DEL CONSIGLIO DI COMUNITA' DI SILIQUA
TRATTO DALLA TESI DI LAUREA:
L'attività amministrativa dei Consigli di Comunità delle ville di Sanluri,
Sardara e Siliqua in periodo sabaudo.
di ISABELLA PISTIS - ANNO ACCADEMICO 1998/1999
Situazione storico - geografica e socio - economica del territorio.
Siliqua, paese in provincia di Cagliari, apparteneva al tribunale di prima istanza di
Cagliari, al mandamento di Villamassargia e alla curatoria di Decimo.
Posto sulla sponda del rio del Cixerri
detto Canadonica, è protetto ad
est da alcune basse colline, a nord-est dalle montagne di Villacidro e Domusnovas e a
nord-ovest da quelle di Villamassargia.
Il clima era variabile e le piogge frequenti d'inverno. Spesso la presenza della nebbia,
danneggiava non solo le coltivazioni ma rendeva l'ambiente umido e malsano.
Poche sono le notizie storiche che riguardano Siliqua.
E' probabile che in questo territorio esistessero molti nuraghi. Ne è rimasto solo uno
nella regione "Poadas",
in gran parte demolito. Pare che esistesse una popolazione nel territorio dove si trova la
chiesa di San Giovanni Saruis,
fuori Siliqua la cui distruzione si pensa sia avvenuta molto prima del XIV secolo.
Un'altra popolazione sembra sia esistita dove si trova la chiesa dedicata al San Giacomo e
ancora un'altra nella regione Sebatzus dove
esisteva la chiesa ora distrutta di Santa Maria (di quest'ultima esistono delle
memorie).
Si dice poi che questa popolazione si sia ritirata in Siliqua.
Al centro di una vastissima pianura domina isolata una collina di forma conica,
sulla cui sommità era stato edificato un castello.
Il suo nome è "Castello di
acqua fredda", chiamato così per una sorgente di acqua fredda
che sgorga da sotto la collina.
Di difficile accesso, era considerato un castello sicuro e protetto.
Esistono ancora parte delle mura, all'interno delle quali tre cameroni a volta e alcune
cisterne.
E' un celebre castello del medioevo, allora proprietà dei Pisani signori della
Gherardesca, padroni anche del Giudicato di Cagliari.
Si racconta che il Conte Ugolino della Gherardesca, condottiero e uomo politico, sconfitto
dalle truppe dell'arcivescovo Ruggieri, una volta espulso dal feudo (1288) sia stato
rinchiuso in questo castello assieme a due figli e due nipoti che vennero poi lasciati
morire di fame.
Lo ricorda Dante Alighieri nel XXXIII canto dell'inferno.
Il territorio di Siliqua è molto esteso, computato in 40 miglia quadrate.
Vasta è la zona che comprende le montagne: Camboni,
Camboneddu, Fenugus, Zinnigas, Bacus de Moi, Maurreddu sa Sedda deis Olionis,
comprese tutte, nel gruppo delle montagne nuoresi.
La cima più alta è Cepara, dalla
cui sommità si vede un vastissimo orizzonte.
La vallata più estesa è quella in cui scorre il fiume Cixerro, nel quale si
gettano due rivi:uno che nasce dal monte Mira, scorre ai piedi del monte su cui
sorge il famoso castello di "Acqua fredda",
l'altro alla sua sinistra proveniente dai monti di Vallermosa.
Sempre nella zona montuosa si trovano moltissime sorgenti di abbondante acqua finissima.
Siliqua infatti è ancora oggi rinomata per le sue sorgenti di acqua potabile.
Dai dati rilevati da alcuni censimenti risultava che nel 1821 gli abitanti di Siliqua
erano 1533, nel 1824 erano 1412, nel 1838 risultavano in aumento con 2099 anime, nel 1844
risultavano invece in diminuzione con 1937anime e nel 1848 erano invece 1878.
Dal censimento del 1846 risulta invece che gli abitanti di Siliqua erano 1937 di cui 479
famiglie e 426 case.
In totale i maschi erano 1021 e le femmine 916, le nascite 70, i morti35 e i matrimoni 18.
