia sull’argomento.
[2] <<Evvi evidentemente grande analogia tra questo eccitamento prodotto dai liquori alcolici, e gli effetti che determinano alcune sostanze narcotiche (le bacche di belladonna, i semi dello stramonio, e specialmente l’oppio); possono a tale stato avvicinarsi i fenomeni che produce la preparazione conosciuta sotto il nome di haschisch>>.
[3] <<Le stesse ragioni ci hanno indotto in alcuni giudizi peritali a mettere in grave dubbio, e, in alcuni casi più gravi, ad escludere recisamente anche la capacità a contrarre matrimonio>>.
[4] Citata da Seefelder, “Oppio. Storia di una droga dagli Egizi ad oggi”, Milano, 1990.
[5] Della gravissima situazione sociale ad Hong Kong ce ne sono testimonianza particolarmente “crude” anche negli anni ’70 del XX secolo (si veda Lamour e Lamberti, “Il sistema mondiale della droga”, Torino, 1973)