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NOTE PER UNA STORIA DELLA PSICOLOGIA DELLA TESTIMONIANZA INFANTILE.

 

 

di  Giuseppe Leo

 

Rivista Frenis Zero

PREMESSA

 

Negli ultimi decenni, parallelamente ad una maggiore attenzione riservata al tema dell’abuso sessuale ai danni di minori da parte degli organi di informazione, dell’opinione pubblica, nonchè della letteratura psicologia, psichiatrica, criminologica e forense, si è registrato, nella società civile e nel mondo scientifico, un ininterrotto dibattito circa la ‘fondatezza’ della testimonianza resa da minori nel corso di processi in cui essi ricoprono la duplice veste di vittima e di testimone. I ‘mass media’, in Italia specie negli ultimi dieci anni, hanno ripetutamente portato agli ‘onori’ della cronaca casi di adulti ingiustamente condannati sulla base di dichiarazioni ‘false’ rese da presunte vittime in età evolutiva, oppure, al contrario, casi in cui la testimonianza di un minore, ritenuta non attendibile e non veritiera da una corte di giustizia, se adeguatamente utilizzata, avrebbe invece fornito degli elementi di prova insostituibili per confermare la realtà dell’avvenuto abuso ed arrivare al responsabile. E pensare che fino a pochi decenni fa non esisteva un reale dibattito circa l’attendibilità del minore testimone, in quanto i bambini venivano indiscriminatamente considerati ‘non competenti’ a fornire una versione aderente alla realtà storica dei fatti narrati!

Poichè un episodio di abuso sessuale raramente ha spettatori (per non parlare, poi, del complesso capitolo dell’abuso intrafamilare) e di rado lascia una traccia sulla vittima che inequivocabilmente possa considerarsi segno ‘specifico’  o ‘patognomonico’, la testimonianza della vittima costituisce, nella maggioranza dei casi,  l’unico elemento su cui il magistrato deve basare il suo giudizio. Egli può chiedere una perizia, ma psicologi e psichiatri si trovano sempre più ad essere chiamati a rispondere a quesiti sulle questioni più varie, che spesso esulano dalle loro competenze. Ma se caliamo questa premessa generale sul problema particolare della valutazione dell’attendibilità della vittima in senso psicologico e psichiatrico, uno dei quesiti fondamentali su cui l’esperto è chiamato ad esprimersi, allora dobbiamo lamentare che spesso lo scarso rigore metodologico esibito dal perito fa sì che egli <<per incapacità di “resistere” alla pressione dl Magistrato – alimentata di certo dalle più nobili intenzioni ma non sempre esente da condizionamenti – ovvero per personale onnipotente considerazione del sé, accetta acriticamente qualsiasi sollecitazione>>, per cui <<può capitare di leggere (...) richieste, e relative relazioni psicologiche, nelle quali veniva sancita la fondatezza scientifica delle dichiarazioni rese dalla vittima ovvero identificati gli “indicatori psicologici specifici della violenza sessuale subita”>>[1]. Quindi il rigore metodologico deve essere un imperativo morale e deontologico per l’esperto, ma si deve nutrire, per avere validità scientifica, dell’apporto delle scienze che più hanno studiato, negli ultimi decenni, i problemi della testimonianza in età evolutiva: la psicologia dello sviluppo costituisce quindi il substrato teorico-scientifico su cui fondare la psicologia della testimonianza del minore. Ma il ‘metodo’ deve essere rigoroso non solo rispetto ai dati psicologici e fenomenologici che emergono dall’oggetto d’indagine (la testimonianza del minore presunta vittima): deve anche poter circoscrivere il proprio ambito epistemologico[2], cioè di applicazione delle regole che ne assicurano la scientificità. Pertanto, è importante <<per lo psichiatra e lo psicologo, di imparare a differenziare (anche dal punto di vista metodologico) i diversi ambiti nei quali si può trovare ad operare, a tenere ben presente che ipotesi, suggestioni ed interpretazioni cliniche, utili ai fini terapeutici, non possono essere trasferite passivamente in quello forense, che richiede non solo diversa prudenza ma anche maggiore coscienza dei limiti delle proprie valutazioni>>[3].

 

 Storia della psicologia della testimonianza in tema di abuso sessuale.

 

