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LA CURADORIA DEL SIGERRO

VICENDE ATTORNO ALLA VILLA DI ACQUAFREDDA 

di GIANNI SERRELI, SIMONA SITZIA, STEFANO CASTELLO.


Istituzioni ed amministrazione interna dello Stato

Il momento e le modalità nei quali sono nati i giudicati, costituiscono un problema assai complesso: infatti si può pensare che, a causa delle difficoltà di comunicazione con Costantinopoli, i lociservatores prima e lo Judex caralitano poi siano lentamente divenuti autonomi fino a raggiungere una vera e propria indipendenza dai bizantini tra la fine dell’IX e 1’inizio del X secolo.

Ma ciò che è importante per la storia di Sardegna è che si siano formati quattro Stati perfetti e superindividuali. Ciascuno aveva il proprio nome (Regno di Calari, Regno di Torres, Regno di Gallura, Regno di Arborea) ed era distinto da specifici simboli araldici "parlanti", creati probabilmente nel duecento, quando in tutta Europa si sviluppò 1’araldica. Questi Stati, aventi il titolo di Regni, erano sovrani, perfetti e superindividuali.

A capo di ciascun Giudicato stava il re o ‘giudice’: si trattava di un vero e proprio sovrano di regno, che esercitava tutti i poteri sovrani "per boluntate de donnu Deu" ("per grazia di Dio"). Egli assommava nelle sue mani il potere militare e giudiziario; governava ed amministrava il patrimonio pubblico attraverso funzionari locali da lui stesso nominati, grazie all’opera dei quali riscuoteva le imposte dirette ed indirette; dirigeva la politica interna ed esterna della Stato e perciò poteva stabilire, a seconda delle circostanze politiche, rapporti di vassallaggio con Stati più forti per averne la protezione. Nell’esercizio del potere il Sovrano era affiancato da esponenti delle grandi famiglie che detenevano il potere economico.

Il sovrano era designato (laudatio) da una sorta di Parlamento, un’assemblea di maggiorenti e Alto Clero, la Corona de Logu, la quale si basava su un sistema misto ereditario ed elettivo; all’atto del loro insediamento, i giudici si impegnavano anche ad ascoltare e a seguire, in tutte le azioni più importanti, i pareri espressi dalla Corona de Logu, formata da rappresentanti del popolo eletti in forma semidemocratica dalle ‘coronas de curatori’. Essa si riuniva quattro volte 1’anno e per grandi occasioni della vita pubblica.

Dal punto di vista ereditario, si seguiva la linea diretta maschile; solo in mancanza di eredi maschi si seguiva la linea diretta femminile.

Il patrimonio personale del giudice era distinto dal demanio o fisco (rennu); il che e assai significativo in tempi in cui lo Stato era considerato patrimonio personale del sovrano.

Il giudice era appellato Donnu e la moglie Donna o Regina de Logu; anche i maggiorenti erano indicati come Donnos; i figli del giudice erano detti Donnikellos e Donnikellas; Donnikellu era pure 1’erede alla successione. Dai documenti dell’epoca pare potersi arguire che ai figli del giudice fosse, fin dalla nascita, assegnato il possesso ed il provento delle rendite di una villa, che da essi prendeva il nome (nel Giudicato di Calari, nella curadorìa di Sulcis, sono attestate Villa Donnicello e Villa Nepotis, forse assegnata al nipote del giudice). La residenza nominale del giudice si trovava presso il centro più importante de1 regno; ma la corte si spostava facilmente nel territorio del suo giudicato per amministrare la giustizia, visitare chiese e monasteri, assistere ad importanti celebrazioni religiose, presenziare alle assemblee e tribunali locali, come del resto avevano fatto i Presides o gli Judices romani e bizantini. I documenti dimostrano che gli atti giudicali dell’ XI, XII e XIII secolo, quando riportano la datazione topica, non nominano mai Calari, ma altre ville del giudicato. Il cuore del giudicato era la cancelleria regia, dove venivano redatti ed autenticati gli atti della volontà sovrana. Questi atti ricevevano la loro autenticità dal giudice e dai testimoni che assistevano, spesso alti dignitari laici e religiosi; solo dopo il mille, ed i contatti con Pisa e Genova, anche queste scrivanie giudicali diventarono vere e proprie cancellerie certificanti. Tra i funzionari de11’amministrazione centrale dello Stato (che, vista 1’economia sarda, avevano competenze legate essenzialmente al mondo agricolo e pastorale) avevano particolare importanza: 1’armentariu de logu o de rennu (amministratore dello Stato); il madore de camara, corrispondente al maggiordomo dei regni romano-barbarici; il maiore de caballos, addetto all’allevamento degli equini e all’organizzazione delle periodiche cacce collettive, le silvas, alle quali i sudditi erano obbligati a partecipare e che avevano forse lo scopo di liberare il salti dai predatori. Altri ufficiali minori erano il barbecarius, i porcarios, addetti alle varie funzioni della cura del patrimonio zootecnico del fisco. Ciascuno dei quattro regni era regolato da leggi, forse in origine tramandate oralmente, dette Cartas de Logu. La Carta de Logu era la legge di un determinato Stato medioevale sardo e si applicava a tutto il popolo (o a tutti i popoli) che abitavano il territorio in quel determinato momento dominato. Oltre alla famosissima "Carta de Logu" del Giudicato di Arborea, e stata rinvenuto, nell’A.C.A. dal prof. Marco Tangheroni, un quaderno con un estratto della "Carta de Logu" del Giudicato di Calari; si tratta di una copia manoscritta in traduzione italiana dal sardo campidanese, fatta da uno scrivano sicuramente toscano, commissionata intorno al 1323 da Giacomo II il Giusto (1291-1327) durante 1’invasione dell’isola; sicuramente la Carta ha origine in età precedente al 1258, visto che in essa si prevedeva ancora una distinzione fra liberi e servi, mentre la servitù nel Giudicato d’Arborea era stata abolita nel 1353, per ragioni politiche.

