________________________________________________________________________________________________________ Nemmanco passi fonte regginetta,
guardi a sinistra in cima à la vallata,
e scòrgi, quattro case e 'na chiesetta,
che pareno un castello de nà fata;
incorniciato da nà nuvoletta,
de castagneti e d'aria imbarzamata,
e incastonata su 'gnì collinetta,
c'è 'na sorgente d'acqua imbrillantata.
Brecciara, laonati, er pisciarèllo,
la fonte dè l'abbeti ar naturale;
nun so quadri d'autori de pennello.
Sto paesaggio da restà incantato,
da' la bellezza soprannaturale
è opera de Dio che l'ha creato.
Tommaso Casieri
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LA FONTE
Tutti noi siamo abituati ad aprire il rubinetto di casa per procurarci l'acqua di cui abbiamo bisogno,
ed è tale la consuetudine nel compiere tale gesto che non ne sappiamo più apprezzare l'importanza.
Desideriamo acqua calda, fredda o tiepida? Basta solo compiere un semplice gesto ed ogni nostro
desiderio è esaudito.
Ma un tempo, gli abitanti di San Lorenzo e degli altri paesi come si procuravano l'acqua necessaria
per le faccende domestiche? Se torniamo indietro nel tempo, ci accorgiamo che per i nostri
predecessori le cose non erano così semplici. Sebbene, paradossalmente, gli antichi Romani già
avessero inventato le condutture domestiche e costruito acquedotti, fino alla prima metà del 900 i
nostri avi,a San Lorenzo, dovevano recarsi con catini e recipienti ( "conca" di rame) direttamente
alla sorgente per attingere acqua e portarla nelle loro case. Ciò richiedeva tempo e fatica.
Alla fine del 1800, a San Lorenzo, l'unico sito dove poter attingere acqua era ubicato nel luogo
denominato "la valle". A monte di tale sorgente si trovavano diverse stalle e ciò comportava che gli
animali di allevamento, lì presenti, inquinassero la falda acquifera sottostante.
Numerosi erano i casi di tifo che si riscontravano tra la popolazione, causando anche decessi
inevitabili per la medicina di quei tempi.
Per questo motivo, ma solo più tardi, nei primi del 1900, un certo mastro Antonio, denominato così
per la sua professione, ricevette l'incarico di realizzare un serbatoio in muratura presso un'altra
sorgente, quella immediatamente più vicina al paese, collocata in un castagneto scosceso, al di
sotto del sentiero che conduce alle "Cannavine", non molto distante dalla chiesetta di S. Domenico.
Proprio presso questa fonte, che dà il nome al territorio limitrofe, gli abitanti di San Lorenzo si
dovevano recare più volte al giorno per procurarsi l'acqua necessaria agli usi domestici.
Tale serbatoio, di cui è possibile ancora oggi ammirare la struttura quasi integra, era munito di una
finestra per consentire l'accesso allo scopo di tenere pulito l'invaso perchè l'acqua fosse sempre
potabile.
Vi era poi una cannella da cui si attingeva acqua sempre corrente, la quale andava ad alimentare un
fontanile più in basso dove si abbeverava il bestiame.
la vecchia fonte
Solo nella seconda metà del 1900, San Lorenzo, come tutti gli altri paesi, ha conosciuto le prime
condutture domestiche e solo più tardi è stato dotato di una rete fognante.
Diversi serbatoi furono costruiti negli anni successivi, tra cui quello delle "Bricciara" o quello
attualmente in funzione situato nella località denominata "Le Pezze" perchè costituita da piccoli
appezzamenti di terreno.
Tale serbatoio alimenta la rete idrica attuale, ma fino a qualche anno fa si è rivelato insufficiente a
sodisfare la richiesta di acqua, soprattutto nei periodi estivi di maggiore concentrazione di
popolazione.
Negli ultimi anni del 1900, molte famiglie hanno cercato di ovviare al problema della carenza idrica,
dotandosi di autoclavi e serbatoi domestici, ma tale soluzione si è rivelata poco efficace per le
abitazioni situate nei punti più alti del paese.
Il problema dell'acqua, antico quanto l'uomo, ora a San Lorenzo sembrerebbe quasi risolto dalle
ultime opere di potenziamento del flusso idrico e negli ultimi anni non si sono verificati casi
estremi di carenza idrica, ma nel corso degli anni tale problema ha suscitato aspre diatribe ed ha
acceso gli animi della popolazione contribuendo sempre più a dirottare i villeggianti verso località
turistiche più confortevoli.
Di progressi ne sono stati fatti dal giorno della posa della prima pietra della vecchia "Fonte", ma
occorre fare ancora molto nel tentativo di valorizzare il nostro territorio ed incoraggiare gli scettici
e le generazioni future ad apprezzare il proprio paese di origine.
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"Gliu Schintrone"
Arrivati a "Laonati" si prosegue per " l'Area degliu prete" e poi si scende a valle in direzione di "Tra le Vene"
e della "Mola vecchia". Il percorso, a tratti si snoda alla luce del sole e consente di ammirare un panorama
suggestivo, a tratti si svolge sotto folta vegetazione con foglie che sembrano brillare sotto i raggi solari.
La prima impressione è quella di trovarsi in una natura incontaminata e selvaggia, ma poi si prova una
forte emozione nel vedere emergere, all'improvviso, tra la rigogliosa vegetazione, tracce dei nostri
antenati. Un muretto fatto di pietre conduce ad una piccola piazzola, ed ecco apparire una piccola
costruzione ormai diroccata ed avvolta da rovi.
Riemergono dalle rovine ricordi remoti e tornano alla memoria rumori e suoni di vita contadina passata.
ruderi dello schintrone
Voci, nitriti e muggiti riecheggiano tra le montagne vicine.Proseguendo il nostro cammino e scendendo a
valle il percorso si snoda tra poche case rurali distrutte dal tempo. Si ha la sensazione di trovarsi in un
paese in miniatura. Le rovine sono ancora lì a testimoniare una vita bucolica e dinamica vissuta dai nostri
avi. Si ha la sensazione che la natura voglia cancellare ogni traccia dell'opera umana, ricoprendo tutto
di piante rampicanti ed arbusti, ma gli ancestrali ricordi saranno sempre vivi nella gente dei nostri luoghi.
la vecchia "Mola"
Dallo "Schintrone", scendendo a valle verso il monte di San Giovanni, si raggiunge un paesaggio particolare
e suggestivo, modellato e scolpito dall'impeto dell'acqua fluviale sulle rocce del monte cervia, da un lato,
e del colle di San Giovanni, dall'altro - siamo giunti a "Tra le Vene". All'inizio, proprio dove il letto del
fiume i nizia a diventare impervio e scosceso, si incontra il sito del vecchio mulino ad acqua, (la vecchia
mola), dove la gente del nostro paese e di quelli vicini si recava un tempo, per la macina del grano.
