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IL SUICIDIO: |
DALLA
CURA ALL’EDUCAZIONE |
di Giuseppe Leo |
(poster presentato al XLII Congresso Nazionale della Società |
Italiana di Psichiatria
– Torino, 16-21 ottobre 2000) |
In ricordo di Alessandra |
1.
PREMESSA |
In
una precedente pubblicazione dello stesso autore[1]
si era cercato di delineare una sorta di "Nascita della clinica del
suicidio", a partire dall'opera di Esquirol[2]
fino alle opere mediche di riferimento fino alla metà del XIX.
In
questo lavoro si è cercato di dare un panorama, inevitabilmente incompleto,
degli sviluppi del dibattito scientifico sul tema nella seconda metà del XIX
secolo, arrestando l'"excursus" storico alle opere antecedenti il
fondamentale contributo di Durkheim, la cui analisi esula dal nostro compito.
Tre
sono stati i filoni di ricerca:
A)
gli
sviluppi del pensiero CLINICO sul suicidio, dopo Esquirol (punti 2 e 3);
B)
gli
sviluppi del pensiero SOCIOLOGICO sul tema (punti 4 e 5);
C)
i
contributi pionieristici sul suicidio in età evolutiva.
L'opera
di Brierre de Boismont è da considerarsi come fondamentale
"cerniera" e ponte di collegamento tra la clinica "alienistica"
della prima metà del secolo e la clinica "positivistica e
probabilistica" della seconda metà, tra teorie
"individualistiche" e teorie "sociologiche".
2.
L'EREDITA'
DI ESQUIROL.
L'opera
di Esquirol costituì la prima affermazione "forte" di
un'appartenenza del fenomeno suicidario per intero al dominio della medicina[3],
mentre prima di allora o il suicidio era trattato nel contesto del discorso
medico sulla malinconia (come in Pinel[4])
oppure si riconoscevano ambiti importanti in cui il suicidio esulava da una
diretta competenza del medico[5],
tranne che in sede medico-legale (si veda in Plenck[6]).
L
'orizzonte antropologico comune ai trattati settecenteschi, anche
medici, era quello per cui l'uomo agisce in base a convinzioni
"razionali", a sistemi "rappresentazionali" culturalmente
trasmissibili[7].
Con
Esquirol si producono due importanti cambiamenti:
1)
la
"clinicizzazione" delle passioni, per cui è al loro livello che si
situa la etiologia del suicidio, e non a livello del logos,
delle "idee false". Il suicidio diventa delirio delle passioni.
2)
La
creazione del concetto di monomania istintiva che, sebbene non riconduca sotto
il suo dominio tutti i casi di suicidio, diventerà per autori successivi[8]
l'unico modello esplicativo del fenomeno suicidario.
In
realtà è l'analogia con le alienazioni mentali che, nonostante le
precisazioni dell'autore[9],
funziona da imprescindibile modello organizzatore del discorso medico, il
quale è oramai conscio della propria autonoma autorità.
Stando alla "legge dei tre stadi" di Comte, il suicidio
"che sottostava dapprima alla legge della religione e poi a quella della
società civile, ora invece cade sotto la legge della medicina, è
malattia"[10][11].
A
partire dai concetti, di cui ai punti 1) e 2), si possono ricondurre due
differenti sviluppi :
A)
quello
dell'equivalenza tra suicidio, passione e delirio, come in Descuret[12]
dove la passione non è, come in Esquirol, fatto naturale, concepito
positivamente (Comte), bensì traviamento, colpevole eccesso,deplorabile
aberrazione. Quindi il discorso medico, in questo caso profondamente
impregnato delle istanze della Restaurazione,
finisce per riappropriarsi
della concezione del suicidio come delitto verso la società e verso Dio[13],
senza però affrontare la spinosa questione della "imputabilità",
anche postuma, del suicida.
