Il volo degli urubù

Intervista a Gilberto Rovai e Jacopo Gori

 

Iacopo Gori e Gilberto Rovai ci hanno concesso gentilmente questa intervista in occasione della uscita del loro libro Le grida degli Urubù, Gea Edizioni.

Il libro è stato presentato anche presso la sala conferenze della Biblioteca di Sesto lunedi 7 giugno a cura della Società per la Biblioteca Circolante.

Tutti i proventi ricavati dalla vendita de Le grida degli Urubù saranno devoluti alla Associazione Neurofibromatosi di Parma.

Come è nata l'idea di realizzare questo libro? Potete raccontarci come vi siete messi in contatto visto che uno di voi due viveva negli Stati Uniti?

G: Il libro è nato in modo molto naturale. Io ho scritto una lettera al "Vernacoliere" dove esprimevo il disagio di coloro i quali sono affetti da questo tipo di malattia, una malattia cronica di origine genetica per la quale non esiste alcuna terapia, se non chirurgica, e nei confronti della quale non esistono forme di assistenza. La malattia non è curabile; i geni sono stati scoperti solo nel 1992.

Quando si sono manifestati i primi sintomi della malattia?

G: Si sono manifestati a partire dal 1986. Ti faccio un esempio: tutte le mattine mi alzavo ed immediatamente vomitavo. Ho cominciato ad avere forti disturbi all'apparato uditivo, che adesso è perso irrimediabilmente all'80%. Quando fui sottoposto per la prima volta ad accertamenti clinici qui a Firenze, i medici si impaurirono ed alzarono bandiera bianca. Sono stato indirizzato, quindi, verso altri centri; poi con l'aiuto di alcuni parenti e di un cugino di mio padre, che lavora presso il dipartimento per la sicurezza sociale e la sanità, sono stato messo in contatto con alcuni centri all'estero. Mi è stato consigliato di recarmi a Verona presso un centro specializzato.

J: Io e Gilberto eravamo compagni di classe in IV e V ginnasio. Fino ad allora i sintomi non si erano manifestati, lui conduceva un'esistenza normale. Gilberto fu poi respinto in I liceo; siamo stati compagni per tre anni, ma ci siamo mantenuti in contatto. L'anno della maturità di Gilberto, io avevo sostenuto l'esame l'anno precedente, si sono manifestate le prime avvisaglie della malattia. Durante l'interrogazione di greco, Gilberto non riusciva a sentire le domande. La professoressa di greco si allarmò e avvisò i suoi genitori. La scoperta della malattia è stata dunque tempestiva. Il vomito e il neurinoma dell'apparato acustico sono infatti i sintomi tipici dell'NF2. L'NF1 consiste nelle 'macchie di caffellatte' che producono delle escrescenze tumorali benigne. Nei bambini piccoli provoca dei ritardi mentali e dei problemi di apprendimento. L'NF2 è una malattia completamente diversa. Si manifesta in una persona ogni quarantamila. La scoperta è avvenuta, come ho detto, all'età di 18 anni, quando io non ero più a scuola. Ci eravamo persi di vista: io frequentavo l'università ed avevo altri interessi. Poi ho letto quella lettera sul "Vernacoliere".

Cosa scrivesti in questa lettera? Perché hai deciso di scrivere proprio al "Vernacoliere"?

G: Leggo questo giornale dal 1986. Ho sempre seguito la rubrica delle lettere. Vi si rivolgono persone di tutti i tipi e vi si affrontano gli argomenti più disparati; mi è quindi sembrato l'unico giornale di cui potermi fidare. Lo ritengo l'unico giornale libero e serio. Molte lettere erano di tono scherzoso, ma molte affrontavano temi dai contenuti più seri. Mi chiesi quindi se anche la mia esperienza avrebbe potuto interessare il pubblico. Mi decisi ed inviai la mia lettera al giornale. Il direttore quando pubblicò la lettera mi disse di aver apportato alcune variazioni per alleggerire il tono troppo serio.

J: Se leggi la lettera, vedi infatti che Gilberto attacca Craxi e Poggiolini. Purtroppo infatti la malattia di Gilberto non è riconosciuta. La "Gazzetta Ufficiale" del 1987 non riconosce l'NF come una malattia. Gli ammalati non hanno quindi diritto ad alcuna forma di accompagnamento. Gli vengono riconosciute solo 380.000 lire al mese. Il libro è nato essenzialmente per due motivi. Abbiamo voluto raccontare il nostro incontro a distanza di anni, ma soprattutto abbiamo voluto richiamare l'attenzione su questo tipo di malattie. La malattia non è infatti conosciuta. La disinformazione sulla materia è altissima. Un'altra cosa mi ha molto colpito: la vergogna delle persone. Gilberto è riuscito a reagire in modo molto positivo, ma la maggioranza delle persone affette da questa malattia e le loro famiglie preferiscono non parlarne.

Quali passi sono stati fatti per ottenere dallo Stato il riconoscimento della malattia?

G: l'associazione finanzia la ricerca medica, ma soprattutto è impegnata nel campo dell'assistenza, purtroppo ancora molto carente. Come è stato detto in precedenza la neurofibromatosi non è riconosciuta come malattia grave, pur essendo una malattia acuta e cronica. La burocrazia ragiona in un modo, il malato in un altro. Provate a chiedere alle persone colpite da neurofibromatosi se questa malattia è grave oppure no.

