il Giornale

Lunedì, 19 aprile 1999


La giornata con Colombo e Nardinocchi, i due che hanno messo a punto il quesito
«Che palpitazione, rischio l'infarto»
di Alessandro Caprettini

ROMA. Passa? Non passa? Tra i tanti che per tutta la giornata hanno atteso con maggior stress l'andamento dell'affluenza alle urne, un posto d'onore lo meritano Emilio Colombo e Marco Nardinocchi, i due ex militanti radicali che materialmente hanno messo a punto il quesito sull'abolizione della quota proporzionale, offrendolo poi a Mario Segni e che a notte parevano i due dioscuri del nuovo 18 aprile.

«Ho le palpitazioni, rischio l'infarto...» ammetteva Colombo dopo il dato delle 17 (26% circa) che non scioglieva affatto i dubbi sulla riuscita. Meno ansioso, ma con un pizzico d'amaro in bocca anche lui, Nardinocchi. Che forse per alleviare la tensione auspicava un raggiungimento del quorum almeno per evitare che di qui a giorni gli recapitassero il fatidico Tapiro di Striscia la notizia, conferma fatale di un insuccesso. Ambedue, naturalmente, sono andati a votare di primo mattino. Ad Alba Adriatica (Teramo), Nardinocchi. A Viareggio (Lucca), Colombo. «Al seggio -racconta quest'ultimo- ho trovato tanti elettori di Rifondazione comunista. L'ho preso come un buon auspicio...»

Entrambi, nel primo pomeriggio, si son messi in marcia per Roma: obiettivo, la sede del comitato referendario. «Com'è andata la campagna per il voto? Bene, nei limiti dello spazio che ci è stato concesso -ragiona Nardinocchi- ma qualcosa l'avrei evitato, come gli attacchi di Di Pietro a Berlusconi. A che sono serviti? A farci perdere qualche voto, forse...». Nessuno dei due fa cenno invece al conflitto in Serbia che, pure, è stato accampato come possibile disincentivo ad una informazione più puntuale.

Strafelici, naturalmente, alle proiezioni che facevano il quorum ormai come raggiunto. Anche se non drammatizzavano all'ipotesi di un insuccesso. «Il problema a quel punto -osservava Colombo- sarà semmai quello di cominciare a pensare all'abolizione del quorum. L'esperienza dimostra che nelle democrazie più mature si vota di meno, e allora bisognerà ragionare perché uno scontro di posizioni si sviluppi a prescindere dalla partecipazione del 50 per cento più uno degli aventi diritto».

A notte, soddisfatti per il successo, ai due non frulla neppure un secondo nella mente che il raggiungimento della fatidica quota solo per un pelo possa significare che la gente non ha gradito. Visto che assieme alle astensioni possono esser conteggiati anche i no. «Io sto alle regole -dice Colombo- e queste dicono che se il referendum è valido, la sua richiesta entra immediatamente in vigore». «A me -gli fa eco Nardinocchi- basta anche solo un voto più del necessario. A quel punto i giochi son fatti. Voglio proprio vedere come faranno i partiti, che non son riusciti in nessun modo a trovare un'intesa, a rimodellare un diverso sistema elettorale».

Né credono, i due giovani ex radicali, che in caso di insuccesso si possa tornare a terapie proporzionalistiche. «Se quasi la metà degli italiani si esprime a favore di un maggioritario più puro, come pensano di poter reintrodurre logiche di quel tipo?». «Senza contare -aggiunge Nardinocchi- che non vedo proprio i diessini così ansiosi di restituire spazi ai partiti di centro...»

Così, mentre erano ancora in attesa di capire se stappare lo champagne o preparare i fazzoletti con cui asciugare le lacrime, Colombo e Nardinocchi si aggiravano per la sede del comitato referendario, in ansia. Restavano diffidenti: «Aspettiamo i dati. Qui si gioca tutto su poche, pochissime decine di migliaia di voti», assicuravano all'unisono. Alla fine, comunque sia andata, ritengono di doversi dire soddisfatti. «All'inizio, del resto, eravamo solo in due e avevamo contro tutti i partiti, freschi reduci del patto di casa Letta. Essere arrivati a coinvolgere tanti italiani è cosa gratificante. O no?».

 

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