SUPREMA
CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Udienza
01.03.2000 SENTENZA n. 439
Dott.
Mariano Battisti - Presidente
Dott. Salvatore Bognanni
Dott. Nicola Colaianni
Dott. Luisa Bianchi
Dott. Carlo Licari
Ricorso
proposto da: Montagnana Marcello avverso sentenza del
28.04.1999
CORTE APPELLO di Torino (II sez. pen.)
[condanna
per aver rifiutato di assumere l'ufficio di scrutatore: art. 108, DPR 361/57]
Relazione:
Luisa Bianchi
P.M. Dr.
U. Geraci: conclude per il rigetto del ricorso
Difensore
Avv. Rossomando: conclude per l'accoglimento del
ricorso
1. -
Marcello Montagnana veniva condannato dal pretore di
Cuneo alla pena di lire 400.000 di multa per il reato di cui all'art.108 d.p.r. 30.3.1957, n. 361, perché, designato in occasione
delle elezioni politiche del marzo 1994 all'ufficio di scrutatore del seggio
elettorale n.71 presso l'ospedale S. Croce di Cuneo, all'atto dell'insediamento
rifiutava di assumere l'ufficio senza giustificato motivo.
Risultava, ed è peraltro incontroverso, che il Montagnana
già prima dell'incarico aveva fatto presente con lettere indirizzate al comune
di Cuneo e al presidente della Repubblica che egli avrebbe potuto svolgere le
funzioni di scrutatore solo se fosse stato reso effettivo il rispetto della
libertà di coscienza garantito dalla Costituzione a ciascun cittadino, e cioè
se il ministero dell'interno avesse provveduto a rimuovere dai seggi
elettorali, situati quasi tutti in sedi di istituzioni statali, simboli o
immagini proprie di un'unica fede religiosa. A tali lettere non riceveva
risposta, sicché, presentatosi all'ufficio elettorale al momento della
costituzione, faceva inserire a verbale una dichiarazione con la quale
ricordava di aver scritto le lettere sopra menzionate ed evidenziava che, pur
constatando che nel seggio di sua competenza non era esposto il crocifisso,
riteneva tale circostanza del tutto casuale e non motivata da un provvedimento
della competente autorità che rimuovesse la situazione in tutto il paese, come
necessario per risolvere una questione che egli aveva posto in via generale e
non solo come espressione di intolleranza personale. Dichiarava che, pertanto,
riteneva proprio dovere non accettare tale situazione, denunciandone
l'incostituzionalità.
Il pretore giudicava il motivo addotto dall'imputato non idoneo ad integrare
una legittima facoltà riconosciutagli dall'ordinamento e quindi a giustificare
il rifiuto opposto, ma, su impugnazione del Montagnana,
la corte di appello di Torino assolveva l'imputato perché il fatto non
sussiste, ravvisando invece una correlazione tra la sua condotta e l'invocato
principio costituzionale della laicità dello Stato.
Su ricorso del procuratore generale, tuttavia, questa corte annullava la
sentenza con rinvio, cosi fissando il principio di diritto: "Il giusto
motivo che consente di rifiutare l'esercizio del diritto di scrutatore nelle
competizioni elettorali deve essere manifestazione di diritti o facoltà il cui
esercizio determini un inevitabile conflitto tra la posizione individuale,
legittima e costituzionalmente garantita in modo prioritario, e l'adempimento
dell'incarico al cui contenuto sia collegato con vincolo di causalità
immediata".
2. - Il
giudice di rinvio confermava la sentenza di condanna del pretore di Cuneo. Osservava
la corte torinese che la presenza nei seggi elettorali, situati in sedi di
istituzioni statali, di un simbolo proprio di una fede religiosa non poteva
ritenersi idonea a creare alcun conflitto tra la posizione del Montagnana di difesa della libertà dello Stato e della
libertà di coscienza e gli specifici compiti cui egli era chiamato, ossia
assicurare la regolare costituzione del seggio elettorale, l'assenza di
turbative alle operazioni di voto, la regolarità dello spoglio ed in definitiva
la corretta manifestazione della volontà popolare; la presenza di quel simbolo
era del tutto indifferente rispetto al contenuto dell'ufficio imposto
all'imputato, così come indifferente all'esercizio del diritto di difesa era la
presenza del crocifisso nelle aule giudiziarie, parimenti contestato
dall'imputato. Osservava ancora che lo stesso Montagnana
aveva offerto una coerente spiegazione della sua condotta, quella cioè di voler
ottenere una pronuncia giudiziale sulla legittimità delle norme che impongono
l'esibizione del crocifisso nelle sedi statali, in tal modo strumentalizzando
la nomina.
