La Guerra, l'Esodo e il Natale dell'Arte

 

"L'incosciente è orfano, ateo, celibe." (G. Deleuze, Vincennes, 30.11.1970)

In tutti i passaggi epocali si ripropone l'alternativa fra la Guerra e l'Esodo, fra due differenti modi di intendere la storia e due differenti modi di cambiarla. La via dell'Esodo implica una ridefinizione etica del sapere e la fondazione di una nuova Legge; implica la riformulazione di un patto sociale e la costruzione di un nuovo orizzonte escatologico.

Ci furono, forse, per l'uomo, una 'prima Legge' e un 'primo Codice'. Le Tavole vennero rotte, così noi non conosceremo mai il contenuto di quel primo atto legislativo. Il secondo fu, probabilmente, il commento del primo. Il terzo, il commento del commento.

Occorre considerare il drammatico paradosso che ci è dato vivere in un mondo in cui la scienza e la tecnologia hanno inciso le nuove tavole della legge, hanno stabilito nuovi commenti e sancito nuovi patti. Ed è su queste tavole che oggi si infrangono le certezze e le incertezze della nostra esistenza, il senso della vita e il nonsenso della morte. Abitiamo in mezzo a leggi che non conosciamo, leggi che hanno il potere di mutare, deviare, alterare irreversibilmente il senso stesso del nostro presente e di ipotecare il nostro futuro; leggi che mettono a nudo la nostra fragilità creaturale e fanno da specchio alla nostra dolorosa 'cattiva infinità'. Nella cornice dei nostri dubbi possiamo porre allora solo domande, e compiere un Esodo nel mondo parallelo delle scienze, per interrogarci intorno a ciò che abbiamo vissuto e imparato, e per rinnovare, nella solitudine dei nostri cuori, un'antica domanda: che cosa deve fare un uomo per salvarsi? E perché, infine, deve salvarsi?

Quando particolari condizioni storiche inibiscono l'affermazione di un giusto bisogno, due sono le vie d'uscita: la Guerra o l'Esodo. La Guerra e l'Esodo danno luogo a due differenti avanguardie, e differente è pure il loro modo di intervenire nella storia e di cambiare il mondo. La prima lo fa con i frammenti del vecchio mondo: dopo averlo infranto, tenta di sostituirsi al vecchio potere, conservando e difendendo tuttavia il vecchio status e i vecchi privilegi attraverso l'istituzione di nuove accademie. L'avanguardia dell'Esodo si pone invece al di fuori della prassi del potere costituito, si pone al di fuori dei territori materiali e spirituali del vecchio potere: si situa in uno spazio altro, fra la memoria dolorosa della terra d'Egitto e la speranza inquieta della Terra Promessa, attenta a darsi una nuova ragione del nuovo mondo, per non dover ripetere, anche se in maniera differente, il vecchio mondo.

Tutta la storia della Terra, così come la storia dell'umanità e quella personale di ciascun individuo, può essere letta come un tentativo di Esodo più o meno riuscito. L'Esodo è abbandono di un luogo, di una cultura, di una idea e al tempo stesso promessa di un altro luogo, di un'altra cultura, di un'altra idea. Ma è soprattutto una prassi necessaria, irriducibile ai paradigmi della dialettica, della rivoluzione violenta o della guerra civile, per il conseguimento di una 'Nuova Legge' che ponga le premesse per la costruzione di un nuovo stato di cose. Spogliato di ogni carattere metafisico, l'Esodo appare oggi, sotto il profilo secolare, come condizione immanente di ogni civiltà che rimetta in discussione i fondamenti del proprio sapere, della propria storia e consapevolmente si rimetta in cammino. L'Esodo è frutto di un deliberato atto della volontà: è la risposta concreta a un desiderio e ad un bisogno maturati in condizioni di disagio e di cattività. L'Esodo è dunque uno spostamento reale da un luogo ad un altro, da un mondo chiuso nelle proprie certezze, nelle proprie leggi e nelle proprie consuetudini a un altro mondo da costruire. L'Esodo non è una fuga, ma un progetto di salvezza orientato da una promessa. Un Esodo abbraccia talvolta molte generazioni e spesso smarrisce la sua ragione, il suo senso storico e sconfina nella rivoluzione violenta, nella guerra, nell'assassinio, nella distruzione, nella nostalgia per il passato, nelle mormorazioni malinconiche, nel tradimento o nell'oblio.

Avanguardia di guerra e Avanguardia di pace: la prima esibisce i frammenti e i ruderi della realtà della storia, addolcendo le asperità della frattura con una maliziosa cosmesi; la seconda interiorizza le ragioni dialettiche del mondo per dare un nuovo orientamento al destino dell'uomo visto nella sua irriducibile e imponderabile complessità.