Rimandando ad altre opere per una completa rassegna storica sul fenomeno dell’abuso sessuale a danno di minori[4], in questo paragrafo ci soffermeremo sull’evoluzione storica[5] della psicologia della testimonianza, resa da bambini presunte vittime di abuso sessuale, nel corso dell’ultimo secolo. Se l’opera di Ambroise Tardieu (1860) “Etude médico-légale sur les sévices et mauvais traitements exercés sur des enfants” viene generalmente riportata come il primo studio scientifico sui maltrattamenti dei bambini,  il dibattito sulla validità della testimonianza dei bambini nei processi penali è ben più remoto, e si può dire che affonda nella notte dei tempi. In epoca moderna, un caso molto documentato è stato quello di Salem (1692), ma lo ‘spirito’ di quei tempi faceva ritenere ai magistrati che poiché i bambini erano ‘innocenti’, essi potessero meglio degli adulti riconoscere il diavolo e le sue manifestazioni. Pertanto, <<gli adulti, corrotti e corruttibili, non solo “potevano” accettare la testimonianza dei bambini, ma “dovevano” farlo>> (Caffo et al., 2002)[6]. Fino alla metà del  XX secolo, il caso di Salem veniva citato negli Stati Uniti come ‘paradigmatico’ dell’assoluta non competenza dei bambini a testimoniare nelle aule di tribunale. In Europa la letteratura scientifica sull’attendibilità del minore testimone iniziò a prodursi prima che negli U.S.A., agli inizi del XX secolo. Questo forse è dovuto, oltre che alla ‘memoria’ del caso di Salem, anche alla diversa struttura del sistema giudiziario vigente nei paesi anglosassoni (sistema accusatorio dei paesi a common law) rispetto a molti europei (sistema inquisitorio). Infatti, nei paesi anglosassoni (Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti) il sistema accusatorio che prevedeva la presenza della giuria e del controesame (cross-examination) da parte dei legali di parte erano considerate garanzie sufficienti tali da non richiedere incarichi peritali ad esperti in tema di competenza e credibilità del minore testimone. Nella maggior parte dei paesi europei, invece, l’adozione del sistema inquisitorio faceva sì che, non essendo presenti una giuria né le ‘garanzie’ relative al controesame, i giudici si avvalessero di consulenti (‘testimoni esperti’) per valutare la competenza a testimoniare del bambino. Ciò può spiegare come mai i primi studi, apparsi agli inizi del XX secolo, sull’attendibilità dei minori furono pubblicati in Europa anziché nei paesi di lingua inglese. E’ proprio del 1900 l’opera del Binet dal titolo ‘La suggestibilité[7]: in essa veniva studiata la suggestionabilità di minori di età tra i 7 ed i 14 anni. L’autore spiegava la suggestionabilità dei bambini sulla base di informazioni mancanti nella loro memoria tali da richiedere suggerimenti da parte dell’intervistatore, che finivano per colmare queste ‘lacune’ mnesiche. La suggestionabilità dipendeva sia dalle aspettative del bambino sia da fonti esterne di informazione ‘suggerita’. Il merito di Binet fu quello di calare questi studi sperimentali nell’operatività forense, raccomandando ai giudici di prestare attenzione alle modalità con cui venivano formulate le domande all’intervistato. Sembra, però, che questo autore dovette sopportare un certo ostruzionismo da parte delle autorità francesi che non gli consentirono di trascrivere e studiare le dichiarazioni testimoniali ‘dal vivo’, cioè assistendo ai processi.

Sempre in Europa, in Belgio ed in Germania, venivano a svilupparsi gli studi, rispettivamente, di Varendonck e di Stern. Varendonck (1911)[8] eseguì una serie di esperimenti con bambini (in uno con bambini di 7 anni[9] ed in un altro con una classe di bambini dai 9 ai 12 anni[10]), giungendo alle conclusioni che i bambini non sono affidabili quando gli si chiede qualcosa sui dettagli di una scena a cui hanno assistito, che sono facilmente soggetti alla loro fervida immaginazione, che se una persona esercita su di loro una qualche autorità agevolmente può trasmettere loro le proprie convinzioni, che basta una domanda mal posta, sia volontariamente che involontariamente, per ottenere risultati ‘stupefacenti’. Lo stesso Varendonck aveva sostenuto queste tesi anche sulla base della propria esperienza di ‘testimone esperto’ in un processo penale nel quale due bambine sarebbero state testimoni della scomparsa di una loro compagna di giochi, Cécile[11].

Tra gli anni ’10 e gli anni ’30, a Breslau Stern (1910[12]; 1939[13]) pubblicava le sue ricerche sulla psicologia della testimonianza. Egli sosteneva che, accanto a certe patologie psichiche, particolari età dell’individuo, come la pubertà, potevano ‘inficiare’ la testimonianza in quanto, in tali condizioni,  verrebbe meno la capacità di discriminare la fantasia dalla realtà fattuale. Ciononostante, al pari di Binet, Stern attribuiva un gran peso anche agli errori nella conduzione degli interrogatori. Un altro tedesco, Lipmann (1911)[14], propugnò la tesi di una differenza qualitativa (anziché quantitativa) tra il funzionamento della memoria negli adulti e nei bambini. I bambini presterebbero maggiore attenzione a dettagli differenti rispetto a quelli memorizzati dagli adulti, cosicché, se un bambino viene interrogato da un adulto autorevole su dettagli per lui poco rilevanti, egli finisce per accogliere i suggerimenti dell’adulto al fine di colmare la lacuna dei suoi ricordi. Siegmund Freud, nel caso del piccolo Hans (1909), così argomentava circa l’attendibilità delle dichiarazioni dei bambini ed i rapporti tra immaginazione e capacità di fornire resoconti aderenti alla realtà fattuale: <<Non condivido l’opinione, attualmente diffusa, che le affermazioni dei bambini siano sempre cervellotiche e inattendibili. Nella vita psichica non c’è posto per l’arbitrarietà. L’inattendibilità delle dichiarazioni dei bambini è dovuta al predominio dell’immaginazione, così come quella degli adulti dipende dal pregiudizio...>> (Freud, 1909)[15]. Tuttavia, qui Freud si riferiva alle applicazioni psicoterapeutiche delle affermazioni infantili, e non certo alle problematiche della psicologia forense.