Ricorre per cassazione l'imputato chiedendo l'annullamento della sentenza in
quanto non applica correttamente il principio di diritto fissato dalla corte di
cassazione.
Deduce che la corte di appello, mentre correttamente ha ritenuto giustificato
il motivo di rifiuto in quanto espressione del diritto a rivendicare il
rispetto del principio di laicità dello Stato, erroneamente invece ha valutato
il contenuto dell'incarico di scrutatore operando una confusione tra i compiti
materialmente svolti dal medesimo (assicurare la regolare costituzione del
seggio elettorale, l'assenza di turbative alle operazioni di voto e in
definitiva la corretta manifestazione della volontà popolare) e il contenuto
dell'ufficio, da individuarsi nell'attribuzione della veste di pubblico
ufficiale.
Dalla identificazione del contenuto dell'ufficio di scrutatore con il ruolo di
pubblico ufficiale, rappresentante dello Stato nel corso delle operazioni
elettorali, deriverebbe secondo il ricorrente un inevitabile conflitto con la
coscienza di chi ritiene che sia stato violato il principio di laicità dello
Stato: evidente, di conseguenza, la sussistenza di un vincolo eziologico tra il
comportamento del prof. Montagnana, che ha inteso
riaffermare la necessità che l'ordinamento garantisca in ogni sua
manifestazione, e dunque anche nello svolgimento delle consultazioni
elettorali, il rispetto del principio costituzionale della laicità dello Stato
ed il rifiuto dal medesimo addotto di assumere l'ufficio stesso.
Contraddittoria sarebbe, inoltre, la sentenza per aver riconosciuto l'esistenza
dell'attenuante dell'aver agito per motivi di particolare valore morale e
sociale, escludendo invece la sussistenza del giustificato motivo di rifiuto.
3. - Il
ricorso è fondato, giacché il giudice del rinvio non ha adempiuto all'obbligo
di motivare la propria decisione secondo lo schema esplicitamente enunciato
nella sentenza di annullamento, in tal modo svincolandosi dal compimento della
particolare indagine - in precedenza omessa - di determinante rilevanza ai fini
della decisione. All'enunciazione del principio di diritto sopra riportato,
infatti, questa corte faceva seguire l'indicazione degli accertamenti e delle
considerazioni omessi: rispettivamente, "l'esistenza del vincolo
eziologico tra il rifiuto addotto ed il contenuto dell'ufficio imposto" e
la specificità della situazione esistente nel seggio elettorale, nel quale non
era presente alcun simbolo religioso".
Fondamentale è il primo accertamento siccome determinante per stabilire il
carattere diretto e immediato della causalità. Il contenuto dell'ufficio è
stato individuato dalla corte nei compiti previsti dalla legge elettorale: la
regolare costituzione del seggio elettorale, l'assenza di turbative alle
operazioni di voto, la regolarità dello spoglio ed in definitiva la corretta
manifestazione della volontà popolare. Cosi, tuttavia, essa riduce l'assunzione
dell'ufficio, oggetto della previsione del reato contestato, all'espletamento
dei compiti ad esso connessi, sui quali "non impingono"
i principi richiamati dal ricorrente, che in nome di essi perciò semplicemente
"strumentalizzava la nomina".
Ma in realtà il contenuto dell'ufficio imposto consiste solo indirettamente,
per conseguenza, nei compiti o nelle prestazioni ad esso connessi, ma
direttamente ed immediatamente nella funzione di pubblico ufficiale che con la
nomina si viene ad assumere (art. 40 co. 3 d.p.r. 30.3.1957, n. 361). Una volta designato, infatti, lo
scrutatore svolge una pubblica funzione, un'attività, cioè, che è diretta
manifestazione di pubbliche potestà o - in senso enfatico - dell'autorità dello
Stato per la presenza dei poteri tipici della potestà amministrativa, come
indicati dal secondo comma dell'art. 357 cod. proc. pen. novellato dalle leggi n. 86 del 1990 e n. 181 del 1992
(cfr. Cass. sez. un. 24/09/1998, n. 10086, ced 211190). Il contenuto dell'ufficio è, quindi, quello di
formare e manifestare la volontà della pubblica amministrazione oppure esercitare
poteri autoritativi, deliberativi o certificativi,
disgiuntamente e non cumulativamente considerati (Cass.
sez. un. 27/03/1992, n. 7958, ced
191173): e, quindi, innanzitutto la "inserzione nell'ufficio" (Cass. 5/5/1992, n. 5332, ced
189972).
