Una biblioteca di fronte alla censura fascista

 

Le vicende della Biblioteca di Sesto Fiorentino sono assai interessanti per la storia della censura nel nostro paese. La Circolante è infatti la nostra unica biblioteca, di cui è possibile in questo momento ricostruire quanto successe in proposito durante il fascismo. E ciò grazie alla documentazione portata alla luce di recente dai dirigenti, e studiata in particolare da Enio Bruschi.

Ma diamo, prima, un chiarimento a proposito della normativa sulla censura che durante il fascismo operava in biblioteche come questa. Era una censura che, come ho ricostruito nel mio libro, L'elenco , fu mantenuta largamente segreta.

La Società per la Biblioteca Circolante, nel 1926, a quanto si riesce a ricostruire oggi , entrò nella rete di biblioteche dell'Opera Nazionale Dopolavoro (OND), cioè dipendenti direttamente dal PNF. Per quel che si riesce a capire ancora da alcuni verbali di adunanze del Consiglio, il rapporto con l'OND era piuttosto rilassato: essa forniva qualche modesto finanziamento, ma, per il resto, la sua influenza si percepiva poco. Addirittura, nel 1938, quel rapporto diventò un peso; e la Biblioteca tentò di sganciarsi .

La Circolante di Sesto, dunque, non dipendeva direttamente, come le biblioteche governative, dal ministero della Pubblica Istruzione (ovvero, quando cambiò nome, dell'Educazione Nazionale); salvo però essere soggetta, come tutte le biblioteche, anche non governative, al controllo librario da parte di una Sovrintendenza Bibliografica: in questo caso quella della Toscana, che a sua volta invece dipendeva dal ministero. Si tenga conto che la Sovrintendenza per la Toscana era importante e rispettata, perché il sovrintendente era anche direttore della Biblioteca Nazionale di Firenze.

Quanto alla normativa generale sulla censura, specifica per le biblioteche, segnalo due ordini anteriori agli avvenimenti di cui si sta per parlare. Del primo non conosciamo né la data, né l'esatta formulazione. Ne conosciamo però il contenuto da una lettera del capo della polizia Bocchini del 4 novembre 1930, secondo cui i libri che la Pubblica Sicurezza, per qualche motivo, aveva sequestrato sul mercato, nelle biblioteche governative dovevano essere «raccolti in appositi scaffali collocati in reparti isolati e non accessibili al pubblico» . A quanto pare, l'ordine fu eseguito anche nelle biblioteche non governative, come la Circolante di Sesto. In questa biblioteca, all'epoca, a detta di un appunto più tardo , furono levati 68 libri, tutti di autori o di argomento socialista, anarchico o comunista (Bakunin, Salvemini, Marx, Barbusse etc.).

Il secondo ordine fu formulato dal ministro dell'Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, che il 2 giugno 1937 stabilì che i libri sequestrati sul mercato potevano essere inviati alle biblioteche governative, purché questi li conservassero in «reparti riservati» , mettendoli a disposizione degli studiosi che davano «affidamento». La regola, anche in questo caso, valeva per le biblioteche governative, non dunque, almeno in teoria, per le altre, come la Biblioteca di Sesto. In ogni caso, tale era la norma che vigeva per l'organismo che la sorvegliava, la Sovrintendenza. Comunque, non risulta che il primo genere di ordini, anteriori al 1930, fosse stato mai cancellato. La competenza censoria su biblioteche come questa era dunque piuttosto ambigua: in teoria dipendeva dal PNF, che gestiva i Dopolavoro (anche se questa era una biblioteca non legata a nessun dopolavoro); però la Sovrintendenza, dipendente dall'Educazione Nazionale, manteneva un controllo; e infine la polizia continuava ad avere effettivamente qualche diritto. Detto questo, passiamo alle vicende censorie del 1938.

Intanto occorre ricordare che proprio il 1938 fu - per motivi ancor oggi non del tutto chiari - un anno in cui in Italia venne progettato un vero ripulisti librario. E pare proprio che, ancora una volta, come in tanti altri casi, l'origine delle decisioni, anche in questo campo, fu Mussolini stesso. Il 10 luglio, infatti, Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e ministro degli Affari Esteri, sul proprio diario segnò quanto gli aveva detto il duce: «Una prima avvisaglia del giro di vite sarà data dai falò degli scritti ebraici, massoneggianti, francofili. Scrittori e giornalisti ebrei saranno messi al bando di ogni attività».

Probabilmente Mussolini alludeva alla nascita di una commissione messa in cantiere da qualche settimana e che divenne poi nota come Commissione per la bonifica libraria. Questo organismo ministeriale ripulì poi effettivamente l'editoria italiana da alcuni libri non adatti al clima fascista e in particolare di autori ebrei e antifascisti.

