Gustave
Courbet (Ornans, 1818 – Vevey sul lago di Ginevra, 1877) si pone, dopo
un inizio romantico, in polemica non soltanto con il romanticismo, ma,
soprattutto con la cultura ufficiale dell’impero di Napoleone III, con
la borghesia capitalista che lo sostiene e perciò con l’Accademia di
Belle Arti che trasmette, attraverso l’insegnamento della scuola, le
direttive del governo.
Il
realismo di Courbet è, prima ancora che uno stile, un costume morale,
politico, umano. Per questo Courbet ha sempre negato valore alla scuola,
la quale può solo insegnare regole e quindi reprimere la libertà;
questo atteggiamento porta Courbet ad aprire nel 1861, per combattere
l’influenza dell’Accademia, ad aprire una propria scuola realista e
ad affiggere nello studio un cartello con quattro lapidari
“comandamenti”:1) Non fare quello che faccio io; 2) Non fare quello
che fanno gli altri; 3) Anche se tu facessi quello che fece Raffaello,
non esisteresti: è un suicidio; 4) Fai quello che vedi, che senti, che
vuoi. Questi principi sono la negazione della scuola (e quindi anche
della sua che ebbe, infatti, vita assai breve) perché come scrive egli
stesso, « non ci possono essere scuole
ma solo pittori ». Più che discepoli
i giovani che frequentano i suoi atelier sono collaboratori, che
imparano con la pratica quotidiana, come nelle botteghe rinascimentali.
Mostrando
fede alla sua posizione politica e dando un esempio di rara probità
morale, Courbet rifiuterà la più alta onorificenza francese, la Legion
d’Onore, sia perché data da un ministro dell’imperatore, sia perché,
come scrisse nella lettera di rinuncia, «
L’onore non sta in un titolo, né in una decorazione, ma negli atti e
nei moventi delle azioni […].
Ho cinquant’anni e sono sempre vissuto libero, lasci ch’io termini
la mia esistenza in libertà. Bisogna che alla mia morte si dica di me:
non ha mai fatto parte di nessuna scuola, di nessuna chiesa, di nessuna
accademia, ma soprattutto di nessun regime tranne quello della libertà ».
Le
opere di Courbet fecero scandalo: in una esposizione del 1853 Napoleone
III prese a frustate un suo quadro, Le
bagnanti, per l’eccessivo realismo.
Nel
Funerale ad Ornans, irritò
molto la raffigurazione di piccolo-borghesi e contadini del paese
raccolti per una cerimonia funebre con i visi rugosi, l’aspetto un
po’ legnoso, privi di quel decoro ufficiale che si è sempre chiesto
all’arte.