B)
quello
del suicidio come forma specifica di monomania che obbedisce, come in Brierre
de Boismont[14],
ad un'esigenza programmatica ben esplicitata: sottrarre il suicidio ad ogni
condanna morale o penale per ricondurlo nel solco dei quadri di follia
parziale, autentico polo strategico della contesa tra giudici e psichiatri[15].
Se,
come vedremo, in Brierre de Boismont la sovrapposizione tra suicidio e
malattia mentale (monomania) non è mai comunque totale[16],
lo diventa in Laura[17],
in Maudsley[18]
ed in Briand & Chaudé[19]
come indizio di un sempre più evidente "trionfo" della medicina in
tale conflitto di saperi.
3.
BRIERRE
DE BOISMONT ED I PARADOSSI DELLA CLINICA DEL
SUICIDIO.
Dal
punto di vista più propriamente psicopatologico,
in Brierre de Boismont di estrema perspicacia è l'elaborazione della
questione di come, soprattutto nelle forme di suicidio non associate ad
alienazione mentale, possano le passioni vincere l'istinto di
autoconservazione. "Si producono
in noi incessantemente degli atti, delle idee che la ragione si rifiuta di
riferire all'anima, a questa creazione immortale di Dio. Si avverte
istintivamente che essi sono sotto la dipendenza di una forza, di un ordine
meno elevato che chiameremo "mens inferior", forza vitale, principio
vitale, ma che evidentemente non è né la sola intelligenza né la sola
materia[20]".
Quanto questo principio "organico-vitale" sembra anticipare il
principio causale inconscio freudiano!
Brierre
de Boismont ha la coscienza precisa di battere nuovi sentieri di ricerca,
unitamente all'umiltà di pensare ogni sapere come ipotetico.
"L'analisi
dei loro ultimi sentimenti ci ha guidato in questo dedalo, spesso tanto
oscuro, e permesso di riferire le cause ai tre gruppi seguenti: motivi veri,
motivi esagerati, motivi falsi, ultima prova della difficoltà di staccare,
persino nel momento della morte, la maschera sotto la quale si nascondono la
menzogna e l'ipocrisia[21]".
Non più autopsie, quindi, come supremo momento di trionfo della verità
medica, ma consapevolezza che la paziente raccolta di queste esili tracce di
senso non pone fine alle domande, bensì concede alla scienza il beneficio di
sensate congetture.
L'autore
tocca un punto nevralgico quando dice che "per scrivere la fisiologia
del suicidio, si dovrebbe aver letto le biografie di tutti quelli che si sono
uccisi, analizzato i loro discorsi e le loro azioni, attinto ad osservazioni e
ricordi di una lunga esperienza, separato ciò che è ragionevole da ciò che
è insensato […]"[22].
L'aver
reso il suicidio una malattia pone insormontabili ostacoli circa lo studio
della sua storia naturale: ciò conduce a conferire un'ipertrofia di senso a
quelle scarse testimonianze scritte, di cui siamo in possesso.
Non
siamo di fronte al folle che "detta i temi del delirio e fissa le
direttive dello sguardo medico[23]".
Mentre "lo sguardo e la parola, entro le mura del manicomio nascente,
compongono il profilo di una relazione impari ed asimmetrica tra il folle e
l'alienista[24]",
la parola del suicida non è mai ascoltata, ma tutt'al più verrà letta, il
corpo non si offre allo sguardo del medico se non come cadavere da "notomizzare".
Se
in generale "lo sguardo clinico ha questa paradossale proprietà di
intendere un linguaggio nel momento in cui percepisce uno spettacolo[25]",
nel caso del suicidio lo spettacolo si è già consumato, la teoria non può
misurarsi al capezzale del malato, ma deve ricostruire, in modo improbabile,
il fondo oscuro dei "penchants",
delle passioni, al di là di ogni possibilità di oggettivazione empirica.
4.
BRIERRE
DE BOISMONT: LA SOCIOLOGIA DEL SUICIDIO
PRIMA
DI MORSELLI.
