Home page 

Biblioteca on-line

 Chronology

IL SUICIDIO:
DALLA CURA ALL’EDUCAZIONE 
  di Giuseppe Leo
(poster presentato al XLII Congresso Nazionale della Società
Italiana di Psichiatria – Torino, 16-21 ottobre 2000)          
  In ricordo di Alessandra  
1.   PREMESSA  

 

             

 

                      

 

In una precedente pubblicazione dello stesso autore[1] si era cercato di delineare una sorta di "Nascita della clinica del suicidio", a partire dall'opera di Esquirol[2] fino alle opere mediche di riferimento fino alla metà del XIX.

In questo lavoro si è cercato di dare un panorama, inevitabilmente incompleto, degli sviluppi del dibattito scientifico sul tema nella seconda metà del XIX secolo, arrestando l'"excursus" storico alle opere antecedenti il fondamentale contributo di Durkheim, la cui analisi esula dal nostro compito.

Tre sono stati i filoni di ricerca:

A)    gli sviluppi del pensiero CLINICO sul suicidio, dopo Esquirol (punti 2 e 3);

B)    gli sviluppi del pensiero SOCIOLOGICO sul tema (punti 4 e 5);

C)   i contributi pionieristici sul suicidio in età evolutiva.

 

L'opera di Brierre de Boismont è da considerarsi come fondamentale "cerniera" e ponte di collegamento tra la clinica "alienistica" della prima metà del secolo e la clinica "positivistica e probabilistica" della seconda metà, tra teorie "individualistiche" e teorie "sociologiche".

 

 

2.   L'EREDITA' DI ESQUIROL.

 

L'opera di Esquirol costituì la prima affermazione "forte" di un'appartenenza del fenomeno suicidario per intero al dominio della medicina[3], mentre prima di allora o il suicidio era trattato nel contesto del discorso medico sulla malinconia (come in Pinel[4]) oppure si riconoscevano ambiti importanti in cui il suicidio esulava da una diretta competenza del medico[5], tranne che in sede medico-legale (si veda in Plenck[6]).

 

L  'orizzonte antropologico comune ai trattati settecenteschi, anche medici, era quello per cui l'uomo agisce in base a convinzioni "razionali", a sistemi "rappresentazionali" culturalmente trasmissibili[7].

Con Esquirol si producono due importanti cambiamenti:

1)   la "clinicizzazione" delle passioni, per cui è al loro livello che si situa la etiologia del suicidio, e non a livello del logos, delle "idee false". Il suicidio diventa delirio delle passioni.

2)   La creazione del concetto di monomania istintiva che, sebbene non riconduca sotto il suo dominio tutti i casi di suicidio, diventerà per autori successivi[8] l'unico modello esplicativo del fenomeno suicidario.

In realtà è l'analogia con le alienazioni mentali che, nonostante le precisazioni dell'autore[9], funziona da imprescindibile modello organizzatore del discorso medico, il quale è oramai conscio della propria autonoma autorità.  Stando alla "legge dei tre stadi" di Comte, il suicidio "che sottostava dapprima alla legge della religione e poi a quella della società civile, ora invece cade sotto la legge della medicina, è malattia"[10][11].

A partire dai concetti, di cui ai punti 1) e 2), si possono ricondurre due differenti sviluppi :

A)        quello dell'equivalenza tra suicidio, passione e delirio, come in Descuret[12] dove la passione non è, come in Esquirol, fatto naturale, concepito positivamente (Comte), bensì traviamento, colpevole eccesso,deplorabile aberrazione. Quindi il discorso medico, in questo caso profondamente impregnato delle istanze della Restaurazione,  finisce per  riappropriarsi della concezione del suicidio come delitto verso la società e verso Dio[13], senza però affrontare la spinosa questione della "imputabilità", anche postuma, del suicida.