Negli anni ’20 e ’30 le ricerche sull’attendibilità testimoniale dei minori si concentrarono soprattutto sull’interrelazione tra età, sesso, quoziente intellettivo e suggestionabilità. Gli esperimenti si basavano su domande poste per iscritto, e quasi invariabilmente dimostravano una correlazione significativa tra basso Q.I. e suggestionabilità (Otis, 1924[16]; Sherman, 1925[17]). Tuttavia tali risultati non sembravano tener conto dei bias metodologici, inevitabili se si pensa alla scarsa comprensibilità che le domande poste per iscritto potevano avere  in soggetti con ritardo mentale.

In Italia, nel 1925 esce la “Psicologia Giudiziaria” di Enrico Altavilla[18], a cui seguì la pubblicazione della “Psicologia della testimonianza” di Giorgio Tesoro[19]. Non di certo furono le prime opere pubblicate in Italia sulla psicologia della testimonianza[20], ma certamente tra quelle, insieme al contributo di poco posteriore del Musatti (1931), destinate a rimanere a lungo nel bagaglio di chiunque, psichiatra forense o giurisperito che fosse, si occupasse di queste questioni. L’Altavilla si sofferma sull’analisi dei processi percettivi, attentivi, mnesici nel bambino. A proposito della percezione, riprende il Perez (1907)[21] per cui il fanciullo << si sofferma facilmente alla superficie delle cose e difficilmente penetra in fondo.>> Ma sono i processi di ‘integrazione’ quelli ancora deficitari : <<il bambino percepisce più facilmente i dettagli che ricordano percezioni analoghe, ed inconsapevolmente completa il nuovo percetto con attributi di percetti precedenti>>, e <<ciò spiega perché un suo difetto ordinario è di notare più le somiglianze che le dissomiglianze, e le grossolane più che le altre. Questo è il difetto gravissimo che rende il fanciullo testimonio molto pericoloso, specialmente per l’identificazione d’un colpevole>>(Altavilla, 1925, op.cit.). Quindi senza citarlo, l’Altavilla si riallaccia alla tesi di Lipmann. Passando al problema dell’”esame di realtà”, l’analogia tra la mente infantile e la psicopatologia viene portata fino alle sue estreme conseguenze. Citando il Sighele, ma anche il Preyer (1887)[22] <<L’immaginazione del fanciullo – dice il Sighele – come nel selvaggio, è così grande che trasforma gli oggetti in esseri coscienti e sensibili, dà il soffio della vita alle cose inanimate ed inerti. Ciò dipende dal fatto che le immagini mentali prendono formalmente un corpo come le allucinazioni dei dementi senza dubbio perché le impressioni sensitive si imprimono immediatamente, senza riflessione nel cervello in via di sviluppo, il che fa che le immagini mentali non possono essere sempre con certezza distinte dalle percezioni per la loro vivacità. >> La ‘confusione tra percezione ed immaginazione’ può dipendere da una precaria organizzazione percettiva (<<le percezioni sono alle volte così scolorite che possono essere ricordate come fatti immaginati>>) o anche per ‘imperfezioni del processo attentivo’. Citando il James (1901)[23], <<la fanciullezza è infatti caratterizzata da una grande energia attiva e possiede pochi interessi bene organizzati che facciano fronte a nuovi stimoli e da ciò deriva quella mobilità estrema dell’attenzione che riscontriamo in tutti i bambini (...)>>. Perciò, per l’Altavilla, <<dalla sua inesatta percezione, da questa attenzione intensa e saltuaria ad un tempo, deriva una registrazione degli avvenimenti inesatta ed unilaterale ch’è completata con quella illogicità caratteristica dei bambini. Dal che si deduce che se un bambino, per mancanza di un qualsiasi interesse, ha percepito qualche dettaglio di un avvenimento, ch’è rimasto nel suo ricordo non completato né deformato, è grave errore sforzarlo ad aggiungere altri particolari, perché egli intrometterà nel suo racconto elementi immaginati>>. Qui, però, l’Altavilla, contrariamente al Lipmann, non intravede l’importanza dell’’autorità’ di colui che, interrogando il bambino, potrebbe ‘sviarne’ le dichiarazioni, ma ne attribuisce interamente gli errori al ‘deficit’ di ‘source monitoring’ della mente infantile. Quindi l’aspetto evolutivo dello psichismo, l’accrescersi dell’esperienza del mondo, conduce ad un fenomeno paradossale che l’Altavilla così riassume: <<Sono quindi frequenti fenomeni paramnesici per cui il fanciullo con lucidezza impressionante, con precisione grande di dettagli ricorda e narra avvenimenti mai esistiti, che sono il più delle volte la risultante di un complesso di percezioni, spesso acquisite in tempi diversi, che si coordinano in unità, creando il ricordo complesso di un fatto non vero>>. Il fatto che il bambino ricordi dettagli che per noi adulti appaiono insignificanti e non ne ‘immagazzini’ altri per noi più rilevanti, dipende da una legge psicologica fondamentale per l’Altavilla:<< l’attenzione è tenuta vigile dall’interesse>>, per cui dati <<l’egocentrismo e l’inesperienza infantile>>, queste <<imperfezioni del processo psicologico>> rendono <<ogni sua narrazione lacunare e falsa>>. E veniamo alla suggestionabilità dei minori che <<ci fa comprendere come sia difficile interrogare un bambino, essendo esso portato istintivamente ad adattare quello che dice a ciò ch’egli crede che si vuole che da lui si dica. Il bambino ha grande intuito e sente con facilità l’opinione di chi lo interroga, e sente sconvolto tutto ciò che egli sa. Osservarlo mentre depone innanzi al magistrato è un fenomeno interessante, la sua piccola mente non si rovescia nel passato per evocare e coordinare i suoi ricordi, ma tende verso lo interrogante per comprendere che cosa desidera che egli dica: forse su ciò influisce anche l’abitudine scolastica per cui il bambino è educato a questo sforzo di comprensione.>>. L’autore distingue, quindi, una suggestione  per insinuazione, una per coazione implicita ed infine una per coazione esplicita. <<Le due prime trionfano più  facilmente nelle convinzioni del fanciullo>>. L’accento viene  posto non sulla relazione ‘suggestiva’, ma sulla suggestionabilità come dotazione (reificata) di base della personalità immatura del minore. Non ci sono limiti alla possibilità di <<ottenere da un bambino quello che si vuole (...)>>. L’Altavilla definisce <<la suggestione per coazione implicita quella in cui il bambino non ha coscienza della diversità tra ciò che si vuole che egli dica o pensi e quello ch’egli effettivamente pensa o vorrebbe dire>>. Invece, la coazione esplicita (che <<ha minore probabilità di successo>>) <<consiste nel mettersi in aperto contrasto con l’opinione del fanciullo, cercando di violentarla>>. E la ragione delle minori probabilità di successo di quest’ultima tipologia di suggestione sta in <<un’altra nota precipua della mentalità infantile: l’ostinazione>>.