È in relazione a questo immediato contenuto dell'ufficio che va quindi valutata
l'esistenza del rapporto di causalità immediata con il motivo del rifiuto: ed
essa, se pur dubbia o non appariscente in relazione ai singoli compiti
assegnati allo scrutatore, riemerge allora con immediatezza. Infatti, il
ricorrente ha rifiutato di "svolgere la funzione di scrutatore",
piuttosto che i compiti ad essa connessi, e cioè l'inserzione come pubblico
ufficiale in una amministrazione, che, non provvedendo "affinché venga
rimosso qualsiasi simbolo o immagine religiosa da tutti i seggi
elettorali", non garantisce, contro il suo convincimento, "il
rispetto della irrinunciabile libertà di coscienza garantita dalla Costituzione
a ciascun cittadino" e del "supremo principio costituzionale della
laicità dello Stato".
4. -
L'immediatezza, e non la strumentalità, del rapporto tra il rifiuto motivato ed
il contenuto dell'ufficio imposto emerge da altre due considerazioni.
La prima riguarda il fatto che il Montagnana non
aveva il potere di impedire previamente l'insorgenza del conflitto che ha dato
luogo al rifiuto. Prima, invero, delle modificazioni introdotte dall'art. 9 della l. 30.4.1999, n. 120, gli artt. 1, 3, 4, 5-bis e 6 della l. 8.3.1989, n. 95, come
modificati dalla l. 21.3.1990, n. 53, prevedevano che l'albo degli scrutatori -
all'interno del quale veniva sorteggiato il numero di nominativi pari a quello
occorrente (art.6) - fosse formato a sua volta per sorteggio fra tutti gli
iscritti nelle liste elettorali (art. 3) in un numero quattro volte superiore
al numero complessivo di scrutatori da nominare nel comune (art. 1).
A differenza dell'attuale disciplina - secondo cui l'albo degli scrutatori è
formato su base volontaria e comprende, quindi, solo i nominativi degli
elettori che desiderano essere inseriti in esso e ne fanno apposita domanda
(art. 1 e 3 l. cit., come mod. dall'art.
9 l. 120/99) - la legislazione vigente all'epoca del fatto in esame prevedeva
un albo formato su base obbligatoria, collegata a due fatti indipendenti dalla
volontà del soggetto: iscrizione nelle liste elettorali e sorteggio. Si
trattava, pertanto, di un ufficio non volontario ma, come definito nella
sentenza di annullamento con rinvio, "imposto".
Di conseguenza, all'epoca del fatto eventuali situazioni di conflitto interiore
tra i propri convincimenti ed il contenuto dell'ufficio imposto non potevano
trovare né la soluzione radicale, implicita nell'attuale disciplina, della pura
e semplice rinuncia alla domanda né quella, comunque anticipata, della rinuncia,
una volta sorteggiato il proprio nominativo, all iscrizione nell'albo: la
rinuncia, infatti, era un atto non potestativo ma condizionato alla ricorrenza
di "gravi, giustificati e comprovati motivi" (art. 3 cpv. l. cit.),
la cui attualità andava evidentemente valutata rispetto al momento della
formazione dell'albo e non a quello, futuro ed incerto, della nomina.
Con riferimento a questo momento, perciò, la legislazione all'epoca vigente non
offriva allo scrutatore sorteggiato e nominato altro rimedio di soluzione del
conflitto che quello del rifiuto motivato dell'ufficio: posizione che il Montagnana assumeva ed esponeva con immediatezza dopo la
comunicazione della nomina, come risulta dalla narrativa in fatto della
sentenza impugnata.