 

B)        quello del suicidio come forma specifica di monomania che obbedisce, come in Brierre de Boismont[14], ad un'esigenza programmatica ben esplicitata: sottrarre il suicidio ad ogni condanna morale o penale per ricondurlo nel solco dei quadri di follia parziale, autentico polo strategico della contesa tra giudici e psichiatri[15].

Se, come vedremo, in Brierre de Boismont la sovrapposizione tra suicidio e malattia mentale (monomania) non è mai comunque totale[16], lo diventa in Laura[17], in Maudsley[18] ed in Briand & Chaudé[19] come indizio di un sempre più evidente "trionfo" della medicina in tale conflitto di saperi.

 

 

3. BRIERRE DE BOISMONT ED I PARADOSSI DELLA CLINICA DEL              

     SUICIDIO.

 

Dal punto di vista più propriamente psicopatologico,  in Brierre de Boismont di estrema perspicacia è l'elaborazione della questione di come, soprattutto nelle forme di suicidio non associate ad alienazione mentale, possano le passioni vincere l'istinto di autoconservazione. "Si producono in noi incessantemente degli atti, delle idee che la ragione si rifiuta di riferire all'anima, a questa creazione immortale di Dio. Si avverte istintivamente che essi sono sotto la dipendenza di una forza, di un ordine meno elevato che chiameremo "mens inferior", forza vitale, principio vitale, ma che evidentemente non è né la sola intelligenza né la sola materia[20]". Quanto questo principio "organico-vitale" sembra anticipare il principio causale inconscio freudiano!

Brierre de Boismont ha la coscienza precisa di battere nuovi sentieri di ricerca, unitamente all'umiltà di pensare ogni sapere come ipotetico.

"L'analisi dei loro ultimi sentimenti ci ha guidato in questo dedalo, spesso tanto oscuro, e permesso di riferire le cause ai tre gruppi seguenti: motivi veri, motivi esagerati, motivi falsi, ultima prova della difficoltà di staccare, persino nel momento della morte, la maschera sotto la quale si nascondono la menzogna e l'ipocrisia[21]". Non più autopsie, quindi, come supremo momento di trionfo della verità medica, ma consapevolezza che la paziente raccolta di queste esili tracce di senso non pone fine alle domande, bensì concede alla scienza il beneficio di sensate congetture.

L'autore tocca un punto nevralgico quando dice che "per scrivere la fisiologia del suicidio, si dovrebbe aver letto le biografie di tutti quelli che si sono uccisi, analizzato i loro discorsi e le loro azioni, attinto ad osservazioni e ricordi di una lunga esperienza, separato ciò che è ragionevole da ciò che è insensato  […]"[22].

L'aver reso il suicidio una malattia pone insormontabili ostacoli circa lo studio della sua storia naturale: ciò conduce a conferire un'ipertrofia di senso a quelle scarse testimonianze scritte, di cui siamo in possesso.

Non siamo di fronte al folle che "detta i temi del delirio e fissa le direttive dello sguardo medico[23]". Mentre "lo sguardo e la parola, entro le mura del manicomio nascente, compongono il profilo di una relazione impari ed asimmetrica tra il folle e l'alienista[24]", la parola del suicida non è mai ascoltata, ma tutt'al più verrà letta, il corpo non si offre allo sguardo del medico se non come cadavere da "notomizzare".

Se in generale "lo sguardo clinico ha questa paradossale proprietà di intendere un linguaggio nel momento in cui percepisce uno spettacolo[25]", nel caso del suicidio lo spettacolo si è già consumato, la teoria non può misurarsi al capezzale del malato, ma deve ricostruire, in modo improbabile, il fondo oscuro dei "penchants", delle passioni, al di là di ogni possibilità di oggettivazione empirica.

 

 

4.   BRIERRE DE BOISMONT: LA SOCIOLOGIA DEL SUICIDIO

PRIMA DI MORSELLI.