Da queste considerazioni teoriche discendono delle precise prescrizioni pratiche nella conduzione dell’interrogatorio:<<prima regola è quindi che bisogna ridurre le domande al minimo possibile, cercando di far parlare il fanciullo; seconda regola è che le domande debbono essere fatte in modo da non contenere un suggerimento e da non rivelare l’opinione dell’interrogante, terza regola è che non bisogna contentarsi di riposte laconiche, di monosillabi affermativi o negativi, il fanciullo dice alle volte sì e no indifferentemente; quarta regola è che se la narrazione è frammentaria ed incompleta, e noi ci accorgiamo che ripetendola il fanciullo non aggiunge altri dettagli, non bisogna sforzarlo a particolareggiarla e completarla, se non si vogliono fare introdurre elementi fantastici (...). Altra regola importantissima per l’interrogatorio di un bambino è che non bisogna impaurirlo>>. Altro tema ‘scottante’ è quello della bugia, della menzogna nella psicologia infantile. I riferimenti bibliografici vanno alla letteratura sulla criminalità minorile (ad es., ad un’opera dello stesso Altavilla del 1911[24]), alle opere del Dromard[25], del Fiore[26], del Duprat[27]. Nello studio psicologico dello sviluppo morale del bambino, l’Altavilla sembra meno convincente di quanto lo è stato a proposito dello sviluppo prettamente cognitivo: infatti sembra dedurre lo sviluppo del  ‘senso etico’ dalle peculiarità sopra descritte di quello cognitivo, anziché delineare uno sviluppo del ‘senso etico’ dotato di una sua autonoma fenomenologia (‘paradigma cognitivista’). <<Al fanciullo non manca la capacità dei sensi a nuove acquisizioni, ma il potere di etichettarle, adattandole a nozioni preformate. E la ragione è che queste nozioni mancano. Quello che manca non è la facoltà di acquisire nuove nozioni, ma di dare ad esse un senso e di classificarle secondo una scala di valori, confrontandole alle nozioni apprese nel passato, perché queste rimangono allo stato di abbozzo. Sviluppo di idee madri e di sentimenti cardinali capaci di graduare le impressioni ricevute, ecco quello che manca al fanciullo. Egli quindi non ha del mondo che una visione semplice e frammentaria, perché non possiede senso di relatività. Le condizioni di tempo e di spazio non lo preoccupano, poca importanza dà alla distinzione delle persone e delle cose.(...) E ciò è perché il fondo permanente della conoscenza non è ancora stabilito, tutte le acquisizioni immediate sono indeterminate, indecise, fluttuanti, e molto vaghe.>>. Citando il Dromard (1911, op.cit.):<<Incertezza delle acquisizioni immediate della conoscenza, predominio essenziale delle facoltà immaginative, asservimento alla suggestione dell’ambiente, assenza o povertà dei poteri critici. Queste sono le note che fanno del fanciullo un inconsapevole menzognero>>.