5. - La
seconda considerazione, che fa cogliere l'immediatezza del rapporto tra motivo
del rifiuto e contenuto dell'ufficio imposto, scaturisce dalla portata dell'invocato principio di laicità dello Stato, che con
quel contenuto ha in comune la nota dell'imparzialità dell'amministrazione
(art. 97 Cost.), in funzione della quale va
organizzato l'ufficio elettorale, in cui lo scrutatore è inserito, in
particolare per garantire sotto i molteplici aspetti formali previsti dalla
legge la libera espressione del voto.
Il principio indicato implica un "regime di pluralismo confessionale e
culturale" (corte cost. 12.4.1989, n. 203) e
presuppone, quindi, innanzitutto l'esistenza di una pluralità di sistemi di
senso o di valore, di scelte personali riferibili allo spirito o al pensiero,
che sono dotati di pari dignità e, si potrebbe dire, nobiltà. Ne consegue una
pari tutela della libertà di religione e di quella di convinzione, comunque
orientata: infatti, anche "la libertà di manifestazione dei propri
convincimenti morali o filosofici" è garantita in connessione con la
tutela della "sfera intima della coscienza individuale" (corte cost. 19.12.1991, n. 467) conformemente all'interpretazione
dell'art. 19 Cost (che
tutela la libertà di religione, non solo positiva ma - come riconosciuto dalla corte
fin dalla sentenza 10.10.1979, n. 117, e ribadito da quella 8.10.1996, n. 334 -
anche negativa: vale a dire, anche la professione di ateismo o di agnosticismo)
e all'art. 9 della convenzione europea dei diritti
dell'uomo, resa esecutiva con l. 4.8.1955, n. 848 (che tutela la libertà di
manifestare "la propria religione o il proprio credo").
Il detto principio, inoltre, si pone come condizione e limite del pluralismo,
nel senso di garantire che il luogo pubblico deputato al conflitto tra i
sistemi indicati sia neutrale e tale permanga nel tempo: impedendo, cioè, che
il sistema contingentemente affermatosi getti le basi per escludere
definitivamente gli altri sistemi. Infatti, il concetto di laicità affermato
con la sentenza 203/89 cit. non coincide con quello classico ed autorevolmente
sostenuto in dottrina della irrilevanza, e quindi indifferenza, dello Stato ma,
all'opposto, "implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni
ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in
regime di pluralismo confessionale e culturale".
Si tratta in questo senso di una laicità positiva o attiva, intesa come compito
dello Stato di svolgere interventi per rimuovere ostacoli ed impedimenti (art.
3 cpv. Cost.) in modo da "uniformarsi" (corte
cost. 27.4.1993, n. 195) a "quella distinzione
tra "ordini" distinti, che caratterizza nell'essenziale il
fondamentale o "supremo" principio costituzionale di laicità o non confessionalità dello Stato" (corte cost. 8.10.1996, n. 334).
Così, per esempio, l'eliminazione, operata da quest'ultima sentenza come dalla
precedente 5.5.1995, n. 149, dalla formula del giuramento di ogni riferimento
alla divinità, sul presupposto che "la religione e gli obblighi morali che
ne derivano non possono essere imposti come mezzo al fine dello Stato",
neutralizza l'efficacia civile, cioè il valore pubblico e strumentale ai fini
dello stato, del fattore religioso: non esclude dalla sfera pubblica gli atti
di valenza religiosa e non modifica, quindi, ne riduce il tasso di pluralismo,
ma all'opposto va "nel senso di un ordinamento pluralista che,
riconoscendo la diversità delle posizioni di coscienza, non fissa il quadro dei
valori di riferimento e quindi né attribuisce né esclude connotazioni religiose
al giuramento ch'esso chiama a prestare".
6. - La
rimozione del simbolo religioso del crocifisso da ogni seggio elettorale, che è
la condizione a cui l'odierno ricorrente aveva subordinato l'espletamento della
funzione di scrutatore = pubblico ufficiale imparziale, si muove lungo questo
solco tracciato dalla giurisprudenza costituzionale in termini di laicità e
pluralismo, reciprocamente implicantisi.
Invero, il "ritorno" con l'avvento del fascismo del crocifisso nelle
aule delle scuole elementari (circ. min. p.i.