Per
B. de Boismont, poiché "l'uomo non è un essere isolato sulla terra
[…]", "lo studio del suicidio tocca le grandi questioni sociali
della nostra epoca, povertà, lavoro, salario, famiglia, proprietà, avvenire
degli artigiani, della società forse […]"[26].
Con
queste parole l'autore sembra oramai lasciarsi alle spalle il problema del
suicidio come comportamento individuale, oggetto di valutazione morale, per
approdare ad una sua concezione come fenomeno sociale, oggetto di indagine
scientifica[27].
In
realtà l'approccio sociologico al suicidio, come fa notare Jack D. Douglas[28],
non poteva che nascere in un secolo in cui fu così estesa l'attenzione
che nella letteratura romantica e nell'opinione pubblica fu riservata al
fenomeno. Gli europei, ed in particolare i francesi, erano letteralmente
"terrorizzati dalla mania del
suicidio[29],
quasi quanto gli americani del XX secolo lo sono della delinquenza giovanile e
della mafia. Ma il
riferimento letterario al suicidio fornì anche il nucleo di certe spiegazioni
specificamente teoriche di grande importanza. Di fondamentale importanza fu il
simbolo romantico di un eroe isolato e solitario […] che vaga lontano dalla
società umana alla ricerca dell'impossibile, e, fallendo, diventa sempre più
malinconico ed innammorato di
eternità. […] In realtà l'immagine romantica del suicidio sembra esser
stata a tal punto il modello mitico che i sociologi del suicidio avevano in
mente, che sia Morselli che Durkheim avevano una forte tendenza a trattare
l'egoismo e l'anomia come pressocché identici"[30].
Anche
i riferimenti all'opera di Chateaubriand, contenuti in Brierre de Boismont[31],
sembrano costituire una fonte letteraria importante per l'idea di suicidio
anomico di Durkheim[32].
Tuttavia
già in Brierre de Boismont l'approccio sociologico, in cui gran parte ha la
statistica come strumento conoscitivo, è sufficientemente maturo per
relativizzare il peso di essa, mezzo onnipotente per i fatti materiali, ma che
non ha più lo stesso valore per quelli morali. "Essa
diviene allora un eccellente ausilio posto che l'interpretazione resti nei
limiti convenienti"[33].
Solo il medico, capace attraverso lo studio della statistica morale di
discriminare le varie cause e forme del suicidio, è in grado di "variare
i rimedi secondo le specie", al contrario del filosofo e del fisiologo i
quali, biasimandolo "dal punto di vista altissimo del cristianesimo, non
riconoscono la necessità di stabilire delle categorie[34]".
5.
MORSELLI:
LA SOCIOLOGIA DEL SUICIDIO PRIMA DI DURKHEIM.
<<Il
suicidio è un atto volontario (non libero) che muove
da un processo logico, di cui
certamente in molti casi ci restano ignote le premesse: è la manifestazione
estrinseca di un fenomeno di coscienza che ci sfugge.[35]>>
Con
questa premessa Morselli sembra liquidare ogni inclusione del suicidio nel
campo delle malattie mentali. Proprio in quanto <<azioni umane
volontarie>> e <<manifestazione di funzioni naturali insite
nell'organo cerebrale>> i suicidi possono essere oggetto di una
statistica dei fatti morali, con <<altrettanto diritto all'esistenza
quanto la statistica dei fenomeni fisiologici, o di natura indubitabilmente
organica (fatti fisici)[36]>>.
Nella
pratica però l'impostazione sociologica non trova una coerente
estrinsecazione né riguardo all'indagine sulle cause del suicidio, in cui
sembra essere rilevante un'interpretazione filosofica[37],
né tantomeno riguardo al capitolo della "terapia".
