il Giornale

Lunedì, 28 dicembre 1998


COLOMBO E NARDINOCCHI PREPARARONO IL TESTO ALL'INIZIO DEL '97
Due «figli» di Pannella i veri padri del referendum
«Abbiamo studiato a fondo le motivazioni che
furono addotte per la bocciatura degli altri quesiti»
di Alessandro Caprettini

ROMA. Segni? Di Pietro? Macché! In principio, ci sono... loro due: Emilio Colombo e Marco Nardinocchi. Toscano di Viareggio il primo, 29 anni, teramano di Alba Adriatica il secondo, 24. Se a fine gennaio la Corte costituzionale darà il via libera al referendum antiproporzionale, il merito (o la colpa) sarà di questi due ex radicali che, stanchi di raccogliere firme a vuoto per i tanti «no» della Consulta piovuti a raffica sui referendum messi a punto di Pannella, un giorno di fine novembre '96 pensarono bene di rispondere colpo su colpo alle sentenze uscite dall'Alta corte.

Racconta Colombo: «Nelle motivazioni dei referendum elettorali respinti, abbiamo trovato la chiave di volta del nuovo quesito. Bisognava produrre una norma autoapplicativa, e cioè che permettesse lo svolgimento delle elezioni nonostante la cancellazione di alcuni capitoli della legge. Occorreva univocità e omogeneità del testo che resta in vigore. E in un paio di mesi, noi abbiamo messo a punto il tutto». Nardinocchi conferma: «Tra gennaio e febbraio '97 era tutto a punto». Pannella, cui viene consegnata la memoria, mette la richiesta referendaria accanto ad altre 34. Ma la raccolta di firme non parte.

Senonché, come previsto dalla legge, quei 35 quesiti vengono pubblicati dalla Gazzetta ufficiale. Ed è qui che scova l'abolizione della quota proporzionale Peppino Calderisi, che da tempo sostiene il turno unico di collegio. Ne parla con Segni, Abete e Barbera. Sentiti i due autori, nasce il comitato referendario, ormai ad un solo mese dall'ultimo passaggio a livello.

Previsioni? Colombo (ad un passo dalla tesi in Scienze Politiche a Milano sulla Costituzione della Quinta Repubblica francese) è «ansioso ma sereno». «Abbiamo ascoltato decine e decine di costituzionalisti. Non ce n'è uno che abbia potuto contestare il quesito messo a punto. Al massimo, si arrampicano sugli specchi». Nardinocchi, che a gennaio inizierà a lavorare in banca nella sua città dopo un 110 e lode alla Bocconi su «Economia delle istituzioni e dei mercati finanziari», conviene. Osserva che «persino Leopoldo Elia non ha potuto dire una parola, salvo invocare una nuova legge elettorale, mentre nelle precedenti occasioni aveva spiegato per filo e per segno come e perché la Consulta avrebbe bocciato le richieste di referendum». Ma è più pessimista il giovane abruzzese: «Ci proveranno a bocciarlo...», pronostica un pizzico amaro.

Non li toccano più di tanto le accuse di aver «manipolato» il testo della legge elettorale. «Abbiamo fatto quel che la Corte ha comunicato si poteva fare», sostengono. Né paiono smossi dalle critiche per il risultato che potrebbe determinarsi: accanto ai vincitori nei singoli collegi ci sarebbero anche i migliori secondi. «Non sarà maggioritario puro -replicano- ma com'è noto non esiste il referendum propositivo e comunque risulterebbe eletto chi ha preso pacchi di voti, non gente messa in lista dai partiti e senza alcun consenso popolare! Non c'è nessuna casualità, non è che li si estragga a sorte, i secondi migliori da eleggere».

Della marcia di avvicinamento al giorno del giudizio, dicono di aver apprezzato molte cose. Due però le hanno inghiottite a fatica. Il fatto che si parli di Segni, di Di Pietro, di Fini o di chissà chi altro e mai di loro, intanto. «Nessuno ci crede che il referendum sia opera nostra!», protesta Colombo. E, ancora, non è loro piaciuta la raccolta parallela di firme dell'ex Pm su un doppio turno che Nardinocchi definisce «semplicemente scandaloso». «In Francia, almeno -spiega- al secondo turno arriva solo chi ha il 12,5% degli aventi diritto, che vuol dire un 18-19%. Mentre Di Pietro pensa a un secondo turno tra i primi 4 a patto che raggiungano il 7% dei voti. Ovverosia, la riproposizione di un sistema frantumato tra partiti e partitini».

Gli sforzi di definire una nuova legge elettorale prima della decisione della Consulta non li hanno invece inquietati troppo. «Interessi troppo divaricati tra i partiti», notificano. E, comunque, il capolinea della legittimità è a un passo.

La parola passa alla Consulta. Nardinocchi continua ad avvertire puzza di bruciato, forse anche per scaramanzia. «Sì, è vero che molti ex presidenti dell'Alta corte hanno ammesso la piena regolarità del quesito, ma ho il timore che come al solito prenda il sopravvento una certa politica». Colombo è più speranzoso: «Una bocciatura -spiega- rischia di divenire una sentenza suicida. Già sono sorte polemiche sul 513, e se ora bocciassero il referendum antiproporzionale, non solo si rinfocolerebbero le accuse, ma soprattutto ci si comincerebbe a domandare se una Consulta così sia da tenere in vita o meno. Abbiamo messo a punto un quesito referendario sulla base delle sentenze emesse per bocciare quelli presentati in precedenza. Come si fa a dirci di no?»

 

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