Ma, come capitò altre volte, prima la stampa aprì le piste. A settembre, proprio in vista della prima riunione della commissione per la bonifica libraria, prevista per il 13, i giornali incominciarono a prospettare l'eliminazione di alcuni libri. Tra i quotidiani c'erano "Il Tevere", "Regime Fascista", "Il Telegrafo di Livorno", "Il Popolo d'Italia", giornale della famiglia Mussolini, "Il Corriere della Sera" e non sappiamo quanti altri. Sul giornale degli universitari pisani, "Idea fascista", il 10 settembre un anonimo parlò della possibilità di stilare una lista di libri proibiti, anche di autori ebrei: «Perché non si istituisce - chiedeva l'autore - un indice di libri proibiti ai fascisti?».

È proprio in questa fase che incomincia la vicenda che colpisce questa biblioteca . Un tale, uno studente universitario fascista, proprio nel mezzo della campagna stampa contro i 'libri proibiti', si mette in caccia di questo tipo di libri nella Biblioteca di Sesto. In realtà, come si viene a sapere in seguito, si tratta di un ragazzo investito del compito dal fiduciario locale degli studenti universitari, il quale è stato incaricato a sua volta dal segretario del Fascio . Si direbbe che, dietro a tutto, esistano delle questioni locali, forse dei rancori, forse una lotta politica, i cui contorni precisi sfuggono.

Tra i libri che lo studente denuncia ci sono testi che parlano, talvolta solo vagamente, di socialismo (ce n'è uno perfino di Giuseppe Prezzolini) e poi proprio alcuni di autori ebrei. I dirigenti della Biblioteca, preoccupati forse soprattutto dalla prospettiva di un'ispezione del PNF (la biblioteca dipendeva dall'Opera Nazionale Dopolavoro, che a sua volta dipendeva dal partito), a quel punto fanno una specie di hara-kiri: decidono di eliminare il problema togliendo dalla pubblica consultazione tutti i libri segnalati dallo studente.

Anzi, come riferisce il presidente della Biblioteca, Augusto Menarini, in una successiva adunanza del Consiglio direttivo, «mancando direttive precise [...] si è cercato [...] di abbondare nell'esclusione» . Insomma, aggiungono altri titoli, peraltro talora improbabili come i precedenti. Per esempio - e sono eliminazioni incredibili - a Sesto vengono sottratti alla lettura I doveri dell'uomo di Mazzini e L'arte e la rivoluzione di Wagner . In tutto, tra i libri segnalati dallo studente (ed eliminati) e quelli tolti «spontaneamente» si arriva a un numero di 38 circa.

La pressione sui poveri consiglieri della Biblioteca ha l'aria di essere stata fortissima. Per avere un appoggio al loro operato, decidono di rivolgersi al Sovrintendente Bibliografico della Toscana, Antonio Boselli &endash; che, come s'è detto, era anche direttore della Biblioteca Nazionale di Firenze, nonchè famoso bibliotecario . Uno dei consiglieri, il giovane Carlo Angeleri (di 31 anni) era «bibliotecario aggiunto» della Nazionale e sembra che nel 1939 sia diventato vice dello stesso Boselli : in pratica, si trattava di un suo dipendente, probabilmente di fiducia .

Quanto alla risposta di Boselli, è tra le cose più stupefacenti di questa vicenda. Probabilmente si tratta proprio dell'appoggio chiesto dalla Biblioteca di Sesto, ma ha qualcosa di davvero straordinario. Il 29 gennaio 1939 Boselli risponde alla Circolante, segnalando che solo uno dei titoli degli elenchi che la Biblioteca gli aveva mandato era tra quelli proibiti dal Ministero della Cultura Popolare: «Ciononostante - aggiunge - ritengo opportuno che opere contrarie alle direttive del Regime sieno tenute in riserva anziché divulgate per mezzo della pubblica lettura". La risposta di Boselli è grosso modo in linea con le recenti direttive di Bottai e anche con quelle, recentissime (inizio gennaio 1939), che il ministro ha dato dalle colonne della sua rivista, "Critica fascista" . Solo che Bottai ha ordinato di «mettere in riserva» i testi ufficialmente vietati, mentre Boselli approva che siano «tenute in riserva» tutte le opere contrarie al regime, anche quelle non vietate ufficialmente; proprio come era successo a Sesto. Va quindi ben al di là della norma ministeriale.

Non è finita. Nel gioco di ripicche e di ricatti poco dopo si inserì anche il commissario di polizia di Sesto . Egli pretese di mettere il becco e di «togliere e sequestrare i libri che il Ministero ha sequestrato per la lettura». Il commissario probabilmente agiva in base agli ordini che s'è visto. Insomma, fino a un certo punto aveva ragione; anche se, in verità, non aveva diritto di sequestrare niente. Alla fine, il commissario lasciò alla Circolante una lista di libri da sequestrare che aveva ricevuto dalla Questura (e questa da Roma) e il bibliotecario di Sesto, nel luglio 1939, eliminarono loro stessi i libri della Circolante presenti nella lista.