 

Per B. de Boismont, poiché "l'uomo non è un essere isolato sulla terra […]", "lo studio del suicidio tocca le grandi questioni sociali della nostra epoca, povertà, lavoro, salario, famiglia, proprietà, avvenire degli artigiani, della società forse […]"[26].

Con queste parole l'autore sembra oramai lasciarsi alle spalle il problema del suicidio come comportamento individuale, oggetto di valutazione morale, per approdare ad una sua concezione come fenomeno sociale, oggetto di indagine scientifica[27].

In realtà l'approccio sociologico al suicidio, come fa notare Jack D. Douglas[28],  non poteva che nascere in un secolo in cui fu così estesa l'attenzione che nella letteratura romantica e nell'opinione pubblica fu riservata al fenomeno. Gli europei, ed in particolare i francesi, erano letteralmente "terrorizzati dalla mania del suicidio[29], quasi quanto gli americani del XX secolo lo sono della delinquenza giovanile e della mafia. Ma  il riferimento letterario al suicidio fornì anche il nucleo di certe spiegazioni specificamente teoriche di grande importanza. Di fondamentale importanza fu il simbolo romantico di un eroe isolato e solitario […] che vaga lontano dalla società umana alla ricerca dell'impossibile, e, fallendo, diventa sempre più malinconico ed innammorato  di eternità. […] In realtà l'immagine romantica del suicidio sembra esser stata a tal punto il modello mitico che i sociologi del suicidio avevano in mente, che sia Morselli che Durkheim avevano una forte tendenza a trattare l'egoismo e l'anomia come pressocché identici"[30].

Anche i riferimenti all'opera di Chateaubriand, contenuti in Brierre de Boismont[31], sembrano costituire una fonte letteraria importante per l'idea di suicidio anomico di Durkheim[32].

Tuttavia già in Brierre de Boismont l'approccio sociologico, in cui gran parte ha la statistica come strumento conoscitivo, è sufficientemente maturo per relativizzare il peso di essa, mezzo onnipotente per i fatti materiali, ma che non ha più lo stesso valore per quelli morali. "Essa diviene allora un eccellente ausilio posto che l'interpretazione resti nei limiti convenienti"[33]. Solo il medico, capace attraverso lo studio della statistica morale di discriminare le varie cause e forme del suicidio, è in grado di "variare i rimedi secondo le specie", al contrario del filosofo e del fisiologo i quali, biasimandolo "dal punto di vista altissimo del cristianesimo, non riconoscono la necessità di stabilire delle categorie[34]".

 

 

5. MORSELLI: LA SOCIOLOGIA DEL SUICIDIO PRIMA DI DURKHEIM.

 

<<Il suicidio è un atto volontario (non libero) che muove da un processo logico, di cui certamente in molti casi ci restano ignote le premesse: è la manifestazione estrinseca di un fenomeno di coscienza che ci sfugge.[35]>>

Con questa premessa Morselli sembra liquidare ogni inclusione del suicidio nel campo delle malattie mentali. Proprio in quanto <<azioni umane volontarie>> e <<manifestazione di funzioni naturali insite nell'organo cerebrale>> i suicidi possono essere oggetto di una statistica dei fatti morali, con <<altrettanto diritto all'esistenza quanto la statistica dei fenomeni fisiologici, o di natura indubitabilmente organica (fatti fisici)[36]>>.

Nella pratica però l'impostazione sociologica non trova una coerente estrinsecazione né riguardo all'indagine sulle cause del suicidio, in cui sembra essere rilevante un'interpretazione filosofica[37], né tantomeno riguardo al capitolo della "terapia".

Nell'introduzione Morselli ritiene che ormai la forza dissuasiva della religione e delle leggi sia inadeguata, poiché <<dichiararono colpevole il suicida, ma non s'elevarono mai a considerare questa colpa sotto l'aspetto più generico di una tendenza dannosa sì, ma collegata allo svolgimento naturale della società[38] >>. La religione <<avendo sempre, e sotto tutte le sue forme, sviluppato il sentimento individualistico a detrimento di quello sociale>>, si oppone alla soluzione del problema che verrà raggiunta <<quando ciascuno porterà entro la propria coscienza il sentimento del dovere di sacrificare il proprio egoismo al benessere dell'umanità collettiva[39]>>.