Nell'introduzione
Morselli ritiene che ormai la forza dissuasiva della religione e delle leggi
sia inadeguata, poiché <<dichiararono colpevole il suicida, ma non
s'elevarono mai a considerare questa colpa
sotto l'aspetto più generico di una tendenza dannosa sì, ma collegata allo svolgimento
naturale della società[38]
>>. La religione <<avendo sempre, e sotto tutte le sue forme,
sviluppato il sentimento individualistico a detrimento di quello sociale>>,
si oppone alla soluzione del problema che verrà raggiunta <<quando
ciascuno porterà entro la propria coscienza il sentimento del dovere di
sacrificare il proprio egoismo al benessere dell'umanità collettiva[39]>>.
Ma
l'approccio sociologico non ha scalzato completamente il suicidio dai legami
con le malattie mentali. Il medico da un approccio naturalistico all'individuo
ed al suo corpo, finisce per dirigersi alla società come corpo
sociale.
Vediamo
i passaggi attraverso cui avviene ciò:
1.<<Tutte
le variazioni individuali sono pure accidentalità, […] il suicidio non è
un atto dipendente dalla spontaneità personale dell'uomo, bensì un fatto
sociale, non meno e non disugualmente delle nascite e delle morti ordinarie,
dei delitti e delle malattie mentali […][40].
2.<<Il
suicidio è un effetto della lotta per l'esistenza e della selezione umana,
che si operano secondo la legge d'evoluzione dei popoli civili>>.
Riferendosi a Malthus, nei popoli civili il perdente, che inevitabilmente
viene prodotto dalla legge di "elezione naturale", non
"paga" con la insufficienza di nutrimento, ma con l'aumento del
numero dei pazzi, dei suicidi e dei "miserabili"[41].
I mali della società civile ( miseria, le malattie, la prostituzione, la
pazzia, il suicidio) non hanno alcunché di accidentale e di evitabile, ma
<<rappresentano il risultato inelluttabile della lotta per l'esistenza>>,
il prezzo da pagare da parte della società nel raggiungere <<quello
stato di perfezionamento fisico e morale voluto inconsciamente dalla
natura>>.
3.
Quali le conseguenze in senso terapeutico e preventivo?
<<L'unica
profilassi contro la pazzia ed il suicidio[42]
starebbe nel diminuire la concorrenza vitale fra gli uomini […]>>. Se
un vero e proprio freno alla moltiplicazione dei combattenti è impensabile,
allora occorre accontentarsi di migliorare <<le condizioni della lotta
per l'esistenza>> e <<tendere a neutralizzare la disuguaglianza
posta dalla natura fra i vari combattenti>>.
Il
modello di tali intenti è la profilassi della pazzia come concepita da
Maudsley e da Tuke, riaffermando così questa identità di discorso tra
suicidio e follia.
Rispetto
alla sociologia del suicidio, ciò che manca ancora a Morselli ( che invece
troveremo in Durkheim) è una teoria della società "che vada oltre l'atomismo
antropologico-statistico. L'influenza di elementi sociali e culturali sulle
<<funzioni cerebrali>> è vista meccanicisticamente[43],
senza mediazioni nell'esistenza di un soggetto agente, un attore sociale, del
quale d'altronde si presuppone implicitamente la funzione volontaria in una
serie di atti"[44].
6.
IL
SUICIDIO IN ETA' EVOLUTIVA: DALLA
CURA ALLA EDUCAZIONE.
Sia
Esquirol che Brierre de Boismont avevano dato dei resoconti di suicidi in età
evolutiva. Ma è Durand-Fardel a dedicarvi la prima opera specifica[45].
Secondo l'autore, su 25.560 suicidi registrati dal 1835 al 1844, 192
riguardavano soggetti con meno di 16 anni. I "motivi" sono
apparentemente banali in rapporto a quelli alla base dei suicidi degli adulti,
come ad es., la paura di una punizione. I suicidi dei bambini si segnalano, in
questa opera, sempre per il loro carattere di "sangue freddo" e di
"premeditazione". <<Il bambino non aveva provato alcuna
apparente contrarietà: non si era notato, fino all'ultimo momento, alcun
cambiamento nella sua maniera di essere. Ci si assicurò che egli non avesse
abitudini viziose, precocità di temperamento. Le cause di questo suicidio
restarono dunque un mistero assoluto [...].[46]
In
queste storie vano è cercare dei moventi, la parola si nega ancor più
all'ascolto post-mortem del medico.