La scuola primaria restò chiusa diversi anni per la mancanza del precettore, ma una volta
riaperta fu frequentata da appena 15 fanciulli.
Si potevano contare in tutto il paese appena 40 persone che sapevano leggere e scrivere.
Si dice che i siliquesi fossero un popolo molto superstizioso e che ancora oggi credano
nella magia e nei malefatti. Erano devoti ai Santi Giovanni
Battista di Saruis, San Giuseppe Calasanzio, San Giacomo, San Sebastiano, S.
Antonio da Padova perché ad essi sono dedicate le diverse chiese esistenti
nel territorio di Siliqua.
La chiesa parrocchiale è dedicata a San Giorgio martire
e veniva amministrata da un vicario e da due vice parroci. Apparteneva alla giurisdizione
dell'arcivescovo di Cagliari.
L'archivio comunale di Siliqua, come quello di Stato di Cagliari, mi hanno fornito
documenti sufficienti per conoscere la realtà socio economica del paese e le diverse
funzioni amministrative del Consiglio Comunitativo, nel periodo storico preso in esame.
Mancanza di fondi.
Siliqua era un paese molto povero e qualsiasi iniziativa sociale, anche la più
semplice, diventava oggetto di discussione da parte del Consiglio di Comunità, perché
mancavano i fondi per la realizzazione di qualsiasi progetto.
Si cercava tuttavia di accogliere le richieste e di risolvere i vari problemi, che si
presentavano sempre più numerosi e spesso complicati. Il più delle volte si recuperavano
i fondi tra gli abitanti della stessa comunità.
Uno di questi problemi era come pagare, per l'incomodo, la famiglia che ospitava in casa
il predicatore quaresimale.
Era usanza che il sindaco ogni anno contribuisse alle spese con 12 scudi sardi ma poiché
si pretese l'aumento di altri 4 scudi, non si trovò nessuno, in tutto il villaggio, che
accogliesse il predicatore con meno di 16 scudi.
Il sindaco eletto apparteneva all'ultima classe (dei poveri) e dispose perciò che tale
somma fosse diramata fra tutti gli abitanti del villaggio.
Altra discussione da parte del consiglio comunitativo era come poter stipendiare
l'organista, dopo che vennero pubblicati i nomi di coloro che si rifiutavano di
contribuire a tale stipendio.
La motivazione esposta alla Regia segreteria di Stato era che fin dal 1820 lo stipendio
per l'organista veniva corrisposto tramite una dirama ed era giusto che la spesa fosse
ripartita secondo le liste di riparto formate all'inizio della contribuzione.
Il vicario parrocchiale ebbe l'autorizzazione di far contribuire tutt8i indistintamente,
perché si trattava di una tassa esigua e aveva un significato religioso. I renitenti
dovevano versare la quota entro due giorni.
Lo stesso problema si presentò nel 1843, allorquando la comunità, per le misere
condizioni, chiese al Consiglio di Comunità, di provvedere allo stipendio dell'organista
e alle spese per la riparazione dell'organo.
Al rifiuto, il Viceré dispensò la comunità di Siliqua dal pagamento del salario.
Un altro fatto in cui traspare quanto fosse alto l'indice di povertà di Siliqua, fu la
difficoltà che il Consiglio Comunitativo incontrò nel pagare l'affitto dei locali per
l'attività del giudice del mandamento.
In tutti i villaggi del regno era stato stabilito che si dovessero destinare tre camere
per l'esercizio delle funzioni giuridiche del mandamento.
Proprio il giudice di mandamento richiese al Consiglio di Comunità un certificato dal
quale risultasse che ogni anno la comunità avesse pagato 18 scudi sardi per l'affitto del
locale.
La comunità sosteneva che non era tenuta a pagare una cifra così alta e gli altri
comuni, annessi al mandamento, dovevano contribuire anch'essi alle spese d'affitto.
Su richiesta dell'Intendente Provinciale, il Consiglio di Comunitativo di Siliqua
trovò tra le case del villaggio le tre stanze per le funzioni giuridiche, stabilendo un
affitto annuo di 17 scudi e 10 soldi.
Il villaggio di Siliqua pur non essendo capoluogo di mandamento, dovette corrispondere per
l'affitto 8 lire sarde e 8 soldi come gli altri componenti la giudicatura.
