Un folto pubblico assiepato di fronte all’ingresso dell’edificio nel quale si teneva l’esposizione chiedeva a gran voce di entrare.

Era la mostra più esclusiva del mondo, ma nessuno poteva visitarla.

C’era chi si strappava i capelli per la disperazione, c’era chi con un cannocchiale tentava inutilmente di penetrare con lo sguardo le vetrate a specchio del palazzo.

I più risoluti proponevano ai poliziotti di accettare delle banconote di grosso taglio in cambio di un piccolo e involontario aiuto a raggiungere l’ingresso del palazzo.

Qualcuno, dotato di spirito critico, si domandava come fosse possibile la realizzazione di un tale assembramento di persone considerato che tutti sapevano che la mostra non poteva essere visitata nemmeno dagli operatori di settore. Questi erano i meno informati e forse erano capitati lì per caso.

I mezzi di comunicazione avevano presentato con cura quella manifestazione espositive che poteva sembrare assurda, ma aveva le sue regole.

Quasi tutti sapevano che nonostante il palazzo fosse nel suo complesso assolutamente blindato l’unico ingresso esistente non era dotato di porte, ma era difeso da un ristretto numero di poliziotti, peraltro armati di tutto punto.

Una serie di ricerche di mercato commissionate da alcune preoccupate per il calo del numero di visitatori alle ormai troppo numerose mostre mercato avevano evidenziato la necessità di un radicale mutamento delle regole del gioco.

Pertanto si era deciso di eliminare il personale addetto alla presentazione della merce, il pubblico e il biglietto d’ingresso.

La merce avrebbe goduto di una buona pubblicità per il semplice fatto di essere esposta. I giornali, le riviste, avrebbero presentato la manifestazione come l’evento del secolo, pubblicando ampi spazi di pubblicità redazionale e di tanto in tanto qualche fotografia sfuocata dei prodotti esposti. Il resto del lavoro lo avrebbe svolto il pubblico stesso.

Tra la folla qualcuno cominciava a sentirsi male. Il clima era particolarmente inclemente: dopo alcune ore di freddo pungente aveva cominciato a nevicare. Le donne mettevano coraggiosamente a repentaglio le loro delicate capigliature ravvivate dalle pettinatrici per la grande occasione, gli uomini maltrattavano i bambini che stufi di quella situazione volevano andare a casa, dove avrebbero potuto leggere un buon libro seduti accanto al calorifero.

Quando qualche bambino riusciva a convincere i suoi genitori ad andarsene da quel posto una voce tra la folla informava di una ormai prossima e probabile capitolazione delle forze di polizia.

Il primo visitatore avrebbe forse ottenuto in premio tutti i prodotti che fosse riuscito ad accaparrarsi. Questa voce sortì l’effetto di aiutare la folla a proteggersi dal freddo in quanto tutti, nella speranza di entrare per primi, presero a spingere, a strattonare i propri vicini che comunque si difendevano bene, producendo un fenomeno di agglomerazione che nemmeno la voce riguardante la possibilità di contrarre una grave malattia infettiva sarebbe stata in grado di dissolvere.

La vicinanza tra le persone e il calore reciprocamente donato per combattere i rigori dell’inverno favorirono dopo alcune ore il sorgere di un certo senso di intimità fra coloro che si ritrovavano compressi al punto di non potersi più muovere e spesso in posizioni che in altre circostanze sarebbero state considerate troppo imbarazzanti per essere mantenute così a lungo .

Un’anziana signora domandò con una certa cortesia a un bambino se poteva evitare di usare la sua gonna come coperta, spiegando ai genitori del bambino che con quel freddo i capelli del loro figliolo le procuravano un solletico fastidiosissimo.

Una giovane donna che aveva la sfortuna di essere carina avrebbe gratificato i suoi vicini di numerosi ceffoni se soltanto avesse potuto muovere le braccia.

A lungo andare finì con l’essere ella stessa gratificata dalle più o meno volontaria attenzioni di un giovanotto alto all’incirca come lei e che sembrava puzzare un Po meno degli altri. Le sembrava anche che la sua pressione fosse più gentile e timida e che annusasse i suoi capelli come poteva farlo solo un individuo veramente innamorato.

Quando riuscirono a guardarsi negli occhi capirono che non sarebbero più stati soli in mezzo alla folla. Si presentarono e si proposero di raggiungere il bar più vicino per bere qualche cosa di caldo. Rendendosi conto di non poterlo fare cercarono di stringersi ancora più fortemente e a Lucia vennero quasi le lacrime agli occhi. Renzo pianse per solidarietà.

Gli altoparlante diffondevano una musica soave, celestiale, indispensabile per migliorare lo stato d’animo della folla e nello stesso tempo renderla incapace di abbandonare quell’insignificante luogo perso nello spazio.

Le principali emittenti televisive non lesinavano gli spazi di trasmissione da dedicare alla manifestazione espositiva più importante del secolo.

Un’immagine di quell’enorme piazza sovraffollata e sovrastata dalla massa imponente del palazzo veniva trasmessa continuativamente dalle edizioni speciali dei telegiornali nazionali, regionali e provinciali.

Le interviste venivano realizzate grazie ad alcuni microfoni che venivano spostati su numerosi cavi tesi fra il palazzo e decine di pali appositamente sistemati. Le domande erano poste in forma scritta e il fortunato detentore del microfono veniva ripreso contemporaneamente da centinaia di telecamere nascoste. Ogni cosa era stata organizzata in modo grandioso.

Renzo vide di fronte a sé il microfono. Si rese conto di essere ripreso in diretta, quindi con un gesto impercettibile si ravviò i capelli sperando di potersi presentare nel migliore dei modi. La domanda era:" Che cosa prova di fronte a un avvenimento così importante?".

La domanda lo trovò impreparato. Rispose quasi balbettando:" Credo che un giorno racconterò queste cose ai miei nipoti e credo che saranno orgogliosi di me...".

Il microfono scomparve. La risposta era stata esauriente. Il volto di Renzo era risultato telegenico.

Il fratello maggiore di Renzo stava fissando ormai da alcune ore lo schermo del suo televisore personale ed era quindi informatissimo di tutto quello che stava accadendo di fronte al palazzo dell’esposizione. Nonostante che nel suo cervello no balenasse alcun pensiero, in realtà era combattuto fra il desiderio di non perdere alcun programma televisivo e quello di recarsi immediatamente nella grande piazza per assaporare l’avvenimento in modo più diretto.

La conclusione delle sue meditazioni sembrava essere ormai vicina e si esprimeva nella convinzione di una sostanziale corrispondenza fra le due eventualità. Recarsi nella piazza del palazzo era come entrare nel programma televisivo al quale stava assistendo, quindi non ne sarebbe conseguita alcuna sensazione di perdita a eccezione dei pochi minuti necessari per il trasferimento dalla poltrona alla piazza.

A ben pensarci, però, in quei minuti sarebbe potuto accadere proprio quello che si attendeva da giorni. La situazione era dilemmatica. Giacomo rimandava la partenza di secondo in secondo.

Di tanto in tanto si recava in cucina per cercare qualcosa da bere o da mangiare e nonostante i suoi gesti fossero velocissimi quando finalmente ritornava davanti allo schermo era terrorizzato al pensiero di avere perso qualcosa. Per ovviare a questo inconveniente decise di ordinare un altro televisore e un videoregistratore.

Quando vide suo fratello ripreso in primissimo piano il suo cuore accelerò il battito in modo inverosimile e si pentì amaramente di non avere ordinato prima il videoregistratore. Si sentì orgoglioso di essere il fratello maggiore dell’intervistato. Se avesse potuto abbandonare la sua posizione avrebbe urlato dal balcone che suo fratello era in televisione, perché tutti potessero vederlo, ma sarebbe stato uno sforzo inutile dato che tutti lo avevano visto.