La società, la proprietà e il fisco

L’organizzazione sociale nei quattro giudicati, piuttosto arcaica, era piramidale; al vertice stava il re ed alla base una grande massa di persone allo stato servile. Gli uomini erano essenzialmente divisi fra liberi (lieros < liberos) e servi. I lieros erano circa 1/3 della popolazione ed erano distinti in varie categoric, le più basse delle quali non si distinguevano dai servi.
Il ceto più importante era quello dei detentori dei latifondi, al quale apparteneva la famiglia regnante. Tutti gli abitanti erano tenuti a versare dei contributi annuali al fisco (rennu). Le imposte dirette prendevano il nome di Dadu, Cerga, Collecta, Arrasoni ed erano pagate in natura (in grano, orzo, vino, bestiame), o, malta piu raramente, in denaro, secundu sa forza issoru, cioè di tutti i sudditi; ogni suddito era anche tenuto a partecipare alle cacce collettive. I semiliberi ed i servi, inoltre, dovevano al giudice delle prestazioni di varia natura, che riguardavano 1’aratura, la semina, la mietitura, il lavoro nelle vigne, il trasporto sui carri; questi oneri personali erano detti munia, roatia e gimilioni. Fra le entrate del fisco (rennu) c’erano inoltre le tasse sui traffici commerciali (telonea).
Dalle Cartas de Logu, dai Condaghi e dai vari documenti giudicali, possiamo ricavare il quadro dell’economia agro-pastorale, prevalentemente chiusa, delle ville medioevali sarde e di tutte le colture praticate nel XIII e XIV secolo in Sardegna: prevalente era la coltura cerealicola, ma erano pure abbastanza diffusi gli orti, i vigneti ed i frutteti; meno diffusa era 1’olivicoltura, poichè 1’olio era usato solo per le funzioni religiose.

Le curadorìe e le prerogative del curadore.

Ogni giudicato era diviso in curadorìe, le quali erano distretti amministrativi, giudiziari ed elettorali (per 1’elezione della Corona de Logu) su cui si fondava 1’organizzazione giudicale. La loro estensione era varia, forse determinata da fattori topografici, etnici, politici e storici. Erano formate da un insieme proporzionale di paesi o ville (in campidanese biddas), in modo da ottenere una popolazione grosso modo uguale in ciascuna curadorìa. A capo delle curadorìe era posto un Curadore, scelto dal sovrano fra le persone della sua cerchia familiare. Era un funzionario o ufficiale regio che aveva compiti amministrativi e giudiziari, esercitati con 1’ausilio di assemblee e tribunali generalmente indicati col nome di Coronas, composte da non meno di cinque membri; a livello amministrativo locale ne1 suo distretto sopraintendeva quindi alle esazioni fiscali, alle prestazioni dovute al giudice ed ai suoi rappresentanti, sorvegliava i beni demaniali, esercitava 1’attività di controllo sugli agenti regi nel suo distretto (mandatores de rennu, maiores de scolca, maiores de villa, armentarii), regolava 1’esercizio degli usi privati sulle terre pubbliche, assisteva alla determinazione dei salti assegnati alle ville ed ai privati e ne stabiliva i confini, stimava i danni cagionati dagli incendi, predisponeva il servizio armato delle ville; a livello giudiziario, giudicava, assistito dal tribunale (Corona de Kita de berruda) in tutte le cause civili e penali; doveva inoltre relazionare tre volte 1’anno sull’operato dei giurati delle singole ville e denunciare all’armentariu de Logu i crimini nel suo distretto, entro quindici giorni dalla comminazione della multa. Da un punto di vista strettamente istituzionale, bisogna parlare di curadorìe finchè esistono il curadore ed i funzionari delle ville da lui dipendenti; bisogna, però, capire se questi distretti mantenevano, ancora all’epoca pisana, le funzioni per le quali erano stati creati; ma un discorso del genere si può fare solo per ogni singola curadorìa, poichè nel XIII e XIV secolo le entità statuali in Sardegna sono tante e spesso in lotta fra loro . Per quanto riguarda il Giudicato di Calàri è necessario tener presente che esso cessò di esistere nel 1257/58, smembrato dagli altri tre giudicati sardi con 1’appoggio dei pisani.

Le ville e la loro organizzazione

La forma di aggregazione umana più diffusa nella Sardegna medioevale era il piccolo villaggio rurale; questo tipo di insediamento fu certamente favorito da due fattori determinanti: lo spopolamento di quelli che in epoca romana e tardo imperiale erano stati importanti centri cittadini situati soprattutto sulla costa e il tipo di economia essenzialmente agro-pastorale del mondo giudicale, in cui ogni comunità doveva essere autosufficiente, vista 1’esiguità degli scambi e doveva risiedere in prossimità delle terre alle quali era legata.

