Un libertino a Firenze. Chiosa sul gusto settecentesco

 

 

Il marchese Donatien-Alphonse-François de Sade giunge per la prima volta in Italia, sotto il falso nome di conte di Mazan, nel luglio del 1772, in compagnia della cognata, la signorina de Launay (presentata quale sua legittima consorte) e del domestico Latour, fuggendo dalla condanna a morte in contumacia (eseguita tramite effigie) per i reati di sodomia ed avvelenamento in seguito allo scabroso affaire di Marguerite Coste . Il tour, se così si può chiamare, è repentino; de Sade, catturato in Savoia, viene subito condotto il 9 dicembre dentro la fortezza di Miolans. Naturalmente in questo breve soggiorno il latitante marchese non si preoccupa affatto di redigere appunti sistematici (rimangono solo alcuni sparsi scartafacci e notarelle) secondo la diffusa moda dell'epoca, ed è solo durante il secondo viaggio attraverso la penisola che lo scrittore francese inizia a prendere nota intorno ai memorabilia visti ed agli usi e costumi del 'Bel Paese'. Durante questo itinerario, nel 1775, de Sade ha trentacinque anni ed è costretto a viaggiare in Italia, insieme al servitore Carteron, a causa dell'ultimo scandalo libertino, quello definito delle petit filles e, come scrive Bruno Cagli, egli «è al culmine della sua esperienza umana e con il fallimento di questo ennesimo affaire ha concluso anche la sua carriera di libertino, costellata di insuccessi. Ma non è che all'inizio della sua esperienza di scrittore e, come lui stesso si definisce, di filosofo» . Il testo del manoscritto, redatto nella prigione di Vincennes, risulta costituito da un assemblaggio di fugaci appunti, notazioni ed impressioni, privo di revisione e labor limae (il Voyage rimane un libro incompiuto), ma si rivela, tuttavia, alquanto interessante come spunto per una riflessione intorno al gusto estetico del marchese, in particolare, e della seconda metà del Settecento, in generale, per quanto concerne le principali tappe turistiche dell'itinerario: Firenze, Roma e Napoli. Anche se lo scrittore si affida, riguardo ai giudizi di merito circa le opere d'arte, alle considerazioni contenute nelle più diffuse guide del tempo, dal Lalande ai popolari sei volumetti dell'abate Richard , che peraltro critica continuamente, rimproverandone con ironia le molte inesattezze ed imprecisioni , difficilmente è possibile trovare per l'epoca un viaggiatore altrettanto disincantato ed illuminista . Le valutazioni artistiche di Sade risultano tutt'altro che acute ed approfondite, sono anzi assai banali e superficiali , ma possiedono il pregio, col loro carattere ordinario, di offrire un preciso panorama del milieu culturale del diciottesimo secolo. Negli appunti del libertino il classicismo raffaellesco e le morbide sensualità della scuola emiliana, che da Correggio giunge al culmine con Guido Reni (considerato il suo massimo alfiere), costituiscono il vertice e la perfezione del progresso artistico, mentre l'arte medioevale viene puntualmente disprezzata o, al meglio, ritenuta il primo incerto e rozzo prodromo dello sviluppo della pittura , la minima fiammella che condurrà infine ai corruschi soli dell'arte veneta del Cinquecento (Tiziano e Veronese) e della scuola carraccesca, in questo seguendo una comune teoria evoluzionistica e teleologica dell'arte, d'impronta vasariana. A conferma delle preferenze pittoriche di de Sade sia sufficiente leggere le retoricamente ammanierate descrizioni delle eroine nei romanzi dell'efferato marquis, che offrono una idea chiara su quali modelli artistici si plasmino i suoi ideali estetici; valgano quale esempio la povera Justine, stereotipo della venustà classicistica: «questa fanciulla, a tante qualità, univa la bellezza delle belle vergini di Raffaello: grandi occhi bruni, pieni di anima e di sentimento, una pelle dolce e luminosa, la figura elastica e flessuosa, forme armoniose e modellate dalla mano dello stesso Amore, voce incantevole, bocca affascinante, e i più bei capelli del mondo» ; e gli sfortunati giovani eletti per il piacere del duca di Blangis ed allegra brigata ne Le centoventi giornate di Sodoma, delicati e divini ganimedi, come modelli dell'Albani .