22.11.1922) e poi di ogni ordine e grado (circ. min.
p i. 26.5.1926). nonché negli uffici pubblici in genere (o.m.
11.11.1923, n. 250) e nelle aule giudiziarie (circ.
min. g. g. 29.5.1926, n. 2134/1867), è comunemente indicato nella dottrina
storica e giuridica come uno dei sintomi più evidenti del neo-confessionismo
statale: tanto emerge, per esempio, dalla circ.
26.5.1926 cit., secondo cui si tratta di fare in modo che "il simbolo
della nostra religione, sacro alla fede e al sentimento nazionale, ammonisca ed
ispiri la gioventù studiosa, che nelle università e negli studi superiori
tempra l'ingegno e l'animo agli alti compiti cui è destinata".
Diametralmente opposta, com'è evidente, la laicità come "profilo della
forma di stato delineata nella carta costituzionale della Repubblica"
(corte cost. 203/89 cit.). In particolare,
l'imparzialità della funzione di pubblico ufficiale è strettamente correlata
alla neutralità (altro aspetto della laicità, evocato sempre in materia
religiosa da corte cost.15.7.1997, n. 235) dei luoghi deputati alla formazione
del processo decisionale nelle competizioni elettorali, che non sopporta
esclusivismi e condizionamenti sia pure indirettamente indotti dal carattere
evocativo, cioè rappresentativo del contenuto di fede, che ogni immagine religiosa
simboleggia.
Anche per tal via, quindi, si conferma l'immediatezza del rapporto tra motivo
del rifiuto e contenuto dell'ufficio imposto. Ma se ne ricava pure - va
osservato anche al fine di valutare la serietà e la responsabilità della
posizione del ricorrente - l'attuabilità della condizione da lui posta, non
impossibile in quanto non estranea agli ordinari poteri della pubblica
amministrazione perché richiedente, per esempio, solo un intervento
legislativo. Come risulta dalle citazioni, infatti, il crocifisso è ricompreso tra gli arredi delle aule e degli uffici da una
serie di circolari ministeriali, destinate alle autorità subordinate, la cui
modificazione rientra pienamente nel potere dell'amministrazione pubblica.
7. -
Invero, la "mancanza di un espresso fondamento nominativo" risulta
riconosciuta in via amministrativa nella nota del ministero dell'interno
5.10.1984, n. 5160/M/1, in risposta ad un quesito posto dal ministero della
giustizia (prot. 612/14.4 del 29.5.1984) sul
mantenimento del crocifisso nelle aule giudiziarie. Vero è che, ciononostante,
quell'amministrazione ritenne tuttora valide" le motivazioni delle
circolari citate alla stregua dell'art. 9 degli
accordi di modificazione dei patti lateranensi,
ratificati con legge 25.3.1985, n. 121, secondo cui "i principi del
cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano" e
tenuto conto che il crocifisso è "il simbolo di questa nostra
civiltà", "il segno della nostra cultura umanistica e della nostra
coscienza etica". Ma si tratta di motivazioni prive di fondamento positivo
e divenute, comunque, insostenibili alla luce della successiva giurisprudenza
costituzionale.
Infatti, il riconoscimento contenuto nell'art. 9 l.
cit. è privo di valenza generale perché non è un principio fondamentale dei
nuovi accordi di revisione ma è funzionale solo all'assicurazione
dell'insegnamento di religione cattolica nelle scuole pubbliche: peraltro, non
obbligatorio ma pienamente facoltativo, limitato cioè agli alunni che
dichiarino espressamente di volersene avvalere, senza che agli altri possa
farsi carico di un onere alternativo (infatti, gli alunni possono anche non
presentarsi o allontanarsi dalla scuola: corte cost.
14.1.1991, n. 13). Esso, quindi, non vale ad autorizzare l'amministrazione pubblica
ad emanare norme interne dal contenuto più disparato ed in particolare
sull'affissione del crocifisso, per giunta non a richiesta delle persone che le
frequentano (come nel caso dell'istruzione religiosa) ma obbligatoriamente.
