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Giuseppe Raga
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La
vita di Giuseppe Raga: era triste e muta
quell'alba del sei Febbraio 1957 nel cielo e
sulle strade di Bonnanaro, piccolo comune della
provincia di Sassari in Sardegna. Si sentiva,
nell'aria, sulle pareti delle case, nelle
straduzze strette, che qualche cosa mancava: una
sorta di fermentazione intima e stupenda che non
aveva nome ma che lievitava il cuore della sua
gente:l' anima del poeta Giuseppe Raga, in
silenzio, prima che aggiornasse, era uscita in
punta di piedi, oltre 1' angustia della sfera
finita, nel cielo che era stato sempre e tutto
suo. |
Aveva 83
anni e aveva il volto, gli occhi e lo spirito di un
ragazzo rimasto buono e pulito. Era figlio di gente di
campagna e pertanto non poté' dedicarsi agli studi
superiori come "sos fizos de sos signores" di
allora: siamo nell'ultimo Ottocento sardo, quando si
chiedeva al destino soltanto di non morire di malaria.
Dopo le prime classi elementari del paese, anch' egli
come tutti i figli della povertà' del suo tempo e della
sua terra, dovette accudire al bestiame e al lavoro della
campagna. Più' tardi, uomo, sposo e padre, oltre al
lavoro vero e proprio di pastore, piccolo allevatore e
coltivatore diretto, si dedico' al commercio del bestiame
così come si poteva realizzare allora quando per
portarti da una località' all'altra bisognava fare
giorni e giorni di cammino a piedi o, nella migliore
delle ipotesi , a cavallo, per solitudini senza fine.
Nonostante questa sua vita, intrisa di sudore e raminga
per le strade assolute e mute della sua terra, trovò
modo e tempo di coltivare la cultura letteraria fino alla
conoscenza e alla assimilazione dei classici sardi e
continentali. Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Manzoni
gli erano familiari e stupiva amici e conoscenti,
citandone a memoria brani e passi a non finire. Ma il
libro migliore a cui attinse e su cui formò e maturò la
prodigiosa vena poetica, alta fino a far di lui un
autentico prodigio, fii la sua terra con l'anima e i
costumi della sua gente, con la malinconia amara del suo
canto e delle sue nenie secolari. Quando nell' alba
antelucana e stinta del Febbraio 1957, egli se ne andò
amici e figli lo piansero con dolore infinito. Ma nel
loro pianto era "sa margùra" che con lui si
fosse spenta per sempre la sua vena poetica e il suo
nome. Ma il suo nome e la sua poesia sono, restano e
resteranno nel cuore dei suoi e della sua gente per
sempre. Giuseppe Raga era un autodidatta dell' ultimo
ottocento e del '900, fino agli anni cinquanta. Ma in
fondo egli era rimasto ancora al migliore romanticismo
poetico dell'ottocento e del primo novecento. Se un
raffronto tra lui e un lirico di lingua si può fare noi
non troveremmo difficoltà ad accostarlo a Giovanni
Pascoli. Giuseppe Raga non è un poeta degli anni post
ultima guerra, egli è poeta della epoca sarda quando il
dolore e il calvario dell' abbandono facevano impossibile
la vita ed esigevano quindi la fede come realtà unica in
cui il sardo si rifligiava per non naufragare nella
disperazione o nella ribellione sterile.
Tratto
dal libro delle poesie su Giuseppe Raga scritto da
Salvatore Fiori.
POESIE
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SA RUNDINE
PASSIZERA
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Tue
ch'ischis ogni via,
diletta rundine cara,
firma su 'olu e mi nara
s'has bidu a Fillide mia.Pro
sa primavera bella
ses a su nidu torrada
ma de Fillide istimada
no m'has batidu novella!
Ave chi cantu s'istella
bolende in altu caminas,
in forestas, in marins
has bidu a Fiilide mia?
In cuddas rivas amenas
de cuddos lontanos lidos,
ue lios fioridos
inghirlandana sas renas;
ue ninfas e sirenas
'istan umpare gioghende;
no hapas bidu passende
si bi fit Fillide mia?
Ses passada in Palestina,
in su Libanu, in s'Ispagna;
in s'africana campagna,
in sa Turchia, in sa Cina;
in s'isula Canarina,
in Portugallu, in Giappone
e no ha cognizione
de u'est Fillide mia?
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Ave bella viaggiante
cantu ti dia istimare
si cherferes arrivare
a u'est Fillide amante!