Pochi bambini anticonformisti giocavano al pallone nei cortili del quartiere. Giacomo, se avesse potuto farlo, si sarebbe immediatamente recato nel cortile del condominio per zittire quei fastidiosissimi bambini antisociali.

Se avesse avuto a disposizione un videoregistratore lo avrebbe certamente fatto.

Le pause pubblicitarie erano troppo brevi e troppo interessanti per consentire una breve assenza. Era possibile, inoltre, che un intermezzo pubblicitario ogni mille riguardasse i prodotti esposti nel palazzo. In altri intermezzi alcuni prodotti potevano comparire sullo schermo per brevissimi istanti e chi riusciva a identificare almeno un centinaio poteva partecipare al concorso per l’aggiudicazione di un posto di assistente custode della manifestazione espositiva, unica tra le tante per il fatto di esse incustodita.

Era un’occasione da non perdere. Il suo volto sarebbe comparso sugli schermi televisivi di tutto il mondo. Finalmente la sua amata vicina di casa sarebbe stata costretta ad ammettere che il suo instancabile corteggiatore non era un vero e proprio incapace, bensì un giovanotto promettente il cui futuro era tutt’altro che incerto.

Soltanto la massima concentrazione sulle immagini diffuse dall’apparecchio televisivo poteva garantirgli la possibilità di cambiare radicalmente la sua vita. Se Ginetta, la sua vicina di casa, fosse stata un po’ meno scorbutica avrebbe potuto collaborare con lui organizzando una sorta di turno di guardia durante le ore della notte. Era impossibile trascorrere ventiquattro ore senza addormentarsi. Purtroppo i messaggi informativi sottolineavano il fatto che i prodotti da riconoscere venivano inseriti soprattutto negli intermezzi pubblicitari trasmessi durante le ore notturne.

La Ginetta, invece, durante quelle ore così interessanti dormiva. Un certo Beppe, suo spasimante da sempre, le passava le informazioni più preziose nella speranza di ottenere in cambio teneri favori. Al Beppe del grande concorso non importava niente.

Per lui l’unica cosa importante era la sua amata Ginetta. Nonostante ciò era costretto anch’egli a rimanere di fronte al televisore.

Nella piazza del palazzo qualcuno cominciava a provare un senso di profonda stanchezza. Molti ormai desideravano ritornare alle loro dimore, ma nessuno riusciva a trovare la direzione giusta. I migliori agenti pubblicitari del pianeta avevano sistemato intorno alla piazza degli specchi enormi.

Non rimaneva da fare altro che accasciarsi gli uni sugli altri permettendo finalmente ai propri occhi di chiudersi e alle proprie membra di godersi il meritato riposo. Renzo e Lucia dormivano già da alcuni minuti, teneramente abbracciati, quando gli altoparlanti diffusero un comunicato riguardante la possibilità di visitare la mostra per le prime due persone che si fossero presentate ai cancelli della stessa.

Un comunicato di quel tipo avrebbe svegliato chiunque. Renzo e Lucia non ebbero alcuna esitazione e veloci come due gazzelle in fuga si presentarono in netto anticipo su ogni altra persona.

Si trovarono quindi all’interno della mostra pervasi di una curiosità irrefrenabile e di una stanchezza senza pari. Una segnalazione provvidenziale permise loro di raggiungere velocemente il reparto nel quale erano esposte le camere da letto.

Osservando attentamente le caratteristiche di un copriletto Lucia si addormentò fra le braccia di Renzo, il quale considerate le circostanze decise di adagiare dolcemente la sua compagna sul letto più vicino, poi si stese accanto a lei. Alcune telecamere nascoste intanto riprendevano e registravano ogni azione compiuta dagli unici due visitatori della mostra.

Ginetta stava sorseggiando un succo di frutta alla pesca comodamente seduta di fronte al suo televisore a schermo gigante che ovviamente era sintonizzato su Telequarantacinque. Sullo schermo stava scorrendo una scritta in sovrimpressione che informava dell’avvenuto ingresso nel palazzo di una coppia giovane e piena di curiosità. Un’altra nota informativa rassicurava sulle "Avventure di Adamo ed Eva nel palazzo delle meraviglie."

Ginetta cominciava a domandarsi quale fosse il motivo per cui il suo caro amico Beppe non fosse ancora venuto a importunarla con il suo pesante modo di attentare alla sua indipendenza sentimentale.

Trascorsi pochi secondi dall’ultimo stacchetto pubblicitario qualcuno suonò alla sua porta. Con un balzo quasi felino Ginetta si trovò davanti alla porta di ingresso e la spalancò senza nemmeno controllare dallo spioncino l’identità del visitatore.

Con un balzo felino quanto il precedente si ritrovò di fronte al suo schermo preferito.

Per sua fortuna il visitatore era proprio Beppe, il quale ormai avvezzo a un’accoglienza così calorosa decise di accomodarsi sulla sua poltrona preferita.

Poco dopo si rese conto di avere sete. Alle sue lamentele Ginetta rispose indicandogli la via per raggiungere il frigorifero e servirsi da solo.

Beppe accennò, dopo essersi servito, a un timido ringraziamento. Ginetta lo fissò per un istante, in cagnesco.

Quando Ginetta era di cattivo umore non bisognava disturbarla. Beppe in tali circostanze doveva evitare di sorridere, di volgere lo sguardo verso la sua amata e di pronunciare parole troppo gentili.

Nella sala riunioni dello studio pubblicitario più blasonato del mondo era in corso una discussione animata che vedeva in forte antagonismo il gruppo degli "oltranzisti" e il gruppo dei "permissivisti".

Il dottor Mondobello stava sostenendo con grande entusiasmo la sua tesi preferita, ovverosia che nel palazzo non doveva entrare nessuno e che lasciarvi entrare "Adamo ed Eva" era stato un errore che tutti prima o poi avrebbero pagato con l’insorgere di problematiche impreviste e difficilmente risolvibili. Considerata la situazione era indispensabile evitare ulteriori errori, quindi, sempre secondo il parere del dottor Mondobello, era opportuno impedire a qualsiasi persona, indipendentemente dalle sue credenziali, l’ingresso alla mostra del secolo. Oltre a queste considerazioni il dottore in scienza della pubblicità non risparmiava i suoi sforzi per ripetere che riempire il palazzo di prodotti come se si fosse trattato di un’esposizione vera e propria era stato un errore madornale, del quale sarebbero presto o tardi scaturite le conseguenze più nefaste.

La dottoressa Belcanto si affannava nella difesa delle sue idee che fino a quel momento avevano riscosso il consenso della maggioranza. Sosteneva, seguendo la sua deontologia, che non ci si poteva burlare del pubblico oltre un certo limite, pertanto era stato corretto predisporre ogni cosa come se si fosse trattato di una mostra vera e propria.

Chiunque avesse assistito al dibattito avrebbe notato che le parole "vero e proprio" venivano pronunciate in abbondanza da tutti i presenti.

La discussione di trascinò fino a notte inoltrata alternando momenti di grande tensione a momenti di rilasciamento. I momenti in cui la tensione a scemava sopraggiungevano quando i dottori si incantavano contemplando la loro opera proiettata in diretta sulla parete maxi schermo. Potevano considerarsi dei grandi scienziati e contemporaneamente degli ottimi artisti.

Un fotografo aveva il compito di ritrarre ogni partecipante alla riunione facendo in modo che il maxi schermo fosse sempre presente nelle fotografie.

Alcuni, di conseguenza, furono ripresi esclusivamente di spalle. Il giorno seguente dopo di avere osservato a lungo i provini delle fotografie si scatenò una lite furibonda per stabilire la distribuzione delle poltrone e la posizione del maxi schermo. In seguito fu fatta costruire una pedana girevole sulla quale vennero sistemati il grande tavolo e le poltrone, così si riuscì a evitare la perdita di tempo dovuta alla lite per la conquista delle poltrone migliori.