Il dilagare della povertà della comunità di Siliqua era motivo di preoccupazione per il
Consiglio Comunitativo.
La classe povera era assai numerosa e si lamentava non solo per le conseguenze dovute alle
calamità naturali, ma anche per la mancanza del lavoro giornaliero.
IL Consiglio Comunitativo, riunito in giunta doppia, cercò di alleviare in parte la
desolante miseria della popolazione e fece alcune proposte che inoltrò al Viceré:
- proibire di chiedere l'elemosina ai forestieri;
- permettere il libero taglio della legna nelle selve demaniali e poter vendere poi la
legna e il carbone a Cagliari e dintorni;
- permettere la dilazione per il pagamento dei regi contributi comunali e feudali fino al
termine del raccolto.
L'intendente Generale accordò tale soluzione solo per le persone ritenute veramente
povere e impossibilitate a pagare alcuna quota dovuta.
Non si poteva accogliere la proroga per tutti, in quanto altri paesi, con gli stessi
problemi, avrebbero inoltrato le stesse richieste a danno delle regia cassa.
Opere pubbliche
In seguito alle forti piogge invernali, nel villaggio di Siliqua si verificò il crollo
del ponte "Sa Mitza" che
permetteva col valico del fiume, di accedere alle proprietà.
Il Consiglio Comunitativo chiese l'autorizzazione per il ripristino del ponte e
l'Intendente Provinciale accettò che si facesse un sopralluogo da parte di un ingegnere
di fiducia.
Poiché era difficile trovare un ingegnere disposto a recarsi nel luogo per studiare i
lavori in tali circostanze, si stabilì nel frattempo di utilizzare una barca che
permettesse la comunicazione da una sponda all'altra del fiume.
Il giudice del mandamento accettò la proposta di riparare il ponte e ritenendo il fiume
troppo pericoloso nei periodo di piena,
negò l'utilizzo di una barca.
Si chiese allora ai comuni vicini, ai quali interessava la riparazione del fiume, di
contribuire almeno al taglio del legname necessario.
Per le spese dovute all'impresa e per la manodopera, si sarebbero dovute pagare alcune
rate da inserire nei bilanci degli anni successivi.
L'ostacolo maggiore era però la mancanza di fondi da parte del comune. Il Genio Civile
del distretto di Cagliari, al quale spettava l'autorizzazione definitiva di tutte le
proposte fatte nelle varie sedute del Consiglio di Comunità, autorizzò di procedere alla
riparazione e al restauro del vecchio ponte, unico valico capace di trasportare non solo
passeggeri, ma anche il bestiame e qualsiasi tipo di veicolo.
Anche il Viceré autorizzò i lavori di riparazione del ponte, nel rispetto delle spese
necessarie e delle modalità nel reperire la somma dovuta.
Cause civili.
I problemi per il villaggio di Siliqua sembravano non finire mai.
Alla povertà, alla mancanza di lavoro, si aggiunsero anche i cattivi rapporti con i paesi
confinanti.
La comunità di Siliqua, da sempre, si lamentava che il salto di "San Giovanni Saruis" che si trovava nel
proprio territorio, anche quando era destinato a vidazzone,
veniva occupato dal bestiame dei proprietari di Decimomannu e Villaspeciosa, il quale
lasciato pascolare liberamente distruggeva i seminati e quant'altro.
Tanti furono i ricorsi fatti dal Consiglio Comunitativo per tali abusi, al Magistrato, al
Reggidore di Villacidro e alla Regia Segreteria di Stato di Cagliari.
Con decreto del 1829 si stabilì che le comunità di Decimo e Villaspeciosa, potessero
usufruire del salto di "San Giovanni Saruis"
a patto che il bestiame non danneggiasse i seminati dei siliquesi.
Tale diritto veniva confermato dalla Regia Delegazione e dalla Reale Udienza nelle due
sentenze del 25 gennaio 1812 e del 3 luglio 1829. Si permetteva così ai siliquesi di far
pascolare nel salto solo un certo numero di capi di bestiame, mentre Decimomannu e
Villaspeciosa avvalendosi del diritto di pascolo sancito nel 1829, potevano introdurre
liberamente il proprio bestiame.
