la Repubblica

Venerdì, 20 febbraio 1998


Il pendolo dei referendum elettorali
Fronte diviso tra il sistema uninominale secco e il doppio turno
di Sebastiano Messina

RESUSCITATO dalla fortunata scoperta dell'"uovo di Colombo", il trasversalissimo clan dei referendum elettorali corre adesso il rischio di seguire la sorte dell'asino di Buridano, che non riuscendo a decidersi tra il fieno e la paglia finì col morire di fame. Il fieno e la paglia dei referendari sono l'uninominale secco e il doppio turno, cioè il sistema inglese e quello francese. Due modelli solo apparentemente simili, ma in realtà molto diversi per gli effetti che avrebbero sul sistema italiano dei partiti. Il primo, il turno unico, condurrebbe dritti al bipartitismo. Il secondo semplificherebbe la fungaia dei partiti, ma senza decimarli: ne lascerebbe in piedi, diciamo, una decina. La contesa si è fatta antica: per alcuni mantenere un sistema multipartitico sarebbe un bene irrinunciabile, per altri sarebbe un male sciagurato. Il fieno e la paglia.

Fino a qualche settimana fa l'allegra brigata dei referendari del 1993, l'esercito nuovista al quale era riuscita la scommessa impossibile di battere Craxi e affondare il pentapartito, era solo un lontano e sbiadito ricordo. Pannella aveva subìto l'affronto della diserzione di massa della sua ultima ondata di referendum. Segni aveva ormai bruciato tutte le alleanze possibili, e inseguiva il fantasma della Costituente. Occhetto, Barbera e gli altri uninominalisti del Pds erano schiacciati dal peso della macchina da guerra dalemiana. Infine Martino, Calderisi e i "maggioritaristi" di Forza Italia, già costretti a mandar giù il "patto della crostata", erano rimasti senza parole dopo la sconcertante conversione alla proporzionale dell'uninominalista pentito Silvio Berlusconi. Erano, insomma, dei veterani carichi di ricordi ma con poche, pochissime prospettive di rivincita.

Poi, una sera, il mefistofelico Calderisi ha portato ai compagni d'arme del ' 93 la buona novella: c'è un ragazzo di 28 anni, un simpatico milanese un po' giurista e un po' poeta, che ha scoperto il sistema per tornare al referendum. A dirla in due parole: si cancella la quota proporzionale e si assegna quel 25 per cento di seggi ai candidati sconfitti nei collegi uninominali con le migliori percentuali. Così il numero dei parlamentari non viene intaccato, non c'è vuoto legislativo, la Consulta dovrà dare disco verde ai quesiti e il referendum si potrà fare. La quadratura del cerchio. Anzi, l'uovo di Colombo, visto che il suo geniale inventore si chiama proprio così: Emilio Colombo.

Un minuto dopo, però, i referendari hanno scoperto di vedere due luci di colore diverso, in fondo al tunnel che era rimasto buio per cinque anni. I doppioturnisti, a cominciare da Occhetto, vedono nel referendum la leva che può finalmente spingere il Parlamento ad approvare il sistema francese. I monoturnisti, Pannella in testa, vi leggono solo la strada dritta che condurrà l'Italia, una volta per tutte, all'uninominale secca. Ed è questa, sommata sicuramente ad altre comprensibili gelosie personalistiche, la principale ragione che ha spinto il leader radicale a presentare subito, per conto suo, i quesiti referendari, e che ancora tiene separate le forze dei radicali da quelle degli altri referendari di ieri e di oggi.

Non è una grande partenza, perché i primi sanno raccogliere le firme, hanno il know-how, ma da soli sono destinati a combattere una battaglia minoritaria e senza speranza. Gli altri, invece, hanno il seme della trasversalità, quello che può far rompere tutti gli schemi e rendere possibile ogni risultato, ma da soli forse non riuscirebbero neanche a mettere in moto la pesantissima macchina della raccolta delle firme.

Da qui i messaggi incrociati degli ultimi giorni. Quando Segni gli ha proposto di unificare le forze, Pannella gli ha posto una condizione: che tutti siano d' accordo nel considerare l'eventuale, possibile, desiderata vittoria del Sì come un punto d'approdo al turno unico e non come un trampolino per il doppio turno.

Si può, stavolta, dar torto a Marco Pannella? Francamente no. La voglia di rivincita dei proporzionalisti è già venuta a galla, in Parlamento, e accomuna in una sola armata i neocomunisti di Rifondazione, i leghisti di Bossi, Berlusconi e metà del suo partito, una frangia di An, buona parte degli ex democristiani di qua e di là, un'ala dei verdi e persino un pezzo del Pds. Il referendum è l'estrema ratio, l'ultima medicina: ci si va quando i partiti non riescono a mettersi d'accordo. Che senso avrebbe tornare alle urne per poi lasciare al Parlamento un'ultima possibilità di cambiare le carte in tavola?

D'altra parte, non si può neanche impedire ai sostenitori del doppio turno di combattere fino in fondo la loro battaglia in Parlamento. Ma c'è un limite, ed è un limite temporale: la celebrazione del referendum.

Il buon senso, e un sano realismo, dovrebbero dunque spingere i nemici della proporzionale - monoturnisti o doppioturnisti - a un accordo semplice quanto l'uovo di Colombo: darsi un appuntamento alla primavera del '99. Se entro quella data il Parlamento avrà approvato il doppio turno, non ci sarà nessun referendum perché la quota proporzionale sarà stata cancellata. Altrimenti, se il tentativo sarà fallito, vorrà dire che saranno i cittadini a scegliere tra il Mattarellum (o il patto della crostata) e l'uninominale inglese. Una volta per tutte, e alla luce del sole.

 

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