Nel sovrapporsi di competenze e di segreti che si intrecciano, un dato è sicuro. Questa vicenda, dai contorni aspri, dimostra bene che la mancanza di pubblicità alle operazioni di censura non limitò il carico repressivo. Semmai successe il contrario: nell'incertezza, infatti, chi non sa che cosa bisogna eliminare può facilmente abbondare nelle eliminazioni. Il risultato fu che, in tutto, i libri tolti dalla consultazione a Sesto, tra gli anni 30 e il luglio 1939, furono più di 200 (a Bruschi risultano 207) più 5 appena acquistati e nemmeno messi in lettura. Alla fine del 1939 i libri in biblioteca risultarono 10263 . Si può calcolare quindi una 'decimazione' di circa 2 libri ogni 100.

Infine mi soffermo su una parte della vicenda che ritengo importante. È la parte antisemita.

Lo studente che denuncia la biblioteca sestese lo fa anche perché essa conserva alcuni libri di autori ebrei. Quelli di Dante Lattes, Ludwig Lewishon, Israele Zangwill, ad esempio, - e lo scrive - «esaltano gli ebrei». Uno di Stefan Zweig, che ha «personaggi ebrei», viene considerato un «classico esempio di ideologia dissolvitrice».

Ancora sull'antisemitismo. Mentre si svolge tutta la vicenda censoria, la Biblioteca di Sesto conosce, come tutti gli organismi afferenti al PNF, un altro tipo di divieto razziale: vi viene vietato l'accesso agli ebrei. Il divieto viene comunicato sul "Bollettino" centrale dell'OND e risale al 12 ottobre per gli ebrei 'normali' e al 7 dicembre per quelli discriminati, cioè con meriti combattentistici di qualche tipo . Però la Biblioteca di Sesto viene avvertita direttamente: infatti, tra le carte dell'archivio sono conservati i tre numeri del giornaletto "Le comunicazioni della settimana", a cura del Dopolavoro provinciale fiorentino , in cui questi ordini (in forma «riservata») vennero trasmessi. Nell'ultimo, del 15 dicembre, duro e minaccioso, il segretario federale del PNF, Ricciardo Ricciardi Pollini, scrive: "Nessun elemento di razza ebraica potrà essere iscritto o frequentare [la sottolineatura è mia] le sedi delle Istituzioni Dopolavoristiche. I Presidenti risponderanno di persona di eventuali inadempienze. Quei Dopolavoro che, fra i soci, avessero ancora degli ebrei provvedano ad allontanarli immediatamente, comunicandone i nominativi al Dopolavoro Provinciale".

Ovviamente il divieto non valeva solo per Sesto (dove peraltro non sappiamo valutarne le conseguenze) . Ad esempio, in Toscana le biblioteche popolari in quell'epoca erano sei (a Montecatini, Siena, Settignano, Montepulciano, Sesto e Lucca) e in più occorre contare quelle dopolavoristiche: ed è da ritenere che in tutte sia stato esteso lo stesso divieto.

C'è poi un terzo punto 'antiebraico', e riguarda le eliminazioni dai posti di lavoro. Direttamente, a quanto so, esse non interessarono questa biblioteca, dove non lavoravano ebrei. Però, per esempio, proprio il sovrintendente Boselli, (che avallò anche l'eliminazione di libri di autori ebrei), aveva sostituito nell'agosto 1937 proprio un'ebrea, Anita Mondolfo: a differenza di quanto è stato scritto, la Mondolfo nel luglio 1937 fu rimossa anche e proprio perché era di religione ebraica e quindi per motivi razzisti. E poi ci furono i licenziamenti. A quanto si può ricostruire, gli addetti delle biblioteche pubbliche governative e delle sovrintendenze bibliografiche considerati ebrei furono in tutto 17 o 18, l'1-2 per cento del totale dei censiti . A Firenze furono tre. Insomma, a Sesto levavano i libri; altrove, le persone. Ed era solo l'inizio di vicende molto più tragiche.

Resta invece misteriosa ma interessante una terza questione relativa agli ebrei. Il Consiglio della Biblioteca, anni dopo, nella riunione del 21 marzo 1942, improvvisamente s'interrogò su alcuni libri da togliere, tra cui quelli degli autori ebrei . In proposito, vennero domandati lumi al solito Carlo Angeleri, che rispose che «disposizioni chiare e sicure non ci sono». In questo caso, la stranezza nasce dal fatto che un divieto, che riguardò effettivamente un grandissimo numero di libri in circolazione di autori ebrei riuniti in un elenco, partì effettivamente, ma due giorni dopo, il 23 marzo . Alle biblioteche, esso fu inviato dall'Educazione Nazionale il 7 maggio. Non sappiamo da che cosa nascesse la precoce «sensibilità» della Circolante di Sesto. Di sicuro l'episodio dà l'idea di quanto fosse avvertita, a quella data, la questione antisemita.

 

Giorgio Fabre

 

 

 

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