Conclusa la visita quotidiana alla sua amata Ginetta, Beppe stava rincasando quando giunse ai suoi orecchi l’eco di un’esclamazione che si diffondeva tutt’intorno attraverso le finestre spalancare delle case circostanti. Intuendo immediatamente che soltanto una trasmissione televisiva dall’indice di gradimento molto alto poteva provocare una tale unanimità di sentimenti si precipitò nel salotto del suo appartamento dove lo attendeva, già in funzione, il suo televisore.

Purtroppo dalle immagini che in quel momento stavano occupando il maxi schermo ad alta definizione era impossibile intuire le motivazioni del mormorio che aveva percepito poc’anzi. Decise di bussare alla porta dei suoi vicini di casa, la famiglia Mattarozzi, che avevano la fortuna, essendo in molti, di non perdere nemmeno un secondo di quella preziosissima trasmissione. In quell’istante tutta la famiglia era riunita davanti al televisore.

Siccome i componenti la famiglia erano ventitré ed era quindi impossibile che tutti si accomodassero sul sedile posteriore di una vecchia seicento che fungeva da divano, nonno Piergiuseppe Mattarozzi aveva inventato un sistema di specchi per fare in modo che tutti potessero assistere al programma televisivo da ognuna delle due stanze dell’appartamento. Per tutti parlò Gaetana Mattarozzi, nipote di Piergiuseppe e figlia di Giovanni Nicola, la quale spiegò che per un attimo le telecamere avevano ripreso Adamo ed Eva all’interno del palazzo. Si trattava però di una ripresa effettuata con una telecamera a raggi infrarossi per cui in pratica la definizione delle immagini era insufficiente rispetto al bisogno che la gente aveva di sapere quali prodotti fossero esposti. Gaetana aveva preso la parola un po’ perché era l’unica della famiglia che aveva studiato e un po’ perché era innamorata di Beppe. Se non fosse rimasta incinta all’età di quindici anni prima o poi si sarebbe iscritta alla facoltà di medicina, non foss’altro che per curare l’asma di nonno Piergiuseppe, evitando così di risparmiare i soldi per il gelato e per il cinema a favore del dottor Carasalute.

Un giovane coltellinaio le aveva promesso ogni sorta di bene, le aveva giurato fedeltà eterna, le aveva regalato un anello molto costoso, ma non sopportava l’idea di avere dei bambini tra i piedi, così decise di abbandonarla al suo destino.

Gaetana, per sua fortuna, non era affatto capace di cadere in depressione nonostante le si presentassero spesso dei buoni motivi per concederselo, quindi si innamorò di Beppe.

L’intera famiglia Mattarozzi vedeva di buon occhio quel sentimento genuino che se mai avesse raggiunto il suo scopo naturale avrebbe nello stesso tempo permesso alla famiglia di ampliare lo spazio a sua disposizione e a nonna Erminia in particolare di riconoscere qualche figura sul maxi schermo di Beppe.

Povera nonna Erminia!

La sua vista era sempre stata così debole che nessuno era mai stato in grado di risparmiare tanto da comperarle anche solo un paio di lenti senza montatura, poiché le lenti più sono spesse e più costano. A Beppe Gaetana non dispiaceva e provava anche simpatia per la di lei figlioletta Giuseppina alla quale spesso regalava delle caramelle e a Natale dei giocattoli economici, ma era cosciente della sciagura che si sarebbe avventata su di lui se avesse risposto in modo gentile alle moine della sua spasimante.

Tornando al motivo della visita, Gaetana spiegò che il commentatore aveva promesso delle ulteriori immagini dall’interno del palazzo per quella notte stessa e che sarebbe forse stato opportuno che lei e Giuseppina si trovassero al suo fianco per impedirgli di addormentarsi.

Capita l’antifona Beppe se ne andò senza salutare nessuno. Pochi minuti dopo l’intera famiglia Mattarozzi si trovava sul pianerottolo e nonno Piergiuseppe redarguiva il suo vicino di casa a causa dell’insensibilità dimostrata nei confronti di Gaetana, la quale nonostante l’accaduto pensava a tutt’altre cose o forse semplicemente non pensava e non soffriva. Soffrivano, queste sì, le aspettative della famiglia nel suo complesso.

Beppe, in preda allo sconforto, telefonò alla prima agenzia immobiliare che gli riuscì di trovare sull’elenco telefonico scongiurando e implorando la pietà dell’agente nella considerazione del suo particolare caso. Chiese di realizzare la permuta tra il suo piccolo alloggio e un altro alloggio anche se più piccolo e in peggiori condizioni, anche se l’operazione dovesse risultare in qualche modo onerosa per le sue tasche.

Ebbe il coraggio di imporre una sola condizione: la distanza tra i due beni doveva essere chilometrica.

Benedetto Speculasuisoldi, titolare dell’agenzia omonima, si rese immediatamente conto di trovarsi di fronte a un vero affare, quindi prese accuratamente nota del numero di telefono del suo pollo, ripetendo lo stesso numero per ben tre volte onde essere ben certo di essere in grado di richiamarlo a l più presto l’indomani mattina.

Poco dopo la famiglia Mattarozzi fu costretta a ricomprimersi nel suo appartamento dalle bestemmie urlate dalla portinaia la quale non poteva assolutamente sopportare che nell’androne dell’edificio qualcuno urlasse più di lei.

Gaetana strinse fra le sue braccia la piccola Giuseppina che dell’accaduto no aveva capito quasi niente per cui ne aveva ricavato un grande spavento e una gran voglia di piangere.

Alla tenera Giuseppina spuntavano le prime lacrime quando qualcuno suonò il clacson.

In casa Mattarozzi il baccano era quasi sempre tale da rendere impossibile l’impiego di un semplice campanello. Il clacson di una vecchia automobile abbandonata giusto sotto casa era capitato a fagiolo.

Chi poteva suonare il clacson a quell’ora?

Era Eleonora, un’amica d’infanzia di Gaetana. Desiderava che Gaetana uscisse di casa per andare con lei a passeggiare per le vie del centro.

All’interno del palazzo ogni oggetto si trovava rigorosamente al suo posto ed era stato spolverato con cura prima che Renzo e Lucia si svegliassero. L’organizzazione aveva provveduto a sistemare in bella vista un’abbondante prima colazione.

L’aroma gradevole del caffè attirò l’attenzione di Lucia, che per prima notò la presenza di tali generi alimentari. Senza proferire parola si abbuffò di tutto quanto fu in grado di inghiottire.

Renzo rimase scettico per alcuni istanti prima di gradire a sua volta quell’abbondante colazione. Nella sua mente era sorto il dubbio che le cose appetitose apparentemente a loro disposizione non fossero altro che ennesimi oggetti esposti.

La soddisfazione espressa da Lucia nel gradire alcuni pasticcini tanto realistici quanto appetitosi risolse ogni indecisione.

Terminata la colazione una musica orecchiabile proveniente da una stanza vicina a quella in cui si trovavano attirò la loro attenzione. Vi si recarono. Era la stanza dei truccatori. In pochi minuti quattro giovanotti trasformarono l’immagine di Renzo e Lucia in modo tale da renderli irriconoscibili.

Si guardarono ed era come se si vedessero per la prima volta. Si annusarono e invece dell’odore della loro pelle sentirono un effluvio nauseabondo di profumi di gran marca.

Qualcuno aveva deciso di non sostituire gli abiti indossati da Renzo e Lucia per garantire un aspetto quanto più autentico possibile alla loro immagine. Le telecamere e gli operatori televisivi erano pronti dalle loro postazioni accuratamente nascoste a registrare ogni espressione, ogni emozione dei due visitatori.

Lucia ebbe una crisi di nervi. Aveva perso il senso della realtà. Ogni cosa che si trovava intorno a lei le sembrava estranea. Renzo, truccato in quel modo, le pareva tutt’altra persona, non era quel giovane simpatico che aveva conosciuto il giorno prima nella piazza. D’altra parte si conoscevano da troppo poco tempo per rappresentare reciprocamente un punto di appoggio morale.