Sebbene la struttura in muratura sia ormai nel degrado più totale, è ancora visibile la conca dell'invaso
d'acqua che alimentava la ruota della macina.
la mola vecchia
Di quest'ultima è ancora intatta una parte costituita da una pietra circolare con un foro centrale dove alloggiava
l'asse in legno che dava il movimento rotatorio alla macina.Tale ruota è tutta ricavata da un unico blocco di
pietra grazie all'abilità di antichi artigiani muniti di soli scalpelli.
Si può inoltre osservare la condotta, che attraverso il muro, portava l'acqua dall'invaso alla ruota principale della
struttura meccanica, di cui ormai non vi è più alcuna traccia. La vecchia "Mola" macinò quintali e quintali di
grano, prima di essere sostituita dal mulino a trazione elettrica, costruito successivamente sulla pianura delle
"Rosce". La vecchia "Mola", tuttavia resiste ancora alla corrosione del tempo, e le sue rovine, ben visibili, sono
ancora lì a testimoniare la sua piena attività nei tempi che furono.
e
San Giovanni in Fistola
Rovine della chiesa di San
Immaginiamo di incamminarci da CollaIto e di scendere a piedi lungo il sentiero che da Colle Aringo attraversa i castagneti . Questi sono stati una vera e propria risorsa per le popolazioni locali, sebbene qui, a differenza di altri luoghi d'Italia dove pure abbondavano tali frutti, non siano state elaborate particolari ricette culinarie. Riprendendo la salita si attraversa un bosco di cerro. L'aspetto è quello tipico della fustaia, cioè di una popolazione vegetale costituita da alberi adulti e che si differenzia dal bosco ceduo che è costituito prevalentemente da alberi giovani che spuntano a piccoli gruppi. Il sentiero che sale a Monte San Giovanni costeggia poi un casolare con accanto un bellissimo albero di roverella. Anche questa è una quercia come il cerro, ma i contadini, laddove potevano, ne crescevano una o più - non per la legna da ardere ma per la ghianda da dare ai maiali. Al disotto della roverella c'è una piccola porcilaia, per un allevamento domestico; questo elemento ci fa pensare che un tempo il casale poteva essere abitato perchè al maiale si porta da mangiare almeno due volte al giorno e pertanto non può stare troppo lontano da dove si abita e poi perchè deve sempre restare sotto l'occhio vigile del padrone per scongiurare furti che un tempo potevano significare fame durante l'inverno per i derubati. Dopo aver attraversato il bosco ed il pascolo naturale alle quote soprastanti il bosco, finalmente si arriva alla chiesetta di Monte San Giovanni. Questa fu edificata su un edificio romano in opera poligonale, forse nel 875; accanto fu eretto un piccolo Monastero.Nel 1074/1075; i Conti dei Marsi cedettero all'Abbazia di Farfa, insieme al Castello di Montagliano, la metà del Monastero di San Giovanni. Nel secolo XII, il Monastero serviva in particolare come luogo di sepoltura agli uomini del vicino castello di Offiano, sotto Pietraforte. Il Monastero fu abbandonato nel corso del XIV secolo. Le tracce del Monastero sono appena visibili, segno evidente di un antico abbandono; la chiesetta, invece, è diroccata ma ben visibile, conseguenza imperdonabile della recente incuria degli uomini. Sembrerebbe che oggi non si abbia più bisogno di mantenere a questi luoghi il ruolo di baricentro religioso e sociale che hanno avuto per secoli, ma fino a qualche anno fa ogni 24 giugno si festeggiava San Giovanni salendo alla chiesetta dell'omonimo monte ".Oggi la chiesa, ormai in rovina, appartenente alla famiglia dei “Giuseppini” di San Lorenzo che ne entrarono in possesso quando, per debiti, gli ultimi proprietari dovettero venderla, è stata parzialmente ristrutturata dalla Comunità Montana. A 60/70 metri dalla chiesetta troviamo il "macerone dei frati" ovvero un mucchio di pietre sul quale, secondo la leggenda dobbiamo depositare un sasso raccolto poco prima lungo la via, pena nell'inadempienza il misterioso doversi "incollare la vecchia". Il "macerone" è ancora ben visibile a pochi metri da ciò che resta della chiesetta e del Monastero: a chi non verrebbe in mente che detto "rituale" sia un retaggio dell'antico contributo dato dai paesani per la costruzione di quel luogo religioso? Nella sottostante località Ponte Riancoli è visibile l'ingresso ad una galleria artificiale; si dice che essa porti fino all'antico Monastero di Monte San Giovanni, ma nessuno l'ha mai verificato.
Vediamo cosa dice la leggenda:
A nord di Collalto, sulla vetta dell’omonimo monte, ci sono i ruderi dell’abbazia di S. Giovanni in Fistola e la chiesetta, oggi restaurata .
Il 24 Giugno, festa di San Giovanni, un tempo gruppi di fedeli si recavano alla chiesetta per assistere alla Santa Messa e, dopo colazione, organizzavano giochi.
I fedeli però, per raggiungere la vetta del monte dovevano sottoporsi ad un rituale che consisteva nel depositare sul “macerone dei frati”, collocato a 60 70 metri dalla chiesetta, un sasso raccolto strada facendo.
Il detto “incollare la vecchia” si riferisce ad una antica leggenda, e racconta di una vecchia, di nome Cleomira, guardiana di un tempio posto sul monte San Giovanni dedicato alla Dea Vacuna (Dea del tempo libero):
Alcuni barbari attaccarono il tempio, lo depredarono, ed uccisero la guardiana, la quale prima di morire invocò la Dea e le chiese di punirli.
La Dea punì i barbari facendoli precipitare con i loro cavalli in un burrone, vicino un fiume chiamato “Resfonnato” (Rio Sfondato).
LA MARMOTTA
A proposito di vecchie, è ormai una usanza del borgo di San Lorenzo e risalente a tempi remoti, quella di
bruciare ogni anno, un fantoccio detto "la marmotta" o la "pupazza" in segno propiziatorio. Ogni estate, il
17 agosto, durante la serata finale dei festeggiamenti in onore di San Lorenzo, un volontario coraggioso e
forzuto, a ritmo di tarantella, deve infilarsi all'interno della struttura del fantoccio, realizzato con carta
pesta e canne, ma comunque pesante, e deve farlo danzare all'interno di un circolo di bambini ed adulti.
Tale danza termina, dopo spari pirotecnici posti sul fantoccio, con il rogo del fantoccio stesso e l'abilità
del danzatore consiste nell'uscire dal fantoccio il più tardi possibile senza ustionarsi. Tale rituale
sicuramente vuole indicare il desiderio di lasciarsi alle spalle l'anno vecchio, dimenticandone e
cancellandone i momenti negativi con il rogo e nello stesso tempo, con la danza e la musica si
tenta di propiziare l'anno entrante in modo che riservi solo cose allegre.