Passando dalla fanciullezza alla pubertà, per l’Altavilla si fa ancora più stringente l’analogia tra il ‘perturbamento sensoriale e psichico’ tipico di questa età e la fenomenologia della psicosi schizofrenica che spesso esordisce a questa età (‘paradigma nosografico’ che già avevamo visto all’opera nella descrizione della psicologia infantile). Appoggiandosi al Fiore (1910-1914, op.cit.) per cui <<le testimonianze all’epoca della pubertà possono essere di due specie: o sono dovute ad alterazioni della percezione o degli altri stadi successivi del meccanismo della testimonianza[28], oppure sono coscientemente false, in seguito allo insorgere nella coscienza del giovane d’improvvisi scatti e singulti di criminalità e pazzia morale[29]>>. E ,per rinforzare quest’ultima tesi, l’Altavilla aggiunge: <<E sono così profondi questi perturbamenti da determinare frequentemente delle illusioni e qualche volta delle vere  allucinazioni uditive e visive>>, citando espressamente l’opera del Marro[30]. In sintesi, <<tra l’infanzia che vive d’irrealtà e la virilità ragionevole, l’adolescenza è un periodo di transizione segnato “dall’antagonismo tra il subiettivismo puro dell’immaginazione e l’obiettività dei processi razionali: si potrebbe dire, con forma diversa tra la stabilità e l’instabilità mentale”(1)[31]. Ma in questo periodo le illusioni non tendono a diventare allucinazioni, perché per il rinnovellarsi costante degli stati affettivi, nessuno predomina molto tempo nella coscienza, così da diventare centro d’una costruzione sistematica ad elementi fissi e definitivi(2)[32]. La immaginazione dell’adolescente è poi così inconsistente da non potere scambiare con facilità fantasie per percezioni reali, i suoi ricordi incominciano a conoscere il controllo della ragione e lentamente verso i 16 anni egli acquista tale capacità intellettuale da diventare attendibile come un qualsiasi altro testimone, se si prescinda dalla suggestibilità che rimane fortemente attiva anche oltre la maggiore età legale>>.

In conclusione, la posizione dell’Altavilla sull’attendibilità testimoniale dei minori sembra connotata quantomeno da un forte scetticismo, per quanto egli cerchi, a più riprese, di negare l’assoluta inammissibilità di qualsiasi testimonianza infantile. <<Con quanto sono andato dicendo non sono venuto a togliere ogni valore alla deposizione del fanciullo. Egli è corroso da un’inestinguibile curiosità, manifestazione della necessità di adattarsi sempre più all’ambiente in cui vive, e perciò è un indiscreto che spia alla porta per sorprendere i discorsi dei genitori, che arriva alla simulazione di fingere di essere attento ad un giuoco, perché si parli liberamente in sua presenza>>.

A conclusioni per nulla distanti approda il Tesoro (1929, op. cit.). Dopo aver citato gli esperimenti del Binet e del Pluschke[33] a sostegno della sua tesi di una ‘minore attitudine testimoniale nei fanciulli’, ne delinea le cause che riconduce a due fattori: l’immaturità psicologica e l’immaturità morale. Un discorso a parte viene riservato alla pubertà. Riguardo alla “incapacità sincretica”[34] (immaturità nell’integrare le sensazioni in percezioni) del bambino, alla ‘incapacità di sintesi e di analisi’ (che comporterebbero una differente enfasi rispetto all’adulto data a cert dettagli anziché altri), all’importanza data alla ‘fortissima capacità immaginativa’ come fonte di errore[35], alla ‘labilità’ e ‘fallacità’ della memoria, sono tutti concetti che il Tesoro riprende fedelmente dall’Altavilla. Analogamente, l’immaturità morale, viene ricondotta all’”egocentrismo”, la tendenza a mentire alla funzione adattativa della bugia nella ‘lotta per l’esistenza’. Nella trattazione della pubertà il paradigma ‘nosografico’ viene poi spinto all’estremo: <<La pericolosità del periodo pubere è data da una speciale forma di vera e propria psicosi che è la ebefrenia. L’adolescente diviene durante questo periodo strano, irrequieto, sospettoso, non ha percezioni nette, non può concentrare la sua attenzione e diviene perciò un pessimo teste. Quando invece si tratta di qualche cosa che abbia attinenza col problema sessuale, il ragazzo e- anche più- la bambina si sentono attratti dalla curiosità sessuale, per questi nuovi istinti che sentono nascere e crescere in loro, suppliscono con l’immaginazione e con i ricordi frammentari alle lacune della loro esperienza. Basterà quindi qualunque piccolo fatto, un pò di suggestione, un interrogatorio ripetuto insistentemente, perché nasca la menzogna, e si sviluppi e si rafforzi per l’autosuggestione>>. La pubertà, sotto il duplice stigma della psicosi (‘ebefrenia’) o della delinquenzialità (‘pazzia morale’, ‘mitomania’) diventa ‘pericolosa’ per la tendenza alle illusioni, allucinazioni o paramenesie nel primo caso, oppure per l’alta frequenza di casi di ‘bugia patologica’ e di ‘calunnia morbosa’. Un caso tipico di ‘mitomania’ o ‘ebrezza fantastica’ in adolescenza è quello del <<giovinetto Bresson, educato nel Collegio di Varazze, che (forse sotto l’onda di sospetto creata dallo scandalo dell’Istituto del Viale di Monza nel 1907-08, certamente, però, anche e soprattutto per rendersi interessante) accusò i Padri Salesiani che reggevano il convitto di oscenità e di messe nere, aggiungendo dettagli particolareggiati e precisi che poi si dimostrarono del tutto infondati.>>