Cosa sia la guerra, ciascuno di noi lo sa, o almeno crede di saperlo: direttamente o indirettamente ne ha fatto esperienza. Quale sia l'Esodo oggi, o se vi sia in atto un Esodo, sotto il profilo antropologico ed epistemologico, questo è il problema che io pongo; e se vi sia poi uno spostamento fisico e concettuale nelle problematiche dell'arte della fine del Secondo Millennio, rispetto a tutta la tradizione del nostro secolo, anche questo mi pare un problema da porre. Certo è che ogni uomo, ogni generazione, ogni epoca vive nell'incertezza fra la Guerra e l'Esodo, fra due differenti modi di intendere la realtà della storia e due differenti modi di affrontarla. Nessuna società, tuttavia, si rivela abbastanza forte e 'virtuosa' per interiorizzare e vivere la radicalità della Legge e dell'esperienza della storia e per dar vita ad una nuova cultura, ad una nuova umanità, ad una nuova arte. Si fanno dei tentativi, si operano dei piccoli spostamenti. In fondo, ciascun uomo porta con sé un pezzo di Egitto, un pezzo di quella storia che aveva rigettato e spesso ad essa ritorna nei momenti di maggiore difficoltà e confusione, quando la fatica della marcia diventa disperazione del presente, e la disperazione del presente offusca la ben più pesante disperazione del passato.

Fra la Guerra e l'Esodo vi è poi una via di mezzo: il persistere indisturbato di uno stato di cose, la cristallizzazione e l'assolutizzazione del potere e delle sue immagini, l'idealizzazione della storia, la santificazione dei simulacri.

 

Il racconto dell'Esodo fonda la sua ragione storica sulla separazione, sullo spostamento, sulla costituzione di un'alterità che s'impone come nuovo soggetto portatore di verità e di storia nel corpo gerarchizzato e anchilosato del sistema del potere. L'Esodo pone il problema politico dell'ampliamento della storia ai molti soggetti che la costituiscono, ai molti soggetti che abitano il mondo. Lo stesso avviene per il Natale. L'Esodo celebra la nascita e l'affermazione dell'identità di un popolo, mentre il Natale celebra la nascita e l'affermazione dell'identità di un individuo che si proclama figlio di Dio e figlio dell'Uomo. L'uno e l'altro hanno come terreno comune lo scandalo e la rottura dell'ordine costituito. Hanno come comune terreno la profezia e l'annuncio di un nuovo stato di cose. L'uno e l'altro infrangono le ordinarie leggi di natura e l'arbitrario potere dello stato, l'infondatezza del diritto, la precarietà e l'ottusità della consuetudine, la volgarità del sopruso. L'Esodo e il Natale si collocano all'interno della stessa storia, sono espressione dello stesso processo antropologico che pone a suo fondamento l'elezione e la chiamata del soggetto. Nel caso del popolo ebraico schiavo del faraone, l'elemento unificante di tale alterità è il dolore. È il grido di dolore che giunge fino a Dio, non la preghiera. È l'afflizione, l'esperienza comune a tutti gli individui che lasciano l'Egitto, la casa di schiavitù, e vanno incontro al loro destino di responsabilità. È l'affermazione di un principio di libertà politica a scatenare l'insubordinazione e la rivolta; è l'intuizione dell'alterità e di un nuovo progetto politico fondato sull'etica della libertà e sull'etica della responsabilità e della giustizia sociale a suggerire la via dell'Esodo e a rigettare quella più immediata e semplicistica della guerra. Il libro dell'Esodo narra la storia dell'affrancamento di un popolo sotto il profilo politico, economico, etico ed estetico. Il livello ontologico della libertà è un fatto puramente soggettivo e scatterà solo in un secondo momento, dopo che ogni parola della Legge sarà stata incisa nel cuore di ciascun individuo. In seguito alle sollecitazioni legislative del primo atto mosaico si costituì l'identità indivisibile del popolo e si posero le premesse per la costituzione dell'unità del vero soggetto della storia, il singolo.

L'Esodo e il Natale rappresentano i due topoi strutturali per la comprensione del tema della rivoluzione in seno alla civiltà occidentale. L'uno e l'altro presuppongono o istituiscono un principio teleologico, una architettura escatologica, l'idea di un principio e l'idea di una fine inscritte in un medesimo segno e disegno, in vista di un nuovo progetto, di un nuovo regno, di un nuovo mondo da realizzare. Il 'Nuovo Testamento dell'Arte' li assume entrambi come modelli concettuali per la comprensione di un processo storico che sopravanza e scavalca la contabilità ordinaria dei calendari liturgici del sistema dell'arte. Ogni civiltà, ogni scienza, ogni forma di sapere, ogni arte ha il suo Esodo e il suo Natale. L'arte del Terzo Millennio costituisce il suo calendario sul 'Nuovo Testamento dell'Arte'. Nella storia dell'Esodo, come nella storia del Natale, possiamo leggere laicamente i segni dello stesso progetto. Nel primo, è il popolo che rivendica e afferma la sua libertà; nel secondo, è l'individuo. Nel libro dell'Esodo si narra dell'uscita dalla terra d'Egitto da parte di un popolo che ricerca l'autonomia politica, economica, etica ed estetica. Il soggetto è quindi il popolo che trionfa sulla tirannide, ma non su se stesso. Nella storia del Natale si narra invece del trionfo dell'individuo su se stesso e sulla morte, ma non sulla tirannide del mondo.