Tale usanza esiste anche in altri paesi. In alcune zone della pianura padana, ad esempio a Gennaio,
subito dopo l'epifania, si realizzano fantocci fatti di materiali svariati e rimediati, spesso cose vecchie
da buttare, e ad una certa ora della sera vengono bruciati in grandi falò.In questo caso senza musica e senza
far danzare il fantoccio, che resta immobile, ma anche qui bambini in circolo vi danzano intorno.A Brescia
questi fantocci vengono chiamati "La Vecia" ovvero la vecchia che simboleggia l'anno passato.
Dunque, è una teoria ma si potrebbe ipotizzare che tale usanza, rivista e corretta, derivi dalla cultura
longobarda e risalga al periodo delle loro invasioni nell'Italia centrale.
la "marmotta" dell'estate 2007
Come si può notare dalle immagini, anche realizzare una marmotta può essere una espressione di talento artistico.
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PELLEGRINAGGIO ALLA S.S. TRINITA'
Un'altra ricorrenza, diventata consuetudine consolidata nel tempo, è il pellegrinaggio al santuario della S.S. Trinità. Ogni anno, il 20 Agosto circa
ci si organizza per partire tutti insieme alla volta del santuario.Anche questa è una occasione per stare insieme, consolidare l'amicizia e condividere
una giornata estiva di cui portare con sè il ricordo nel periodo invernale, in cui ognuno vive e lavora nella propria città.
Di solito si parte in pullman e dopo la visita mistica nel santuario, dopo un momento di raccoglimento spirituale, dopo canti divinatori per la
S.S. Trinità, ci si riunisce a banchettare nei prati, tra canti, giochi ed abbracci.La peculiarità di tale pranzo al sacco è che ognuno offre una
propria specialità culinaria o prelibatezza, incluso il vino della propria cantina.
vista della montagna dove è situato il santuario
momenti del pellegrinaggio e del banchetto
LA PANARA
Ogni occasione è buona per festeggiare, bere e mangiare in compagnia. Altra occasione di festa è quella di fare la
serenata alle coppie di novelli sposi appena tornati dal viaggio di nozze. In tale circostanza si canta sotto la finestra
degli sposi in attesa che questi calino con una fune un cesto, la "panara appunto, pieno di cose buone da mangiare,
accompagnate dal buon vino.Queste occasioni sono proprio indicate per trascorrere diverse ore, fino a tarda notte,
in compagnia ed in allegria. La particolarità di questa consuetudine consiste nel fatto che gli sposi, prima di calare
il cesto di doni, debbano far sgolare a lungo il gruppo degli amici cantanti, considerato che di solito una volta
ricevute le vivande i festeggianti non hanno più tanta energia per cantare, visto che le sprecano a mangiare e bere.
San Lorenzo è il borgo dell'allegria.Basta stare insieme con un bicchiere di vino ed un panino per dimenticare
l'ora ed il giorno corrente di calendario, per fermare il tempo e vivere una dimensione naturale contrapposta
a quella frenetica e stressante della velocità cittadina.
alcune cantine tra le più belle.
Queste cantine rievocano tempi passati di vita contadina attiva nella sua vitalità più piena.Ritornano
in mente parole dialettali pronunciate attorno ad un fuoco o ad un bicchiere di vino fresco rosato.
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DIALETTO SANLORENZANO
Giuà, vè pò ecco e ascite che te faccio assaià lo vinu novu.
Giovanni vieni qui e siediti che ti faccio assaggiare il vino novello.
Vabbè Francì fammelo assaià pò.
Va bene, Francesco fammelo assaggiare.
Quistu è lo vinu fattu coll'uva della pergola che tengo alla Teglia; cértu è un pò asprittu, ma è leggeru, non tè 'mbriaca e non
te fa male alla capoccia.
Questo è il vino fatto con l'uva della pergolata che ho alla Teglia; certamente è un pò aspro di sapore, ma ha pochi gradi, non ti fa ubriacare e non ti fa venir mal di testa.
E' bonu, è bonu, ma ci starria bene nu cinicu de caciu co nu pezzu de pa'.Marì, spicca quigliu priciuttu che lo
tagliemo e ne demo nà fetta a Giuanni; è dall'anbassatu che lo tengo ecco.
E' buono, è buono, ma si accompagnerebbe bene con un pò di formaggio e una fetta di pane.Maria, Prendi quel prosciutto
appeso che ne tagliamo qualche fetta per Giovanni.E' dall'anno scorso che lo conservo qui.
Mhh, è propriu bonu.Quist'annu, Francì, gliu sì refattu gliu porcu?
Mhh, è proprio buono questo prosciutto.Quest'anno ce l'hai il maiale?
Scine gliu so refattu; poi te chiamemo pè damme na manu a fà le sarcicce, quanno gliu macellemo.
Sì lo sto allevando; poi ti chiameremo, quando lo macelleremo per aiutarmi a fare le salsicce.
Francì non me trattenè; me tocca ì via che tengo un saccu de cose da fà: ha dà ì a remette lo fienu alle vacche,
a governà le galline e poi a raccoglie le ianne esso abballe agliu Comaziatu pè gliu porcu.
Francesco, non mi trattenere, devo andare via perchè ho molte cose da fare: devo mettere il fieno alle mucche,
mettere da mangiare e bere alle galline e poi devo raccogliere delle ghiande al Comaziato per il maiale.
Ma fratitu e paritu dò stau?
Dove stanno tuo fratello e tuo padre?
Eh issi sò iti a vangà alle pezze e mogliema sta a coce lo pane agliu furnu.
Loro sono andati a vangare alle "pezze" e mia moglie sta cuocendo il pane al forno.
Fermate un atru minutu che ce facemu un atru picchieru.
Fermati solo un altro minuto, il tempo di berci un altro bicchiere
Eh va bè ma pocu perchè me tocca ì via.
Eh va bene ma poco perchè devo andare.
Giuà, massera vado a lettu prestu perchè so straccu, ma quanno repassi addemà, chiamame che tà da parlà perchè
dovria taglià na macchia esso abballe alla fonte, vicino le castagne teo, e cucì ce mettemo d'accordu.
Giovanni, questa sera vado a dormire presto perchè sono stanco, ma quando domani ripassi di quà, chiamami
perchè ho bisogno di parlarti in quanto devo tagliare degli alberi giù alla "Fonte", vicino il tuo castagneto, e così
ci mettiamo d'accordo.
Gliu vò un atru picchieru?
Giovanni, lo bevi un altro bicchiere?
No basta compà, ce vedemo addemà che se sta a fà scuru, ciao.
No basta, compare Francesco, ci vediamo domani, si sta facendo notte.Ciao
Giovanni, Francesco e Maria sono personaggi di fantasia, ma il loro colloquio ci ha riproiettati per un attimo
nel passato, facendoci immaginare un momento di vita sociale dell'epoca nel nostro borgo.