Erano entrambi soli e cominciarono a diffidare l’uno dell’altro.

Qualcuno, dietro le quinte, si rese conto di quello che stava accadendo e segnalò il problema a un gruppo si specialisti che in quel momento si trovavano già riuniti in attesa di affrontare i problemi di loro esclusiva competenza.

Il dottor Giocoforza descrisse gli elementi, i fattori e le circostanze che dovevano essere esaminate e risolte. Di testa sua espresse l’opinione secondo la quale i due visitatori erano ormai inutili rispetto agli scopi commerciali dell’iniziativa, ma preziosissimi per la comunità scientifica che poteva osservare il loro comportamento in un ambiente unico al mondo. La dottoressa Alinari rispose che trattandosi di un ambiente unico al mondo ogni osservazione era inutile. Così, in pochi secondi, si erano delineate due correnti di pensiero, cosa indispensabile per la buona riuscita di ogni ricerca scientifica. Tutti i presenti se ne rallegrarono come sollevati da un peso immane e aderirono in forze pressoché equivalenti alle due tesi.

Il dibattito poteva finalmente cominciare e durare a lungo.

Dopo un paio di settimane il dottor Bevolafola galvanizzò la discussione ricordando che Renzo e Lucia si trovavano ancora all’interno del palazzo. I due poveretti avevano attraversato momenti di gioia, di euforia, di orrore, di follia.

La loro mente era ormai regredita alla più tenera infanzia. Da due giorni Lucia giocava con una bambola che chiamava "Miss Bella", Renzo con un bamboccio chiamato "Mister Bullo".

I truccatori non si curavano più di loro.

Uno psicologo tentava disperatamente di convincere Renzo e Lucia ad abbandonare il palazzo.

Bevolafola affermò altresì che erano disponibili le registrazioni video del comportamento regressivo di Renzo e Lucia. Le immagini cominciarono a scorrere sullo schermo di un enorme televisore ad alta definizione. I dottori osservarono con estrema attenzione ogni gesto di Renzo e Lucia.

Eleonora e Gaetana passeggiavano distrattamente per le strade semi deserte. Un silenzio irreale dominava l’atmosfera. Gaetana provava sensazioni di paura. Quando un paio di amidi di Eleonora fermarono la corsa della loro automobile per invitarle a salire ne fu felice. Erano due gentiluomini. Invitarono le due ragazze a bere qualcosa a casa loro. Eleonora di tanto in tanto ammiccava agli sguardi maliziosi si Giuseppino.

Ernesto sembrava un ragazzo serio. Fissava la strada davanti a sé ed evitava accuratamente che il motore andasse su di giri.

L’automobile si fermò davanti al cancello di una villa molto grande, immersa in un bosco che nell’oscurità della sera garantiva alla situazione un senso di mistero.

Gaetana non sorrideva. Con poche parole sarebbe stato possibile definire le circostanze inquietanti di un film dell’orrore.

L’interno della villa era sontuoso. Drappi di raso rosso pendevano dalle alte volte. Eleonora si sentiva a suo agio: Giuseppino le stringeva teneramente la mano. Gaetana per la prima volta nella suo vita si rese conto di essere stata ingannata. La casa era piena zeppa di televisori, tutti in funzione, sintonizzati sull’unico programma disponibile. Ragazzi e ragazze passeggiavano nei saloni tenendosi per mano. Tutti sorridevano. Quel posto, pensò Gaetana, non prometteva nulla di buono.

Quando Ernesto la prese per mano le sfuggì un urlo che rimbombò a lungo nel silenzio della casa. Proprio non se lo aspettava. Accattò l’iniziativa di Ernesto per timore di attirare su di sé l’attenzione di tutte quelle persone così compite e silenziose. Chiuse gli occhi e lasciò che Ernesto la conducesse dove più gli piaceva.

Camminarono a lungo. Agli orecchi di Gaetana giungevano i bisbigli delle coppie che passeggiavano nella villa.

Quando riaprì gli occhi si trovò in una stanza completamente vuota. Le pareti, il pavimento e il soffitto erano dipinti di bianco. Il suo accompagnatore la fissava sorridendo in un modo che le pareva rassicurante.

Avrebbe voluto chiedere spiegazione ma era pietrificata dall’angoscia, dalla tensione nervosa, dal timore di provocare reazioni violente.

Provò ad allontanarsi da Ernesto. Quando capì che quell’individuo piuttosto strano no l’avrebbe seguita decise di abbandonare quella stanza. Dopo di avere attraversato decine di stanze vuote le parve di scorgere Eleonora attraverso il vetro opaco di una porta socchiusa.

Nonostante in quel momento provasse un sentimento di odio nei confronti della sua amica quella visione rappresentava una speranza di salvezza.

Rincorrendo l’immagine della sua amica si ritrovò di fronte a Ernesto.

-- Hai seguito l’immagine della tua amica... adesso sei nuovamente qui e non capisci perché... la verità è che ho bisogno di te...

Gaetana pensò di essere capitata in uno di quegli incubi per intellettuali che di tanto in tanto le era capitato di vedere al cinema "Nuovo Romano"...

Probabilmente diverse telecamere nascoste stavano riprendendo la scena utilizzando tecnologie d’avanguardia e qualche regista un po’ originale sperimentava le sue idee bizzarre.

Ernesto, invero, era contemporaneamente il regista e il personaggio principale del film.

Aveva deciso di andare oltre il solito concetto, ormai scontato, dell’attore non professionista. Secondo lui era necessario affrontare una nuova realtà, quella dell’attore inconsapevole, o meglio, del non attore. Soltanto in quel modo il cinema poteva presentare al suo pubblico qualcosa di nuovo.

In nome dell’arte poco mancava a Gaetana per impazzire. Pensò che a Ernesto doveva mancare qualche ingranaggio cerebrale, quindi decise di assecondare il più possibile le sue intenzioni.

- Perché hai bisogno di me?

- Ho bisogno di abbracciarti, di baciarti, di guardarti negli occhi... Era da tanto tempo che ti aspettavo... Non posso continuare a soffrire... a immaginarti... a sognarti...

- Ma io non ti conosco!

- Mi conoscerai! Correremo insieme nei prati più verdi... ci tufferemo nelle acque dei mari più blu... voleremo nei cieli più azzurri...

- Parli come un poeta... Ma c’è qualcosa che non mi convince!

Ernesto si rese conto di non essere in grado di condurre la scena nel modo preciso in cui l’aveva concepita. Decise di forzare le circostanze afferrando e baciando voluttuosamente Gaetana.

- Neppure questo ti convince?

-A dire il vero mi sembra che tu oggi non ti sia lavato i denti...

A queste parole Ernesto no ne poté più... Alzò le braccia al cielo in segno di rabbia e cominciò a farneticare...

- Non è possibile... è la quarta volta... dove la trovo un’altra ragazza... basta! basta!

interrompete le registrazioni!

Sopraggiunse Eleonora, la quale spiegò che anche con lei l’esperimento non era riuscito. Ernesto l’aveva implorata di portarle un’amica e tanto aveva fatto e detto che l’aveva convinta.

Gaetana guardò l’amica con un’espressione poco gentile.

Evitando inutili parole espresse la sua gioia con un ceffone che lasciò a lungo il suo ricordo sul volto di Eleonora.

Nella grande piazza il pubblico viveva momenti di gioia grazie alla decisione presa dalle autorità competenti di proiettare su di uno schermo di proporzioni smisurate alcune diapositive che raffiguravano, seppure in modo alquanto confuso, alcuni dei migliori prodotti esposti nel palazzo.