Ancora una volta si cercò di conciliare tali disposizioni.
Si chiese ai ministri di giustizia di nominare dei periti che con i dovuti sopralluoghi
aumentassero all'interno della vidazzone i terreni adibiti a pascolo per tutto il bestiame
rude, risarcendo gli eventuali danni causati ai seminati.
Vennero così fissate, nel 1841, le nuove delimitazioni del territorio e stabiliti i
confini delle tre comunità.
Siliqua si vide espropriata della metà dell'estensione territoriale che venne incorporata
ingiustamente nei territori degli altri due comuni.
Per porre fine alla lite venne inoltrata una causa civile e la comunità di Siliqua
contribuì a tutte le spese per il procedimento giudiziale.
Ancora nel 1845 la disputa continuava.
Il Consiglio di Comunità di Siliqua volle far valere le proprie ragioni, ricordando che
l'Ingegnere Varoni nel 1843 preparò la planimetria del territorio, delimitando il salto
di "San Giovanni Saruis"
e fissando così i giusti confini con i villaggi di Decimomannu e Villaspeciosa.
Tali confini esistevano fin dall'antichità e furono riconosciuti anche dal Varoni, il
quale li definì, li lesse e li fece approvare con giuramento davanti a probi uomini, ai
consiglieri e al giudice della Reale Udienza.
S.E. approvò le amichevoli trattative, ordinò la divisione e la consegna delle
proporzioni territoriali stabilite per ciascuna comunità.
Ma l'Ingegner Amoretti al quale fu affidato il compito della divisione di quel salto,
riformò di nuovo i limiti a suo piacimento.
Siliqua perdeva così più di 700 starelli di terreno agricolo.
Il Consiglio di Comunità, amareggiato per la grossa perdita, supplicò ancora una volta
il Viceré affinché ordinasse all'Ingegner Amoretti di rispettare le delimitazioni
stabilite dal Varoni, risparmiando così la comunità di una grossa perdita.
Sconfinamenti e richieste di affitto di alcuni terreni.
La mancanza di terreni coltivabili, dovuta alla presenza di montagne e colline rocciose
era un altro motivo che riduceva la popolazione del villaggio di Siliqua alla miseria e
povertà.
Questo era un problema molto antico e lo testimonia il fatto che esistono documenti fin
dal 1801 quando il Consiglio di Comunità ne faceva oggetto di discussione nei lavori di
assemblea.
Si cercava di risolvere il problema facendo richiesta di affittare i vacui della vidazzone al Reggidore del marchesato di Villacidro e quindi
al viceré.
Molte erano anche le richieste per ottenere la
divisione dei terreni demaniali. Questi però, trovandosi nella zona di Villamar,
Villaputzu, Uta, Decimo, senza limiti ben definiti erano contesi da questi villaggi e
davano origine a liti e lunghe cause civili.
Alcune volte si richiedeva anche la divisione di piccole montagne sebbene adatte solamente
al pascolo.
Altro problema che gli abitanti di Siliqua non riuscivano mai a risolvere era quello di
preservare i propri terreni seminati, le vigne, i poderi chiusi, dagli sconfinamenti di
bestiame forestiero.
La compagnia barracellare che aveva il compito di vigilare e di impedire il pascolo
abusivo, spesso non riusciva a conciliare le necessità dei pastori di Siliqua con quelle
dei forestieri.
Altre volte essi simulavano contratti di soccida a
danno però dei pastori del luogo.
Le richieste erano pertanto sempre le stesse: l'espulsione del bestiame forestiero dal
pascolo nei terreni di siliqua oppure permettere il pascolo a tutto il bestiame nel tempo
in cui esso era abbondante cioè da maggio a ottobre. Negli altri sei mesi dell'anno
permettere il pascolo solo al bestiame del luogo.
Le lamentele e i ricorsi da parte degli agricoltori erano assai frequenti per la
negligenza della compagnia barracellare che permetteva ai pastori di far pascolare il
bestiame nei terreni seminati a grano, nelle vigne e nei terreni chiusi lasciando impuniti
i responsabili.
Ai danni arrecati ai seminati, si aggiungeva il fatto che i porci intorbidivano le acque
utilizzate per abbeverare il bestiame, soprattutto nei periodi di siccità.
