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STATO, DECENTRAMENTO E PSICHIATRIA: PROSPETTIVE ATTUALI.
di  Sergio Piro
(Relazione presentata al Convegno “Una moderna assistenza psichiatrica in rapporto alla riforma sanitaria”, organizzato dalla provincia di Potenza nei giorni 23 e 24 febbraio 1978. Pagg. 41-45 degli Atti del Convegno)

 

Le lotte contro il manicomio e la manicomialità che si sono svolte in Italia negli ultimi quindici anni hanno continuamente riproposto il tema, troppo facilmente esaurito in senso descrittivo o sociologico nella storiografia precedente, della nascita del manicomio nell’età moderna e della formazione di quella specificazione del sapere che si indica col nome di <<psichiatria>>.

Questo interesse non è (o non è solo) il pur legittimo portato di una necessità di approfondimento della conoscenza e di rettifica di ciò che era noto, ma è invece direttamente legato ed interconnesso con la problematica attuale di lotta e di trasformazione in uno specifico campo della pratica sociale che è –appunto- il campo dell’assistenza psichiatrica nel più generale movimento di lotta per la salute.

Nella relazione in extenso dovrà necessariamente essere sviluppato in maniera più ampia di quanto qui non si faccia , un argomento che probabilmente è centrale nello sviluppo di questo tipo di analisi: la nascita del manicomio è strettamente legata con i processi di costruzione dello Stato moderno e di questi processi rappresenta uno dei tanti aspetti. Razionalizzazione, centralizzazione, burocratizzazione, onnipresenza dello Stato in tutti gli aspetti del sociale, estensione del diritto pubblico, codificazione della norma, organizzazione e razionalizzazione del sapere rappresentano nella descrizione weberiana i momenti salienti nel processo di costruzione dello Stato moderno e questi momenti sono riconoscibili, tappa per tappa, nello strutturarsi dapprima empirico ed approssimato, poi sempre più preciso e regolamentato di un modello di intervento dello Stato in un settore che precedentemente veniva lasciato all’uso, alle consuetudini, alla sfera del privato oppure alla sfera delle regolamentazioni locali variabili e che è – appunto – il settore della <<follia>>. In contrasto con una tesi sociologicamente trascinante, ma poco basata sul piano dell’analisi scientifica che vedeva nella regolamentazione della follia da parte dello Stato borghese una esclusione degli improduttivi, si deve piuttosto pensare a una inclusione di irregolari nel meccanismo di controllo sociale, sempre meno rozzo, dello stato razionalizzato in ascesa. Che tutto questo processo fosse poi basato su una precisa logica di classe appare non solo evidente, ma anzi coglibile nel suo essere necessitato: relativamente al campo al quale si riferisce questa relazione, ciò toglie alla descrizione weberiana quel carattere di neutralità che essa vorrebbe avere e di cui la critica marxista più attuale e puntuale (da Lukacs a De Giovanni) ha saputo – accogliendone il vantaggio descrittivo – svelare i limiti teorici e le insidie politiche.

Nel mentre l’evoluzione di una intera società e i suoi monumenti storici di rottura determinavano e stabilivano i valori di norma, lo Stato provvedeva alla gestione, alla regolamentazione ed al controllo di coloro che infrangevano certi aspetti – quelli più consuetudinari e ideologici – del complesso normativo. La vicinanza tra manicomio e carcere sembra evidente e il travaglio successivo all’era delle rivoluzioni borghesi condurrà al parallelismo che oggi conosciamo e che cerchiamo, con le nostre lotte, di infrangere. Ma certamente per il campo psichiatrico il processo diventa molto più complesso e tortuoso nel periodo che è a cavallo della rivoluzione francese e che porterà, nei primi quaranta anni dell’ottocento, a una forma nuova di razionalizzazione del sapere che è appunto la nascita della psichiatria, come parte della medicina. Il discorso della ideologia scientista di quel periodo ci porterebbe molto lontano, ma si può brevemente far cenno al fatto che il nascente positivismo, nel mentre determinerà l’affermazione del modello naturalistico-medico di interpretazione della malattia mentale, tuttavia non contribuirà a divaricare tra loro carcere e manicomio: quella tardiva, ma esemplare realizzazione giuridica di un tale assetto che è appunto la Legge italiana del 1904, fornirà una prova ulteriore di questa concomitanza della razionalizzazione e burocratizzazione della gestione sociale di irregolari e della razionalizzazione e ideologizzazione del sapere.

Questo tipo di analisi, insieme a tutti i dati di conoscenza e di denunzia che il movimento di lotta contro il manicomio ha prodotto, tende a confermarci che non si dava – e non si dà – possibilità alcuna che il manicomio potesse essere altro che quello che è stato ed è: vale a dire uno strumento statale necessario per conservare l’ordine sociale. In questo senso non vi era nessuna possibilità che ciò che è  nato per un suo specifico compito di repressione e di regolamentazione potesse associare in sè, anche in forma minimale, un altro compito – al primo del tutto opposto – che è la <<cura>>, con i suoi momenti emancipatori, riabilitativi, riattivanti. Ciò il manicomio non poteva darlo e non lo ha dato: in compenso esso ha dato tutti quegli orrori che la coscienza democratica oggi ben conosce e continuerà a darli, finchè esisteranno manicomi.