Neppure è sostenibile la giustificazione collegata al valore simbolico di
un'intera civiltà o della coscienza etica collettiva e, quindi, secondo un
successivo parere del consiglio di stato 27.4.1988, n. 63, "universale,
indipendente da una specifica confessione religiosa". In altro ordinamento
dell'unione europea s'è ritenuto, viceversa, una sorta di "profanazione
della croce" non considerare questo simbolo in collegamento con uno
specifico credo (cosi Bundes Verfassungs
Gericht, 16 maggio 1995, che ha dichiarato
costituzionalmente illegittima l'affissione obbligatoria del crocifisso nelle
aule scolastiche della Baviera per la conseguente influenza sugli alunni
obbligati a partecipare alle lezioni confrontandosi di continuo con siffatto
simbolo religioso).
Ma anche nel nostro ordinamento la giustificazione indicata urta contro il
chiaro divieto posto in questa materia dall'art. 3 cost., come ha recentemente ricordato corte cost. 14.11.1997, n. 329, laddove ha sottolineato - con
un'affermazione tale da assumere la portata di un orientamento generale, al di
là della specifica questione dell'art. 404 c.p. ivi scrutinata - come "il richiamo alla cosiddetta
coscienza sociale, se può valere come argomento di apprezzamento delle scelte
del legislatore sotto il profilo della loro ragionevolezza, è viceversa vietato
laddove la Costituzione, nell'art. 3, 1° comma,
stabilisce espressamente il divieto di discipline differenziate in base a
determinati elementi distintivi, tra i quali sta per l'appunto la
religione". E, nella specie, si differenzia appunto in base alla religione
nel momento in cui si dispone l'esposizione del solo crocifisso.
D'altro canto, la motivazione del consiglio di stato, siccome fondamentalmente
basata sul non contrasto tra il principio di uguale libertà delle confessioni
religiose e l'esposizione del simbolo indicato, è testualmente mutuata, con gli
aggiustamenti richiesti dal caso, da corte cost.
28.11.1957, n. 125, riguardante la diversa tutela penale stabilita dall'art. 404 c.p. Ma quella posizione, che attribuiva alla
religione cattolica un valore politico - simbolo della "civiltà e della
cultura cristiana", come ripete il consiglio di stato -, già
ridimensionata da corte cost. 28.7.1988, n. 925, è
stata espressamente superata da corte cost. 329/97
cit., che ha evidenziato come la visione, strumentale alle finalità dello
stato, della religione cattolica come "religione dello Stato"
"stava alla base delle numerose norme che, anche al di là dei contenuti e
degli obblighi concordatari, dettavano discipline di favore a tutela della
religione cattolica, rispetto alla disciplina prevista per le altre confessioni
religiose, ammesse nello Stato": che è all'evidenza il caso anche delle
norme sull'esposizione dell'immagine del crocifisso.
Va per completezza rilevato che accanto alle norme interne dettate con le
ricordate circolari se ne rinvengono altre di natura regolamentare, contenute nell'art. 118 r.d. 30.4.1924, n.
965, e nell'All. c) r.d.26.4.1928, n. 1297, e
ritenute da cons. stato cit. non incise dagli accordi di modificazione dei
patti lateranensi, siccome precedenti quei patti.
Tali norme secondarie riguardano solo le scuole elementare e media e si
connettono all'art. 140 r.d.
15.9.1860, n. 4336, contenente il regolamento per l'istruzione elementare di
attuazione della 1. 13.11.1859, n. 3725 (cosiddetta legge Casati), che
prescriveva appunto il crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche.
Esse, quindi, non diversamente da quella legge, trovano fondamento nel
principio della religione cattolica come sola religione dello stato, contenuto nell'art. 1 dello statuto albertino:
principio che proprio il punto 1 del protocollo addizionale degli accordi di
revisione del 1984 considera espressamente - se pur ve ne fosse stato bisogno
dopo l'entrata in vigore della Costituzione - non più in vigore, con
conseguenti ricadute implicite sulla normativa secondaria derivata. Il rapporto
di incompatibilità - nel detto parere sbrigativamente ritenuto insussistente
con i sopravvenuti Accordi del 1984, rilevante per l'abrogazione ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, si
pone, quindi, direttamente non con quelle norme regolamentari bensì con il loro
fondamento legislativo: l'art. 1 dello statuto albertino espressamente dichiarato non più in vigore
"di comune intesa" (preambolo del prot. add.) con la Santa Sede.