L’impianto dell’opera del Musatti “Elementi di psicologia della testimonianza” (1931) appare, paragonato a quello delle due precedenti, fortemente innovativo. La tesi che fa da sfondo all’intera opera consiste nel ritenere insufficienti i criteri ‘empirici’ di valutazione delle testimonianze per far spazio alle evidenze scientifiche provenienti dalla psicologia sperimentale. In effetti, lo stesso Musatti, in una nota introduttiva alla storia della psicologia della testimonianza, ‘relega’ gli autori italiani precedenti (Altavilla, Tesoro,  ma anche Fiore e Donà[36]) al rango di studiosi da un punto di vista ‘teorico’ ed ‘espositivo’, mentre solo il De Sanctis[37], il Ponzo[38] ed il Benussi[39] vengono annoverati tra i ricercatoti italiani ‘sperimentali’,  a sottolineare due differenti approcci di cui il secondo è quello più promettente per il futuro ed a cui egli ascrive la propria opera. Riguardo più specificamente alla psicologia della testimonianza infantile, il Musatti non le dedica una trattazione a sè, ma singoli cenni a dati sperimentali si ritrovano sparsi lungo tutta l’opera. Nel paragrafo sulla ‘disgregazione mnestica’ afferma che <<i bambini sono in una condizione di grande inferiorità rispetto agli adulti per ciò che riguarda la possibilità di ripetere un racconto udito, appunto perché manca ad essi la capacità di allontanarsi dalle singole espressioni verbali che costituiscono quel racconto>> e cita a tal proposito il Muller-Freienfels[40]. Più articolato è lo svolgimento, nel paragrafo su ‘Le interrogazioni suggestive e la tecnica dell’interrogatorio’, del tema della suggestionabilità dei bambini. <<I fattori suggestivi (...) non agiscono in eguale misura sopra tutti i soggetti: sussistono infatti, anche a tale proposito, notevoli differenze individuali. I fanciulli in particolare sono soggetti a quest’azione in misura notevolmente superiore agli adulti, ed è questo uno dei principali elementi della scarsa utilizzabilità e dell’estrema pericolosità delle testimonianze infantili>>. L’autore, quindi, cita le esperienze del Varendonck (sopra ricordate) a sostegno di tale tesi. Precisa, inoltre, che <<l’azione suggestiva sulle testimonianze infantili può esercitarsi non solo nel corso dell’interrogatorio giudiziario, ma anche in una fase precedente l’interrogatorio stesso, e in base alle domande rivolte ai bambini, o anche semplicemente ai discorsi fatti in loro presenza, nell’ambiente familiare>>.  Sulle dichiarazioni infantili in tema di abuso sessuale, il Musatti si raccomanda che <<particolari cautele richiede la valutazione delle testimonianze infantili quando siano relative a delitti di attentato al pudore e in genere a fatti a fondo erotico sessuale. Le ricerche moderne di psicologia infantile e di psicopatologia hanno infatti messo in rilievo, nei comportamenti infantili rispetto alle questioni ed ai fatti erotico-sessuali, elementi del tutto ignorati e in base ai quali si spiega la impressionante frequenza della simulazione di reato e delle false testimonianza dei bambini in tali casi giudiziari>>. Di più l’autore non dice e non chiarisce quali siano queste ricerche di psicologia infantile, tuttavia rimanda alle opere di Marbe[41] e di Gorphe[42] <<in cui sono ricordati numerosi casi>>. In conclusione, nonostante l’impostazione teorica innovativa, l’opera del Musatti non aggiunge granché di originale alla  psicologia della testimonianza infantile.

Complessivamente, fino agli anni ’70 del XX secolo, non è dato registrare ricerche degne di nota in tale campo. A partire da tali anni è soprattutto nei paesi anglosassoni (Gran Bretagna e Statu Uniti) che prendono nuovo impulso studi utili in ambito forense. Per Ceci e Bruck (1993[43]; 1995[44]) varie sarebbero le ragioni per il rinnovato interesse per i temi della suggestionabilità e della testimonianza infantile. Intanto, a partire da quegli anni, si sarebbe verificato in quei Paesi un sensibile incremento, oltre che delle denunce di abuso sessuale, delle richieste di consulenze di esperti che finiscono per essere considerate non sono sempre più ammissibili in tribunale, ma anche sempre più rilevanti ai fini della validation della testimonianza dei minori. Nei decenni passati <<la riluttanza ad accettare le testimonianze non corroborate, lo scetticismo con cui la giuria accoglieva le dichiarazioni dei minori in seguito all’istruzione del giudice (cautionary instruction), la non accettazione delle testimonianze indirette e l’obbligo della presenza dell’accusato durante la testimonianza del minore rendevano spesso traumatico il processo per il minore e ne compromettevano quindi l’attendibilità>> (Caffo et al., 2002, op.cit.). Anche l’aumentato interesse, registratosi alla fine degli anni ’60, per le problematiche dei diritti dei minori e della loro tutela ha avuto un ruolo propulsore sulle ricerche di psicologia della testimonianza.

Comunque, negli U.S.A. durante gli anni ’80 vari Stati hanno modificato la normativa procedurale in modo da rendere ammissibili anche le testimonianze non corroborate e quelle indirette.

Nel campo della psicologia della testimonianza è cambiato poi  sia lo scopo (non più confrontare la suggestionabilità dei bambini con quella degli adulti, ma stabilire quali condizioni incidano sull’attendibilità) che la metodologia delle ricerche (anziché porre i bambini di fronte a stimoli ‘neutrali’ si tende a privilegiare condizioni sperimentali sempre più vicine a quelle reali). Certamente, vanno aggiunti i rilevanti progressi che tra gli anni ’70 e ’80 ha registrato la psicologia dello sviluppo, i cui contributi alla psicologia della testimonianza infantile non possono che essere stati (ed essere tuttora) della più grande importanza.