 
Lo spopolamento delle città e la ruralizzazione dell’insediamento sono cause indissolubilmente legate fra loro, poichè 1’abbandono dei centri urbani, 1’economia dei quali si era basata sul settore terziario e, come si direbbe oggi, sui ‘servizi’ (Nora, Bithia, Tharros, Cornus, Turris, Olbia, Carales) portò la popolazione a dover sfruttare maggiormente 1’agricoltura e la pastorizia; grazie alla guida dei monaci basiliani, questo tipo di economia dovette favorire un certo incremento demografico, che portò alla nascita di numerosi centri rurali. Ma per poter meglio comprendere 1’assetto insediativo in periodo giudicale dobbiamo fare una distinzione fra
domus, doméstia, donnicalìa e villa, che sono i nomi con cui questi insediamenti venivano definiti nei documenti, dall’XI secolo in poi.


La domus e la doméstia erano distinte per estensione (ambedue erano proprietà private destinate agli stessi scopi; erano vaste porzioni di terre, vigne ed orti, boschi e prati, con tutte le pertinenze): la domus era un agglomerato di case rurali da cui dipendevano porzioni di terra coltivata o adibita a pascolo, e porzioni di terre incolte (saltus); in essa vivevano servi ed ancelle occupati nella conduzione del fondo, e legati ad esso; la doméstia era meno importante e più piccola rispetto alla domus, tanto da essere compresa talvolta nel territorio di essa; era composta da vari appezzamenti, magari di diversi proprietari, destinati a colture diverse, spesso cerealicole; in essa sorgeva generalmente una casa colonica, ricovero dei servi.
All’Opera di Santa Maria di Pisa e a quella del Duomo di Genova, oltre che ai vari ordini religiosi o alle istituzioni continentali, i giudici, donarono terre e proprietà che, pur avendo le stesse caratteristiche delle domus e delle doméstie, erano chiamate donnicalìe: la differenza consisteva nel fatto che sulla domus e sulle doméstie il giudice esercitava sempre i suoi poteri sovrani, mentre le donnicalìe venivano cedute con tutti i diritti e la giurisdizione su di esse; i destinatari, detti donnicalienses, fideles, amici, vassalli, dovevano prestare un iuramentum fidelitatis nei confronti dello Stato concedente; erano in pratica concessioni parzialmente autonome, molto vicine alle concessioni feudali; erano, da un punto di vista economico e sociale, centri di colonizzazione e nuclei di forze sociali, dove le Repubbliche Marinare italiane applicavano la coltura intensiva, soprattutto di cereali, tenevano i mercati per 1’acquisto di derrate da inviare in patria o da commercializzare nel Mediterraneo.


La villa (lat. Villa > bidda), invece, era la base dell’organizzazione giudicale; era amministrata da un dipendente del giudice ed esprimeva i suoi rappresentanti in seno alle assemblee pubbliche. Ogni curadorìa comprendeva vari villaggi, in genere di piccola entità. Nella villa più importante della curadorìa risiedeva ordinariamente il curadore, che vi teneva giustizia, riscuoteva i tributi, convocava assemblee per decisioni dove urgeva 1’assenso dei liberi. Ogni villa aveva le sue terre comuni, aperte perchè molto estese e destinate al sostentamento della popolazione che le sfruttava, dette populares (paberile), destinate al pascolo (pradu, area) o alla coltivazione dei cereali; queste erano coltivate secondo il sistema della rotazione biennale ed erano ripartite annualmente fra gli abitanti della villa o destinate all’uso comune; insieme ai cunjaus (terre private recintate) formavano 1’ambito colonico, detto habitacione (vidazzoni), protetto dall’organizzazione della scolca. Infatti le ville erano organizzate in piccoli gruppi, forse di quattro, chiamati Scolca. Le Scolche erano nate, forse, a causa della comune necessità di difendere i prodotti della terra ed erano comandate da un
maiore de scolca, il quale aveva compiti di polizia e di controllo sui funzionari minori. Annualmente gli abitanti maggiorenni di ogni villa dovevano prestare il giuramento (iura de scolca) di non recare danni a nessun componente della comunità, e neppure alle sue proprietà fondiarie o di animali.
Oltre la fascia delle terre coltivate, intorno ad ogni villa c’era il saltus, zona boscosa o lasciata al pascolo dove la popolazione reperiva la legna, cacciava e si procurava erbe o frutti che integravano 1’alimentazione; in questi salti potevano anche sorgere piccoli agglomerati di case.