J: Il problema più grave di questa malattia è che purtroppo in Italia non esiste alcun esperto. In passato ci sono stati alcuni medici che si sono occupati in modo specifico del problema. Adesso se ne occupano per lo più dei pediatri specializzati in genetica, ma la malattia è talmente particolare (alterazione dei cromosomi 14 e 17) che le conoscenze attuali sono limitate. La ricerca è assai più avanzata negli Stati Uniti; in Italia molto spesso si stenta a riconoscere la malattia. A Gilberto la malattia è stata diagnostica a 18 anni, ma se gli fosse stato fatto un esame oculistico appropriato la diagnosi sarebbe stata precoce (la presenza di alcuni granulomi nella palpebra è uno dei sintomi caratteristici dell'NF).

A Firenze è presente l'associazione per la lotta alla neurofibromatosi?

G: Purtroppo nel solo comprensorio fiorentino esistono ben 5 associazioni diverse che si occupano del problema. Si corre il rischio di disperdere le energie: la NF è la più grande, ma noi recentemente siamo stati ad una riunione di associazioni a Lastra a Signa a cui erano presenti 6 persone. Molto spesso poi tra queste associazioni si sviluppa una vera e propria lotta di prestigio che nuoce solo agli ammalati.

Qual è il significato del titolo del libro?

G: La nostra intenzione era quella di fare un titolo di pura fantasia che potesse servire soprattutto da richiamo e che non facesse intuire quale realtà si cela dietro la malattia. I titoli a cui avevamo pensato erano molti, ma nessuno in particolare ci sembrava adatto. Guardando la televisione ho avuto modo di assistere ad una trasmissione condotta da Giorgio Celli alla quale partecipava un allevatore di urubù. Scorrendo i sottotitoli di televideo mi colpì il nome di questo animale. Fu una specie di folgorazione. Comunicai la mia idea all'altro autore descrivendogli il carattere di questo animale. Si tratta di un rapace che vive nel continente americano; è un animale particolare, non un rapace dall'aspetto fiero, come l'aquila o il falco. Ho cercato di evidenziare cosa mi aveva colpito dell'urubù anche nella prefazione del libro: quando un'aquila o un falco individuano una preda si gettano in picchiata e la catturano; l'urubù preferisce aspettare ai margini dei villaggi e rovistare tra i rifiuti dell'uomo. Mi è sembrato che il modo di vivere dell'urubù rispecchi in parte il modo di essere di chi vive ai margini.

J: Ci sono più motivi che ci hanno fatto decidere per questo titolo. Come l'urubù anche noi lavoriamo ai margini. Non è possibile affrontare la questione di petto: come ci è stato detto da un avvocato è impensabile poter vincere qualsiasi causa finché la neurofibromatosi non verrà riconosciuta come malattia. Di fronte a considerazioni del genere è preferibile, come dicevo, lavorare ai margini, anche con ironia, denunciando la situazione. Gilberto poi aveva a casa un libro intitolato Le grida del gabbiano, scritto da una autrice francese, non udente fin dalla nascita, che in Francia ha avuto un gran successo. Ora, ci siamo detti, non siamo gabbiani ma urubù e il passo è stato breve: dalle grida dei gabbiani alle grida degli urubù. Anche noi urliamo, dai lati è vero, ma anche noi vogliamo far sentire la nostra voce e gridare le nostre ragioni.

G: Il titolo scelto esprime al meglio le due esigenze che sentivamo come più importanti: da un lato quella di trovare un titolo fantasioso, scherzoso, dall'altro quella di parafrasare il titolo del libro di una sorda più famosa di me, che in Francia è stata molto apprezzata, al punto di ricevere alcuni premi anche in campo teatrale.

Mi è piaciuta molto la parte del libro intitolata "L'ultimo socialista". Emerge la tua formazione universitaria presso la facoltà di Scienze politiche.

G: Da un lato, come tu dici, emerge la mia frequentazione universitaria, dall'altro ho voluto far emergere le mie inclinazioni così come si erano formate in precedenza.

J: La tesi di Gilberto è depositata presso la Fondazione di Ragionieri di Sesto Fiorentino.

G: La mia tesi aveva ad oggetto un autore francese, Paul Latergh, genero di Karl Marx. Il mio relatore è stato il professor Vittore Collina, correlatori sono stati i professori Sergio Caruso e il dottor Claudio De Boni. Il titolo della tesi è: Il socialismo di Paul Latergh tra divulgazione e pamphlet.

Il libro è stato scritto a quattro mani?

J: Si il libro è stato scritto a quattro mani. Le modalità con le quali si è sviluppato sono molto particolari. Si tratta di discorsi che io e Gilberto facevamo in totale libertà. Gli editori ci hanno infatti chiesto di ordinare questi discorsi che non avevano alcuna coordinazione.

Vi siete rivolti ad un editore fiorentino?

J: Questo libro è nato in modo molto strano. Io lo definisco un libro naïf. Io lavoravo a San Francisco, dopo aver letto la lettera di Gilberto sul Vernacoliere abbiamo cominciato a scriverci. Ho fatto leggere alcune lettere ad un amico che viveva a San Francisco, Giacomo Mattioli. Una sera a cena gli parlai della necessità di trovare un editore per questo libro. Giacomo mi disse che lui aveva una casa editrice e che sarebbe stato disposto a pubblicare il libro. C'era il problema della presentazione: ci siamo così ricordati che la madre di Pieraccioni è una amica intima della famiglia di Gilberto. Leonardo si è offerto spontaneamente di aiutarci. È un libro che non ha alcuna pretesa letteraria. Si tratta di una denuncia, di uno scherzo, di bischerate in libertà. È un libro scritto in libertà che spero possa divertire i lettori. Si parla di amore e di amicizia, ma anche di politica, argomento molto caro a Gilberto.

Graziella Calabrò e Lorenzo Fanti

 

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