Una musica rilassante accompagnava le immagini. Un giovanotto poco più che ventenne, di professione barbiere svenne alla vista di un nuovo modello di asciugacapelli a raggi infrarossi: era da mesi e mesi che desiderava vederlo. L’appagamento dei suoi sensi era stato troppo violento.

Una voce informò del fatto che i prodotti presentati erano già in vendita nei migliori negozi.

Ad ogni diapositiva proiettata il pubblico manifestava la sua sensibilità applaudendo con entusiasmo.

Qualcuno provava delle sensazioni di incredibile confusione ritrovandosi mentalmente diviso tra il desiderio di raggiungere il negozio più vicino nel quale era in vendita un certo prodotto e il desiderio altrettanto forte di continuare a vedere, a intuire le immagini che scorrevano sullo schermo.

Ben presto il gruppo di esperti che aveva realizzato la proiezione delle diapositive si rese conto di avere commesso un errore madornale: se la proiezione fosse stata interrotta tutto il pubblico avrebbe abbandonato la piazza buttandosi a capofitto alla ricerca del bebè più amato.

Considerate le proporzioni di quel gruppo eccezionale di persone c’era da considerare la probabilità. o la certezza, che si verificassero degli incidenti anche mortali.

Un gruppo di esperti sosteneva che era necessario dichiarare chiusa l’Esposizione del secolo in quanto l’organizzazione della stessa non era stata in grado di prevedere tutti gli eventi indesiderati che si erano verificati. Un secondo gruppo riteneva opportuno riflettere ulteriormente prima di agire in modo di nuovo irresponsabile. Un terzo gruppo, meno numeroso degli altri due, intendeva mediare le proposte presentate sostenendo che la mostra poteva essere dichiarata conclusa, ma la proiezione delle diapositive doveva continuare.

Dopo aspri dibattiti giocati sul limite estremo della tensione nervosa i tre gruppi decisero di nominare un consulente che non essendo a conoscenza di quanto era stato detto nel dibattito era senz’altro più libero di manifestare in modo esatto il suo pensiero.

Fu nominato "consulente speciale" il dottor Mondobello, il quale fece sapere che non appena possibile avrebbe raggiunto l’autorevole commissione che lo aveva benignamente interpellato.

Casa Mattarozzi era quasi deserta. Il fatto si colorava di miracoloso: Erano rimasti in casa soltanto la nonna e Giuseppina. Gli altri erano usciti nella speranza di ritrovare Gaetana.

Giuseppina piangeva, voleva la sua mamma. Nonna Erminia cercava a tastoni la sua nipotina. Era ormai notte e la luce elettrica in casa non c’era. L’ultima bolletta della luce l’avevano pagata quando nonno Piergiuseppe aveva incassato i soldi della liquidazione. Con la sua vista troppo appannata nonna Erminia non era in grado di trovare e di accendere una candela, Ammesso che in cada ce ne fossero. Il televisore normalmente funzionava grazie ad un collegamento con l’impianto elettrico comune del condominio.

Grazie al sistema di specchi che era stato realizzato per rendere visibile il televisore da ogni angolo del piccolo appartamento un minimo di illuminazione era garantito, ma in quel momento il televisore era guasto. Solo così si poteva spiegare il fatto che quasi tutti i componenti della famiglia fossero usciti di casa per rintracciare Gaetana.

La madre di Giuseppina conservava ancora nascoste in luogo sicuro le quarantacinquemila lire che nonno Piergiuseppe aveva sottratto dalla sua liquidazione pensando di farne una seppur piccola dote per Giuseppina.

Siccome tutti erano a conoscenza di questo tesoro nascosto, tutti avevano capito, nonno Piergiuseppe compreso, che si trattava dell’unica risorsa economica di cui la famiglia poteva avvalersi per ottenere la riparazione della sua fonte di luce.

Gaetana era introvabile. Giovanni Nicola era disperato, chiedeva ai rari passanti notizie della sua figliola in modo così gentile e supplichevole che tutti gli interpellati ne ricavarono l’esatta definizione dell’amore paterno. Nonno Piergiuseppe aveva abbandonato la speranza di ritrovare Gaetana, quindi ai passanti invece di domandare notizie di sua nipote chiedeva mille lire.

Il suo metodo dopo alcune ore risultò vincente.

Da solo, grazie al suo aspetto veramente trasandato, aveva raccolto ben settantamila lire. Giovanni Nicola si rese conto di volere un gran bene a suo padre e decise che bisognava subito rintracciare qualcuno in grado di riparare il televisore.

La ricerca del tecnico radiotelevisivo fu meno difficoltosa.

Lo trovarono addormentato davanti al suo televisore.

Antonio, così si chiamava il tecnico, fu contento di essere stato svegliato nel cuore della notte. I televisori moderni si guastavano raramente e quando manifestavano i primi problemi erano così vecchi che la gente preferiva acquistarne uno nuovo.

Antonio poteva quindi sperare soltanto di essere chiamato a cambiare qualche valvola termoionica in televisori che ormai non venivano più prodotti da anni.

Per fare questo non poteva formalizzarsi sull’ora della chiamata, altrimenti avrebbe perso il lavoro.

Purtroppo il televisore della famiglia Mattarozzi risultava in difetto di più di una valvola. Tra le valvole mancanti una era considerata da anni un vero pezzo di antiquariato della tecnologia radiotelevisiva.

Antonio dovette visitare più di un deposito di immondizia per fornirsi di quella rarità.

Per sua fortuna fu annientato da quasi tutti i componenti di una delle famiglie più numerose su cui un televisore potesse contare.

Quando il televisore riprese a funzionare Gaetana non era ancora rientrata, ma nessuno ci fece più caso.

Giuseppina non piangeva più, tranquillizzata dalla luce fredda del televisore.

Renzo e Lucia stavano giocando a "cane e gatto". Lucia tentava di graffiare Renzo, il quale abbaiava furiosamente.

Dopo alcune ore trascorse in inutili schermaglie si avvinghiarono in un corpo a corpo che risvegliò la libido degli esperti che naturalmente stavano osservando la scena.

Il dottor Mondobello affermò che la scena era molto interessante e che sarebbe stato necessario studiare ogni particolare al rallentatore. Osservò a mo’ di battuta che il corpo di Lucia era dotato di una forma avvenente, di gentile e felina fierezza.

Un fotografo colse uno sguardo fra la dottoressa Belcanto e il dottor Mondobello che appariva senza equivoci come il frutto di tante osservazioni particolareggiate sul corpo a corpo di Renzo e Lucia. I due dottori capeggiavano le due opposte correnti di pensiero, ma non poterono fare a meno di sospendere la riunione per incontrarsi segretamente nell’ufficio più riservato dell’edificio.

Tutti pensarono che i due esperti avessero bisogno di chiarire privatamente le loro posizioni.

In effetti le chiarirono così bene che nove mesi dopo venne alla luce una bambina.

Belcanto e Mondobello si unirono in matrimonio continuarono a vivere in appartamenti separati a causa dell’eccessiva divergenza di idee.

Quando gli esperti si riunirono nuovamente la situazione era cambiata in modo radicale.

Renzo e Lucia erano scomparsi dallo schermo e le fazioni opposte stavano confrontandosi su linee di pensiero più concordi nel ritenere che tutto quello che era successo poteva considerarsi soddisfacente rispetto agli scopi prefissati.

Rimaneva a disposizione della scienza una grande quantità di documenti che potevano essere esaminati e discussi senza giungere a conclusioni affrettate.

Qualcuno avrebbe approfittato delle argomentazioni emerse per scrivere un romanzo, qualcun altro ne avrebbe ricavato un saggio o un lungometraggio denso di colpi di scena. Una sola cosa era certa: tutte le aziende che potevano vantare la loro partecipazione alla mostra del secolo avrebbero realizzato un forte incremento dei loro profitti.