A quei tempi, a pochi anni di distanza dal dopoguerra, la gente che aveva conosciuto la fame e la sofferenza,
era predisposta alla fratellanza, alla solidarietà mostrando il proprio affetto e la propria amicizia verso il
prossimo con cose semplici ed umili come può essere un bicchiere di vino.Tutte le porte delle abitazioni erano
sempre aperte, anche di notte erano accostate ma non chiuse a chiave e tutti si salutavano con affetto.
Ora le nuove generazioni non sanno cosa significhi patire la fame o vivere costantemente con il terrore
di perdere la propria vita o quella dei familiari cari a causa della guerra, mentre a quei tempi non si temeva
di perdere i beni materiali perchè l'unico bene prezioso che si aveva era la propria vita. Ora vivendo in
un benessere apparente e credendo di poter avere tutto, anche acquistando a rate e credendo di non
avere bisogno di nessuno, ognuno mostra diffidenza verso tutti perdendo di vista i veri valori della vita.
Il progresso ci fa vivere in una rincorsa frenetica per accumulare ricchezze a discapito del prossimo e noncuranti
degli altri si corre verso chissà cosa.
Nelle città questo aspetto dei rapporti sociali è ancor più accentuato, basti pensare che in un condominio non ci
si conosce neanche con il vicino di pianerottolo.L'egoismo e la diffidenza regnano nei nostri animi, insieme al
desiderio di prevalere sugli altri; non importa con quali mezzi raggiungere l'obiettivo prefissato, ogni
mezzo è lecito ed il fine giustifica i mezzi. Invidia, egoismo, avidità, diffidenza ed intolleranza sono i
sentimenti che caratterizzano la società moderna. Fortunatamente nel nostro borgo, grazie ai nostri vecchi,
ancora in vita, che con il loro esempio ci influenzano positivamente, continua ad esistere, seppure in forma
ridotta rispetto ai tempi passati, una sorta di fratellanza che ci fa sentire tutti amici e legati quasi da un forte
vincolo di parentela.
Speriamo tanto che San Lorenzo resti per sempre l'isola dell'amicizia e della solidarietà e che si preservi da
qualsiasi contaminazione del progresso cittadino che altro non fà che impoverire gli animi dei buoni
sentimenti ed allontanare le persone isolandole le une dalle altre in un benessere apparente perchè basato sul
materialismo.
Ecco perchè i nostri figli devono conoscere il passato, per conservarne e custodirne gelosamente gli aspetti più
buoni e positivi.
Bongiorno Giuà addorevà oi? Fermate na cria cucì parlemo nu pocu della macchia da taglià pè stimà i confini.
Buongiorno Giovanni.Dove vai oggi? Fermati un attimo così parliamo un momento delle piante che devo tagliare
per definire i confini delle nostre proprietà.
Vabbè Francì, ma prima t'ha da dì che mogliema ieri ha fattu lo pane e dei ciammellitti.
M'ha dittu de portanne due a moglieta Maria pe faglielì assaià.
Va bene Francesco, ma prima devo dirti che mia moglie ieri ha cucinato il pane e con l'occasione delle ciambelle
e pertanto mi ha detto di portarne alcune a tua moglie Maria per fargliele assaggiare.
grazie cumpà.
Grazie compare giovanni.
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A proposito di cambellette, vediamo la ricetta :
LE CIAMBELLETTE VISCOTTE
ingredienti per 10 viscotte:
2 uova;
un pizzico di sale;
mezzo bicchiere di olio di oliva extravergine;
un pizzico di anice;
farina quanto basta;
procedura:
mettere la farina a fontana; fare il buco al centro della farina metterci le uova con
gli altri ingredienti;
impastare il tutto;
fare delle piccole ciambelle con l'impasto;
far "viscocere" le ciambelle, ovvero buttarle nell'acqua calda ad inizio bollitura e toglierle appena
risalgono;
incidere poi le ciambellette ad anello;
mettere le ciambelle nel forno;
tolte dal forno fare la glassatura se si gradisce, farle raffreddare e servire.
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IL CIAMBELLONE
ingredienti:
4 uova;
12 cucchiai di farina;
12 cucchiai di zucchero;
1 bustina di lievito
1/2 bicchiere di latte
1/2 bicchiere di olio di oliva extravergine
1 buccia di limone grattugiata ( se piace il gusto)
procedura:
dopo aver miscelato tutti gli ingredienti, versare il contenuto in apposito
contenitore e mettere a cuocere nel forno.
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LE FRAPPE
Quelle che a San Lorenzo vengono chiamate "frappe", altrove vengono chiamate "chiacchiere", oppure "bugie"
o ancora in tanti altri modi.
ingredienti:
2 uova;
10 cucchiai di farina;
1 cucchiaio di sambuca;
1 cucchiaino di limone;
un pizzico di sale;
1 cucchiaio di olio di oliva extravergine;
zucchero per spolverata a lavoro finito;
procedura:
dopo aver impastato tutti gli ingredienti, si stende l'impasto per realizzare una sfoglia.
Dalla sfoglia si tagliano rombi che poi si friggono in olio bollente;
L'esperienza consiste nel togliere subito le frappe dall'olio - deve essere una cottura
istantanea, altrimenti si bruciano.
Spolverare le frappe con lo zucchero o se piace bagnarle con il miele.
Servirle fredde.
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L'alimento per eccellenza di una volta era il pane.
Un tempo non esistevano i lieviti in bustina ed allora si creava in casa, impastando
acqua e farina e mettendo l'impasto fuori dalla finestra, all'aria, per fermentare.
Una volta fermentato l'impasto, si otteneva così del buon lievito.
Usato il lievito per impastare il pane, si toglieva un pezzetto di impasto e si
conservava al fresco per usarlo come lievito per la volta successiva.
Il pane si infornava una volta a settimana e si conservava per i sette giorni successivi
tenendolo avvolto in panni all'interno di un mobile di legno stagionato chiamato "arca",
perchè lo sportello che fungeva da coperchio si apriva dalla parte superiore.
Il pane, la farina e dunque il grano erano la prima risorsa alimentare per quei tempi.
Come si lavorava il grano?
Dal grano al pane
PRODUZIONE DEL GRANO
Fasi della coltivazione del grano:
concimazione del terreno con letame | |
aratura | |
erpice | |
semina | |
mietitura | |
(raccolta dei covoni) | |
Trebbiatura (battitura) | |
macinazione |
Il lavoro nei campi per la semina del grano inizia, secondo la tradizione, verso i primi di settembre con l'aratura dei campi.
L'attrezzo usato è uno dei più antichi che si conosca: l'aratro.Al tipo interamente in legno venne sostituito alla fine del
1800 quello con la punta in ferro.
Attorno al 1920 comparvero le prime trattrici Fiat, ma l'aratro di legno si è visto al lavoro nei campi del nostro territorio
anche dopo il 1950.Un tempo l'aratro veniva trainato da diverse coppie di buoi. I bovini destinati al lavoro venivano
appaiati e
allenati al giogo al posto di destra o di sinistra e in quella posizione
erano mantenuti sempre.
