Dodici ottobre duemiladue

(A Marco-Iaghetto)

 

  E’ giunto ormai il tempo di riprendere
l’antica e feroce solitudine:
tal è l’inesorabile comando

  che grida la tua nuova indifferenza.
E se dalle tue labbra ancora fuggono
parole care sí, ma sol d’aspetto,

  l’ardente corpo, sempre piú lontano,
altrui braccia già cerca e consola;
e sguardi, baci, carezze e umori.

  Tu piaggi, e non sai dir ciò che vorresti,
che pure molti già da tempo sanno;
mentr’io ebbi diritto ad altro verbo.

  Vinto ogni dubbio, morta ogni speranza,
non mi resta che darti io l’addio,
per abbreviare la comune pena.

  Libero ormai, e già irraggiungibile,
non hai che da subir l’ultimo abbraccio;
poscia pi
ú nulla mi devi, è vero:

  specie un dispaccio arido e tardivo,
che non potrà che rinnovar lo strazio
di quanto, non piú cieco, avrò già visto.

  Invano si dispera il cuore mio!
Se tanta luce non ti seppe rendere,
di tanto paragon pur non è degno:

  se invero tu soltanto puoi dar voce
ai tuoi disiri, m’è vieto l’oltraggio
d’esser scagliato sul pian di costui!

Pi-Vg-Mi, 12-24 ottobre 2002
Emilio Colombo

 

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