Pieno di vita

 

A Torricella Peligna, piccolo borgo abruzzese appoggiato a una roccia a quasi mille metri di altezza, c'è chi giura che prima o poi lo faranno. Voglio dire che qualcuno convincerà il sindaco a intitolargli la piazza principale del paese. John Fante, lo scrittore, uno di loro, anche se nato a Denver, al posto di Mazzini o Garibaldi. Ne sarebbero certamente felici tutti i fantiani di Torricella, che ogni lunedì sera si riuniscono per parlare dello squinternato romanziere; seguaci appassionati a tal punto da dedicargli un premio letterario, un centro culturale e persino un festival.

A Torricella Peligna, paesino immerso tra i sassi della Maiella, le cose non dovevano andare un gran che bene se, all'inizio del secolo, Nick e Mary Fante decisero di piantare tutto e partire, in nave, da Napoli: destinazione America. In realtà i Fante non erano poveri, ma presero ugualmente quella via, con una gran voglia di cambiare aria, di raggiungere il Nuovo Mondo.

Ma l'America, i Fante, probabilmente non sapevano nemmeno dove fosse, la conoscevano solo dai mitici racconti di coloro che l'avevano raggiunta, magari facendoci pure fortuna. Tutta gente che però, prima o poi, tornava, perché laggiù, in quel mondo troppo nuovo e diverso, si sentiva come un dito strappato dal corpo. Nick e Mary Fante, invece, trovarono il Colorado un bel posto per mettere su casa, divenendo in breve tempo parte integrante dello straordinario universo degli italoamericani, una di quelle tante famiglie che riuscirono a sentirsi americane senza intaccare la loro identità italiana, forse perch_ le loro origini se l'erano portate via, in valigia. Gente che faceva figli a grappoli e leggeva il "Denver Post", mangiava pasta al forno e andava alla messa ogni domenica, ma non amava il calcio, perché il baseball era la loro grande ossessione. «Dalla sabbia e dai cactus noi americani avevamo eretto un impero [...]. Grazie a Dio era questo il mio paese! Per fortuna ero nato americano!», scrive John Fante in Chiedi alla polvere. John Fante ha rappresentato così, con le sue storie, tutti coloro che vivono con poco ma che non rinunciano a sognare giorni migliori, e tra questi c'erano sicuramente gli italoamericani. E nel raccontare il mondo dei brokkolini negli anni della grande depressione è stato un precursore, visto che lo ha fatto ben prima di tanti scrittori o cineasti di grande fama. Le sue origini lo accompagnarono sempre nel suo mestiere di narratore, con quelle bizzarre storie di aspiranti scrittori, puttane, suore, preti, barbieri, ubriaconi, imbianchini, parenti impiccioni; mariti infedeli che si radono al mattino canticchiando O' sole mio e che non ne vogliono sapere di andare alla messa, mogli sempre in casa, stanche di aspettarli, donne in cerca di marito e ragazzini pieni di sogni di gloria.

La prima stagione letteraria di John Fante è compresa tra la fine degli anni Trenta e i primi anni Quaranta, quando su alcune riviste furono pubblicati alcuni suoi racconti. Nel 1938 uscì il suo primo romanzo, Aspetta primavera Bandini, con il quale inaugurava la saga di Arturo Bandini, geniale, squattrinato, sensibile ma tenace aspirante scrittore di origine italiana. Ad esso fece seguito un anno dopo Chiedi alla polvere, nel quale comparivano ancora le strampalate e luride avventure di Arturo Bandini, tra editori da quattro soldi, locali putrescenti, sbronze colossali, puttane e tristi stanze d'albergo, sempre con il chiodo fisso di scrivere un libro memorabile. Nel 1940 uscirono Dago Red e la raccolta di racconti Una moglie per Dino Rossi, straordinario spaccato della vita di una famiglia italoamericana. Nel 1952 fu la volta di Full of life. Come scrisse Fante alla madre, il libro racconta semplicemente la storia di un uomo e di sua moglie, e come essi diventarono genitori di un bellissimo bambino. Full of life è la sua creazione più divertente e autobiografica: ci sono lui e la moglie Joice (che si sentono bene insieme solo se si amano si odiano per poi infine adorarsi) alle prese con il primo pargolo, e c'è papà Nick, «il più grande muratore della California». Una storia allegra e commovente, fatta di disavventure e momenti felici, di familismo italico e patriarcato, di infinita dolcezza e litigi furibondi, di crisi mistiche e strepitose bevute di vino rosso made in Italy, di lacrime e subito dopo sorrisi a squarciare le nubi. Con questa storia John Fante tocca il punto più alto della sua produzione, raggiungendo fama e ricchezza. Hollywood si accorge di lui e la sua vita cambia. Inizia a scrivere sceneggiature per il cinema, un lavoro grazie al quale non avrebbe più avuto problemi economici, dopo aver fatto tanti lavori umili e aver vissuto tra i rifiuti, mangiando solo enormi arance comprate da un cinese giù in strada, tra la polvere di Los Angelels.