Dal punto di vista amministrativo, le ville erano rette da un
maiore de villa, dipendente dal curadore, dal quale era eletto, e, in subordine, al maiore de scolca. Era assistito anch’egli da una corona di notabili del luogo (maiorales). Non aveva uno stipendio fisso, ma viveva dei proventi derivanti dalla locazione dei beni comuni del suo territorio e dall’amministrazione della giustizia. Inoltre provvedeva alla sicurezza de1 territorio; apprezzava i danni arrecati a coltivazioni e persone; assisteva il giudice ordinario nel tribunale, nell’ambito del quale si giudicava solo per furti, danneggiamenti e violazione di polizia; presiedeva una piccola assemblea (Corona de maiore de villa), composta da boni homines, scelti dal curadori fra gli abitanti del villaggio in considerazione soprattutto delle loro doti morali. Questi boni homines dovevano giurare ed erano quindi detti jurados de logu; gli jurados de logu pare avessero anche compiti di polizia; periodicamente dovevano relazionare al curadori circa il loro operato, ed erano responsabili in solido di eventuali negligenze, al pari degli altri funzionari regi, così come era responsabile tutta la comunità per eventuali criminali non catturati.
Fra gli altri funzionari che collaboravano con il maiore de villa si può ricordare il maiore de pradu, addetto ai pascoli, che collaborava con i pradargios all’opera di controllo delle recinzioni dei campi coltivati. Forse in ogni villaggio era presente un ‘carnefice ufficiale’, viste le pene corporali previste nelle Cartas de Logu; per la detenzione in carcere invece, che era un mezzo preventivo di custodia, non una pena in sé, si suppone che esistessero carceri locali nei singoli villaggi, e carceri circondariali nei capoluoghi di curadorìa. In tempo di guerra gli uomini abili delle ville erano organizzati in tre
mude, che si alternavano nel raggiungere il fronte.

Il Regno di Càlari

Il Regno di Càlari, metàtesi medioevale di Calaris, antico capoluogo della provincia bizantina, ormai spopolata agli inizi del X secolo, era anche detto di Pluminos, dal nome di una delle sedi del giudice nel XII secolo: Sa domu de su Giugi a Flumini. Si estendeva per oltre ottomila Kmq. e confinava con gli altri tre giudicati lungo una linea di confine che grosso modo andava dall’attuale paese di Buggerru fino alle Grotte del Bue Marino (Orosei). Nel 1206, a seguito di una vittoriosa guerra con il Regno di Arborea, i confini di questo giudicato furono spostati piu a nord annettendo anche parte della curadorìa di Marmilla. A partire dal XIII secolo la capitale divenne definitivamente la città di Santa Igia, nata tra 1’VIII ed il X secolo a seguito dell’abbandono dell’antica città di Calaris, ormai preda di frequenti scorrerie arabe.
Nel 1258 Nino (Giovanni) Visconti Giudice di Gallura (1238-75), Guglielmo di Capraia, reggente nel Regno d’Arborea (1241-64), ed Ugolino e Gherardo della Gherardesca, conti di Donoratico, in qualità di rappresentanti del Re di Torres e di Sardegna Enzo Hohenstaufen (1238-72), allora prigioniero a Bologna, misero insieme le loro forze in una coalizione filopisana, previa la spartizione del Regno, per vincere le ultime resistenze del Giudice di Calari Guglielmo III-Salusio VI di Cepola (1256-58), a sua volta appoggiato dai Genovesi. Nonostante i pisani, all’atto della resa di Santa Igia si fossero impegnati a rispettare la cittadina e ad abbatterne solo mura e fossati, e nonostante la mediazione operata da papa Alessandro IV (1254-61), che riuscì ad evitare la caduta della capitale fino al 7 luglio 1258, tra questa data ed il 5 dicembre della stesso anno i pisani "predictam villam cum pertinentiis suis quam predicti Potestas Capitaneus Consilium et Comune Ianuensium possidebant tenere occupantes, earn dextrusserunt totaliter, et habitatores ipsos exinde nihilominus expulerunt quorum aliquos vendere".
Originariamente il Regno di Càlari, era diviso in sedici curadorìas: la curadorìa di Campidano, la curadorìa di Barbagia di Seulo, la curadorìa di Cixerri o Sigerro, la curadorìa di Tolostrai, la curadorìa di Decimo, la curadorìa di Dolia o Parte Olla, la curadorìa di Gerrei, la curadorìa di Gippi o Parte Ippi, la curadorìa di Nora, la curadorìa di Nuraminis, la curadorìa di Ogliastra, la curadorìa di Quirra, la curadorìa di Sarrabus, la curadorìa di Siurgus, la curadorìa di Sulcis e la curadorìa di Trexenta.