Il censore locale Raffaele Bachis Mereu per porre rimedio a questo cattivo operato, chiese
alla curatoria un delegato che risiedesse sul posto onde evitare non solo i danni che le
bestie giornalmente arrecavano ai terreni coltivati ma soprattutto punire i pastori che
non rispettavano le zone vietate.
Nonostante le richieste per avere un delegato sul posto, rimase ancora un unico delegato
responsabile che governava la curatoria di Decimo e che solo saltuariamente si recava a
Siliqua.
A questo si chiedeva di punire alcuni pastori abusivi e ancora impuniti, sorpresi con le
loro greggi nel salto di "San Giacomo".
La richiesta per la nomina di un delegato sul posto continuò, come pure continuavano ed
aumentavano i danni arrecati dal bestiame nei vacui seminati.
Altro grave e dannoso problema, per i contadini di Siliqua, fu l'appalto dei pochi vacui
esistenti nella vidazzone.
Il consiglio di Comunità rivolgendosi a S.E. e al magistrato della Reale Udienza, volle
far conoscere i danni che tali appalti arrecavano alla comunità si Siliqua.
Durante una prima udienza per discutere il problema degli appalti, molti consiglieri,
essendo pastori e badando più ai propri interessi che al bene comune, votarono in favore
dell'appalto dei vacui.
Il Consiglio di Comunità si spaccò in due: favorevoli e contrari.
Nella seconda giunta, presieduta dal Maggiore di Giustizia e alla presenza dei probi
uomini, pastori e proprietari terrieri, il censore ottenne il divieto di pascolo nei vacui
della vidazzone.
Nonostante però il divieto, le multe e le infinite liti tra contadini e pastori, gli
abusi continuavano.
Ai pastori di Siliqua si aggiunsero poi anche alcuni pastori provenienti da Fonni che con
le loro greggi, distruggevano i raccolti nelle vidazzoni.
Il corpo barracellare accusò spesso i pastori di machizia
e tentura, ma essi nonostante le multe continuavano a introdurre il
bestiame nei vacui di "Casteddu"
e "Puadas".
I pastori dal canto loro, pretendevano l'appalto di questi vacui offrendo 51 scudi sardi
mentre il valore ammontava almeno a 200 scudi sardi.
Il numero delle pecore era di circa 4000 capi e per questi occorrevano almeno 400 o 500
starelli di terreno. I vacui dunque erano ristretti per contenere un tale numero di pecore
e così esse sconfinavano, invadendo e distruggendo i seminati vicini.
Il censore locale e il tenente dei barracelli si opposero all'introduzione del bestiame
nella vidazzone .
Intanto le cause giudiziarie tra contadini e pastori continuavano e nel febbraio 1844
furono tutti invitati a comparire davanti al magistrato della Reale Udienza.
Le due parti si contrapposero.
I contadini accusavano i pastori di aver fatto devastare con il loro bestiame vigne,
terreni, seminati e quant'altro.
I pastori affermavano invece di aver fatto pascolare il proprio bestiame solo nelle zone a
loro destinate.
Si stabilì infine il divieto di pascolo fino alla fine del seminerio.
Secondo l'articolo 1 e 7 del capitolato barracellare la compagnia barracellare era tenuta
a rispondere di qualsiasi danno e furto arrecato ai terreni chiusi e vigne esistenti nei
salti della vidazzone e precisamente: il prato
"Su Campu Mannu" con
l'eccezione di "San Giuseppe"
e "Bausulana", quello di
"Mattiscedda" delle aie
"Cun is Concalis di Berce Forru"
di "Monteavena" di "Zinnigargiu" e quello delle vigne di
"Guduri".
Ma la richiesta di appalto dei terreni nelle campagne di Siliqua si presentava
puntualmente ogni anno.
Il Consiglio Comunitativo quasi sempre rinnovava il contratto di appalto ai pastori
forestieri proprietari di bestiame ovino.
Col ricavato dell'affitto si davano ogni anno 50 scudi sardi all'erario baronale, col
rimanente invece si cercava di realizzare opere di pubblica utilità.