Ma l'approccio sociologico non ha scalzato completamente il suicidio dai legami con le malattie mentali. Il medico da un approccio naturalistico all'individuo ed al suo corpo, finisce per dirigersi alla società come corpo sociale.

Vediamo i passaggi attraverso cui avviene ciò:

1.<<Tutte le variazioni individuali sono pure accidentalità, […] il suicidio non è un atto dipendente dalla spontaneità personale dell'uomo, bensì un fatto sociale, non meno e non disugualmente delle nascite e delle morti ordinarie, dei delitti e delle malattie mentali […][40].

 

2.<<Il suicidio è un effetto della lotta per l'esistenza e della selezione umana, che si operano secondo la legge d'evoluzione dei popoli civili>>. Riferendosi a Malthus, nei popoli civili il perdente, che inevitabilmente viene prodotto dalla legge di "elezione naturale", non "paga" con la insufficienza di nutrimento, ma con l'aumento del numero dei pazzi, dei suicidi e dei "miserabili"[41]. I mali della società civile ( miseria, le malattie, la prostituzione, la pazzia, il suicidio) non hanno alcunché di accidentale e di evitabile, ma <<rappresentano il risultato inelluttabile della lotta per l'esistenza>>, il prezzo da pagare da parte della società nel raggiungere <<quello stato di perfezionamento fisico e morale voluto inconsciamente dalla natura>>.

 

3. Quali le conseguenze in senso terapeutico e preventivo?

<<L'unica profilassi contro la pazzia ed il suicidio[42] starebbe nel diminuire la concorrenza vitale fra gli uomini […]>>. Se un vero e proprio freno alla moltiplicazione dei combattenti è impensabile, allora occorre accontentarsi di migliorare <<le condizioni della lotta per l'esistenza>> e <<tendere a neutralizzare la disuguaglianza posta dalla natura fra i vari combattenti>>.

Il modello di tali intenti è la profilassi della pazzia come concepita da Maudsley e da Tuke, riaffermando così questa identità di discorso tra suicidio e follia.

Rispetto alla sociologia del suicidio, ciò che manca ancora a Morselli ( che invece troveremo in Durkheim) è una teoria della società "che vada oltre l'atomismo antropologico-statistico. L'influenza di elementi sociali e culturali sulle <<funzioni cerebrali>> è vista meccanicisticamente[43], senza mediazioni nell'esistenza di un soggetto agente, un attore sociale, del quale d'altronde si presuppone implicitamente la funzione volontaria in una serie di atti"[44].

 

 

6. IL SUICIDIO IN ETA' EVOLUTIVA:  DALLA CURA ALLA    EDUCAZIONE.

 

Sia Esquirol che Brierre de Boismont avevano dato dei resoconti di suicidi in età evolutiva. Ma è Durand-Fardel a dedicarvi la prima opera specifica[45]. Secondo l'autore, su 25.560 suicidi registrati dal 1835 al 1844, 192 riguardavano soggetti con meno di 16 anni. I "motivi" sono apparentemente banali in rapporto a quelli alla base dei suicidi degli adulti, come ad es., la paura di una punizione. I suicidi dei bambini si segnalano, in questa opera, sempre per il loro carattere di "sangue freddo" e di "premeditazione". <<Il bambino non aveva provato alcuna apparente contrarietà: non si era notato, fino all'ultimo momento, alcun cambiamento nella sua maniera di essere. Ci si assicurò che egli non avesse abitudini viziose, precocità di temperamento. Le cause di questo suicidio restarono dunque un mistero assoluto [...].[46]

In queste storie vano è cercare dei moventi, la parola si nega ancor più all'ascolto post-mortem del medico. Tutto quello che questi può fare è sperare in un rinnovamento dell'educazione.