Tutto quello che questi può fare è sperare in un rinnovamento
dell'educazione.
<<E'
un errore comune di non vedere, nell'educazione della prima età, altro che un
affare di disciplina e di memoria. […] Mentre non costa alcuno sforzo
aiutare lo sviluppo del corpo e di una intelligenza nascente, si dimentica che
un bambino è un essere sensibile, dotato di repulsione e di attaccamento, che
[…] gli affetti del bambino più piccolo non sono meno reali di quelle
dell'uomo maturo[47].>>
L'apparente
futilità dei motivi di suicidio è un concetto ormai superato: bisogna tener
conto della specifica sensibilità del bambino. <<Si ride spesso dei
pianti e degli attacchi di rabbia dei bambini, e, poiché non sanno
trattenerli, si suppone che essi non sentano nulla di più di ciò che
manifestano; senza fare attenzione che […] le emozioni che avvertono devono
esercitare dei danni più profondi sulla loro fragile organizzazione.[…] Il
grado di severità ed il modo di correggere, ai quali si dà tanto spazio
nell'educazione, dipendono spesso più dal carattere e dalle propensioni
particolari di colui che educa, piuttosto che dal grado di docilità o di
comprensione del bambino. Ma quante
volte ci si prende la pena per questa scelta di studiare le
facoltà affettive di quest'ultimo, lo sviluppo naturale o già
acquisito della sensibilità, della fierezza, della timidezza, dello
spirito di rivolta, di rancore, di scoraggiamento, di disperazione, ecc. ?[48]>>.
<<Abbiamo
citato numerosi esempi di bambini suicidi per paura o per rimpianto di
rimproveri o di correzioni. […] Cosa significa ciò? Che la paura, l'amor
proprio, lo scoraggiamento, persino una irritazione passeggera possono avere
gli stessi effetti nei bambini così come negli adulti; che la vita affettiva
dei bambini si concentra quasi unicamente nei rapporti, sia d'affetto, sia
d'autorità, che li uniscono ai genitori. Senza
dubbio non si uccidono ancora per amore, per avidità, per ambizione… Ma si
uccidono.[49]
>>
L'anno
seguente all'uscita del lavoro di Durand-Fardel, E. Lisle[50]
pubblica un libro intitolato "Du
suicide". Genesi del suicidio e della follia risultano accomunati.
<<Si sono visti bambini tormentati dall'invidia, o corrotti ben presto
da abitudini vergognose, cadere poco a poco in un marasma fisico e morale che
li ha condotti quasi fatalmente al suicidio o alla follia>>.
Basandosi
su statistiche di diversi paesi, Lisle afferma che <<la frequenza dei
suicidi è in rapporto diretto con lo stato di istruzione>>.
L'istruzione in Francia peraltro sarebbe diventata obbligatoria solo 25 anni
dopo che questo libro apparve. Ma non è l'istruzione in se stessa, quanto la
direzione che essa ha preso nella <<assenza totale […]
di qualsiasi educazione morale>>.
<<Molto raramente ci si preoccupa di formare il loro cuore man
mano che si sviluppa il loro spirito […]. Non è forse questa la causa
dell'oblio facile di tutti i doveri sociali, di questo rilassamento dei legami
familiari, di questa demoralizzazione profonda di cui vediamo così spesso i
tristi effetti! Da qui ancora […] la perdita di tutte le credenze,
l'abbandono delle idee e delle pratiche religiose, questa risorsa suprema del
povero, tra le fatiche di ogni giorno. Da qui ancora un odio sordo contro la
società, un profondo disgusto per la vita, una disperazione incurabile che
porta così spesso questi al suicidio, quello al crimine, quell'altro alla
follia…>>.