Può sembrare superfluo ripetere dopo quindici anni dallo inizio delle nostre lotte e dopo dieci anni esatti da quel momento di comprensione di massa dei momenti repressivi dello Stato moderno borghese che fu il 1968, può sembrare superfluo ripetere questa denunzia: ma i manicomi esistono ancora in tutta Italia. Ed è allora necessario ripetere che affrontare quella forma di disagio umano detta malattia mentale in una istituzione che ha l’opposto compito di segregare, rinchiudere e isolare dal sociale è completamente contraddittorio. Per la loro funzione carceraria i manicomi non possono che essere luoghi tetri ed opprimenti – quale che sia l’aspetto esteriore – in cui tecnici gerarchizzati, da un direttore onnipotente (per Legge) fino all’ultimo portantino, debbono custodire una massa di proletari e sottoproletari che proprio a causa di questa reclusione, di questa privazione dei diritti umani, di questa inattività, di questa separatezza, tendono sempre più a regredire, sempre più a chiudersi in relazioni puramente formali ed apparenti, sempre più a sviluppare una violenza che originariamente non avevano.

Cattiva amministrazione, incuria, maltrattamento materiale dei ricoverati, sporcizia, disinteresse, abbandono, sono diretti correlati in questo tipo di assetto istituzionale. Gli scandali che sempre più frequentemente scoprono la miseria sociale ed umana del manicomio sono la testimonianza più diretta di quanto si diceva. E qualora fossero ipotizzabili un manicomio modello, una buona amministrazione, vitto buono e pulizia, tuttavia l’elemento essenziale della reclusione, dell’artificializzazione della vita, della regolamentazione passiva dell’esistenza, della violenza rimarrebbe e continuamente si riproporrebbe. Il manicomio è causa di malattia e come tale deve essere abolito al più presto:qualunque momento politico, sociale, culturale, professionale che rallenti o intralci la chiusura dei manicomi dovrebbe essere considerato come un crimine contro l’umanità.

Si diceva che il manicomio è una delle strutture dello Stato moderno ed è evidente che l’abolizione del manicomio è possibile laddove esista una profonda trasformazione dello Stato. Nella opinione di chi vi parla ciò è possibile in due modi differenti.

Il controllo statale sulla devianza può infatti esercitarsi in modo diverso in quei paesi dove esiste una tendenza al decentramento di alcune funzioni amministrative e burocratiche in complementarietà con l’accentramento del decisionale amministrativo e politico. In effetti il momento della massima centralizzazione dello stato moderno borghese è stato superato nei paesi a capitalismo avanzato già dalla fine del secolo scorso. Rinviando alla relazione in extenso per una più dettagliata analisi dei rapporti tra decentramento burocratico-amministrativo e decentramento del controllo psichiatrico su territorio, qui vogliamo segnalare che questo modo (statunitense e svedese) di superare il manicomio significa controllo capillare sul territorio, significa spostamento del manicomio nei quartieri e nei piccoli centri: la sostanza rimarrà sempre una negazione dell’uomo a superare e comprendere il suo disagio ed a collegarlo a quello di tutti gli altri. Elettroschock, psicofarmaci, psicoterapie manipolanti possono essere praticati anche a domicilio o ambulatorialmente da équipes operanti sul territorio, ma, come si diceva, la sostanza non sarà cambiata e tutto il territorio diventerà un enorme manicomio.

L’altra via è quella che più limpidamente il movimento di lotta segue in Italia da quindici anni e che già crea in altri paesi dell’Europa occidentale i presupposti per l’allargamento internazionale di questa tematica. Questa via corrisponde anche essa a una trasformazione dello stato e si tratta qui di un processo storico che va svolgendosi sotto i nostri occhi e di cui tutti siamo protagonisti. Trasformare i manicomi significa infatti in Italia iniziare in essi una lotta liberatrice che sarà volta a ridare ai ricoverati la coscienza della loro condizione: questo è dare voce all’emarginazione, organizzare l’emarginazione. Ma ciò significa iniziare contemporaneamente sul territorio una lotta contro i fattori emarginanti, significa collegarsi a tutte le lotte per una trasformazione positiva dell’intera società.

Sul piano operativo l’intervento capillare di tipo preventivo e riabilitativo, il blocco dei ricoveri in manicomio, l’utilizzazione di spazi negli ospedali civili per brevi degenze e situazioni di emergenza, la sistemazione sociale e non istituzionale dei lungodegenti, etc. rappresentano specificazioni che debbono essere concretamente ed estesamente affrontate nella concretezza organizzativa e politica che l’urgenza del problema impone. Tuttavia comprendere il vero significato politico, sociale ed umano del manicomio e attivamente lottare per la sua abolizione è – oggi – la condizione iniziale perchè questo lavoro di trasformazione abbia qui nel sud il suo necessario avvio.