<<E' un errore comune di non vedere, nell'educazione della prima età, altro che un affare di disciplina e di memoria. […] Mentre non costa alcuno sforzo aiutare lo sviluppo del corpo e di una intelligenza nascente, si dimentica che un bambino è un essere sensibile, dotato di repulsione e di attaccamento, che […] gli affetti del bambino più piccolo non sono meno reali di quelle dell'uomo maturo[47].>>

L'apparente futilità dei motivi di suicidio è un concetto ormai superato: bisogna tener conto della specifica sensibilità del bambino. <<Si ride spesso dei pianti e degli attacchi di rabbia dei bambini, e, poiché non sanno trattenerli, si suppone che essi non sentano nulla di più di ciò che manifestano; senza fare attenzione che […] le emozioni che avvertono devono esercitare dei danni più profondi sulla loro fragile organizzazione.[…] Il grado di severità ed il modo di correggere, ai quali si dà tanto spazio nell'educazione, dipendono spesso più dal carattere e dalle propensioni particolari di colui che educa, piuttosto che dal grado di docilità o di comprensione del bambino. Ma quante volte ci si prende la pena per questa scelta di studiare le  facoltà affettive di quest'ultimo, lo sviluppo naturale o già acquisito della sensibilità, della fierezza, della timidezza, dello spirito di rivolta, di rancore, di scoraggiamento, di disperazione, ecc. ?[48]>>.

<<Abbiamo citato numerosi esempi di bambini suicidi per paura o per rimpianto di rimproveri o di correzioni. […] Cosa significa ciò? Che la paura, l'amor proprio, lo scoraggiamento, persino una irritazione passeggera possono avere gli stessi effetti nei bambini così come negli adulti; che la vita affettiva dei bambini si concentra quasi unicamente nei rapporti, sia d'affetto, sia d'autorità, che li uniscono ai genitori. Senza dubbio non si uccidono ancora per amore, per avidità, per ambizione… Ma si uccidono.[49] >>

L'anno seguente all'uscita del lavoro di Durand-Fardel, E. Lisle[50] pubblica un libro intitolato "Du suicide". Genesi del suicidio e della follia risultano accomunati. <<Si sono visti bambini tormentati dall'invidia, o corrotti ben presto da abitudini vergognose, cadere poco a poco in un marasma fisico e morale che li ha condotti quasi fatalmente al suicidio o alla follia>>.

Basandosi su statistiche di diversi paesi, Lisle afferma che <<la frequenza dei suicidi è in rapporto diretto con lo stato di istruzione>>. L'istruzione in Francia peraltro sarebbe diventata obbligatoria solo 25 anni dopo che questo libro apparve. Ma non è l'istruzione in se stessa, quanto la direzione che essa ha preso nella <<assenza totale […]  di qualsiasi educazione morale>>.  <<Molto raramente ci si preoccupa di formare il loro cuore man mano che si sviluppa il loro spirito […]. Non è forse questa la causa dell'oblio facile di tutti i doveri sociali, di questo rilassamento dei legami familiari, di questa demoralizzazione profonda di cui vediamo così spesso i tristi effetti! Da qui ancora […] la perdita di tutte le credenze, l'abbandono delle idee e delle pratiche religiose, questa risorsa suprema del povero, tra le fatiche di ogni giorno. Da qui ancora un odio sordo contro la società, un profondo disgusto per la vita, una disperazione incurabile che porta così spesso questi al suicidio, quello al crimine, quell'altro alla follia…>>.

Mentre per Durand-Fardel l'educazione assolve ad una funzione preventiva, soccorrendo la natura fragile dell'organizzazione psichica del bambino ed alleviando angosce e pene apparentemente futili, Lisle è ancora legato ad una concezione tradizionale di educazione che deve contenere <<la foga degli istinti nascosti>>, deve evitare <<i pericoli dell'esempio il cui contegno funesto sviluppa troppo spesso le più detestabili abitudini>>, deve dirigere le passioni.