La curadorìa di Sigerro

La curadorìa di Sigerro, sorta forse per gemmazione da quella di Sulcis e vasta circa 790 Kmq, confinava a nord con la curadorìa di Bonorzuli (nel giudicato d’Arborea, il quale rivendicava al giudicato di Calari la villa di Fluminimaggiore) e con quella di Gippi; a sud con quella di Sulcis; ad est con la curadorìa di Decimo.
Essa comprendeva 39 ville, servite da una funzionale rete viaria che aveva il suo asse principale nella strada che da S. Igia conduceva a Villa di Chiesa ed a Sulci: Acquafredda, Antas, Astia, Barega, Barettas, Bangiargia, Baratuli, Borro, Canadonica, Casas, Cixerri, Concas, Corongiu, Fluminimaior, Domusnovas, Fracci, Frongia, Gessa, Giossu, Gonnesa, Intili, Margani, Masie, Musei, Onnixeddu, Orsu, Pardu, Piolanas, Santu Arenti, Santu Xenti, Saruis, Sebatzus Iossu, Sebatzus Susu, Sebeli Russo, Sigulis, Siliqua, Staorro, Villamassargia, Villa di Chiesa.
Come evidenziato nella carta da noi elaborata, le ville erano molto vicine tra loro e concentrate in alcuni blocchi: il primo può essere individuato nella zona montuosa a nord della curadorìa, il secondo nella fascia montuosa a sud ed il terzo, infine, nella parte centrale, nella vasta pianura del Cixerri che sicuramente facilitava le comunicazioni e gli scambi tra ville vicine e anche, data la sua conformazione, favoriva i contatti tra il Sigerro da una parte e il Campidano di Decimo e Calari -capoluogo dell’omonimo giudicato – da11’altra; pianura, tra 1’altro, molto fertile percorsa com’era dal fiume Cixerri e quindi favorevole all’agricoltura, allora, come si e detto, base economica fondamentale. Anche 1’esistenza del tratto principale dell’asse viario Calari – Sulci, di antico impianto romano, deve aver costituito una ulteriore spinta all’insediamento in questa zona.
I dati in nostro possesso (molto pochi quelli documentari, più abbondanti – fortunatamente - quelli toponomastici) ci hanno permesso di localizzare la quasi totalità delle ville, ma non quelle di Cixerri, Fracci, Sebeli Russo e Giossu che compaiono perciò solo indicate in legenda.
Delle numerose ville della curadorìa poche sono, comunque, ancora oggi esistenti; della maggior parte rimane solo il ricordo nei toponimi e in pochissime rovine, peraltro non sempre sicuramente riconducibili al villaggio medioevale (Gessa, Corongiu). Infatti le vicende di ogni singola villa, influenzate - come e logico – dagli eventi propri del giudicato di Calari, non sono, per i limiti posti dalla documentazione, facilmente ricostruibili; in particolare mancano le attestazioni per il periodo altomedioevale, per cui per le ville di più antica documentazione si può solo ipotizzare che ci sia stata una continuità di frequentazione. Per esempio, di Antas, Gessa, Corongiu, Piolanas e Staorro, che hanno avuto un’origine sicuramente punica o romana, si perde ogni traccia nel periodo altomedioevale. Esse ricompaiono però documentate da fonti scritte in pieno medioevo (e anche oltre): Staorro è attestata dal 1216, Corongiu dal 1218, Antas dal 1316; mentre per Piolanas e Gessa le attestazioni partono da età medioevale e moderna.
Dobbiamo pensare ad una loro scomparsa durante "i secoli bui", oppure solo ad un vuoto nelle fonti? Noi siamo del parere che si tratti della seconda possibilità, tanto più che per queste ville non si registrano spostamenti del sito.
Altre ville, che sicuramente non sono di origine punica o romana, compaiono per la prima volta in documenti di poco posteriori al Mille: Cixerri e Margani sono attestate dal 1066, Acquafredda dal 1089, Astia dal 1108, Sebatzus dal 1120. Esse ricevettero un evidente impulso in concomitanza dell’arrivo e conseguente insediamento degli ordini monastici Benedettini, in particolare i Vittorini di Marsiglia.
Infatti in un contesto economico sostanzialmente chiuso come era quello isolano, la base e il segno distintivo del quale era il latifondo, intervennero i vari ordini monastici: questi furono chiamati dai giudici sia per risollevare le sorti della chiesa sarda, sia per ridare vigore all’economia delle campagne dell’isola, a vantaggio della popolazione; infatti con la loro opera portarono idee e tecniche nuove e soprattutto 1’apertura dei commerci verso 1’esterno, che comportò una più ampia circolazione di moneta.
Il fatto, però, che questi insediamenti risultino donati per la prima volta ai Vittorini nelle date sopra menzionate, induce ad una considerazione: si trattava di centri già esistenti per i quali è possibile ipotizzare addirittura un’origine nel periodo bizantino o altogiudicale, quando si verificò un processo di spopolamento costiero e conseguente colonizzazione rurale dell’entroterra che caratterizzò, come detto, tutta 1’isola. I documenti ci consentono di tracciare le linee di sviluppo per alcuni di essi e di coglierne 1’evoluzione, suggerita dal modificarsi delle definizioni che si accompagnano ai nomi delle ville e da quanto sappiamo sulla struttura dell’insediamento sardo medioevale: così per esempio Astia è curte nel 1108, poi donnicalìa e quindi villa nel 1260; Sebatzus è domus nel 1120, poi donnicalìa e curte, quindi villa dal 1272; Margani, invece,è attestata come villa già dal 1066.
Tutte le ville del Sigerro conserveranno una economia rurale sino ad epoca "ugoliniana", quando 1’attività mineraria diventerà settore trainante capace di favorire la mobilità della popolazione, con il conseguente sviluppo dei centri già esistenti (Villa di Chiesa, Siliqua, Villamassargia, Pardu, Astia Sebatzus).
A questo proposito, alcuni .documenti dell’inizio del XIV secolo, riguardanti le rendite pisane della curadorìa, testimoniano lo sviluppo particolare che alcune ville avevano avuto proprio in funzione dell’attività estrattiva.
Per esempio, tra i 68 contribuenti abitanti a Villamassargia, che possedevano "gioghi d’argentiere" (cioe gioghi di buoi adatti al trasporto del minerale) molti avevano nomi decisamente non sardi: Arsocco Ascito, Nicola Moio, Furato Calcagno, Petro Capissuto, Johanne Spagnolo, Cocchotti Pisano, Cecho de Masso, Georgio de Foce, Colo Pellari, Johanne da Liberto, Stefano de Ciras, Guantino Capulo, Jacho de Pane, Arsocco de Sesso, Talento Altana, Marguetho Succo, Saracino Capilla.
Ma le rendite attestano anche la presenza di contribuenti, addetti ad altre attività, immigrati da altre ville della Sardegna: Guantino de Semestos, Marguetho de Sinuri, Petro de Serra de Terralba, Guantino de Sinnai.
Tutti questi elementi testimoniano come la crescente attività mineraria fosse capace, da una parte, di attirare maestranze specializzate provenienti da oltre Tirreno e dall’altra, elementi isolani attratti dalle nuove prospettive economiche. Tale fenomeno è riscontrabile, nella citata documentazione, anche per numerose altre ville del Sigerro, in modo particolare per quella di Silico (Siliqua).
Il fermento creato dallo sviluppo dell’attività mineraria porterà anche alla nascita di nuovi insediamenti, le cosidette ville nove: Villanova de Concas, Villanova de Saruis e Domusnovas, sono infatti attestate per la prima volta proprio a partire da questo periodo (1260 circa). Il periodo "ugoliniano", momento felice per 1’economia di molte ville del Sigerro, rappresenta il culmine di quel processo di insediamento di cui abbiamo data qui sintetici elementi.
In concomitanza degli eventi bellici legati all’occupazione del Sigerro da parte di Mariano II de Bas-Serra, giudice d’Arborea, e la successiva presa di possesso del territorio da parte del Comune di Pisa nel 1301-2, comincerà a verificarsi un processo di decadenza attestato per alcune ville. In seguito, con la politica dei conquistatori catalano-aragonesi e la riorganizzazione del territorio su base feudale, le ville della curadorìa del Sigerro conosceranno un declino inesorabile e saranno progressivamente abbandonate. Parte di esse, e cioe Pardu, Masie, Intili, Santu Xenti, Orsu, Margani, Sebatzus Susu, Sebatzus Jossu, convergerà progressivamente nell’immenso feudo di Ramon de Ampurias.