Era previsto da un accordo segreto che previo pagamento di una discreta somma di denaro ogni azienda interessata poteva fornirsi di un regolare attestato di partecipazione. Una parte del denaro ricavato sarebbe stata devoluta a favore dell’Associazione nazionale per la prevenzione della cattiva digestione nei paesi del terzo mondo.

Oltre a tali scopi altamente umanitari l’organizzazione si proponeva di fornire un servizio di tutela della salute pubblica indirizzando nel giusto senso le scelte dei consumatori.

In città il livello di monossido di carbonio superava ogni limite nonostante i disperati tentativi delle autorità di ottenere dal governo un nuovo decreto in materia che elevasse i valori della soglia di allarme.

Gaetana si orientava a fatica fra gli edifici tutti uguali della zona di periferia dove si trovava. La sua più cara amica non la aveva riaccompagnata a casa più cara amica non l’aveva riaccompagnata a casa con la scusa di un’improvvisa dispepsia.

La disperazione stava per intrufolarsi nella sua umile mente quando vide un uomo di mezza età venirle incontro con uno strano sorriso sulle labbra.

Alla disperazione si sostituì la paura. Il livello di biossido di zolfo era pari a nove volte il valore massimo consentito dalla legge quando quel losco individuo afferrò Gaetana per i capelli con una mano e con l’altra le immobilizzò le mani dietro la schiena.

Due giovani tecnici addetti al monitoraggio dell’aria nelle vie della città si resero conto di quanto stava accadendo, fermarono la corsa del loro furgone, trassero in salvo Gaetana e la riaccompagnarono a casa. Si trattò di una buona azione e Gaetana ne rimase commossa. Tutti in famiglia furono felici del suo ritorno nonostante il minestrone fosse già stato allungato con l’acqua oltre i limiti dettati dal buon gusto.

Nonno Piergiuseppe decise che ognuno avrebbe rinunciato a un ventitreesimo della sua razione. Il momento era di quelli veramente importanti: la famiglia aveva ritrovato la sua unità e il televisore era sintonizzato su Telequarantacinque.

Ogni cosa era ritornata al suo posto, Giuseppina piangeva come al solito, nonna Erminia si sforzava di mettere a fuoco le immagini diffuse dal televisore, Gaetana urlava negli orecchi della nonna una cronaca ragionata degli ultimi avvenimenti.

Nella piazza non accadeva niente di particolare ma si avvertiva un forte nervosismo.

Mai dall’inizio della mostra il pubblico era entrato in uno stato di eccitazione così evidente.

I telespettatori concentravano maggiormente la loro attenzione sulle immagini e litigavano fra di loro senza distogliere gli occhi dallo schermo contestando gli uni agli altri le ipotesi più insignificanti.

Beppe e Ginetta sorseggiavano nervosamente il loro succo di melone quando un comunicato straordinario interruppe la trasmissione per ricordare ai telespettatori il pagamento del canone di abbonamento alla radiotelevisione.

Il nervosismo durante la trasmissione del comunicato aumentò al punto in cui il bicchiere che fino a quel momento era stato in mano a Ginetta finì con lo sbattere violentemente contro lo schermo del televisore riducendolo in frantumi.

Questa iniziativa della sua amica Beppe non l’avrebbe mai prevista.

La sua emozione si espresse bofonchiando le seguenti parole:

- E adesso... come facciamo?

Alla Ginetta non piaceva perdere tempo: decise che l’unica cosa da fare era recarsi immediatamente a casa di Beppe.

Beppe non se lo fece ripetere due volte. Da anni desiderava che Ginetta gli riconoscesse l’onore di fargli visita. Considerato il potere che gli derivava dalle circostanze Beppe si rifiutò di mettere in funzione il suo televisore. Ginetta non poté quindi fare a meno di seguire la ferrea logica delle telenovelas: prese a baciare Beppe in modo così sensuale e violento che il poveretto perse i sensi permettendo alla sua amica di appropriarsi del telecomando. Raggiante per il suo successo Ginetta sintonizzò immediatamente il televisore sulla frequenza di Telequarantacinque. Beppe rantolava disteso sul pavimento, Ginetta lo guardava con tenerezza, cominciava a considerarlo simpatico e interessante dato che possedeva un buon televisore.

Le immagini diffuse dal televisore esercitarono immediatamente un effetto tranquillizzante sui nervi di Ginetta.

Per un banale errore di un operatore sullo schermo si delinearono le immagini di un servizio sulla fame in Somalia. Ginetta ebbe nuovamente una crisi di nervi. Le sue urla produssero in Beppe un pronto rinvenimento. Non appena si rese conto di quello che stava accadendo dai suoi occhi presero a sgorgare copiose lacrime.

Qualcuno avrebbe potuto pensare che il servizio trasmesso per errore avesse intenerito lo spirito di Beppe, il quale in realtà piangeva perché vedeva sfumare la possibilità di offrire alla sua amata un buon motivo per benvolerlo. Ginetta dopo alcuni minuti rimase immobile di fronte al teleschermo come fortemente impressionata dalle immagini trasmesse. Quell’espressione attonita premuniva una nuova vocazione: Ginetta decise di fare qualcosa per tutti quei bambini e quegli adulti che morivano di fame. Raggiunto il frigorifero di Beppe raccolse tutto quanto vi era di commestibile, quindi con estrema delicatezza si avvicinò al televisore e invitò tutti quegli esseri affamati partecipare al suo spuntino.

Resasi conto del fatto che nessuno approfittava del suo invito reputò che più di tanto non si poteva fare e che la sua coscienza era stata appagata dal bel gesto compiuto.

La folla ancora raccolta nella grande piazza stava provando sensazioni di confusione profonda. Per tutti le forze fisiche e psichiche cominciavano a scarseggiare. Dal palazzo non giungevano più messaggi in grado di motivare in modo adeguato quelle circostanza assurda.

Le autorità e gli esperti incaricati di indirizzare collettivamente il corso degli eventi accusavano uno stato di tensione nervosa che impediva loro di mantenere il controllo della situazione. Il direttore generale della manifestazione decise di riunire in congresso tutti i gruppi di studio specializzati che avevano osservato attentamente dalle loro torri cibernetiche gli umori della folla.

Nel palazzo dei congressi c’era che dormiva cullato dalle parole del discorso di inaugurazione tenuto dal direttore generale.

Non appena venne aperto il dibattito la dottoressa Alinari chiese di intervenire.

Era caduta in uno stato confusionale che le conferiva un aspetto sconvolto, isterico, neurotico.

Ottenuta la parola urlò con tutte le sue forze che era assolutamente necessario chiedere l’intervento della protezione civile. Molti plaudirono la sua tesi, ma la proposta espressa con così tanta disperazione rimase senza conseguenze pratiche.

Un altro esperto, il dottor Giocoforza, osservò che l’intervento della protezione civile avrebbe sortito l’effetto di una pessima pubblicità nei confronti dell’intera operazione.

Il giusto epilogo della manifestazione doveva lasciare nella mente del pubblico un senso di soddisfazione, la certezza di avere arricchito la propria esperienza, la possibilità di raccontare qualcosa di interessante ai nipotini.

Alla dottoressa Alinari le parole di Giocoforza procuravano delle visioni apocalittiche.

Nella sua mente la folla diventava un’entità in grado di esaltare ogni emozione, di trasformare un momento di felicità in un’immane catastrofe.

Tra i presenti era l’unica in grado di immedesimarsi nelle condizioni psichiche e fisiche di tutte quelle persone che un po’ per follia, un po’ per conformismo avevano pazientato ormai troppo innescando forme di energia pericolose.

Nel suo intervento il dottor Mondobello riconobbe la possibilità di un’involuzione tragica, ma evidenziò soprattutto la necessità di creare intorno ai mezzi di comunicazione di massa un’aura favorevole a interpretazioni comunque positive.

La dottoressa Alinari vedeva nella sua mente scolpirsi a caratteri cubitali i titoli tutti uguali dei quotidiani più diffusi: "Grandioso successo di pubblico al Grand’Expo.