Per questo motivo, sin dal 1812, si progettò sul fiume Cixerri la costruzione del ponte
"Sa Mitza", crollato per
le forti piogge, tanto necessario perché permetteva non solo di recarsi nei terreni
situati nell'altra sponda, ma di attingere l'acqua potabile dall'unica sorgente situata
oltre il fiume.
La costruzione del ponte richiese molto tempo a causa delle interruzioni dovute
all'utilizzo di materiale scadente che rendeva il transito alquanto pericoloso e insicuro.
Molte donne a causa di queste mezze travi, sistemate sopra i pilastri, caddero nel fiume
con le brocche piene d'acqua.
Appaltare i vacui ormai era ritenuto una necessità specialmente quando il pascolo era
scarso e il bestiame ovino molto numeroso.
Era vietato però il subappalto per evitare l'introduzione di un numero eccessivo di
bestiame.
I contadini si lamentavano sempre: i pastori con le loro greggi vanificavano il loro
lavoro.
Anche la compagnia barracellare si schierava a loro difesa.
Le dispute tra consiglieri. probiuomini, compagnia barracellare, giudice locale, nonchè
tra pastori e contadini non si arrestavano mai.
Il problema era sempre lo tesso: l'appalto dei vacui della vidazzone,
ma soprattutto quello di "Poadas"
e "San Giacomo".
Si chiese l'intervento del viceré il quale, considerando che il voto sull'appalto dei
terreni doveva avere il massimo dei consensi e della pluralità, dichiarò nullo l'appalto
ottenuto dal Consiglio.
Subito dopo il luogotenente pubblicò il bando e obbligò l'immediato ritiro del bestiame
dai vacui entro 24 ore.
I pastori e i consiglieri favorevoli all'appalto dei terreni non si arresero. Si rivolsero
nuovamente al Governo e chiesero non solo la proroga dell'appalto dei terreni, per un
certo numero di greggi, ma dichiararono pretestuose le ragioni di coloro che si opponevano
agli appalti.
Secondo le loro ragioni, si trattava di persone invidiose perché non essendo proprietari
di bestiame, non conoscevano affatto le necessità e le ragioni dei pastori.
Non solo, il ricavato dell'affitto dei terreni andava a vantaggio della stessa comunità
di Siliqua.
Alle liti si aggiunsero le ingiurie, le querele, i complotti.
Le sedute del Consiglio Comunitativo degeneravano in scontri verbali molto forti e spesso
si concludevano con un nulla di fatto.
Alcune volte mancava addirittura il numero legale dei consiglieri per le votazioni e
quelli favorevoli all'appalto erano sempre più determinati, nonostante il sindaco
schierato per il no, minacciasse di esonerarli dall'incarico.
Si chiese dunque l'intervento del Governo affinché si riprendesse il dialogo e si
cercasse la convenienza o meno di appaltare i terreni.
Gli animi dei consiglieri si inasprirono sempre più specialmente contro il sindaco,
Antonio Porcu che con delibera, espose pubblicamente la cattiva condotta di alcuni
consiglieri.
Ma nel 1847, la sera dell'11 aprile, avvenne un fatto che suscitò grande clamore.
Un bel gruppo di persone, armate di pertiche e bastoni, fece irruzione in casa del
sindaco, Amatore Melis, costringendolo con la forza a recarsi in casa del segretario
comunale, Celestino Basso, fare una seduta consolare e richiedere l'appalto dei vacui,
sottoscrivendo poi l'atto di approvazione.
I ribelli furono subito accusati di atto criminale e denunciati all'autorità giudiziale
di Sua Maestà.
Il giudice di mandamento, non essendo a Siliqua il giorno in questione, non poté
verificare di persona il fatto.
Risultò però vero che molti pastori poveri e affamati, accorsero la sera dell'11 aprile
a casa del sindaco per chiedere l'appalto dei vacui ma non fecero alcun disordine e si
ritirarono pacificamente, dopo l'ordine del capitano dei cavalleggeri.
Il viceré pertanto, non considerò il fatto come una sommossa, ma una legittima protesta
dei pastori che chiedevano l'affitto dei terreni a causa della cattiva annata per il
pascolo del loro bestiame.
