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 Chronology

MELANCONIA E PERVERSIONE.  
Pisa,15.03.2003. Convegno organizzato da "Squiggle",
gruppo di studio coordinato da V.P.Pellicanò.

Resoconto del congresso (Pisa,15.03.2003) di  Fiorella Tonello.                   

 

 

   

Il convegno si apre con il Dott. Chianese che introduce questo delicato accoppiamento: riferendosi a Freud che usava la metafora di una  ferita enigmatica per la melanconia, ci richiama a non pochi dubbi sulla sua origine ed evoluzione. A partire dall’idea freudiana che la melanconia non sia né nevrosi né psicosi, ma nevrosi narcisistica, ci chiama a riflettere su un punto basilare: il costituirsi della struttura psichica alle origini. Mantenere una posizione fenomenologica risulta un elemento di partenza essenziale; si cerca di individuare il tipo di oggetto o di ombra, se il melanconico abbia un problema di separazione dalla madre o da chi altro.   Melanconia e Perversione sono due modi attuati per la sopravvivenza psichica, in entrambi esiste una identificazione con oggetti morti che causa un diniego della separazione. Per Chianese al melanconico mancano i moduli erotici che il perverso deve continuare a ripetere: entrambi non riescono ad accettare l’imprevedibilità dell’oggetto, l’incompiutezza della vita. A questo punto ci si chiede quando si origina la melanconia: prima o dopo la formazione dell’Io? Nel melanconico la disillusione dell’oggetto è precoce, troppo precoce quando l’Io non si era  ancora formato. Secondo Chianese prima che si insediasse l’oggetto,  l’Io si è suicidato: l’oggetto non è ancora presente e già manca; che cosa possa essere accaduto, questo oggetto di investimento è attraversato da qualcosa di irrisolto a livello generazionale. La differenza con il Perverso a questo punto esiste o anche per lui esiste questa disillusione precoce  e la mancanza del terzo? Nel Perverso il corpo è la scena che si deve ripetere sempre, ma in questa scena ci sono spazi e tempi diversi anche se gli elementi sono gli stessi. A questo punto l’Analisi,come spazio che separa la vita dalla morte deve compiere con il melanconico il passaggio al Lutto.

L. Russo, nel suo intervento, considera la perdita dell’oggetto un elemento essenziale per il melanconico e il suo fantasma fondamentale è la struttura difensiva e conservativa narcisistica. Il melanconico opera un tentativo di recupero dell’oggetto non-avuto attraverso una identificazione narcisistica. Permane il tentativo continuo di ricostruire una storia psichica, ricostruire la perdita che ci porta ad un momento in cui doveva avvenire il processo di introiezione e conseguentemente il lutto primario con la comparsa del desiderio. Contrariamente all’introiezione è avvenuta l’incorporazione: “una difesa magica in cui l’oggetto è messo dentro con tutti i suoi fantasmi e si crea un’altra struttura psichica messa sopra”(Abraham).

Russo parla di una rivalità arcaica, pre-edipica che si instaura nel melanconico: si rivaleggia per essere in una dimensione, di aggressività, un fantasma di rivalità che produce nell’io il “doppio” narcisistico che rappresenta la fissazione al trauma della perdita; la potenza del trauma originario altera a tal punto la struttura di base che varia in modo inalterabile la personalità. La rivalità trascende il tempo, lo spazio individuale e si trasmette di generazione in generazione, crea un isolamento autarchico esistenziale della personalità che si evidenzia nel transfert. Le esperienze dei malinconici non hanno un piacere integrato nell’Io e in questo caso si può parlare di perversione e masochismo: l’oggetto esterno non esiste e quello interno non è differenziato e per questo si parla di isolamento e autarchia.

Per Russo esiste quindi un duplice livello psichico, due tipi di legami collegati a due flussi energetici. Quindi l’isolamento autarchico non può essere devastante ma molte cariche energetiche risultano disponibilì e su questo dovrebbe lavorare l’analista.

G. Hautmann porta alcune riflessioni su quanto detto finora;  già dagli anni 70 molti autori parlano della melanconia (es. Pontalis, Jacobson) e sottolineano il valore della fondazione di sé e della non integrazione tra sensazione ed emozione, di un vuoto dovuto ad un Io mai nato e qui si instaura, per capirlo e difenderlo, un ideale dell’Io secondo un modello imitativo. Si parla di un Io che rimane muto a se stesso “cripta del silenzio” dove la rappresentazione non si forma, ma più si sente, ognuno si porta dentro un mondo silente. Hautmann  riprende il concetto nuovo di Russo sul “fantasma rivalitario” che secondo lui propone un allargamento metapsicologico e ne risulta abbastanza convinto solo se il sé passa attraverso il suo doppio (v. Bion e il sé gemellare). Inoltre bisogna lavorare sulle parti non integrate: creare un ponte tra il linguaggio e il sentire perché, come diceva Russo, il linguaggio del melanconico appare scisso dagli affetti, dalle pulsioni. La parola appare piena di erudizione, pedagogismo proprio per non rappresentare la perdita e non c’è la rappresentazione immaginativa perché c’è l’assenza della funzione rispecchiante della madre.