 

 

 



[1]  G. Leo, "Sul delirio dell'amor proprio: prevenzione e trattamento del suicidio nella trattatistica medica tra '700 e '800", Atti del Conv. Intern. "Aggressività e disperazione nelle condotte suicidarie", Abano Terme 4-6 giugno 1998, Cortivo editore, Padova.

[2]  Esquirol, voce "Suicide", "Dictionnaire des Sciences Medicales", Paris, Panckoucke, 1821.

[3]  Si veda nella sopra citata voce "Suicide" la seguente frase:"Tuttavia, l'opinione che fa guardare al suicidio come all'effetto di una malattia o di un delirio acuto, sembra essere prevalente ai giorni nostri, persino contro il testo delle leggi e gli anatemi del cristianesimo".

[4]  Pinel,"Observations sur une espece pariculiere de melancolie qui conduit au suicide", in "La medecine eclairee par les sciences physiques",Paris,1791,vol.I.

[5]  Si veda Cullen, in "Synopsis Nosologiae Methodicae", Taurini,1812, dove a proposito della "Melancholia Anglica cum taedio vitae" così sentenzia:"Apud Anglos fortassis taedium vitae non semper a morbo pendet".

[6] J.J. Plenck,"Elementi di medicina e chirurgia forense",Napoli,1784. In particolare "coloro, che di propria mano si uccidono, soglion essere persone

1.      deliranti […]

2.      malinconiche […]

3.      disperate per commesso delitto, o per evitare il supplicio, o perché più non isperano miglior sorte

4.      disappensate. Questi talvolta per caso fortuito si danno la morte senza volerla"

[7]  Si veda, nella vasta bibliografia: A. Buonafede,"Istoria critica e filosofica del suicidio ragionato", Venezia,1788; Montesquieu,"Lettres persanes","Lettre LXXVI",Paris,Garnier,1960; Hume, "Essays",Bari,Laterza,1928; Diderot,voce "Suicide" dell'"Encyclopedie",Livorno,1775; Rousseau,"La nouvelle Eloise", "Lettre XXI"; Ch.H. Spiess,"Biographies de suicides",Lausanne,Pott,1798; I. Kant,"Metaph. D. Sitten",parte I, l.1,par.6.

[8]  Bourdin,"Le suicide consideré comme maladie", Batignolles,Hennuyer et Turpin,1845;  Ferrarese,"Della monomania suicida",Napoli,Tip.dell'Omnibus,1835.

[9]  "E' questa analogia, senza pretendere che essa sia costante, che spero di provare", in Esquirol, voce "suicide", citata sopra.

[10] Dorner, "Il borghese ed il folle", Laterza, 1975.

 

[12] Descuret,"La medicina delle passioni",Milano,1856 (trad. ital. Di Zappert).

[13]  Si veda l'opera di teologi e moralisti della seconda metà del XIX secolo, come Curci,"Il suicidio studiato in sé e nelle sue cagioni",Firenze,Manuelli,1876.

[14]  Brierre de Boismont,"Du suicide et de la folie suicide", Paris, Baillière,1856.

[15] Galzigna,"La malattia mortale", Venezia,Marsilio,1988.

[16] Brierre de Boismont, in op. cit.:"Per molto tempo, si è fatto del suicida un criminale […]; ai giorni nostri, è un insensato che bisogna affidare alle cure del medico. La verità non è né nell'una più che nell'altra di queste ipotesi ".

[17] Laura,"Trattato di Medicina Legale",Torino,1874. Si veda in una nota in cui l'A. precisa:"[…]oggi ancora per noi il suicida è sempre, o pressocché sempre, un alienato di mente.".

