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LA COMUNICAZIONE PARTECIPATA  E  LA COMUNICAZIONE VIOLENTA:
  La rabbia come allarme ed antidoto alla violenza.
di Fiorella  TONELLO
( Relazione presentata al Convegno "Dai problemi di comunicazione alla comunicazione come risorsa"- Firenze, 13 e 14 giugno 2003)

I tipi di comunicazione che gli individui usano  determina la qualità dei rapporti tra di loro. Ci troviamo di fronte a due tipi di comunicazione che possono apparire antitetici ma che in realtà  sono  vasi comunicanti che si possono alimentare reciprocamente. Ci muoviamo continuamente su due livelli di comunicazione: uno interno e l’altro esterno. Quando si dice che comunichiamo con noi stessi cosa effettivamente avviene lo sappiamo in parte poiché dipende da quanto ci lasciamo condurre dai nostri bisogni e quanto seguiamo ciò che gli altri vogliono da noi: quindi queste due istanze che sono costantemente presenti in noi si giocano il posto d’onore tra loro in modo continuativo.

Questi due livelli sono continuamente intrecciati: quando comunichiamo con noi stessi, cerchiamo sintesi e mediazioni fra i nostri bisogni e quello che gli altri vogliono da noi, quindi interno ed esterno sono continuamente presenti. Quando parliamo con altri non sono solo persone che vivono e si muovono intorno a noi, ma appartengono in parte al nostro mondo interno.

A volte  invece ci lasciamo trasportare da chi  ci convince, senza veramente ascoltarci e quindi non rispondiamo in modo da ESSERCI veramente nella comunicazione. Quando si parla di “esserci nella comunicazione” si intende una presenza che coinvolge  il nostro essere nella realtà contingente,  nel “qui ed ora”, un momento unico e irripetibile che chiede una risposta congrua. Cogliere questi attimi è fondamentale e importante per costruire un modo adeguato di rapportarsi al mondo e sembra uno degli esercizi più difficili: può richiedere molto tempo riuscire a muoversi rapidamente in sintonia con la realtà,  e peraltro necessita  esercizio.

 In che modo la rabbia può essere un allarme, come ho detto nel titolo, e come evitare reazioni o atti violenti?! La rabbia é spesso un impulso non controllato dal soggetto, che si trova in non poche occasioni a subirne le conseguenze, magari senza nemmeno averne capito le cause.

A questo punto mi ricollego al momento  in cui parlavo di mettersi in contatto con i nostri bisogni : sono queste le guide del nostro agire nel mondo. Quando non si ascoltano le proprie istanze interne, il nostro agire diventa stereotipato e risultiamo scollegati da noi stessi.Un comportamento di questo tipo produce inoltre la frustrazione di non essere considerato, di non essere visto... Ecco che succede che si possono creare manifestazioni di istinti come l’aggressività , la rabbia che generalmente etichettiamo come negativi, pericolosi perché ci avvicinano ad un mondo animale che ci fa paura.

Questa pulsione combattiva é presente sia nell’animale che nell’ uomo ed in entrambi  é spesso diretta contro appartenenti alla stessa specie: a questo proposito Lorenz  che ha prodotto eccellenti studi a riguardo considera l’aggressività , i cui effetti vengono spesso avvicinati a quelli dell’istinto di morte, a un istinto come ogni altro e in condizioni normali anch’esso al servizio dell’individuo e della specie.  Nell’uomo il meccanismo si complica poiché la struttura culturale e sociale si mescola a quella degli istinti creando un groviglio di effetti reciproci che rendono più difficile l’individuazione dei nessi casuali e l’accettazione di far parte di un universo ed essere sottoposto a leggi naturali.

 

Queste emozioni primariamente ci fanno paura per la modalità con cui si presentano a livello fisiologico.  Prendiamo come esempio la rabbia, essa si manifesta nei modi più svariati: l’attività cardiaca e la circolazione sono sempre alterate; la faccia arrossisce e diventa purpurea e le vene della fronte e del collo si dilatano. L’arrossamento della pelle è stato osservato nei pellerossa del Sud America e anche nei negri, dice Darwin, nei quali si arrossano anche le cicatrici bianche lasciate da vecchie ferite; e pure le scimmie diventano rosse per la rabbia. Come ci dimostra Darwin questa emozione e la sua espressione è manifestata nella stessa maniera in tutto il mondo.

 

Se si parlava prima della sofferenza del non essere visti,  si puo’ parlare delle conseguenze che una carenza di contatto con se stessi e una sua perdita sono da considerarsi fra i fattori più determinanti di aggressività e rabbia. Se parliamo oggi di capacità proprie del sistema nervoso di produrre stimoli senza aspettare di riceverne dall’esterno, e quindi la reazione non è l’unico comportamento, abbiamo la possibilità di rispondere a come mai succede che dopo una lunga inattività di un comportamento istintivo il valore di soglia degli stimoli che lo innescano si abbassa.

Ogni vero movimento istintivo, privato nel modo sopra esposto della possibilità di sfogo, ha la proprietà di rendere tutto l’organismo animale inquieto e di fargli cercare attivamente gli stimoli che innescano quel movimento. Lorenz parla di “ingorgo” dell’attività istintiva, che ha luogo  dopo una lunga assenza degli stimoli che la innescano, che provoca sia un aumento della propensione ad agire ma anche processi più radicali che coinvolgono l’intero organismo.

 

Quindi se valutiamo tutto questo in una visione d’insieme, la rabbia e l’aggressività non risultano poi manifestazioni cosi’ pericolose, bensi’ funzionali  per la consevazione della vita in senso stretto ma aggiungerei di una migliore qualità della vita.