 

 

 



[1]  Amerio L. & Catanesi R. (1999), “Violenza sessuale su minore. Contributo e limiti della perizia psicologico-psichiatrica”, in Abruzzese S. (a cura di), Minori e sessualità: vecchi tabù e nuovi diritti, Franco Angeli, Milano.

[2]  “Epistemologia” da ‘epistéme (scienza) e logos (discorso), <<branca della teoria generale della conoscenza che si occupa di problemi quali i fondamenti, la natura, i limiti e le condizioni di validità del sapere scientifico, tanto delle scienze cosiddette esatte (logica e matematica), quanto delle scienze cosiddette empiriche (fisica, chimica, biologia, ecc.: psicologia, sociologia, storiografia, ecc.). L’epistemologia è quindi lo studio dei criteri generali che permettono di distinguere i giudizi di tipo scientifico da quelli di opinione tipici delle costruzioni metafisiche e religiose, delle valutazioni etiche, ecc. In questo senso l’epistemologia è considerata parte essenziale della filosofia della scienza>> (da Enciclopedia di Filosofia, Garzanti, Milano, 1981).

[3]  Amerio L. & Catanesi R., op. cit.

[4]  Ad esempio, Georges Vigarello (2001), “Storia della violenza sessuale. XVI-XX secolo”, Marsilio, Venezia.

[5]  Per una schematica rassegna storica sulla psicologia della testimonianza curata da Guglielmo Gulotta si veda la pagina internet http://www.psicologiagiuridica.com/Primo numero/storia_della_psicologia_giuridic.htm

[6]  Caffo E., Camerini G.B., Florit G. (2002), “Criteri di valutazione nell’abuso all’infanzia. Elementi clinici e forensi”, McGraw-Hill, Milano.

[7]  La consultazione è disponibile sul sito web della Bibliotheque Nationale de France: http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?O=N077176

[8]  Varendonck J. (1911), Les témoignages d’enfants dans un procès retentissant, in Archives de Psychologie, 11, pagg. 129-171.

[9] Lo studioso belga chiese a 18 bambini di 7 anni, appartenenti ad una classe il cui  insegnante si chiamava  Sig. H., di rispondere per iscritto alla domanda:”Di che colore è la barba del Sig. H.?”. Sedici bambini risposero ‘nera’, due non scrissero nulla. Il Sig. H non portava alcuna barba.

 

[10]  Un certo Sig. B. fece visita alla classe e tenne il cappello in testa per tutta la durata della visita (il particolare, studiato ovviamente ‘a tavolino’ prima dell’esperimento, non poteva passare inosservato agli occhi dei ragazzi in quanto all’epoca un tale comportamento era indice di ‘maleducazione’). Dopo la visita del Sig.B, il maestro pose alla classe questa domanda: “In quale mano teneva il cappello il Sig. B?”. Dei 27 alunni solo 3 resistettero alla domanda ‘suggestiva’.

 

[11]  Sommariamente, <<una bambina di 9 anni, Cécile De Bruyker, venne trovata morta due giorni dopo la sua scomparsa. Le due bambine che avevano giocato con lei poco prima che scomparisse vennero più volte interrogate, ebbero modo di ascoltare l’opinione pubblica,  vennero sollecitate dagli insegnanti e dalla moglie del commissario di polizia e ricevettero doni in cambio. Le due bambine, che inizialmente avevano sostenuto di essere ignare della sorte di Cécile, dichiararono in seguito di aver visto un uomo alto con i baffi neri e vestito di nero offrire un centesimo a Cécile e allontanarsi con lei. Venne quindi incolpato il padre di una delle due testimoni e l’accusa utilizzò la testimonianza delle due bambine come maggiore prova a carico.>> (Caffo et al., 2002, op. cit.). Per maggiori particolari sull’opera di Varendonck, si veda anche Ceci S.J. & Bruck M. (1995), Jeopardy in the Courtroom. A scientific analysis of children’s testimony, Washington, APA.

 

[12]  Stern  W. (1910), Abstracts of lectures on the psychology of testimony and on the study of individuality, in American Journal of Psychology, 21, 270-282.

 

[13]  Stern W. (1939), The psychology of testimony, in Journal of abnormal and social Psychology, 34, 3-30.

[14]  Lipmann O. (1911), Pedagogical Psychology of Report, in Journal of Educational Psychology, 2, 253-260.

[15]  Freud S. (1909), Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (caso clinico del piccolo Hans), in S. Freud (1989), Opere, vol. V, Bollati Boringhieri, Torino.

[16]  Otis M. (1924), A study of suggestibility in children, in Archives of Psychology, 11, 5-108.

[17]  Sherman I. (1925), The suggestibility of normal and mentally defective children, in Comparative Psychology Monograph,2.

[18]  Altavilla E. (1925), La psicologia giudiziaria, con prefazione di Enrico Ferri, Torino, UTET.

[19]  Tesoro G. (1929), La psicologia della testimonianza, con prefazione di Enrico Ferri, Torino, F.lli Bocca Editori.