    A. Niccolò ci parla di un caso di travestitismo. Quando si parla di perversione si includono diverse patologie tra di loro e la perversità è qualcosa di diverso dal comportamento sessuale perverso. In adolescenza il perverso riguarda una patologia già fissata contrariamente al regressivo. Sicuramente il riconoscere che esiste un elemento di perversione nella mente di ognuno di noi è un passo molto avanti. Niccolò ritrova molti elementi di polimorfismo nelle fantasie sessuali di coppie. A questo punto si deve differenziare tra la perversione, difesa contro la psicosi, e il polimorfo, fantasie infantili che non implicano sempre una soddisfazione sessuale. Il corpo risulta essere come l’elemento di contatto con la realtà esterna, il corpo è l’unico terreno comunicativo della coppia e della perversione

Filippini (presidente SPI Firenze) sottolinea l’aspetto di egosintonia e di egodistonia nelle perversioni.  Riprendendo Meltzer,  non c’è attività umana che non abbia una forma di perversione. Delinea la personalità  narcisistica come una forma di indifferezza verso l’alterità e i suoi diritti. Il narcisista ha relazioni con l’oggetto sé e non con l’altro perché usato come supporto alla sua autostima. Un disturbo che la Filippini pone ad un livello più alto e paragona a Barbablù fino ad un livello più basso come Don Giovanni. La perversione è stabile perché rappresenta un tratto di carattere, non può vivere il conflitto e lo colloca all’esterno: i perversi fanno soffrire gli altri suscitando una atmosfera di paura.  Per loro è impossibile mettersi in discussione, non hanno né compassione e né rispetto per l’altro.A questo punto si crea una differenziazione tra la perversione narcisistica, pervasa da indifferenza, e la perversione relazionale pervasa da fenomeni sado-masochistici.

In quest’ultima esiste la detenzione del potere, dove la vittima non prova piacere; si tratta di legami molto forti, dove entrambi i membri concorrono al mantenimento della relazione con un piacere ottenuto attraverso manovre organizzate e inconscie, contro depressive e anti-conflittuali. La vittima mantiene questa posizione principalmente perché ha la speranza nel cambiamento del partner.

P. Cupelloni, autrice di una ricerca psicoanalitica sulla melanconia sfociata nel libro “La ferita dello sguardo”, ci parla dell’aspetto perverso della Melanconia.  Ritorna sul problema dell’oggetto, un oggetto che non è mai stato posseduto ma viene ricercato spasmodicamente, pena il collasso psichico; il melanconico fantastica un ideale di oggetto che diventa perfetto. Il melanconico come il perverso ha bisogno di crearsi un oggetto feticcio. Siamo di fronte ad un senso costante di incompiutezza e incompletezza , nella melanconia l’elaborazione è bloccata, il destino della pulsione è senza meta, è una ricerca incessante: questo anelito costante è la perversione del melanconico. All’origine esiste una disillusione primordiale, ancora prima che si crei l’oggetto. Il melanconico si aggrappa all’ideale per sopravvivere, avviene un suicidio dell’oggetto che comporta al desiderio di orientarsi verso l’oggetto parziale quindi non raggiungibile. L’attrazione per la morte o l’assente fa sì che la vita sia una deprivazione affettiva e il melanconico si associa alla perversione per evitare il vuoto angoscioso.  “ E’ quella l’esperienza che ho avuto ed  è a quella che ritorno”.

Ma la Cupelloni ci parla di un duplice livello del lutto: uno mortifero ed uno vivificatore; l’analisi dovrebbe trasformare il melanconico mediante il lutto vivificatore per operare un cambiamento.

G. Maffei introduce la violenza come elemento coniugato con l’incorporazione: quando si incorpora un oggetto si uccide. Il Melanconico sente di essere stato non-vivo in un rapporto di incorporazione; questo processo avviene in mancanza del processo di introiezione. Dunque ci possiamo chiedere come mai ci sia stata questa incapacità di introiettare la madre e le risposte possibili sono diverse come: forse la madre era già morta e quindi non introiettabile, una madre carica di vissuto transgenerazionale. Si parla anche di odio primario del melanconico verso l’oggetto perché perde il senso di onnipotenza. Il doppio ha anche una sua tematica fisiologica: c’è qualcosa che rimane vicino a me e qualcosa che è all’esterno ( me e non-me) come meccanismo naturale.

 Come sempre la domanda fatidica è come curare e, a questo punto, Maffei cita l’analista francese Rosemberg che opera al 13° arrondissement di Parigi, secondo il quale i melanconici guariscono da sé: il melanconico intuisce che ci si può staccare dall’oggetto, ma è un meccanismo che si ripete instancabilmente. Ecco che si parla del dramma del melanconico: il va e vieni di investimento dall’oggetto, come le onde del mare che continuamente si infrangono a riva. .

Questo ripetersi potrebbe forse essere guarito attraverso un passaggio al lutto.

 

 

In conclusione Russo riprende la parola  aprendo ulteriormente la discussione: negando l’esistenza di una sola mente primitiva, in quanto ci sono invece diverse forme organizzative della psiche e quindi dobbiamo rassegnarci ad una molteplicità organizzativa della mente; l’interiorità non si identifica mai solamente con l’identità, ma esiste una interiorità extraterritorialità; l’oggetto nella melanconia è così presente che non si lascia rappresentare, quindi c’è bisogno di negarlo e staccarsi per rappresentarlo: l’oggetto si ridefinisce continuamente tra interno/esterno, o tra fantasmatico e reale; il doppio, legato al narcisismo di vita, è la transizione al tre.

Cupelloni, sempre per un fine di cura, introduce il concetto di “Melanconia attiva” ovvero di una di produzione di un immaginario, una rappresentazione attraverso le forme che può portare il soggetto verso una terra di nessuno, un “esilio volontario”;  solo se il melanconico può accedere alla mancanza , alla non-madre, alla frustrazione, come l’artista con l’opera d’arte, riesce ad aprire un canale tra la creatività e la melanconia dove la creatività deve essere esiliata in una terra sconosciuta.