Il contadino camminava nel solco appena fatto e guidava l'aratro con le
mani, alzandolo e spostandolo a seconda degli
ostacoli che incontrava. Questo lavoro faticoso, fatto del sudore dell'uomo e delle bestie, iniziava alla mattina presto
col buio e continuava fino a sera. Ogni tanto una sosta permetteva a tutti di riposarsi.
Dopo l'aratura le zolle che si formavano dovevano essere frantumate e il terreno livellato.
Si usava un'apparecchiatura che con i suoi denti affondati nel terreno lo spezzettavano e lo spianavano: "l'erpice".
Era trainata dai buoi prima che anche in questo lavoro subentrassero le macchine.
Semina
tipi di grano da semina di cui ci si ricorda maggiormente e che vennero utilizzati nella prima metà del 1900 erano
il Gentil rosso, che ha fatto da capostipite per una lunga serie di altri tipi di grano da semina, il Mentana, il
Damiano e il Ciro Menotti.
Si seminava dalla fine di ottobre ai primi di novembre con la luna buona, nel giorno della settimana in cui era caduto
il Natale dell'anno prima, mai di venerdì.Il grano da semina è da sempre in continua evoluzione perché col passare
degli anni anche le migliori qualità perdono le loro caratteristiche e la resistenza alle malattie che sopraggiungono.
l grano si è sempre seminato a mano, a spaglio. Il contadino teneva un sacchetto di seme a tracolla e camminando
in modo regolare spargeva il seme con un largo gesto del braccio. Si è in molti casi seminato a mano fino alla seconda
guerra mondiale perché i contadini a mezzadria non avevano soldi per acquistare alcun tipo di macchina.
Le primi seminatrici comparse all'inizio del 1900 erano di produzione estera. Quelle di produzione nazionale apparvero
sul mercato verso il 1934-35. Alla fine del 1935 nacquero le prime seminatrici brevettate Garavini. Gli agricoltori
inizialmente utilizzavano i buoi che avevano nella stalla per trainare queste apparecchiature meccaniche.Poi
gradualmente si passò al traino meccanico.
Dopo la semina i semi di grano venivano ricoperti livellando la terra .
Mietitura
La raccolta del grano veniva effettuata verso la fine di giugno. Da tempi remotissimi il grano è stato raccolto a mano
con la falce messoria che ha mantenuto nei millenni la stessa forma. Con una mano si teneva il mannello di steli di grano
e con la falce lo si tagliava a circa 20 centimetri da terra e si stendeva a terra per qualche giorno per l'essicazione.
I mannelli si riunivano in covonilegandoli assieme con steli di grano e venivano quindi caricati sui carri e portati sull'aia
in attesa della trebbiatura .
Verso il 1920 si sono cominciati ad utilizzare rudimentali attrezzature per la mietitura. Verso il 1933 appaiono sul mercato
le mietilega di fabbricazione tedesca e quelle italiane di marca Laverda.
Trebbiatura
La trebbiatura consiste nella separazione dei chicci di grano dalla paglia e dalle glume, e nel passato è stata eseguita in
vari modi:
col calpestio degli animali;
con lo sfregamento di una pietra,
con la battitura mediante batoni,
con la trebbiatrice.
La paglia rimasta, mescolata al fieno, veniva data da mangiare ai
bovini oppure serviva da lettiera per le bestie nella stalla.
dopo aver trebbiato il grano con ciascuno di questi metodi era necessario separare il chicco dalla paglia e dalla pula.
Occorreva una giornata ventosa, si stendeva in terra un telo, con una pala si raccoglieva il grano battuto e si portava la pala
all'altezza della spalla.
Se ne lasciava cadere contro vento una piccola quantità alla volta: il vento portava via la pula e il chicco cadeva sul telo,
poi veniva raccolto e insaccato in attesa di essere vagliato nel tardo autunno
Oggi questo lavoro lo compie la macchina con un solo operatore che rimane in cabina con l'aria condizionata e compie tutte le operazione con il computer di bordo.
PRODUZIONE DEL PANE
Dal tempo degli Egizi fino ai giorni nostri il pane è stato
l'alimento principale dell'uomo e il simbolo della lotta alla fame.
Il pane non si ottiene solo dalla farina di grano. Nelle nostre case
contadine, nei periodi difficili, si è fatto uso abbondante
di farina di granoturco.
Per produrre il pane si utilizzano farine di grani teneri, per la pasta si usano invece farine di grani duri.
Macinazione del grano
Raramente il grano si macinava nelle case contadine. Quelle
piccole macine azionate a mano che sono state trovate servivano per lo più
per macinare il granoturco per gli animali.
La macinazione avveniva di solito presso i mulini che erano sparsi su
tutto il territorio, soprattutto lungo fiumi e canali al tempo dei mulini
ad acqua.
Quando una famiglia era composta da tante persone si andava al mulino con cinque o sei quintali di grano; le famiglie meno numerose macinavano un quintale alla volta altrimenti la farina invecchiava. Si tornava dal mulino con la farina nei sacchi di tela di canapa bianca fatta al telaio.
Una volta alla settimana, la sera prima di fare il pane le donne setacciavano la farina sul tagliere. Nel setaccio con la tela più grossolana restava la crusca; nel secondo setaccio restava il cruschello. Sul tagliere restava la parte più nobile della farina che serviva per fare pane e pasta.
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LATTE e FORMAGGIO
Il formaggio è stato sempre considerato importante e ben gradito nell'alimentazione della nostra zona. Morbido, stagionato o secco era presente spesso sulle nostre tavole. Per quasi tutto l'anno si aveva il latte per i bambini e per i vecchi della casa mentre il formaggio prodotto andava in parte venduto.
La mungitura era un'operazione non alla portata di tutti perché richiedeva un'attitudine particolare nel movimento delle mani. Non doveva provocare sensazioni dolorose all'animale. La mucca sapeva riconoscere chi la mungeva dalla pressione delle dita e se non era il consueto mungitore rifiutava di "dare" il latte. Il mungitore, o la mungitrice, seduti su un basso sedile di fianco alla mucca, verso la parte posteriore del corpo dell'animale, afferrava e stringeva il capezzolo fra il pollice e l'indice delle mani; poi, a mani chiuse, alternativamente, faceva schizzare il latte in un recipiente di ferro, normalmente smaltato.
Il latte veniva versato in un secchio , filtrato e poi trasferito in contenitori di alluminio.