Centomila morti".

Decise di abbandonare l’assemblea. Nessuno dei presenti poteva condividere le sue opinioni. Non le rimaneva da fare altro che trovare l’uscita del labirinto. Il salone delle assemblee comunicava direttamente con centinaia di centri specializzati che erano a loro volta collegati fra di loro secondo schemi creati e controllati da un elaboratore che nell’esercizio delle sue funzioni dimostrava di essere affatto imparziale poiché si limitava in ogni circostanza a eseguire il suo programma.

I lunghi e grigi corridoi si susseguivano in modo ossessionante, ma la dottoressa Alinari era adeguatamente preparata per affrontare circostanze ben più difficili. Un giro di ricognizione in un paio di settori le avrebbe permesso di trovare una via d’uscita o perlomeno di intuirne l’esistenza. Sapeva che in caso di fallimento nessuno le sarebbe stato d’aiuto a causa dell’impossibilità di comunicare in modo efficace con individui legati a settori di ricerca diversi dal suo.

In un corridoio del trecentoventiduesimo settore le accadde di incontrare una bambina di sei anni molto socievole che a suo dire si occupava di applicazioni tecnologiche avanzate.

Il suo nome era Mara Matterson.

Nata nel settore in cui attualmente si trovava aveva trascorso i suoi primi mesi di vita con una baby-sitter computerizzata che aveva orientato il suo affetto verso ogni oggetto dotato di un alto contenuto tecnologico.

Mara non aveva mai conosciuto la sia vera madre, né era mai stata avvicinata da un essere umano in carne e ossa.

Quando vide la dottoressa Alinari avanzare verso di lei ne fu immediatamente affascinata. Chi era quell’entità tecnologica dall’aspetto insolito ma tutto sommato familiare?

La mente di Mara fu attraversata in pochi istanti da sensazioni fortemente contrastanti di paura, di attrazione, di sconforto.

Era a conoscenza delle caratteristiche della specie umana perché ne aveva ottenute copiose informazioni nei suoi corsi di studio programmati, ma non aveva previsto la possibilità di provare emozioni così sconvolgenti.

Il programma di simulazione affettiva aveva ottenuto dei buoni risultati.

La sua unica carenza predittiva era rappresentata proprio dalla circostanza in cui Mara si trovava coinvolta.

Nessuno aveva impostato uno schema di reazione sistematica in caso di incontro con un essere umano in carne e ossa. Una dimenticanza davvero imperdonabile.

Mara cadde in uno stato di totale dipendenza nei confronti della dottoressa Alinari.

Tanto disse e tanto fece che costrinse la dottoressa a portarla con sé.

Nella mente della dottoressa Alinari si insinuava un dubbio: per quale oscuro motivo in nessun centro di ricerca erano presenti i ricercatori? Dove erano finiti tutti quei nomi

altisonanti di cui aveva sentito parlare spesso, ma che non aveva mai conosciuto?

La stessa Mara non aveva avuto nell’arco della sua esistenza alcun contatto con gli scienziati che avrebbero dovuto popolare il centro scientifico nel quale si trovava.

La realtà era piena di trabocchetti e confinava con la fantasia perversa di qualche mente superiore... Poche decine di scienziati probabilmente erano sufficienti per creare un’accademia, un grande apparato, il mondo della scienza.

Gaetana era stanca di vivere in quell’appartamento sovraffollato. Decise di impegnarsi a fondo per trovare una nuova abitazione per lei e per la sua figliola. Provò a rivolgersi a un’agenzia. Il geometra Furbacchioni intuì prontamente che la condizione economica di Gaetana non gli consentiva di realizzare quegli abbondanti e facili guadagni che aveva sempre sognato e sovente realizzato, quindi spiegò che il mercato delle case in affitto era in crisi a causa di un eccesso di domanda e che caso mai si poteva ragionevolmente sperare di acquistare un appartamento per cifre diventate ormai esorbitanti.

Siccome, purtuttavia, lui, geometra Furbacchioni, si trovava in quella fase della vita in cui ogni piccolo sforzo poteva risultare letale, si permetteva di offrire a Gaetana e alla sua figliola una comoda sistemazione nella sua villa lussuriosa in cambio di alcuni lavoretti che la avrebbero impegnata sia di giorno che di notte.

Gaetana decise senza nemmeno pensarci su che era meglio lasciare perdere.

Uscì dall’ufficio del geometra sbattendo la porta. Dove poteva trovare un’anima gentile disposta a non approfittare di lei?

Quale agenzia sarebbe stata in grado di risolvere il suo problema considerato che si trattava di un problema scarsamente produttivo per il portafogli dei professionisti del settore? La disperazione stava avendo il sopravvento sul suo caratteristico buon umore quando vide appeso alla parete di un edificio fatiscente il cartello "affittasi".

Probabilmente era l’occasione che faceva per lei. Telefonò immediatamente al proprietario il quale le ordinò di non muoversi, di aspettarlo sul posto: erano più di dieci anni che aveva appeso quel cartello, ma pochi lo avevano notato.

La casa in questione non era brutta. Ai suoi tempo doveva essere senz’altro signorile, dotata di ampi locali, di un giardino ombreggiato, di un freschissimo scantinato.

Purtroppo, riferiva il proprietario, le bombe dell’ultima guerra e i colpi bassi di vari modesti terremoti ne avevano rovinato in parte lo splendore.

Tuttavia, alcune stanze erano ancora abitabili, soprattutto lo scantinato il quale tra l’altro poteva fungere anche da rifugio atomico.

Non sapendo come disimpegnarsi disse che avrebbe preso in considerazione la casa e che se non ne avesse trovate di migliori e meno care sapeva che quella sarebbe stata disponibile a lungo e che lo ringraziava moltissimo per l’interessamento e il "pronto intervento"... Gli chiese persino se poteva offrirgli un caffè. Il proprietario della casa rimase attonito. Quando faceva visitare l’edificio a qualcuno gli accadeva di ricevere degli insulti, di assistere a crisi di nervi, di rischiare una citazione per danni morali: nessuno gli aveva offerto un caffè.

Quella ragazza doveva vivere in condizioni assai misere per considerare seriamente quella proposta di locazione, quindi non poteva essere una persona affidabile.

Gaetana disperava ormai di trovare alloggio in un mondo fatto di personaggi al limite della follia, di registi imbecilli, ma ben forniti di denaro, di persone che speravano di affittare case semidistrutte. Fu a causa dello stato d’animo piuttosto scorato che accettò un passaggio in automobile da parte di uno sconosciuto. Soltanto dopo un paio di minuti si rese conto del fatto che non aveva senso salire su di un’automobile senza nemmeno chiedere verso quale luogo si stava dirigendo. Quando si accorse del malinteso era già tardi per evitare le spiacevoli conseguenze: il giovanotto aveva già cominciato ad allungare le mani con la naturalezza di che si sente sicuro di non incontrare resistenza.

Anch’egli dovette rendersi conto del malinteso quando Gaetana tirò il freno a mano con tutte le sue forze trasformando l’automobile in una trottola.

Mara Matterson e la dottoressa Alinari erano ormai completamente prive di speranza quando videro un cartello appeso al soffitto del corridoio che indicava l’uscita. Verificata la reale esistenza di quel cartello decisero di proseguire in direzione opposta a quella indicata. Pochi minuti dopo trovarono l’uscita. Era una porta insignificante, pressoché uguale alle porte di tanti piccoli uffici.

Mara osservò che l’architetto doveva essersi distratto un attimo durante la progettazione dimenticandosi di disegnare un ufficio per quella porta.

In ogni caso Mara e la dottoressa si trovarono nel bel mezzo di un prato del quale non si scorgevano i confini. In lontananza si intuiva la presenza di alcune colline.