Va pure aggiunto che, peraltro, quelle norme, in quanto non prevedono una
rimozione del simbolo religioso ogni volta che l'aula venga messa a
disposizione dell'amministrazione dell'interno per lo svolgimento delle
operazioni elettorali, si pongono - non diversamente da quelle interne - in
contrasto con lo spirito garantistico ed imparziale della superiore
legislazione elettorale: la quale si preoccupa di impedire forme simboliche di
comunicazione iconografica, non ammettendo per esempio "la presentazione
di contrassegni riproducenti immagini o soggetti religiosi" (art. 14 u. co. d.p.r. 361/57 e succ. mod.).
Sta di fatto, tuttavia, che la condizione apposta dal ricorrente non si è
verificata e che egli ne ha tratto motivo, al momento dell'assunzione
dell'ufficio, per non ritenere garantito il principio di laicità dello stato e
quindi - con un rapporto tra causa ed effetto - di imparzialità della propria
funzione di scrutatore, inducendolo ad un'azione di rifiuto adeguata a tali
principi costituzionali.
8. - Il
secondo punto rimesso dalla sentenza di annullamento alla considerazione del
giudice di rinvio riguardava la specificità della situazione esistente nel
seggio elettorale di destinazione del Montagnana, nel
quale non era presente alcun simbolo religioso.
Esso non è oggetto di specifica considerazione della Corte torinese, che si
limita ad invocarlo incidentalmente a sostegno della tesi, sopra confutata,
della "indifferenza della presenza di quel simbolo rispetto al contenuto
dell'ufficio imposto all'imputato". La valutazione è, comunque, erronea
non solo per i motivi sopra sviluppati ma anche per l'implicita esclusione
della giustificatezza del motivo del rifiuto pure in
assenza del simbolo religioso nel seggio di destinazione.
Si rileva in proposito dalla sentenza impugnata che il motivo addotto dal
ricorrente riguarda, insieme al rispetto della laicità, la "libertà
religiosa e di coscienza", cui egli immediatamente dopo la comunicazione
della nomina aveva scritto nella lettera al Presidente della Repubblica di
"non intendere rinunciare". Fin dall'inizio, quindi, e non solo al
momento dell'immissione nell'ufficio, era stato denunciato il rischio - non
circoscritto allo specifico seggio di designazione ma riferito all'intera
organizzazione elettorale in relazione alla dotazione obbligatoria di arredi
dei locali, comprendente il crocifisso - di un grave turbamento di coscienza a
causa del conflitto interiore tra il dovere civile di svolgere un ufficio
pubblico e il dovere morale di osservare un dettame della propria coscienza
sulla necessaria garanzia di laicità e di imparzialità di quell'ufficio
(secondo una dinamica analoga a quella analizzata per esempio da corte cost. 149/95 cit.).
Ora la libertà di coscienza, prospettata per dir così a tutto tondo, non è
divisibile in modo da ritenerla esercitabile solo se riguardi il seggio di
destinazione dell'agente come scrutatore e non la totalità dei seggi e cioè
l'intera amministrazione (sarebbe come se la "obiezione di coscienza"
al servizio militare per opposizione all'uso delle armi ex art. 1 l. 8.7.1998,
n. 230 non fosse esercitabile da parte del cittadino destinato a compiti
meramente amministrativi). Ogni violazione del principio di laicità nel modo
indicato in qualsivoglia seggio elettorale costituito non può non essere
avvertita da una coscienza informata a quel principio come violazione di quel
bene nella sua interezza, indipendentemente dal luogo in cui si verifichi,
cosicché non è possibile attribuire rilevanza al fatto che casualmente la
violazione non si verifichi nel seggio di destinazione.
La libertà di coscienza, infatti, è un "bene costituzionalmente
rilevante" (sent. 18.7.1989, n. 409) e quindi
"dev'essere protetta in misura proporzionata alla priorità assoluta e al
carattere fondante ad essa riconosciuta nella scala dei valori espressa dalla
Costituzione italiana" (sent. 5.5.1995, n. 149,
che richiama la n. 467 del 19.12.1991), al punto che la stessa libertà
religiosa ne diventa una particolare declinazione: "libertà di coscienza
in relazione all'esperienza religiosa (sent. 334/96
cit.). Ne consegue che questa libertà, nel "pluralismo dei valori di
coscienza susseguente alla garanzia costituzionale delle libertà fondamentali
della persona" (sent. 3.12.1993, n. 422), va
tutelata nella massima estensione compatibile con altri beni costituzionalmente
rilevanti e di analogo carattere fondante, come si ricava dalle declaratorie di
illegittimità costituzionale delle formule del giuramento, operate dall'alta
corte alla luce di quel parametro.