[20]  Si veda ancora Gulotta al già citato ‘link’ (http://www.psicologiagiuridica.com/Primo numero/storia_della_psicologia_giuridic.htm) sulla storia della psicologia giuridica. In particolare, rispetto alle questioni che ci interessano, l’autore segnala, in ambito italiano, vengono citate le seguenti opere: C. Lombroso (1905), La psicologia dei testimoni nei processi penali, "Scuola Positiva", 15;  M. Longo (1906), Psicologia criminale.( Il volume XXVII dell’ "Archivio di Psichiatria" contiene un articolo dedicato alla Psicologia dei testimoni.);  V. A. Berardi (1908), Giudici e testimoni. Studio di psicologia giudiziaria;  U. Fiore (1909), Manuale di Psicologia giudiziaria;  G. Dattino (1909), La psicologia dei testimoni;  U. Fiore (1910), Il valore psicologico della testimonianza; 1912: Numero monografico sulla rivista "Psiche" dedicato alla psicologia applicata a temi giuridici; S. De Sanctis e S. Ottolenghi (1920), Trattato di psicopatologia forense;  L. Battistelli (1922), La bugia nei normali, nei criminali, nei folli;  L. Ferrante Capetti (1922), Reati e psicopatie sessuali;  G. Donà (1923), La testimonianza nel fatto comune e nella vicenda giudiziaria;  S. Sighele (1923), I delitti della folla studiati secondo la psicologia, il diritto e la giurisprudenza. In questa bibliografia, comunque, manca l’opera del Tesoro.

 

[21]  Perez (1907), L’enfant de trois à sept ans, Alcan, Paris.

[22]  Preyer, L’ame de l’enfant, traduz. di Varigny, Alcan , Paris.

[23]  James W. (1901), Principi di psicologia, trad. ital. di Ferrari, diretta e riveduta dal Tamburini, Milano, Società Editrice.

[24]  Altavilla (1911), La delinquenza dei minorenni ed il codice penale, in Rivista popolare.

[25]  Dromard (1911), Essai sur la sincérité, Paris, Alcan.

[26]  Fiore (1910-1914), Il valore psicologico delle testimonianze, Città di Castello, Lapi.

[27]  Duprat (1903), Le mensonge (Etude de psycho-sociologie pathologique et normale), Paris, Alcan.

[28] Si potrebbe attribuire ad un paradigma ‘cognitivista’ questa tesi.

[29] Questa spiegazione alternativa sarebbe riconducibile ad un ‘paradigma nosografico’.

[30]  Marro (1897), La pubertà studiata nell’uomo e nella donna, Torino, F.lli Bocca.

[31]  Nota dell’Altavilla (1): Ribot, L’imagination créatrice, Alcan, Paris.

[32]  Nota dell’Altavilla (2): Mendousse, L’ame de l’adolescent,.

[33]  Pluschke (1913), Zeugenaussagen der Schuler und Schulerinnen, in Beitr. zur  Psychol. Der Aussage.

[34]  Claparéde (1905-1906), Expériences collectives sur le témoignage, in Arch. De Psychol.; Claparéde (1906), La psychologie judiciaire, in Année psychol.;

Claparéde (1907-08), Exemple de perception syncrétique chez un enfant, Arch. De Psychol.;

Claparéde (1906), Expériences sur les témoignages; témoignage simple; appréciation; confrontation, in Arch. De Psychol.;

Claparéde (1908), Expériences collectives sur le témoignage et la confrontation, in C.R. VI Congr. Intern. D’anthrop. Crimin., Torino, 1908;

Claparéde (1910), Psychologie du témoignage, in Bull. de l’Union Intern. du droit pénal.

[35]  A tal proposito l’autore cita il Lombroso, da L’uomo delinquente:<<Giunge con una meravigliosa facilità a dare corso alle finzioni della sua immaginazione, che la sua istintiva curiosità, il bisogno di conoscere da una parte e dall’altra l’influenza dell’ambiente, lo dispongono ad accettare senza controllo>>.

[36]  Donà G. (1923), La testimonianza nel fatto comune e nella vicenda giudiziaria, Torino.

[37]  De Sanctis S. (1914), La Psicologia giudiziaria, in La Scuola Positiva; De Sanctis S. (1918 e segg.), Rendiconti dei Corsi di Psicologia giudiziaria tenuti nella scuola di applicazione giuridico-criminale, in La Scuola Positiva; De Sanctis S. (1929-1930), Psicologia sperimentale, 2 voll.

[38]  Ponzo M.(1923), Contributi alla psicologia della testimonianza, in Arch.ital.di Psicol.

[39]  Benussi V. (1914), Die Atmungsymptome der Luge, in Arch.f.ges.Psych.

[40]  Muller-Freienfels R. (1915), Studien zur Lehre vom Gedaechtnis, in Arch.f.ges.Psychol.

[41]  Marbe K. (1926), Der Psycholog als Gerichtsgutachter im Straf- und Zivil-prozess, Stuttgart.

[42]  Gorphe F. (1927), La critique du témoignage, Paris.

[43]  Ceci S.J. & Bruck M. (1993), The suggestibility of the child witness: A historical review and synthesis, in Psychol. Bullettin, 113, 3, 403-439.

[44]  Ceci S.J. & Bruck M. (1995), Jeopardy in the Courtroom. A scientific analysis of children’s testimony, Washington, APA.