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Marina
Zatta - direttrice della Sezione Arte
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dell'
Associazione culturale Soqquadro, Roma
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Definire
il lavoro di Branimir Antonov può non sembrare semplice,
ma in realtà c’è una parola chiave che racconta il nucleo
dell’universo di quest’artista. La parola magica è «
MATERIA ». Dietro i lavori di Branimir si intravede
chiaramente il rapporto carnale che quest’uomo ha con
la materia dell’arte, che non è da lui semplicemente
usata, ma plasmata, fusa, manipolata, come le carni
di un’amante tra le mani ardite di un uomo. Attraverso
questa sorta di disinibito rapporto d’amore che, come
tutti i rapporti d’amore, comprende in sé delicatezza
e violenza; i colori, ma anche le resine, gli stracci,
la calce, divengono altro, si compongono nell’esperienza
creativa trasformandosi in meravigliose opere che suscitano
forti momenti contemplativi in chi li osserva.
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La magia
dell’incanto di opere spesso monocrome e comunque sempre
raffinate, non è raggiunta attraverso un rapporto di
delicato rispetto del creatore nei confronti della materia
artistica, ma con l’abbandonarsi ad un rapporto che
è sensuale, fatto di momenti intercorsi tra l’autore
e l’opera che ruotano intorno alle parole sciogliere,
plasmare, toccare, torcere, intrappolare; momenti in
cui, a lavoro finito, è impossibile definire fin dove
l’artista nell’impeto creativo abbia sciolto, plasmato,
toccato, torto, intrappolato l’opera, o non sia stato
poi tutto sommato sciolto, plasmato, toccato, torto,
intrappolato, nell’opera, sull’opera, dall’opera, in
uno scambio continuo di ruoli che passa dal creare alla
creazione senza soluzione di continuità.
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E’ per questo
che i lavori di Branimir stregano chi guarda, perché
arriva attraverso essi l’irruenza di una vibrazione
dei sensi che, prima di divenire parte oggettiva del
quadro, è stata profondamente, oserei dire visceralmente,
parte dell’anima e finanche del corpo dell’artista.
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