La villa di Acquafredda

La villa di Acquafredda si sviluppò su un territorio ricco di preesistenze romane e bizantine, considerata la fertilità del suolo e la vicinaza al fiume Cixerri. Nell’odierno territorio di Siliqua vi sono infatti notevoli tracce della frequentazione umana, addirittura già da epoca nuragica, come testimoniato soprattutto dai ritrovamenti prossimi alla zona di Monte Uannenna, di Monti Truxionis, di Monte Idda.
La zona doveva essere assai importante anche in epoca romana visto che nei suoi pressi passava la strada che collegava Carales con Sulci e che prossimo al fiume Cixerri era un importante acquedotto, del quale affiorano periodicamente le tracce.
Ma la prima attestazione scritta che si ha di questo villaggio e del 1089, quando il giudice di Calari Costantino – Salusio II de Lacon-Gunale (1066 – 1090) dona ai monaci Vittorini di Marsiglia una serie di chiese, fra le quali la "ecclesiam sanctae Barbare de Aquafrigida". In un documento di poco successivo, del 22 aprile 1090, questa donazione è riconfermata dall’arcivescovo di Calari Ugone, il quale aggiunge alla chiesa di Santa Barbara anche quella di Santa Maria: "... simili etiam modo dono atque concedo ecclesiam ... Sanctae Mariae et Sanctae Barbarae de Aqua frigida". Tale donazione e ulteriormente confermata in documenti posteriori del 1119, 1120, 1141, 1183 e 1218. La "ecclesiam sitam in Aqua Frigida, nominatam Santa Barbara..." era ancora elencata nell’inventario dei beni dei Vittorini del 1338 e risultava amministrata dal presbitero Raimondo rettore di Villanova di Saruis ("... quam tenet presbiter Ramundus rector Ville nove de Siruio").
Le nostre ricerche toponomastiche verificate successivamente da riscontri sul territorio, hanno consentito di localizzare la prima vicino al fiume Cixerri, in zona Gibasoli; la seconda, invece, non è al momento localizzabile in modo certo. E’ stata formulata 1’ipotesi che 1’antica Santa Barbara si potesse identificare con 1’attuale chiesa di Santa Margherita, posta tra 1’altro molto vicina al castello: ma i saggi di scavo condotti dalla Sovrintendenza Archeologica di Cagliari non hanno dato conferma.
Sulla base di cinque documenti pubblicati dal Solmi nelle sue "Carte volgari dei sec. XI e XIII" di cui quattro datati al 1215 e uno al 1216; supportati dall’analisi paleografica del Prof. Cau, che colloca i documenti in un momento di poco posteriore rispetto alle date accreditate (escludendo cosi che si tratti di falsi diplomatistici e che ci siano state significative variazioni di contenuto); sulla base poi di un documento del 1238, possiamo affermare che sul monte esisteva una cappella. Nei documenti del Solmi è menzionato, infatti, piu volte il "prebiteru Iohanni Spina capellanu miu (cioè della giudicessa di Cagliari Benedetta de Lacon-Massa) de su Monti de Aguafriida" e di "Benitu castellanu de su Monti de Aquafriida" (in cui castellanu è probabile errore del copista e da leggere quindi, a nostro avviso, con cappellanu). La cappella di cui ipotizziamo 1’esistenza, non potrebbe essere proprio la chiesa di Santa Barbara? Se questa ipotesi sarà in futuro confermata da altri elementi, potremo allora anche dare sicura collocazione al primo nucleo dell’insediamento di Acquafredda.
Certo è che anche sulla sola base del primo documento attestante Acquafredda, si puo affermare che 1’insediamento esisteva prima di tale data e che si era verosimilmente aggregato intorno ad una chiesa officiata da monaci bizantini.
Il 18 giugno 1107, il giudice di Calari Mariano-Torchitorio II de Lacon-Gunale donava alla Chiesa e al Capitolo di S. Lorenzo di Genova la donnicalia di Acqua Frigida. Nell’inventario di beni appartenenti al Capitolo di S. Lorenzo datato 1108 leggiamo i nomi dei servi e delle ancelle che abitavano ad Acquafredda: "Calaphius et uxor eius cum filiis; Joannes Zapulus et Petrus Birachi cum uxore et omnibus filiis suis; et Furatus Zapalus, et Marianus frater eius curn omnibus filiis suis; et Constantinus de Nuges cum omnibus filiis suis et uxoribus; et Zapar et Zapulus cum omnibus filiis suis; et Tiricus Camerada et Constantinus de Gesa, et Constontinus de campo cum omnibus filiis eorum. Et Constantinus de Ziranda cum omnibus filiis suis; et Joannes Fragu cum uxore et omnibus filiis suis; et Cerbui (Zerchi = Sergio ?) frater suo cum propriis saltibus, idest Silva major et Miragis Maxumsigno et cum Sancta Barbara habet Oriam. Hi omnes supradicti curn filiis et filiabus suis".