Produzione del formaggio
Si tenga presente che se si trattava di mucche da lavoro la quantità di latte mungibile era poca, al massimo sui 7-10 litri, mentre da una lattifera la quantità arrivava oltre 25-30 litri giornalieri. Una modesta quantità serviva per uso familiare, un'altra parte era usata per fare formaggio da consumarsi nell'ambito familiare o venduto a domicilio a clienti abituali che andavano personalmente a ritirarlo. Chi possedeva qualche capra o pecora mungeva le femmine allattanti senza danneggiare gli agnelli e usava il latte soprattutto per ricavarne formaggio e ricotta. Il formaggio di produzione domestica era molto richiesto e le massaie contadine ne producevano di tre tipi: tenero fresco, semistagionato (15-30 giorni), stagionato (oltre 30 giorni). Per fare un formaggio normale occorrevano circa sei litri di latte.l formaggio si ottiene dalla caseina del latte che sotto l'azione di un enzima coagulante, la chimasi o caglio, si rapprende.
Questo coagulante é presente nello stomaco degli animali lattanti (vitelli, agnelli, capretti), ed in alcuni vegetali (es. carciofo selvatico) dai quali viene estratto sotto forma di liquido. Il procedimento per trasformare il latte in formaggio non era molto complicato ma richiedeva precauzioni e molto tempo.
Il latte, anche se munto da varie ore, andava riscaldato ad una temperatura di 10-15 gradi. Nel recipiente si versavano alcuni cucchiai di caglio in proporzione alla quantità di latte, si mescolava e si copriva il recipiente in attesa che si compisse la coagulazione. Dopo un paio d'ore, se tutto il latte era rappreso, con il ramaiolo, si frantumava il grosso grumo per farne uscire la parte acquosa, il siero, indi si raccoglieva il cagliato, versandolo negli stampi.
Mentre per i formaggi freshi e morbidi la permanenza del cagliato nello stampo era limitato a poche ore, per gli altri tipi era richiesto un lavoro di assistenza più prolungato. Il cagliato veniva ben spremuto con le mani per farne uscire la maggior quantità possibile di siero, poi era trasferito nel casarotto dove veniva pressato più e più volte con le mani incrociate, anche per oltre un'ora, in modo da rendere compatta la masserella di cagliato.
Si metteva sul tutto un pizzico di sale e si lasciava riposare. Dopo dodici ore si toglieva il cagliato dallo stampo, ormai compatto, e rivoltatolo vi si cospargeva sopra un pizzico di sale e si poneva sull'apposita asse appesa al soffitto di una stanza riservata a questo uso, asciutta ed arieggiata. Quest'asse aveva due scanalature laterali nelle quali si raccoglieva il siero residuo che usciva dalla pasta di formaggio e che scorrendo sgocciolava in due recipienti appositamente sistemati.
Questo tipo di formaggio, ogni giorno doveva essere voltato, lavato e ben asciugato.
Del latte nulla veniva scartato, nemmeno il siero che era utilizzato o come nutrimento per i maiali o per ricavarne la ricotta. Per una buona colazione il formaggio veniva consumato fresco, morbido oppure stagionato con pane e un buon bicchiere di vino rosso. Il tipo secco veniva grattugiato su un bel piatto di minestra asciutta; Il formaggio era e rimane un ottimo cibo, sia pure campagnolo, poco aristocratico, ma tanto appetitoso.
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Il maiale, amico dell'uomo
Alla nascita pesa da
0,7 a
2 kg.
Adulto può arrivare a kg.180.
Dimensioni massime: alto mt. 1 - lungo mt. 2.
Può vivere da 10 a 12 anni.
E' allevato per la carne (fresca o lavorata e conservata).
Le razze più diffuse: Large, Landrace.
E' onnivoro; mangia di tutto; grufola per terra in cerca di radici, vermi,
insetti, lumache.
La femmina (scrofa) accoppiatasi con il maschio può partorire due tre
volte l'anno; la gravidanza dura 114 giorni: ad ogni parto nascono da 6 a 14 maialini che vengono svezzati in genere all'età di
due tre mesi .
Dopo lo svezzamento i suinetti vengono castrati e comincia
l'alimentazione da ingrasso.
Raggiunto il peso di 100/120 Kg. il maiale è pronto per la macellazione.
Fino a qualche millennio fa il maiale era un animale selvatico ed
era più piccolo e più scuro di quello odierno.
-Circa 5000 anni fa il maiale cominciò a farsi catturare dagli
uomini e cominciò la sua domesticazione, diventando una comoda provvista
di carne, essendo molto semplice e pratico il modo di alimentarlo.
-Nel Medioevo non era raro vederlo per le vie a fare le veci degli
spazzini.
-Del maiale non si butta via niente. Dalla pelle si ricavano
guanti, scarpe, ecc... Con le setole si fanno spazzole e pennelli, con le
ossa si produce una colla speciale.
Il maiale veniva allevato nello stalletto o "porcile": questo non era altro che una piccola e bassa costruzione di pietra, con serraglio all'aperto, vicino al pollaio.
Il maiale rappresentava un riferimento vitale per la sopravvivenza e l'economia della famiglia contadina.
Molto curata era l'alimentazione del maiale: raccolta e utilizzo di tanti prodotti ortofrutticoli, patate, mele, barbabietole, avanzi di cucina, sottoprodotti della molitura cerealicola, come la crusca, la farina di mais.
Lo stalletto e la specifica buca del letame si facevano sentire per i loro caratteristici odori anche se quotidianamente il porcile veniva ripulito e ricoperto di paglia al fine di asciugare il ruvido pavimento e impedire rovinosi scivoloni per il suino.
Il periodo canonico della uccisione e della pressoché immediata concia delle carni del maiale, cade con la ricorrenza di S. Andrea (30 novembre), il periodo finisce, ma non sempre vengono rispettati gli andamenti stagionali, per S. Antonio Abate (17 gennaio) protettore sacro degli animali domestici, della stalla, del cortile; ma è considerato protettore, in particolare, del maiale tanto da essere nella iconografia popolare raffigurato con accanto un maialino.
Accudire il suino rappresentava un impegno totale per tutti i giorni dell'anno, ovviamente anche quelli festivi.
La fase lunare era considerata molto importante per la macellazione del maiale (fase di luna calante e luna nuova).
Quel giorno non si poteva fare né il pane né la pasta, per timore
che la carne potesse deperire in breve tempo.
Quando si uccideva il maiale nella casa contadina c'era aria di festa, ma
anche emozione, specialmente per i bambini; per qualcuno era come se se ne
andasse un amico. Il più triste di tutti era il povero maiale che sembrava
avvertire la fine imminente.
Un membro anziano della famiglia si incaricava della uccisione del maiale oppure veniva chiamato uno specialista che in quel periodo dell'anno andava di casa in casa per uccidere il maiale e conciarne le carni.
Nel giorno fissato, le donne facevano bollire dell'acqua in una
grossa caldaia; gli uomini, intanto, preparavano il traliccio di pali al
quale avrebbero appeso il corpo del maiale ucciso affinché potesse essere
squartato più agevolmente.
Dal porcile veniva condotto fuori con forza il maiale, portato vicino al
traliccio dove veniva ucciso con un lungo e acuminato coltello che il
macellaio gli piantava nel cuore o nella gola.