S'issa non est a Levante
l'hasa no est a Ponente,
ma in calchi continente
s'incontrat Fillide mia.Bola,
ma non boles solu
a sos logos ch'ischis tue:
in s'aera non b'hat nue
chi ti cuntrastet su 'olu;
podes dae polu in polu
passare mares e montes
in totu sos orizzontes
chirchende a Fillide mia!
Bola si podes ancora
in logos disabitados
ue non sun penetrados
sos rajos de s'aurora,
e fidele imbasciadora
da sas notiscias chi bramo,
tue sias de sa ch'amo,
ch'est cudda Fillide mia.
Finis, cun ala lezera
tenta s'ultima fortuna,
già chi podes a sa luna
pigare a bolu in s'area...
Chent'e una primavera
potas de nidu godire
poi che des require
in sinu a Fillide mia.
Bunnannaru - Abrile
1893.
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SOS TRES RESE
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Innos de allegria e de amore
Bos cantan istanotte sos tres rese,
chi devontas bos benin finz' a pese
a bos annunziare cun cuntentu:
in Betlemme su grande naschimentu
han' incontradu de Gesu' Bambinu.
Durante su diffizile caminu
un'istella los hat accumpagnados,
e lot hat proteggidos e ghiados
finz'a su logu di Gesus naschidu.
Sos tres rese appena chi l'han bidu
l'han presentadu inzensu, mirra e oro;
s'inchinan e l'adorana cun coro,
cun votu verdaderu e cun fervore.
........................................
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Sos nostros augurios
azzettade,
sos benes che bramades cunsighedas.
Bonas festas allegras chi gosedas,
ateros annos cun felicidade.
A bezzos mannos e s'eternidade
Pro sa mazzore gloria 'oledas.
Poi de custa vida transitoria
In Paradisu cantemus vittoria.De
tiu Zuseppe Raga
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S'ADDE DE SORROI
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sas roccas fentomadas de
Sorroi
presuntas de ispiritos dimora
fin abitadas dae una colora
sa cale ha postoridu unu bobboiS'animaleddu
ha creschidu ora po ora
e a seipente si ch'est fattu poi.
Custa lezzenda ipaventosa goi
So' pastoreddos la timene ancora
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Ca narana so' manoos chi uno poscu
Bessidu a pasculare bell'e biu
si che l'hada ingullidu unu seipenteAteros
puru narana chi s'oscu,
ch'est de cuss'adde flagellu nadiu,
faghe' masellu'e sa p overa zente!!!
De tiu Zuseppe Raga
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SILVA FIORIDA
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Silva, cando ti pesas in fiore
Mi rappresentas sa vida serena
Ch'hapo godidu in cudd'edade amena
Ponzende muttos, pizzinnu pastore!Su
tou rissignolu mi dat pena,
cun suave pateticu tenore,
ca su tempus m'ammentat de s'amore
chi m'hat tentu pro annos in cadena
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Cando custu puzzone melodianu
Cun dulche serenada mattutina
S'aurora s' aludat da su'eranu'
Tando, cun duna rosa in
dogn'ispina.
Silva, ses' tue pro su coro umanu
De poesia immagine divina!!!
Zuseppe Raga ...(1928)
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Francesco
Carboni
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CARBONI
FRANCESCO. Valente letterato e oratore, ed uno
dei più tersi poeti latini che l'Italia abbia
avuto nel declinare dello scorso, e nei primi
anni del presente secolo. Nacque in Bonnanaro,
piccola terra del capo settentrionale della
Sardegna distante da Sassari dodici miglia
italiane, nel 12 marzo 1746. (...........) Giovinetto d'anni diciotto, si
ascrisse nel 1763 all'ordine loiolitico, nel
quale attese altra volta agli studi di grammatica
e di amena letteratura. Insegnò poi la latinità
delle classi inferiori nelle scuole gesuitiche di
Sassari; quindi fu mandato a Cagliari per
insegnarvi la rettorica. (...........)