Per noi l'Egitto non è più un'espressione geografica e politica lontana nel tempo e nello spazio, ma il simbolo di una condizione materiale e morale immanente. L'Egitto rappresenta la metafora più calzante per esemplificare i dati costitutivi della realtà del sistema dell'arte, del nostro mondo e dei suoi abusi e soprusi. L'Esodo e il Natale rappresentano la speranza che noi riponiamo in qualsiasi atto germinale e in qualsiasi vita disposta a scommettere su una diversa declinazione della storia.

L'Esodo è il racconto di un viaggio irto di difficoltà, di orrori, di ricadute, di ripensamenti, che ha tuttavia come obiettivo ultimo il raggiungimento di un luogo geograficamente e idealmente determinato dove realizzare la profezia dell'abbondanza, della giustizia sociale, della libertà, della santità. Ma la Terra Promessa, il luogo «dove scorre il latte e il miele», resterà tuttavia tale solo nella promessa. E non sarà né il latte né il miele a promuovere la libertà e a garantire la giustizia sociale, sarà semmai la nuova legge, il nuovo patto sottoscritto nel deserto ai piedi del monte Sinai. Il tradimento di tale patto equivale a una ricaduta nello stato di brutalità e di schiavitù, equivale al ritorno nella terra d'Egitto.

Il Natale dell'arte elegge la carne viva dell'individuo come luogo ove radicare la promessa di salvezza e ristabilire il nuovo patto. È l'individuo e la sua coscienza la Terra Promessa dove scorre il latte e il miele. È l'uomo storico, non l'uomo biologico, il depositario di ogni afflizione, di ogni schiavitù e di ogni affrancamento. È l'uomo storico che deve quindi affrancarsi, non quello biologico. L'Egitto rappresenta il trionfo della divinizzazione di un solo soggetto, di un solo individuo, il faraone, detentore del massimo potere culturale e spirituale. Il suo nome e la sua genealogia vengono sacralizzati e portati in trionfo. Il suo nome e la sua genealogia rappresentano un mondo fatto a immagine e somiglianza del potere e della gerarchia che basa la sua autorità sulla conservazione, sulla prevaricazione, sull'arbitrio, sull'annullamento di ogni altra genealogia, di ogni altra soggettività, di ogni alterità, di ogni altra forma di coscienza e conoscenza del mondo.

L'Egitto viene chiamato «la casa degli schiavi», ma pure «la casa dei morti». L'Egitto incarna il trionfo del simulacro e della morte sulle meraviglie del mondo. E nel nome della morte, per il regno dei morti, come regno dei morti, nasce il primo museo del mondo, la piramide, la prima raccolta sistematica di quella che gli uomini occidentali chiamano arte. L'Egitto esprime il trionfo del potere politico assoluto, che non riconosce altro potere al di fuori e al di sopra di sé. Sulla carne viva e dolorante del mondo e sui bisogni della moltitudine il faraone chiude gli occhi, per riaprirli, in solitudine, nella tomba. L'Egitto incarna l'autoreferenzialità della politica, dell'economia, del potere scientifico e dell'arte. La piramide è la somma di tutto ciò. Ma è tuttavia l'arte che rimane come segno distintivo della casa dei morti. È l'arte a fare compagnia ai morti nel loro viaggio senza ritorno. L'edificazione del regno dei morti impone il sacrificio della 'moltitudine senza storia', intesa come massa amorfa, corpo senza volontà e senza progetto, unità inscindibile, aggiogata e asservita all'adempimento di un disegno di cui non ha coscienza né responsabilità. Il popolo di schiavi è semplicemente il braccio irresponsabile e vile della storia, indegno di costituirsi come altra storia e di impiantare su un altro humus genealogico, che non sia il fango, la propria visione del mondo.

«Questi sono i nomi» (Shemot): con queste parole ha inizio il libro dell'Esodo. Viene riaffermata dunque una genealogia, a sostegno di una diversa identità, di una diversa visione del mondo, di un diverso progetto. La coscienza del presente impone il riconoscimento della memoria storica oltre che biologica. Per poter formulare o progettare un rapporto produttivo con la storia delle cose e degli uomini, storia intesa come flusso ininterrotto di eventi e di nascimenti, occorre pensare a un futuro responsabilmente desiderato, progettato e tenacemente perseguito.

Michelangelo Tomarchio Levi

 

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