Ma la macchina di Hollywood, la mitica California, la vita agiata nella bella casa di Bel Air, un po' gli mandarono il cervello in pappa. La sua attività di romanziere conobbe un silenzio lungo venticinque anni. Il lungo oblio fu interrotto nel 1977 da La confraternita del Chianti, cui seguì nel 1982 I sogni di Bunker Hill. Solo nel 1985, grazie alla moglie Joice usciranno postumi A ovest di Roma, scritto nel lontano 1936 e Un anno terribile, la storia straordinariamente poetica di un esile ragazzino che vuole diventare un grande del baseball. I sogni di Bunker Hill, un on the road molto 'fantiano', con il solito Bandini protagonista, fu l'ultimo libro scritto da John. Quasi cieco, immobilizzato nel suo letto, dopo che per una terribile cancrena gli erano state amputate entrambe le gambe, lo dettò completamente all'amata moglie Joice: «Questa si che era vita: girare, fermarsi e poi proseguire, sempre seguendo il nastro bianco che si snodava lungo la costa sinuosa, liberandosi da ogni tensione, una sigaretta dopo l'altra, e cercando invano delle risposte nell'enigmatico cielo del deserto», pensa il mitico Bandini.

Morì l'anno seguente, nel 1983, proprio mentre si stavano riaprendo le porte di un nuovo grande inaspettato successo. John Fante è stato infatti riscoperto e riconosciuto come un grandissimo scrittore soltanto agli inizi degli anni Ottanta, grazie ai francesi e a Charles Bukowski. In Italia, se John Fante è ormai un'autore di culto, lo si deve anche a Fazi e Marcos Y Marcos, che hanno pubblicato l'intera produzione edita di John Fante, facendo conoscere ai lettori italiani le splendide storie di uno dei maggiori scrittori del Novecento americano.

I libri di John Fante sono stati puntualmente acquistati dalla Società per la Biblioteca Circolante, da Aspetta Primavera Bandini fino a Tesoro qui è tutta una follia, uscito nel marzo di quest'anno. Questo libro è una raccolta delle lettere che Fante, dall'Europa, spedisce alla moglie rimasta in California. Le lettere sono davvero molto divertenti, sprizzano tutta l'ineguagliabile forza comica del miglior Fante. È la prima volta che lo scrittore italoamericano torna nel suo paese d'origine, e da Roma e da Napoli scrive alla sua famiglia, descrivendo l'Italia con un misto di amore e repulsione, di piacere e disgusto. La Parigi degli anni Cinquanta è invece vista come «la vagina del mondo civilizzato, un posto che trasuda sesso, alcol e disperazione». Insomma, credo che ci sia almeno un buon motivo per andare alla Biblioteca di Sesto Fiorentino, e credo che ci sia almeno un buon motivo per tirar via da uno scaffale un libro di John Fante: il fatto che per una vita intera questo scrittore sia riuscito a guardare il mondo con gli occhi di un ragazzino terribile, maleducato e dolcissimo, capace di sedurre anche un lettore esigente come Charles Bukowsky, artefice principale della riscoperta di Fante: «in una biblioteca continuavo ad aggirarmi per la sala grande, tirando giù un libro dopo l'altro, leggendo qualche riga, a volte qualche pagina, poi per rimetterli al loro posto. Poi un giorno ne presi uno e capii subito di essere arrivato in porto. Mi portai il libro al tavolo con l'aria di uno che ha trovato l'oro nell'immondezzaio cittadino. Le parole scorrevano con facilità in un flusso ininterrotto. Ognuna aveva la sua energia ed era seguita da un'altra simile. Ecco finalmente uno scrittore che non aveva paura delle emozioni. Ironia e dolore erano intrecciati tra loro con grande semplicità. Quando comincia a leggere quel libro mi parve che mi fosse capitato un miracolo, grande e inatteso.» Quel libro era Chiedi alla Polvere e non sorprende il fatto che Bukowski ne fu folgorato. Arturo Bandini non è poi molto distante dal suo Hank Chinaski, un uomo che vede in faccia la sconfitta nel momento in cui è rifiutato e non gli è permesso di essere uno scrittore di successo. Anche su Fante ci sono storie pazzesche che raccontano di debiti e di litigi furibondi con gli editori e con alcuni colleghi scrittori. Aveva un carattere orribile il buon John: viveva e scriveva con le viscere, non credeva in quasi niente, forse nemmeno nella stessa scrittura. Per questo è sempre stato così diverso e lontano dalla beat generation. Ma scriveva da dio, questo è certo. E a proposito di Dio (sempre presente e invocato nelle storie di Fante) e di fede, c'è un libro di cui non ho ancora parlato: si intitola Il Dio di mio padre, una raccolta di appena sette strepitosi racconti, dove uno di questi da solo vale tutto il libro: Primavera. È dedicato a ciò che Fante ha amato di più nella sua vita, oltre alla moglie e ai figli, l'unica cosa in cui da buon americano abbia sempre creduto: il baseball. Primavera è la bellissima storia di due ragazzini pazzi per questo sport, ma è soprattutto un commovente inno alla libertà, all'andare contro le convenzioni, scritto con tutta la poesia di cui Fante era capace. I due amici vivono nel Colorado, dove d'inverno il freddo spacca le ossa e i genitori sognano figli ingegneri o predicatori, mentre i figli sognano di scappare via, al caldo dell'Arizona, dove si allenano i Giants: «Ah, il sole caldo, il cielo azzurro, l'erba verde, l'allenamento con la mazza, i lanciatori che si sgranchiscono… e dopo l'allenamento, una bella doccia calda, poi la cena in un albergo tipo Ritz, e le chiacchiere coi ragazzi come Bobby Thomson e Leo Durocher. E l'indomani, una gran bella colazione, e ancora sole, e niente da fare tutto il giorno se non giocare a baseball. Era così dolce pensarci che faceva male». Così un giorno i due decidono di andarsene di casa, sul serio però. Saltano sul primo camion che passa sulla statale e via, on the road.

 

Lorenzo Fanti

 

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