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Nel
1772 diede alla luce i primi due libri De sardoa
intemperie, poema che gli fruttò la lode e
l'estimazione dei dotti, e nell'anno medesimo fu
mandato a Sassari per intraprendere il corso
degli studi filosofici. (...........) Per lo che
fattosi sacerdote, si abbandonò tutto alle
delizie della letteratura. Nelle regie scuole di
Alghero insegnò grammatica, e poi rettorica:
cola ideò, e recò a termine il suo poema De
coraliis. Lo stesso uffizio esercitò quindi
nelle regie scuole di Cagliari, e nel 1788 fu
nominato professore di eloquenza latina in quella
università dal re di Sardegna Vittorio Amedeo
III. (...........)
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Un
opuscolo pubblicato nel MDCCLXCII dall'abate
Onesimo Odolla (finto nome d'autore incerto) col
titolo La divozione degli abati Matteo Maddau e
Francesco Carboni, fu il precursore della guerra
che si volea muovere all'egregio cultore delle
muse latine. (...........) Disdegnoso del cimento, cui fu
sottoposta la sua fede, non volle più salire su
quella cattedra, dalla quale erano scorsi, quasi
torrente rigeneratore della gioventù studiosa,
gl'insegnamenti e i precetti, ed esule volontario
ne andò in Italia, dove lo avea precorso la fama
onorata del nome suo. Fu in questa classica
terra, che ricevette il Carboni le giuste laudi
del suo merito letterario. (...........)
Il Carboni visitò le
città illustri d'Ausonia, e dovunque trovò
amici ed encomiatori; nè gli amici suoi furono
volgari, ma di tal tempera, che delle glorie loro
Italia tutta risuona. E quando ritornato ai
patrilari, Bessude, piccola terra finitima alla
natale di Bonnanaro, elesse per sua dimora, salda
mantenne l'amicizia per quei sommi, con frequenti
epistolari ricordi e rinfrancandola.
(...........)
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Nei
letterati amava il sapere, non il potere. Solenne
prova ei ne diede, allorquando Gregorio Barnaba
Chiaramonti, già vescovo d'Imola ed amico suo,
fatto papa sotto nome di Pio VII, lo invitò ad
andare a Roma tra i suoi familiari,
profferendogli l'orrevole carico di segretario
pontificio delle epistole latine. (...........) Nella primavera del 1817 tocco
da febbre perniciosa, che lo molestò gravemente
per più giorni, si avvide essere già maturo il
momento di sua partita: quindi chiamati i
conforti della religione, e questi ricevuti con
ammirabile serenità d'animo, cessò di vivere
nel 22 aprile di quell'anno medesimo in età
d'anni 71, un mese e giorni dieci. Le sue spoglie
mortali furono sepolte nella parrocchiale chiesa
di S. Martino in Bessude: modesta è la tomba che
le racchiude; (...........) sono molte le
produzioni edite del suo ingegno; non minori le
inedite e le perdute: fra queste mancò alla
gloria delle lettere latine un poema inverso
eroico scritto per Napoleone Bonaparte,
(...........) le altre sue poesie furono
pubblicate in varii tempi, e ristampate più
volte: recentemente le restrinse in un volume e
pubblicolle valente letterato sardo col seguente
titolo: Selectiora Francisci Carbonii carmina
nunc primum in unum collecta, opus cum latinis
oratonibus de sardorum literatura.(...........)
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Dei poemi crediamo il
migliore quello sulla Intemperie; degli
epigrammi, quelli in lode di Napoleone,
dell'ammiraglio Nelson, della repubblica Ligure,
e dell'Angioy; e di tutte le altre poesie
latine,gli endecasillabi. (...........) Delle
orazioni latine, la più latina è quella in lode
di Angelo Berlendis, (...........)più utili la
quarta e la quinta, colle quali eccitando i
giovani allo studio delle lettere.
(...........)Le altre due sulla letteratura sarda
sono meglio transunti storici che orazioni.
(...........) |
Tradusse
ancora il nostro poeta le Egloghe militari del
Cordara in versi esametri latini, celandosi sotto
il nome di Nivildo Afronio; pubblicò con nitida
edizione il Tobia, ossia il poema sull'educazione
del conte Camillo Zampieri, intitolandolo al
principe Filippo Ercolani, onor di Bologna e d'
Italia, e diede alla luce alcune poesie latine
del Roberti, e le elegie di Francesco Maria
Zanotti in laudem B.M.V.. Le poesie latine del Carboni
furono avidamente lette ed encomiate in Italia.
(...........)
La vita di Francesco
Carboni fu limpida e gloriosa: tentata nel suo
principio dagli avversi colpi di fortuna, gli
scorse poi sempre lieta e contenta, perché
ritrattosi in tempo dai pubblici negozi, ei la
consacrò tutta alla cultura delle lettere.
(...........) ebbe amici molti in Sardegna e in
Italia; e fu amato e lì amò tutti con
caldissimo amore. (...........) La religione, che
venerò sempre, gl'inspirò la maggior parte
delle sue poesie.
Tratto
da: Dizionario Biografico degli Uomini Illustri
di Sardegna Pasquale Tola
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