[18]  H. Maudsley,"Delitto e follia", trad.ital.di A.Raffaele,Napoli,Morano,1896.

[19]  G. Briand & E. Chaudé,"Manuale completo di Medicina Legale", trad.ital.di C.Gallozzi,Napoli,Batelli,1853.

[20]  Brierre de Boismont, op. cit.

[21]  Brierre de Boismont, op. cit.

[22]  Brierre de Boismont, op. cit.

[23] Cit. da Galzigna, op. cit.

[24]  Galzigna, op. cit.

[25]  Foucault, "Nascita della clinica", trad. it. A. Fontana, Einaudi,Torino,1969.

[26]  Brierre de Boismont, op. cit.

[27] "I primi organici tentativi di rilevare andamenti e tendenze costanti e regolari nei dati statistici sul suicidio sono compiuti da Adolphe Quételet ("Sur l'homme et le developpement de ses facultés ou Essai de statistique sociale", Bruxelles,1835). Cit. dalla voce "Suicidio" del "Lessico Universale Italiano", Treccani, 1979.

[28]  J.D. Douglas,  voce "Suicide", in "International Encyclopedia of the Social Sciences".

[29]  Si veda l'opera di J. Tissot, "De la manie du suicide et de l'esprit de revolte: De leurs causes et de leurs remedes", Paris,Lagrange,1840.

[30]  J.D. Douglas, op. cit.

[31]  Brierre de Boismont, op. cit.

[32]  E. Durkheim, "Sociologia del suicidio",Newton Compton,Roma,1974.

[33]  Brierre de Boismont, op. cit.

[34] Brierre de Boismont, op. cit.

[35] Enrico Morselli, "Il suicidio, saggio di statistica morale comparata", Milano, Dumolard, 1879.

[36] E. Morselli, op. cit.

[37] <<il gran numero di suicidi del nostro tempo deve attribuirsi alla transizione in cui si trova lo spirito umano tra il periodo metafisico ed il positivista dell'incivilimento […]>>

[38] E. Morselli, op. cit.

[39] E. Morselli, op. cit.

[40] Primo accostamento tra suicidio, crimine e follia (N.d.A.)

[41] Altro accostamento come sopra (N.d.A.)

[42] Ulteriore accostamento (N.d.A.)

[43] Si vedano le seguenti affermazioni del Morselli, in op. cit.:"La base in cui si incardinano i principii della demografia etica, è quella medesima che serve per ogni scienza positiva: ogni fenomeno è la conseguenza di fenomeni anteriori>>; <<[…] tutte le azioni umane volontarie sono la manifestazione di funzioni naturali insite nell'organismo cerebrale>>; <<La psicologia sperimentale studia il pensiero individuale, i suoi processi, le sue evoluzioni;- la sociologia o statistica morale determina invece i fenomeni e gli svolgimenti del pensiero complessivo, di modo che potrebbe anche chiamarsi psicologia dell'umanità collettiva.La prima trova il termine medio dei fatti individuali di coscienza, la seconda invece quello dei fatti sociali della stessa natura.  La statistica morale ci dà insomma la sintesi di tutte le psicogenie dei singoli soggetti, appunto come i grandi avvenimenti sociali sono l'effetto sintetico e complessivo, la risultante media, di tutti i processi parziali sviluppatisi dal lavoro cerebrale degli individui facenti parte di una data società>>

 

[44]  O. Lentini, introduzione in "La sociologia italiana nell'età del positivismo", Il Mulino,Bologna,1981.

[45] M. Durand-Fardel,  in Ann. Méd. Psych., 1855,  cit. in D.-J. Duché "Histoire de la Psychiatrie de l'Enfant, PUF, Paris, 1990.

[46] M. Durand-Fardel, op. cit.

[47] M. Durand-Fardel, op. cit.

[48] M. Durand-Fardel, op. cit.

[49] M. Durand-Fardel, op.cit.

[50]  E. Lisle,"Du suicide", 1856.