Ad Olivier (Il buon senso)

  Se ‘l buon senso virtú molto preziosa
non ritenessi, ben che fra le genti
male partito sia, vituperosa
  assai sarebbe parsa a’ dolenti
orecchi miei la novella che vil
e folle preda fui d’ime correnti
  e impetuose di bruta e ‘nfantil
gelosia. Ver è che se sí nomato
fosse ‘l grave tormento ch’alla bil
  procura ‘l fatto che ‘l presto corcato
maial tra eguali piú egual veder
in eterno si debba, e se traviato
  da’ lúbrici comar volpe e messer
gatto stato foss’io, non fora stolto
se, da cotanta nequizia, piacer
  non ricavassi sommo. Mal rivolto
è il tuo sguardo, compagno radical,
s’allo falso teorem tu credi molto.
  Lieve non fu sí tanto la fatal
cagione che portommi al cospetto
del tuo profeta. In modo mortal
  si trascinava nel padano letto
la vita mia, in ben aspra palude
fisa e sanza null’altro prospetto
  che quello atro, feroce e rude
di un’esistenza strazïata dalle
banalità giornaliere e crude
  dell’ordinario stil. Viste le falle
che provocato m’avea la condotta
mia scellerata, a tutto le spalle
  volsi e la lunga e difficile rotta
presi del Nord. Di due e sessanta soli
lo volger rimirai, sempre la dotta
  lingua di dolce amor cingendo. Moli
non v’eran dove discuter potessi
coll’antico e benigno mar ch’i suoli
  miei natii lambisce. Or che cessi
forse convien la dolce rimembranza
della beltà di cui i tusci stessi
  goder poteron. Non troppa speranza
giace ch’i’ possa a Bruxella restar,
se non in quanto clandestin a oltranza:
  farotti allor saper che ‘l sol montar
non dovrà piú di trenta fiate sopra
il patrio suol ch’io, da servo, tornar
  ci debba grazie all’astuta opra
de’ bravi cui questa fin far piacque.
Or però voglio ch’anche tu discopra
  la facile cagion per cu’ non giacque
già mai lo spirto mio al suon del vano
verbo che d’impudíca lingua nacque:
  sempr’io rimembro che ‘l savio gabbiano
in alto piú, per piú lontan scrutare,
le penne levar dee. Ma allor, se ‘nsano,
  come tu dici, il mio pensar ti pare,
mi scuote ‘l dubbio che la libertà
d’arbitrio, ovvero ‘l dono di non fare
  o far poter, negletta facoltà
amaramente sia tra i pari tuoi.
E tu, piaggiavi, allor che la beltà
  del sol su quella dei parenti suoi
trentun e tante fiate prevalea.

Bruxelles, li venerdí 13 gennaio 1995
(riveduta venerdí 22 novembre 1996
e, infine, martedí 31 marzo 1998)
Emilio Colombo

 

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