9. - Ma
nel caso non si pongono problemi a livello costituzionale giacché il
bilanciamento degli interessi è già assicurato nella previsione penale dalla
clausola del giustificato motivo, la cui nozione, ricorrente anche in altre
leggi speciali, è più ampia delle generali cause di giustificazione: non
coincide, per esempio, con lo stato di necessità (Cass.20.4.1988, ced 178777) e si estende alle "valide ragioni"
(inerenti alla diversa e specifica destinazione delle armi improprie: Cass. 5.12.1984, ced 166960), pur
se putative (1.7.1989, ced 181694).
In sostanza si tratta di una nozione che non è fornita dal legislatore ed è
dunque affidata al concetto generico di giustizia, che la locuzione stessa
presuppone, e che il giudice deve pertanto determinare di volta in volta con
riguardo alla leicità - sotto il profilo etico e
sociale - del motivo che determina direttamente il soggetto ad un certo atto o
comportamento (così, con riferimento alla nozione di giusta causa, alla cui
assenza secondo l'art. 616 secondo comma cod. pen. consegue la punibilità della rivelazione del contenuto
della corrispondenza, Cass. 10/07/1997, n. 8838, ced 208613).
Nella specie non è dubitabile la liceità - ed anzi,
come ricordato dall'imputato, il particolare valore morale e sociale,
riconosciutogli con l'attenuante di cui all'art. 62
n. 1 c.p - del motivo da lui addotto: vale a dire il
rispetto del principio di laicità e della libertà di coscienza, che ha
direttamente determinato il rifiuto e che, rendendolo non contraddittorio con i
valori costituzionali, ne esclude perciò l'antigiuridicità.
Un'interpretazione realistica, che collochi il "giustificato motivo"
nel contesto di azione e comunicazione determinato dalla carta costituzionale,
svolge una funzione adeguatrice all'eliminazione
della rilevanza preminente ed esclusiva per l'addietro
assegnata ai simboli della religione cattolica, in quanto strumentalmente
assunta come religione dello stato. Invero, nella motivazione della sentenza
440/95 cit., in forza della quale la bestemmia contro i "simboli e le
persone venerati nella religione dello Stato", tra cui il crocifisso, non
è più preveduto dalla legge come reato, la corte
costituzionale indica l'obiettivo di una tutela non discriminatoria ma
pluralistica di "tutte le religioni che caratterizzano oggi la nostra
comunità nazionale, nella quale hanno da convivere fedi, culture e tradizioni
diverse": pluralismo garantito dal supremo principio di laicità dello
stato, che induce a preservare lo spazio "pubblico" della formazione
e della decisione dalla presenza, e quindi dal messaggio sia pure a livello
subliminale, di immagini simboliche di una sola religione (come, in generale,
di una sola delle altre condizioni non discriminabili,
di cui all'art. 3 Cost.),
ad esclusione delle altre.
Costituisce, pertanto, giustificato motivo di rifiuto dell'ufficio di
presidente, scrutatore o segretario - ove non sia stato l'agente a domandare di
essere ad esso designato - la manifestazione della libertà di coscienza, il cui
esercizio determini un conflitto tra la personale adesione al principio supremo
di laicità dello Stato e l'adempimento dell'incarico a causa
dell'organizzazione elettorale in relazione alla presenza nella dotazione
obbligatoria di arredi dei locali destinati a seggi elettorali, pur se
casualmente non di quello di specifica designazione, del crocifisso o di altre
immagini religiose.
Il fatto, pertanto, non costituisce reato e la sentenza va annullata senza
rinvio.
PQM
La corte
di cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non
costituisce reato.
Roma, 1
marzo 2000
Il
presidente (Mariano Battisti)
L'estensore
(Nicola Colaianni)
CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE
IV sezione Penale
DEPOSITATO
IN CANCELLERIA OGGI - 6 APR. 2000
IL
COLLABORATORE DI CANCELLERIA
Maria Angelilli