Intanto una donna era pronta con un tegame e raccogliere il sangue che
sgorgava dalla ferita dell'animale, per farne poi una pietanza: "il
sanguinaccio".
Quando il corpo del maiale appariva completamente dissanguato veniva deposto su un fianco, sopra un piano di assito per essere pelato. Si versava sul corpo l'acqua bollente e raschiando con un coltello a lama larga si asportavano le setole, ripetendo l'operazione anche sull'altro fianco. Infine si asportavano gli unghioli, la lingua e la laringe. A questo punto il corpo del maiale veniva appeso per le zampe posteriori .Ora lo si apriva con un coltello tagliente procedendo alla asportazione dei vari organi: la vescica che ripulita e gonfiata sarebbe servita per contenere il grasso del maiale, tutte le interiora. Quindi il macellaio spaccava con l'accetta il maiale in due parti che, lavate e staccate dal traliccio, venivano appese in casa per un giorno o due. Intanto si rivoltavano, si lavavano e si salavano le budella che sarebbero servite per contenere la carne macinata.
Il giorno successivo o l'altro avveniva la selezione delle carni secondo il tipo di commestibile.
Si preparavano i prosciutti, la pancetta che, tenuti per quaranta
giorni sotto sale, venivano successivamente appesi in cantina a una trave;
si macinava la carne precedentemente selezionata e la si insaccava nelle
budella preventivamente lavate per preparare le salsicce, i salami, i
cotechini, le coppe, i lombetti che venivano appesi in cucina a stagionare
e successivamente posti sotto cenere per essere conservati.
Si confezionava il musetto facendo bollire in un pentolone tutte le
ossa dalle quali si staccavano i residui di carne che, bolliti, macinati,
conditi, venivano insaccati per essere, poi, affettati e consumati (si
otteneva la cosiddetta "coppa").
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TESSITURA
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D'inverno al tepore del camino si filava. Ogni donna aveva la propria rocca e il proprio fuso. La filatrice vestiva la rocca avvolgendola di fibra pettinata, infilava l'estremità dello stelo della rocca sotto la fettuccia del grembiule sulla sinistra facendolo passare prima per l'asola di una fettuccia ripiegata e fermata alla spalla sinistra. Bagnandosi il pollice e l'indice della mano sinistra tirava un po' di fibra attorcigliandola e ricavandone un po' di filo che fissava al fuso che faceva prillare in senso orario con la mano destra. Continuava così a tirare la fibra, bagnandosi sempre le dita con la saliva o bagnando con le labbra o la lingua la fibra stessa, a far prillare il fuso e a raccogliere il filo sul fuso fino a quando questo fosse stato pieno. Il filo dei fusi veniva raccolto in matasse tramite uno strumento chiamato naspa. Occorreva il filo di cinque fusi per fare una matassa. Le estremità dei fili si annodavano col classico nodo sull'unghia. Normalmente le matasse erano grigie. Si provvedeva così al loro lavaggio e alla successiva imbiancatura. Le matasse venivano risciacquate in acqua fredda. Se il filato risultava candido l'operazione era terminata. Normalmente però l'operazione della bollitura doveva essere ripetuta più volte, anche quattro o cinque volte, prima di conseguire il risultato desiderato. Le matasse venivano infilate in canne sistemate sulle spalliere di due sedie e lasciate all'aperto, al sole ad asciugare. La tela è un intreccio di fili posti in senso longitudinale e trasversale rispetto al telaio. L'orditura è quella operazione che prepara la composizione longitudinale dei fili. Consisteva nello stendere una serie di fili su una intelaiatura chiamata orditoio, formata da due longheroni verticali muniti di una serie di pioli e collegati da due traversoni orizzontali. Su quello superiore era fissata una forcella di legno, dove l'orditrice, doveva incrociare i fili ad ogni passaggio in andata e ritorno facendo la così detta croce. Un altro passaggio delicato era nell'esecuzione del piede dell'ordito, quando raggiunto l'ultimo piolo si ripartiva per tornare al punto iniziale dell'orditura. L'orditrice teneva in una mano la paletta di legno forata, e con l'altra mano guidava il fascio dei fili che erano prelevati da cannelli grandi infilati in ferri fissati verticalmente su un'asse. Occorrevano numerose ore di lavoro per completare l'orditura e qualunque errore in questa fase comprometteva il prodotto finale. L'ordito veniva poi trasferito sul subbio del telaio, iniziando dal piede dell'ordito. Occorrevano quattro persone: due avevano l'incarico di far ruotare il subbio posteriore con due leve, con l'avvertenza di tirare sempre con la stessa forza; una teneva in tensione l'ordito mentre questo veniva avvolto sul subbio e la quarta persona, la tessitrice, guidava l'ordito sul subbio usando un'intelaiatura a piuolini chiamato rastrello. Nei due occhielli derivanti dall'incrocio dei fili realizzato sulla forcella dell'orditoio venivano inserite due canne. Questo permetteva di dividere i fili alternativamente in filo pari e filo dispari. Dopo i fili venivano fatti passare attraverso gli occhielli dei licci detti anche licciature, e attraverso i denti del pettine, annodandoli poi a gruppi fra loro. Una volta sistemato il pettine nell'alloggiamento della cassa battente, i fili divisi in piccoli mazzetti dovevano essere agganciati tutti con la stessa tensione ad una striscia di tela collegata al subbio anteriore. Poi si collegavano i licci con la pedaliera, tramite robusti cordoni controllando sempre che vi fosse la giusta tensione fra essi. A questo punto la tessitrice sedeva sull'apposita asse con le spalle al muro ed era pronta a far scorrere a destra e a sinistra la spola, spola, contenente il cannellino, avvolto di filo di accia o di cotone. La spola veniva spinta nel passaggio, o passo, creato fra la cassa battente e la tela già fatta e avvolta nel subbio.
INSOMMA, LA FAMIGLIA MEDIA DELL'EPOCA ERA AUTOSUFFICIENTE ED AUTONOMA, PRODUCENDO TUTTO IL NECESSARIO IN CASA.
ORMAI, CON IL PASSARE DEL TEMPO, QUEI SAPORI ED ODORI ANTICHI SI PERDERANNO NELLA MEMORIA DI QUELLE POCHE
PERSONE CHE HANNO AVUTO LA FORTUNA DI CONOSCERLI.
ORA TUTTO SI PRODUCE IN SCALA INDUSTRIALE, OGNI GENERE ALIMENTARE E' FRUTTO DI STUDI VOLTI ALLO SCOPO DI PRIVILEGIARE
LA QUANTITA' A SCAPITO DELLA QUALITA', USANDO INSETTICIDI, PESTICIDI, COLORANTI, CONSERVANTI, MANGIMI ANIMALI,
CON LE CONSEGUENZE CHE TUTTI CONOSCIAMO. ORA TUTTI I TIPI DI FRUTTA, SI TROVANO SUL BANCO IN TUTTE LE STAGIONI;
TUTTI GLI ORTAGGI SONO BELLI A VEDERSI, MA INSIPIDI A MANGIARSI. ANCHE NEL CIBO CHE MANGIAMO VIGE LA REGOLA
DELL'APPARENZA. TUTTA LA SOCIETA' MODERNA SI BASA SULL'APPARENZA.