I fatti dunque non erano stati così gravi da meritare un provvedimento criminale e quindi
l'arresto come volevano far credere coloro che si preoccupavano più dei loro interessi
che del bene pubblico e della classe povera.
Il catasto.
In conformità alle disposizioni della viceregia circolare del 3 aprile 1843, vennero
pubblicate le normative per procedere alla riforma del catasto.
Il Consiglio Comunitativo di Siliqua aveva così il compito di verificare i beni dei
propri villici.
Si fece il pubblico bando, si prepararono gli appositi tiletti e si spedirono al giudice
del mandamento le requisitorie di tutti coloro che possedevano beni immobili in Siliqua ma
risiedevano il altri villaggi (Villamassargia, Villaspeciosa, Decimomannu, Villacidro).
Dopo 30 giorni dalla pubblicazione delle suddette disposizioni, ogni proprietario di beni
di Siliqua, doveva comparire davanti al Consiglio e denunciare tutti i beni stabili,
capitali censiti, canoni alle regie finanze, chiese, cause pie ecc.
Terminate le denunce sul reddito, il sindaco, i consiglieri, i probiuomini e il giudice
del mandamento accertarono la veridicità delle dichiarazioni fatte.
Non trascorse molto tempo che il Consiglio di Comunità si riunì per la ratifica delle
denunce di tutti i beni stabili del catasto.
Furono invitati a comparire di nuovo tutti i possidenti, dal sindaco ai consiglieri ai
probiuomini al più piccolo proprietario di beni, per giustificare il valore assegnato a
questi stabili, secondo gli accertamenti corrispondenti, tutti i possidenti sottoscrissero
la normativa.
Economia
(.......) Anche a Siliqua le attività prevalenti erano legate all'agricoltura e Alla
pastorizia. Si coltivavano tutti i tipi di creali in appena 1/4 della vastissima
pianura di circa 16 miglia quadrate.
I terreni erano fertilissimi e in quei pochi lavorati si utilizzavano metodi di lavoro
inadeguati e poco redditizi.
Pochi erano gli orti. Nei terreni seminati si producevano: 2000 starelli di grano, 500 di
orzo, 200 di fave, 60 di legumi e 40 di lino.
I vigneti erano situati in terreni poco favorevoli, nonostante l'esistenza di altri siti
migliori. La qualità del vino era scarsa.
Si potevano contare circa 20.000 ceppi di alberi da frutta. Primeggiavano peri, alcuni dal
gusto assai delicato
Scarseggiavano gli agrumeti a causa della cattiva distribuzione dell'acqua. Infatti
durante l'estate veniva utilizzata per lo più dai coloni di Domusnovas e Musei.
Gli oliveti erano pochi, nonostante la vegetazione spontanea di olivastri. Pare che la
coltivazione degli oliveti venisse praticata, soprattutto nel periodo in cui questo
territorio apparteneva al feudo dei Signori Pisani della Gherardesca.
I latifondi destinati alla coltura e alla pastorizia alternativa erano appena cinque. Si
potevano contare 20 persone tra i maggiori possidenti di terreni, mentre gli altri erano
considerati piccoli proprietari.
Circa 120 famiglie vivevano alla giornata e se mancava il lavoro, si cadeva in miseria.
Per questo, in Siliqua, si contavano molti mendicanti che imploravano la pietà dei
passanti.
La pastorizia era invece praticata da 170 persone.
I terreni, benché adatti anche alla pastorizia, non erano abbastanza sfruttati.
Nel periodo invernale non si tagliava neppure l'erba, che cresceva spontanea, per
l'alimentazione del bestiame.
Il bestiame posseduto era così suddiviso: 2400 vacche, 2500 capre, 8000 pecore, 260
cavalle e 3500 porci.
Si allevava anche il pollame e parte di questo veniva venduto.
Si potevano contare 50 mestieri tra i più comuni,i negozianti erano 15 e altre 20 persone
svolgevano lavori d'ufficio.
I diritti che gli agricoltori versavano erano: 1 starello di grano e 1 di orzo per ogni
vassallo che seminava nella regione di Poadas ;
gli altri contadini versavano, per ogni starello seminato, 4 imbuti di qualsiasi
prodotto. Inoltre pagavano la tassa di 1/4 di scudo per l'acquisto di un nuovo carro e 3
soldi per diritto di gallina.