Mentre
per Durand-Fardel l'educazione assolve ad una funzione preventiva, soccorrendo
la natura fragile dell'organizzazione psichica del bambino ed alleviando
angosce e pene apparentemente futili, Lisle è ancora legato ad una concezione
tradizionale di educazione che deve contenere <<la foga degli istinti
nascosti>>, deve evitare <<i pericoli dell'esempio il cui contegno
funesto sviluppa troppo spesso le più detestabili abitudini>>, deve
dirigere le passioni.
[1] G. Leo, "Sul delirio dell'amor proprio: prevenzione e trattamento del suicidio nella trattatistica medica tra '700 e '800", Atti del Conv. Intern. "Aggressività e disperazione nelle condotte suicidarie", Abano Terme 4-6 giugno 1998, Cortivo editore, Padova.
[2]
Esquirol, voce "Suicide", "Dictionnaire des Sciences
Medicales", Paris, Panckoucke, 1821.
[3]
Si veda nella sopra citata voce "Suicide" la seguente
frase:"Tuttavia, l'opinione che
fa guardare al suicidio come all'effetto di una malattia o di un delirio
acuto, sembra essere prevalente ai giorni nostri, persino contro il testo
delle leggi e gli anatemi del cristianesimo".
[4]
Pinel,"Observations sur une espece pariculiere de melancolie qui
conduit au suicide", in "La medecine eclairee par les sciences
physiques",Paris,1791,vol.I.
[5] Si veda Cullen, in "Synopsis Nosologiae Methodicae", Taurini,1812, dove a proposito della "Melancholia Anglica cum taedio vitae" così sentenzia:"Apud Anglos fortassis taedium vitae non semper a morbo pendet".
[6]
J.J. Plenck,"Elementi di medicina e chirurgia
forense",Napoli,1784. In particolare "coloro,
che di propria mano si uccidono, soglion essere persone
1.
deliranti […]
2.
malinconiche […]
3.
disperate per commesso delitto, o per evitare il supplicio, o perché
più non isperano miglior sorte
4.
disappensate. Questi talvolta per caso fortuito si danno la morte
senza volerla"
[7] Si veda, nella vasta bibliografia: A. Buonafede,"Istoria critica e filosofica del suicidio ragionato", Venezia,1788; Montesquieu,"Lettres persanes","Lettre LXXVI",Paris,Garnier,1960; Hume, "Essays",Bari,Laterza,1928; Diderot,voce "Suicide" dell'"Encyclopedie",Livorno,1775; Rousseau,"La nouvelle Eloise", "Lettre XXI"; Ch.H. Spiess,"Biographies de suicides",Lausanne,Pott,1798; I. Kant,"Metaph. D. Sitten",parte I, l.1,par.6.
[8] Bourdin,"Le suicide consideré comme maladie", Batignolles,Hennuyer et Turpin,1845; Ferrarese,"Della monomania suicida",Napoli,Tip.dell'Omnibus,1835.
[9] "E' questa analogia, senza pretendere che essa sia costante, che spero di provare", in Esquirol, voce "suicide", citata sopra.
[10] Dorner, "Il borghese ed il folle", Laterza, 1975.
[12] Descuret,"La medicina delle passioni",Milano,1856 (trad. ital. Di Zappert).
[13] Si veda l'opera di teologi e moralisti della seconda metà del XIX secolo, come Curci,"Il suicidio studiato in sé e nelle sue cagioni",Firenze,Manuelli,1876.
[14]
Brierre de Boismont,"Du suicide et de la folie suicide",
Paris, Baillière,1856.
[15] Galzigna,"La malattia mortale", Venezia,Marsilio,1988.
[16] Brierre de Boismont, in op. cit.:"Per molto tempo, si è fatto del suicida un criminale […]; ai giorni nostri, è un insensato che bisogna affidare alle cure del medico. La verità non è né nell'una più che nell'altra di queste ipotesi ".
[17] Laura,"Trattato di Medicina Legale",Torino,1874. Si veda in una nota in cui l'A. precisa:"[…]oggi ancora per noi il suicida è sempre, o pressocché sempre, un alienato di mente.".