A partire dunque dal 1107, il territorio di Acquafredda è soggetto ad una parcellizzazione che vede i Vittorini conservare la proprietà della chiesa di Santa Barbara e delle sue pertinenze, mentre S. Lorenzo di Genova esercita il controllo sulla donnicalìa.
Come è noto, con le donazioni a S. Lorenzo si prospettava per Genova la possibilità di porre le basi per la sua penetrazione nell’isola con la conseguente affermazione politica ed economica. Il giudice di Cagliari doveva essere consapevole della "pericolosità" dovuta a tale presenza ad Acquafredda, sito evidentemente molto importante per il controllo del territorio giudicale se, i1 29 giugno 1120, con una permuta - poi riconfermata dalle bolle papali del 1121, 1136, 1158 e 1162 - riprende sotto la giurisdizione giudicale Acquafredda (oltre a Quartu e Capoterra), cedendo in cambio altre sei corti, evidentemente di minore importanza in quel momento per il giudicato. Ed è possibile, a nostro parere, che il giudice, anche attraverso la presenza Vittorina in questo territorio cercasse di controllare 1’espansione genovese.
Tuttavia nel 1272, nonostante la permuta appena ricordata, S. Lorenzo di Genova possedeva ancora ad Acquafredda dei servi: " ... Iustii Cani, medietas eius filii".
Nel 1258 la capitale del Regno di Calari, Santa Igia, fu rasa al suolo da una coalizione pisana rappresentativa dei restanti tre giudicati sardi. Al Regno di Gallura andarono le curadorìe orientali del calaritano; all’Arborea quelle centrali; a Pisa rimase il Castel di Castro di Callari; il restante terzo fu spartito in due sesti fra Ugolino e Gherardo della Gherardesca, conti di Donoratico: ad Ugolino andò la ricca curadorìa di Sigerro, con le miniere di Villa di Chiesa. Da questo momento in poi non possiamo più parlare di istituzioni giudicali; la nuova situazione istituzionale era ormai inquadrata secondo usi e costumi pisani, anche se le antiche istituzioni giudicali erano ancora usate (basti pensare alla sempre funzionale divisione in curadorìe ed alla Carta de Logu di Càlari).
Con la morte di Ugolino della Gherardesca, nella Torre della Fame a Pisa nel 1289 e con la fine del suo erede Guelfo, in Arborea nel 1295, dopo una breve parentesi di dominio arborense, nel 1302 la curadorìa di Cixerri passò direttamente a Pisa, che la amministrò come possedimento extramarino. E’ proprio di questo periodo (1295) 1’attestazione di Acquafredda come villa. Da un censimento pisano degli inizi del 1300, avente carattere fiscale, possiamo ricavare il numero dei suoi abitanti: si tratta di meno di cento persone, delle bali nove possedevano gioghi da trasporto forse legati all’attività mineraria, mentre quattro erano pastori. Queste cifre contrastano con i dati ricavabili da documenti precedenti: pensiamo, infatti, che nella curia di Acquafredda, poco piu di 150 anni addietro vi era una popolazione di circa 100 uomini, cifra che riguardava
solo la popolazione servile. Ma, rapportando questo quadro agli eventi storici di quel periodo, possiamo immaginare che tutto 1’iglesiente subì un vistoso calo demografico.
I turbinosi avvenimenti della fine del XIII e degli inizi del XIV secolo non poterono che portare gravi conseguenze alla popolazione residente: sia Villa di Chiesa, che tutte le ville minori della curadorìa di Sigerro subirono gravi danni e videro decrescere la loro popolazione. In effetti nel 1320 la villa di Acquafredda non compare citata nel censimento a carattere fiscale ‘sexte composita’ ( è da notare che in questo sesto componimento pisano nella curadoria di Sigerro erano censite appena sedici ville); il che significa che questo villaggio era diventato insignificante e quasi scomparso per le vicissitudini dei suoi ex Signori che avevano coinvolto direttamente i1 maniero. Sopravviveva invece la villa di Siliqua: possiamo dunque verosimilmente pensare che gli abitanti di Acquafredda si siano spostati verso Siliqua, in qualche modo meno esposta alle vicende belliche. Attestata per la prima volta nel 1272, essa mandò dei rappresentanti alle assise del primo Parlamento del Regno di Sardegna, istituito dal sovrano catalano-aragonese Pietro il Cerimonioso nel 1355.