La rabbia accumulata puo’ scegliere il suo oggetto di scarica, e si possono avere oggetti “vicarianti” e quindi si creano le cosiddette azioni sostitutive; vorrei portare un esempio mutuato dalla etologia: nei ciclidi un pesciolino isolato non potendo più aggredire i suoi simili, scarica la sua tensione con azioni sostitutive quali mordere il fondo della vasca. In realtà la ri-direzione dell’attacco è l’espediente  più geniale che l’evoluzione abbia inventato per costringere l’aggressività su binari innocui.

Ci sono stati molti teorici che nel corso del tempo hanno cercato di dimostrare che le pulsioni fondamentali sono “buone e sociali”, esagerando e schierandosi così dalla parte degli angeli; in realtà ciò che è accaduto negli ultimi cinquant’anni è una rivoluzione straordinaria nei costumi e nelle valutazioni sociali, di modo che gran parte di quel che una volta veniva considerato cattivo non lo é più. L’uomo non cerca di essere buono, il buono consiste in cioò che è oggetto dei tentativi umani. Possiamo dedurre che nella formazione della personalità i fattori sociali sono essenziali: in questo senso un comportamento personale è anti-sociale nel pieno significato del termine se tende a distruggere qualche aspetto delle consuetudini o della personalità correnti in un luogo o in un tempo dati. In terapia dobbiamo assumere che un comportamento delinquenziale che sta in contraddizione con la natura sociale di un individuo possa essere modificabile e che i suoi aspetti violenti svaniranno con un’ulteriore integrazione.

 Se si parla di integrazione, l’individuo che cerca con sforzo ancora maggiore di adattare la società a se stesso invece che adattare se stesso alla società, rimane un problema aperto e non risolutivo. Prendiamo come esempio la rabbia, un’emozione socialmente poco apprezzata, che possiamo sentire verso una persona cara, spesso succede che non la vogliamo accettare e la proiettiamo sugli altri proprio per l’intensità distruttiva che noi le attribuiamo, quindi viene inibita la pulsione. Contrariamente, se la rabbia viene liberata e accettata come parte di noi stessi, si rivela diversa ai nostri occhi, meno pericolosa, meno antisociale di quanto pensavamo: l’atto di rimuovere è in realtà un atto di aggressione verso di sè  e questa aggressività  puoò essere invece attribuita alla pulsione.

La rabbia contiene in sè componenti aggressive come distruzione, annientamento e iniziativa; quest’ultima dà calore alla rabbia. In un primo momento l’ostacolo viene considerato semplicemente come parte della forma esistente da distruggere, e viene aggredito con un calore piacevole. Man mano che diventa manifesta la natura frustrante dell’ostacolo, la tensione in atto del sè impegnato diventa dolorosa, e all’appetito caldo e distruttivo viene aggiunto il bisogno freddo di annientare. Talvolta si trascende completamente l’appetito cioè il movimento verso la meta, e si giunge ad una furia feroce ed incandescente.

In generale la rabbia è una passione simpatetica: unisce le persone perchè è mischiata con il desiderio. Quando avviene una rimozione del desiderio e il trascendere di quest’ultimo, allora il sè è completamente impegnato in un attacco ostile, e se la rimozione si dissolvesse all’improvviso perchè ci si sente più al sicuro....il desiderio  improvvisamente si cristallizzerebbe  in amore.

A questo proposito, la formula che sentiamo spesso ripetere: “la frustrazione dà luogo all’ostilità” è vera ma troppo semplicistica, poichè omette di menzionare l’appetito caldo della aggressività rabbiosa! Il passaggio più difficile da comprendere e da elaborare è perchè la rabbia, o una disponibilità ad arrabbiarsi, persista una volta che l’annientamento dell’ostacolo è stato efficacemente raggiunto: infatti un figlio puo’ essere arrabbiato con i genitori seppure morti perchè essi costituiscono ancora parte del bisogno incompiuto: non è sufficiente per lui capire che, in quanto ostacoli, essi sono stati eliminati. E la vittima della vendetta e dell’odio è una parte del proprio sè, inconsapevolmente amato.

In ogni caso, è la mescolanza dell’annientamento con l’ira che fa insorgere un senso di colpa cosi’ intenso nei confronti di oggetti difficili ma amati; cio’ che succede è che non possiamo permetterci di annientare, di ridurre al nulla, cio’ di cui abbiamo bisogno, anche quando ne riceviamo delle frustrazioni. Diventa chiaro il meccanismo per cui la rabbia persistente, che unisce l’appetito e l’annientamento, dà luogo all’inibizione completa dell’appetito e costituisce una causa comune dell’impotenza, inversione di tendenza e cosi’ via...

La rabbia, come la distruzione, l’iniziativa e l’annientamento, sono tutte funzioni del buon contatto, necessarie per la sussistenza, la protezione di ogni organismo in un campo difficoltoso perché abbiamo anche della componente di piacere in esse.

Nel compiere le aggressioni, l’organismo si gonfia, per così dire, e tocca l’ambiente, senza danneggiare il sè; l’atto di inibire le aggressioni non le estirpa ma le volge contro il sè: senza l’aggressività, l’amore si intorpidisce e diventa privo di contatto, poiché l’atto di distruggere costituisce un mezzo di rinnovamento. In generale, quando un APPETITO è rimosso, cioè mantenuto inconsapevole, il sè esercita un’ostilità fissata contro se stesso.