[18] H. Maudsley,"Delitto e follia", trad.ital.di A.Raffaele,Napoli,Morano,1896.
[19] G. Briand & E. Chaudé,"Manuale completo di Medicina Legale", trad.ital.di C.Gallozzi,Napoli,Batelli,1853.
[20]
Brierre de Boismont, op. cit.
[21]
Brierre de Boismont, op. cit.
[22]
Brierre de Boismont, op. cit.
[23] Cit. da Galzigna, op. cit.
[24] Galzigna, op. cit.
[25] Foucault, "Nascita della clinica", trad. it. A. Fontana, Einaudi,Torino,1969.
[26]
Brierre de Boismont, op. cit.
[27] "I primi organici tentativi di rilevare andamenti e tendenze costanti e regolari nei dati statistici sul suicidio sono compiuti da Adolphe Quételet ("Sur l'homme et le developpement de ses facultés ou Essai de statistique sociale", Bruxelles,1835). Cit. dalla voce "Suicidio" del "Lessico Universale Italiano", Treccani, 1979.
[28]
J.D. Douglas, voce
"Suicide", in "International Encyclopedia of the Social
Sciences".
[29]
Si veda l'opera di J. Tissot, "De la manie du suicide et de
l'esprit de revolte: De leurs causes et de leurs remedes", Paris,Lagrange,1840.
[30]
J.D. Douglas, op. cit.
[31]
Brierre de Boismont, op. cit.
[32] E. Durkheim, "Sociologia del suicidio",Newton Compton,Roma,1974.
[33]
Brierre de Boismont, op. cit.
[34]
Brierre de Boismont, op. cit.
[35] Enrico Morselli, "Il suicidio, saggio di statistica morale comparata", Milano, Dumolard, 1879.
[36] E. Morselli, op. cit.
[37] <<il gran numero di suicidi del nostro tempo deve attribuirsi alla transizione in cui si trova lo spirito umano tra il periodo metafisico ed il positivista dell'incivilimento […]>>
[38] E. Morselli, op. cit.
[39] E. Morselli, op. cit.
[40] Primo accostamento tra suicidio, crimine e follia (N.d.A.)
[41] Altro accostamento come sopra (N.d.A.)
[42] Ulteriore accostamento (N.d.A.)
[43] Si vedano le seguenti affermazioni del Morselli, in op. cit.:"La base in cui si incardinano i principii della demografia etica, è quella medesima che serve per ogni scienza positiva: ogni fenomeno è la conseguenza di fenomeni anteriori>>; <<[…] tutte le azioni umane volontarie sono la manifestazione di funzioni naturali insite nell'organismo cerebrale>>; <<La psicologia sperimentale studia il pensiero individuale, i suoi processi, le sue evoluzioni;- la sociologia o statistica morale determina invece i fenomeni e gli svolgimenti del pensiero complessivo, di modo che potrebbe anche chiamarsi psicologia dell'umanità collettiva.La prima trova il termine medio dei fatti individuali di coscienza, la seconda invece quello dei fatti sociali della stessa natura. La statistica morale ci dà insomma la sintesi di tutte le psicogenie dei singoli soggetti, appunto come i grandi avvenimenti sociali sono l'effetto sintetico e complessivo, la risultante media, di tutti i processi parziali sviluppatisi dal lavoro cerebrale degli individui facenti parte di una data società>>
[44] O. Lentini, introduzione in "La sociologia italiana nell'età del positivismo", Il Mulino,Bologna,1981.
[45]
M. Durand-Fardel, in Ann.
Méd. Psych.,
1855, cit.
in D.-J. Duché "Histoire de la Psychiatrie de l'Enfant, PUF, Paris,
1990.
[46]
M. Durand-Fardel, op. cit.
[47]
M. Durand-Fardel, op. cit.
[48]
M. Durand-Fardel, op. cit.
[49]
M. Durand-Fardel, op.cit.
[50]
E. Lisle,"Du suicide", 1856.