CHE FINE HA FATTO IL BUON PANE DELLA NONNA?
Sono qui raccolte alcune immagini di utensili ed oggetti che caratterizzavano la vita contadina ed il lavoro
quotidiano di un tempo passato.
Tali immagini, sicuramente, possono rievocare nella memoria di alcuni, ricordi sopiti, ma per i più giovani
possono destare soltanto curiosità. Certo è che in pochi decenni il progresso ha sconvolto le nostre abitudini
quotidiane. Dall'epoca del calamaio siamo giunti in un balzo all'era dei personal computer, dall'epoca del
telegrafo senza fili siamo arrivati all'era di internet, che collega in tempo reale tutto il mondo.
ferri da stiro ( si scaldavano vicino al fuoco o si riempivano di brace ardente)
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macinino per caffè e macinino per pepe
lanterna ad olio recipiente per acqua in rame (" la conca") set di bicchieri
set di attrezzi da lavoro recipiente per latte ed olio corno di mucca usato come portacesoie
aratro in legno con punta in ferro aratri in ferro
setacci recipienti per acqua e vino mortaio
strumenti da barbiere
attrezzi da taglialegna
attrezzi da calzolaio
macchina da cucire
giochi per i bambini di un tempo
TELAIO
set da scrivano
pressatrice di paglia e fieno trebbiatrice per grano
artigiano di cesti in vimini
una delle prime radio a valvole vecchio modello di telefono fisso una delle prime macchine da scrivere
giradischi uno dei primi modelli di televisione ( di lusso )
Negli ultimi decenni, dal dopoguerra in poi, il progresso ha fatto passi da gigante. Molti ricorderanno che solo fino a pochi anni fa si usava la carta carbone per poter scrivere contemporaneamente più copie dello stesso documento, con la macchina da scrivere. Successivamente sono entrate in uso le fotocopiatrici, ed ora con la video-scrittura, mediante il personal computer, possiamo modificare e stampare quante copie occorrono di uno stesso file in formato testo.Al classico portalettere si sta sostituendo la posta elettronica (e-mail); è più rapida e più sicura; anche il fax diventerà presto obsoleto.
Sembrano trascorsi secoli, eppure solo pochi anni fa si usava il calamaio con il pennino per scrivere a mano, ci si doveva alzare dal divano per cambiare canale televisivo; le emittenti erano solo due ed i televisori erano in bianco e nero; non esisteva il telecomando che ora usiamo anche per aprire il cancello di casa, la nostra autovettura, per azionare il nostro condizionatore. Presto ci sarà la televisione digitale, senza antenna perchè tutto viaggerà nel cavo telefonico. Pochi decenni fa, si ascoltava musica con dischi in vinile di 45 e 33 giri, contenenti al massimo qualche brano musicale, sfruttando il lato A ed il lato B; ora con i lettori MP3 possiamo memorizzare ed ascoltare centinaia di brani musicali preferiti.
E' da pochi anni che sono diventati di uso quotidiano, alla portata economica di tutti, i telefonini cellulari; ora questi strumenti servono per videotelefonare, ascoltare musica, registrare video-film e scattare fotografie digitali, per collegarsi ad internet e per inviare semplici messaggi di testo, oppure messaggi contenenti immagini e video. Nella nostra vita quotidiana usiamo oggetti che solo pochi anni fa non avremmo immaginato potessero esistere.
L'invenzione dell'energia elettrica prima, l'elettronica e l'informatica poi hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere; hanno attivato il processo di una nuova rivoluzione industriale. Ora per viaggiare in auto basta un navigatore satellitare per arrivare a qualsiasi meta percorrendo il percorso ottimale più breve; Già si sta studiando un tipo di personal computer che riconosca il proprio timbro vocale e con il quale si possa interagire con comandi vocali.
Insomma la nostra vita è e sarà sempre più comoda ( peccato che è solo apparenza); tutto, un giorno, si otterrà in tempo reale senza alzarsi o scomodarsi dalla propria sedia; senza uscire da casa si comunicherà con tutto il mondo. La nostra casa diventerà intelligente, sceglierà la temperatura ottimale per gli ambienti, ci farà ascoltare della buona musica nel momento programmato; sarà la nostra scuola, assistendo alle lezioni in video collegamento; diventerà il nostro ufficio lavorando con il tele-lavoro; vivremo comodamente sul nostro divano facendo i nostri acquisti via internet.
Insomma, un giorno non sapremo più cosa significhi stare tra la gente perchè vivremo comodamente tra le mura domestiche, smarriremo il senso dell'amicizia, della fratellanza e non sapremo più vivere in armonia con gli altri. Ognuno penserà di avere tutto e di non avere bisogno di nessuno; anzi il vicino di strada diventerà un elemento di disturbo, un fastidioso estraneo. Nessuno saprà più aspettare ,o avere pazienza, ma si pretenderà di avere tutto in tempo reale; prima di subito a tal punto che il computer acquistato ieri ormai oggi ha un processore troppo lento e va cambiato; tutto sarà urgente, la vita sarà sempre più frenetica a ritmi accelerati e nessuno sarà più tollerante nei confronti del suo simile; si ameranno solo gli animali domestici, che non avendo la parola, accetteranno sempre gli ordini ricevuti dal padrone, senza repliche. Già nel traffico cittadino si avvertono i primi sintomi di questo fenomeno; ognuno tenta di superare l'automobile che ha davanti, anche se guadagnando una sola posizione; ognuno suona il clacson alla vettura che lo precede perchè lo irrita solo per il fatto di trovarsela davanti.
Già la cronaca nera ci sottopone notizie drammatiche di delitti ed omicidi tra membri della stessa famiglia, tra vicini di casa, e guarda caso tali eventi si manifestano nei paesi più industrializzati e più ricchi del nord; proprio là dove ognuno è autonomo economicamente e pensa di essere superiore ad ogni altro solo per il fatto che crede di poter comprare tutto.
E' per questo che occorre recuperare il vero senso della vita, quella semplice e genuina fatta di ritmi più lenti necessari per poter scrutare nel profondo della nostra anima e ritrovare la nostra vera dimensione, la nostra spiritualità.
E' per questo che occorre recuperare la capacità a vivere la vita nella pienezza della sua essenza, in sintonia con il mondo che ci circonda ed in armonia con i nostri simili.
Certamente, basterebbero alcuni giorni di BLACK OUT energetico, per capire che non sappiamo più vivere e sentirci terribilmente smarriti senza le nostre comodità. Eppure i nostri avi sono sopravvissuti senza le nostre apparenti comodità!!!!