De Sade giunge a Firenze nel pomeriggio del 3 agosto, proveniente da Parma e Bologna. La città toscana però non gli suscita grandi emozioni: « È piena di edifici superbi, ma di un gusto gotico e poco gratificante per l'occhio, giacché i palazzi più belli sono tutti di ordine rustico a bugnati, e costruiti con una pietra bruna che gli dà un'aria fosca. Le antiche finestre e la prodigiosa altezza sono tutti elementi che non contribuiscono a dargli un aspetto immediatamente gradevole; ma hanno ciò nonostante molta nobiltà e magnificenza [...]. L'esterno delle chiese è tuttavia meno attraente che nelle altre città d'Italia. Sembrerebbe che tutti gli sforzi si siano concentrati sull'interno, e ce ne sono pochissime che abbiano una facciata. Nella maggioranza dei casi, i portali sono in mattoni, e annunciano che l'opera rimane ancora da finire» . La chiesa più interessante del capoluogo è San Lorenzo, con le «divine» tombe michelangiolesche della famiglia Medici, a proposito delle quali scrive: «Qui non bisogna mancare di vedere la sacrestia nuova. Questa piccola stanza racchiude quanto di più ammirevole ha fatto Michelangelo. Vi si vedono due tombe di straordinaria bellezza. La prima è quella di Giuliano de' Medici. I suoi emblemi sono l'Aurora e il Crepuscolo. Non ci si stanca mai di contemplare queste opere, e alla fine resta solamente il rimpianto che un così grande maestro abbia lasciato questi monumenti incompiuti. È facile immaginare che nessuno sarà abbastanza temerario da porvi mano per dargli l'ultima finitura» . Il culto del maestro di Caprese, continuo ed ininterrotto attraverso i secoli presso i colti turisti amanti dell'arte, in Sade si manifesta pure in un sentito pellegrinaggio alla casa Buonarroti . Sono tuttavia il «tono di colore» e le sensualità suscitate da raffinati giochi cromatici (in ciò accordandosi con le teorie sull'arte espresse un secolo prima dal de Piles), che più suscitano l'ammirazione del philosophe francese; e quindi ecco il tributo accordato al tardo Raffaello del periodo romano ed all'arte veneta del Cinquecento, con Tiziano in primis. Nella galleria di palazzo Pitti de Sade elogia la 'Vergine di Raffaello' (ovvero la Madonna della seggiola) e la Cleopatra di Guido Reni , mentre le perle degli Uffizi sono l'ammaliante Venere di Tiziano e la callipigia Afrodite alessandrina della Tribuna .

Nel capitolo fiorentino del Voyage v'è però un breve passo, assai indicativo, il quale denota come l'estetica dello scrittore non sia poi così pianamente conformata ai dettami del gusto corrente, ma anzi anticipi certe concezioni della nuova poetica romantica, che grande fortuna avranno per lo sviluppo del romanzo gotico ; sempre nella galleria degli Uffizi il marchese annota: «In uno di questi armadi si vede un sepolcro pieno d'innumerevoli cadaveri, nei quali è possibile osservare i diversi gradi della decomposizione, dal cadavere di un uomo appena morto fino a quello completamente divorato dai vermi. Quest'opera bizzarra è stata ideata da un Siciliano di nome Zummo. Tutto è eseguito in cera e colorato al naturale. L'impressione è così forte, che i sensi sembrano comunicare tra loro. Viene naturale portarsi la mano al naso, senza accorgersene, contemplando quest'orribile spettacolo, che è difficile osservare senza che si affaccino alla mente le sinistre idee della distruzione» . Tale morbosa passione (che accomuna l'autore a molte creature dei suoi romanzi), certo anticlassica e derivata (ma non ad esso omogenea) dal barocco sentimento della vanitas, dell'orrido, del macabro e del brutto, lungi dall'essere una eccentrica 'sadica' stravaganza, si inserisce con pieno merito nelle rinnovate meditazioni intorno al concetto del sublime, espresse pochi anni prima dal Burke, il quale nella sua celebre Inchiesta così scrive: «ma sebbene la bruttezza sia l'opposto della bellezza, non è l'opposto della proporzione e della convenienza. Poiché è possibile che una cosa sia molto brutta pur con certe proporzioni e con una perfetta attitudine a determinati scopi. Parimenti ritengo che la bruttezza per sé stessa sia un'idea sublime, a meno che non sia unita a qualità tali da eccitare un forte terrore» . Dunque il brutto è, paradossalmente, più 'bello' del bello; l'elemento difforme, inserito in formoso contesto, costituisce una dissonanza che attrae, intriga l'occhio, mentre la venustà perfetta, banale ed ovvia nella sua abusata e scontata leggiadria, annoia. Siffatte ponderazioni intorno al fascino del brutto, già in nuce contenute nel piccolo brano sulle cere dello Zumbo, vengono successivamente formulate dal marchese con maggiore precisione nelle Centoventi giornate di Sodoma: «d'altronde, la bellezza è semplice, la bruttezza è straordinaria, e ogni immaginazione ardente preferisce, nella lascivia, la cosa straordinaria alla semplice; la bruttezza e la corruzione agiscono con più violenza e l'emozione che provocano è ben più forte, e quindi più viva deve essere l'eccitazione» . La raffinata cultura decadente di Baudelaire, riprendendo le idee del libertino, non mancherà di rielabolarle con più compiuta e sottile acribia ed espressione poetico-filosofica: «quel che non è leggermente difforme ha un aspetto insensibile - ne deriva che l'irregolarità, ossia l'imprevisto, la sorpresa, lo stupore sono una parte essenziale e la caratteristica della bellezza» .

Il dimoramento italiano del marchese, con la sua permanenza fiorentina, può infine a buon diritto essere ritenuto un iniziatico viaggio estetico, nel quale si rafforzano le convinzioni classicistiche dell'autore, ma anche si affacciano nuove stimolanti concezioni, che pongono il gusto di de Sade quale diaframma tra due mondi, ovvero in quel frugifero attimo di trascoloramento dalla apollinea luce del classicismo alle seducenti ombre del nascente romanticismo.

 

Piergiacomo Petrioli

 

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