I vassalli di prima classe, per diritto di feudo, versavano 3 reali e i poveri 1 reale. I
pastori, proprietari di capre e pecore dovevano consegnare 1 capo figliato segnato col
marchio di appartenenza al branco e 20 libbre di formaggio; 3 soldi per ogni agnello o
capretto, 16 reali di vitello per chi possedeva delle vacche e 1 capo per ogni 20 vacche
possedute, per allevamento da ingrasso.
Le attività commerciali e produttive degli abitanti di Siliqua riguardavano, come è
facile capire, quelle agricole e pastorali dalla cui vendita si potevano ricavare circa
200.000 lire annue.
Il bestiame manso era così suddiviso: 500 buoi per l'agricoltura, 200 cavalli, 300 porci,
450 giumenti.
Fonte di notevole guadagno era la vendita di tori e buoi. Un giogo di tori giovani veniva
venduto 150 lire, uno di buoi 300 lire.
Si vendeva pollame allevato in casa, molta cacciagione, cinghiali, lepri, conigli ecc.
Durante il periodo di piena del fiume Cixerri, molte
persone si occupavano della vendita di anguille e trote prese in grande quantità nelle
chiuse. Adoperavano anche l'esca e le nasse
(cesti fatti con virgulti di lentischio) e la vendita del pesce continuava durante
tutto l'anno.
Il commercio era limitato a causa della scarsa viabilità e comunicazione con i paesi
limitrofi come Domusnovas, Villamassargia e Vallermosa.
Siliqua divenne economicamente più ricca quando fu costruita la strada provinciale
Iglesias - Cagliari.
Nel comune di Siliqua esistevano dei prati riservati al mantenimento del bestiame
naturale domito, chiamati "is Argiolas"
"Zinnigargiu" "Mattanamanna" e "Campumannu", di circa 150 starelli
di estensione ognuno. I capifamiglia possidenti risultavano circa 300.
Il calcolo approssimativo dell'estensione comunale delle due vidazzoni era di
circa 4500 staterelli, mentre altri 500 si coltivavano alternativamente nel salto di
"Sebatzus". La controvidazzone utilizzata per il pascolo del
bestiame rude, si estendeva per circa 4000 starelli.
I terreni di proprietà privata ammontavano a circa 4824 starelli, di cui 2848 chiusi e
tancati, 200 starelli di vigne e 1776 starelli di terreni aperti. Il bestiame rude era
composto da 5000 pecore, 4250 capre, 1700 porci, 2000 vacche, 170 cavalle, 300 giumenti,
per un totale di 13.420 capi.
Il numero di bestiame forestiero invece, era composto da: 769 capi, di cui 249 vacche, 500
pecore e 20 porci.
Vi erano poi alcuni terreni demaniali boschivi appartenenti a "Sebatzus".
Il terreno chiamato "Fundali Frongia"
aveva 50 starelli di bosco coltivabili e 130 boschivi, adatti solo al pascolo; quello di
"Berringheri" aveva 175 starelli di bosco coltivabile; "Gibacuzza" aveva 95 starelli di
bosco inservibili, mentre "Sa Mascurida"
aveva 290 starelli di bosco coltivabile.
Il salto di "Puadas" fu
considerato demaniale e venne concesso al villaggio di Siliqua mediante il canone annuo di
125 lire. Si poteva utilizzare per il pascolo e per lo sfruttamento della legna.
Nel 1843, a causa degli scarsi raccolti, si chiese di reperire un prato perpetuo
alternativo nei salti del comune per poter così seminare nel paberile,
ogni anno, i cereali più comuni.
Si stabilì che nel paberile di sopra venisse utilizzato il salto di "Greduri" e in quello di sotto il salto
di "Serrasigu".
Si vietò così il pascolo per tutto il bestiame, almeno per tutto il tempo della semina.
Capitava anche che molti pastori danneggiassero i seminati perché chiudevano abusivamente
i terreni con siepi di fichi d'india ed altro. Molti agricoltori perciò si lamentavano
perché i loro seminati venivano danneggiati e chiedevano al Consiglio di Comunità la
demolizione delle recinzioni.
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