CASTELLO DI ACQUAFREDDAIl castello giudicale di Acquafredda

Il castello di Acquafredda sorge su un colle sul quale presumibilmente già in età fenicio-punica era uno stanziamento di guardia, cosa che lo accomunava alle altre postazioni disseminate ai margini della pianura del Cixerri per il controllo della viabilità.
Per essa è possibile ipotizzare una frequentazione anche in età romana, visto quanto è emerso da alcuni saggi di scavo in prossimità del mastio: nonostante ciò è per il momento assente una lettura archeologica ed architettonica di tutte le strutture esistenti nel monte.

RICOSTRUZIONE ARAGONESE Fino ad ora tutti coloro che si sono occupati dello studio del castello, sulla base della documentazione esistente hanno sostenuto che esso è stato sicuramente di proprietà di Ugolino della Gherardesca e, forse con una punta di romanticismo, hanno immaginato che fosse stato edificato proprio da lui.

RICOSTRUZIONE DEL LA MARMORAAlcuni studiosi pur non avendo elementi documentali a supporto, ma basandosi sull’analisi globale delle strutture nonchè degli eventi che riguardarono il castello, hanno invece sostenuto che la sua costruzione si può verosimilmente collocare in una data precedente all’epoca ugoliniana. Un documento da noi studiato, probabilmente poco conosciuto, ci consente oggi di apportare nuovi elementi, di fissare un nuovo termine per la datazione del castello e formulare così una nuova ipotesi sulla sua origine: si tratta di una bolla papale con la quale Gregorio IX dà disposizioni a Rollando, suo legato in Sardegna, esortando nel contempo Pietro II de Cervera-Bas, giudice d’Arborea, affinchè provveda a mettere in assetto di guerra le fortificazioni del giudicato di Torres e di Gallura, con 1'occorrente per due anni almeno, e ad affidare le stesse a custodi idonei e fedeli, come si fece per il castello di Acquafredda nel giudicato cagliaritano. Se consideriamo la data di tale documento, 30 luglio 1238, possiamo fare una considerazione: il castello di Acquafredda esisteva già e aveva sicuramente funzioni militari di una certa rilevanza. Sulla base di quanto appena esposto e supportati da un’analisi – seppur sommaria – delle strutture murarie ancora esistenti, possiamo dunque affermare che il castello è di epoca giudicale. Se poi consideriamo anche i riferimenti delle "carte volgari" del Solmi, da noi già presentate a proposito della chiesa di Santa Barbara possiamo dedurre che il castello era già esistente nel 1215. Infatti, a nostro avviso, il "cappellano mio (della giudicessa Benedetta de Lacon-Massa) prete del monte di Acquafredda" era colui che officiava in una struttura religiosa giudicale proprio all’interno della fortificazione di Acquafredda.

RICOSTRUZIONE DI FOISO FOISPassato poi nelle mani di Ugolino della Gherardesca e dei pisani, il castello subirà sostanziali rimaneggiamenti assumendo 1’aspetto attuale.

Solo in futuro, quando sarà possibile studiare più in dettaglio documenti ancora inediti, si potranno meglio delineare le vicende che interessarono il castello di Acquafredda.

 

 

 

 

 

Ubicazione delle ville della curadorìa di Sigerro

CURADORIA DEL SIGERRO

 

1. Fluminimaggiore 21. Concas
2. Antas 22. Sebatzus Jossu
3. Sigulis 23. Villamassargia
4. Gessa 24. Astia
5. Canadonica 25.Borro
6. Intili 26. Santu Arenti
7. Bangiargia 27. Margani
8. Villa di Chiesa 28. Barettas
9. Baratuli 29.Santu Xenti
10. Domusnovas 30. Casas
11.Musei 31. Corongiu
12. Orsu 32. Barega
13.Padru 33. Piolanas
14. Sebatzus Susu 34. Onnixeddu
15. Silico 35. Gonnesa
16. Saruis 36. Cixerri (non 1ocalizzata)
17. Acquafredda 37.Fracci (non localizzata)
18. Staorro 38. Sebeli Russo (non localizzata)
19.Masie 39. Giossu (non localizzata)
20. Frongia  

 

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