Quel prato non lasciava presagire nulla di buono. Il manto erboso aveva un aspetto artificiale che faceva pensare a molte cose fuorché alla libertà che pensavano di avere riconquistato. Mara osservò che in quel prato non vivevano insetti, che l’atmosfera non era turbata da un alito di vento, che il cielo, di un azzurro troppo intenso, non ospitava alcun sole.

La dottoressa Alinari si rese conto di essere caduta nell’ennesima trappola: quello era un ufficio senza uscita come tutti gli altri.

La sensazione di essere osservati continuamente da qualcuno era opprimente.

Chi mai poteva essere quella persona aggetta da sì grande protervia da arrogarsi il diritto di costruire quell’incredibile labirinto?

Mara suggerì che forse era il caso di seguire l’indicazione fornita dal cartello che indicava l’uscita. Così fecero e così trovarono la tanto desiderata porta che conduceva alla città che la dottoressa Alinari conosceva bene.

Accanto alla porta una targa riportava la seguente dicitura: "Istituto superiore per lo studio del nulla. Sede centrale."

Evidentemente qualcuno doveva avere lucrato sulla costruzione di quell’assurdo edificio in cui Mara aveva svolto con tutta probabilità il ruolo della cavia in funzione di alcuni esperimenti che dovevano giustificare l’enorme dispendio di denaro e il continuo flusso di richieste di sussidio.

Un mendicante ubriaco non più in grado di mantenere il controllo delle proprie gambe cadde sui piedi della dottoressa Alinari implorando l’elemosina. Mara rimase come pietrificata da quella visione. Aveva capito perfettamente che cosa era accaduto, sapeva che si trattava di un ubriaco perché nella sua mente erano memorizzate abbondanti descrizioni della realtà, ma l’impatto con quella circostanza era troppo violento. Si rese conto che tutto quello che aveva conosciuto attraverso la lettura o l’istruzione di alto livello non riusciva a trovare una soluzione al problema rappresentato da quell’individuo.

Bisognava fare qualcosa per lui o era opportuno proseguire per la propria strada come se non fosse accaduto nulla?

Decise per lei la dottoressa Alinari: la prese in braccio e si diresse con decisione verso la stazione più vicina della metropolitana.

La casa della dottoressa Alinari non era molto accogliente, ma a Mara piacque subito. Si trattava di un monolocale abbastanza spazioso e luminoso il cui arredamento rispettava i principi della più accurata trasandatezza: colonne di libri, giornali e riviste assolvevano alla funzione di mobili. Una vecchia stampa appoggiata su di un ammasso di libri fungeva da tavolo; alcuni volumi di un’enciclopedia venivano utilizzati come sedie.

La dottoressa Alinari non aveva mai avuto a sua disposizione il tempo necessario per occuparsi dell’arredamento della sua casa.

Il televisore trasmetteva ancora le immagini della piazza sovraffollata. Gli spazi pubblicitari che interrompevano il programma erano diventati più frequenti e il loro tono era più minaccioso rispetto a pochi giorni prima.

Le aziende sponsorizzanti la manifestazione erano evidentemente insoddisfatte dei risultati di vendita. L’invito all’acquisto era stato sostituito dal ricatto.

Naturalmente le musiche di sottofondo continuavano a essere gradevolmente sdolcinate. Mara domandò alla dottoressa Alinari quale fosse l’argomento o lo scopo di quello strano programma televisivo. La dottoressa rispose che lo scopo di quel programma era rendere edotta la popolazione dell’alto livello raggiunto dall’intelligenza e dalla civiltà della specie umana.

Questa risposta confuse ancora di più la mente di Mara che non era in grado di cogliere pienamente l’ironia di cui si avvaleva la dottoressa.

Quando si svegliò Gaetana si trovava nel letto di un ospedale. Le sue prime sensazioni furono dominate dalla paura. Spontaneamente controllò ogni parte del suo corpo con il sospetto di trovarvi delle ferite o delle mutilazioni. Ad eccezione di una piccola ferita che si intuiva sotto le garze che la ricoprivano sul lato destro dell’addome tutte le parti del suo corpo non inviavano manifestazioni di dolore.

Tutto sembrava funzionare all perfezione, anche la memoria. Gaetana ricordava tutto quello che le era accaduto fino a quando aveva tirato il freno a mano e rendendosi conto di avere causato un piccolo pasticcio era svenuta per l’emozione.

Il proprietario dell’automobile constatando lo svenimento di Gaetana decise di chiamare un’ambulanza.

I medici in seguito decisero di praticare a Gaetana un’appendicectomia, considerato che le condizioni psicofisiche della paziente lo consentivano.

Alcuni giorni dopo un’infermiera spiegò a Gaetana le ragioni della presenza di quella piccola ferita.

A Gaetana il fatto non spiacque. Il vitto dell’ospedale per quanto di qualità scadente era migliore di quello di casa sua.

Nella stanza, accanto ad ogni letto si trovava un televisore, forse un po’ troppo piccolo ma a colori che aiutava Gaetana a trascorrere piacevolmente le lunghe giornate di convalescenza.

Il programma era sempre lo stesso ma il fatto di poterlo vedere "a colori" riempiva di gioia il corpo e la mente di Gaetana. I colori riprodotti su quel piccolo schermo parevano perfino più belli di quelli che Gaetana percepiva nel suo viaggio quotidiano nella realtà.

Tutto sembrava nuovo, pulito e piacevole a vedersi. Non c’era traccia di polvere, né di ragnatele. L’interno del televisore doveva essere un mondo bellissimo dove alcuni scienziati geniali avevano risolto una volta per tutte il problema della sporcizia.

Era l’unica vera fonte di luce creata da una civiltà tenebrosa.

Gaetana pregustava già il suo prossimo pasto quando le comunicarono che doveva ritornare a casa sua poiché le erano state somministrate tutte le cure necessarie.

Gaetana perse il suo buon umore in un attimo. Si sentiva troppo debole e troppo sola per riuscire a raggiungere la sua famiglia.

Alcune infermiere la aiutarono a vestirsi e la accompagnarono alla porta.

Gaetana penso’ che erano molto gentili.

Mara stava giocando con alcune bambole di pezza che la dottoressa Alinari aveva ritrovato sotto un cumulo di libri. Il suo modo di giocare era piuttosto impacciato: rassomigliava alla diffidenza che spesso si pratica nei confronti delle cose sconosciute. Mara rispettava quelle bambole come se fossero state dotate di una loro forma di intelligenza e il suo gioco si spinse al punto in cui le accadde di scoppiare in lacrime e tremare per la paura.

La sua vita sino a quel momento era stata programmata in modo estremamente rigido, senza lasciare spazio al gioco: cosa che Mara conosceva solo dal punto di vista teorico.

La possibilità di giocare seguendo la sua fantasia produsse nella sua mente un senso di colpa molto forte: qualcuno, prima o poi, avrebbe potuto punirla per quello che stava facendo.

La dottoressa Alinari dovette stringerla a lungo tra le sue braccia per aiutarla a vincere la paura. Mara aveva bisogno di affetto. Nessuno l’aveva tenuta per mano, nessuno aveva accarezzato i suoi capelli. Le sue giornate trascorrevano come in un sogno in cui tutto è reale, ma nello stesso tempo è impossibile, incredibile. I suoi stati d’animo potevano manifestarsi indifferentemente nell’angoscia o nell’euforia. Nella sua mente era sempre più forte la sensazione di essere stata per molto tempo nient’altro che un esperimento assurdo.

Tutt’a un tratto a Mara venne l’idea di chiedere alla dottoressa Alinari un foglio di carta e una penna. Non appena ne fu in possesso prese a comporre delle formule matematiche incomprensibili. La dottoressa

Alinari domandò a Mara che cosa significassero quelle formule. Mara rispose che stava tentando di analizzare la sua situazione.

quelle di tenere un diario matematico era una sua vecchia abitudine. Le parole, secondo Mara, in assenza di relazioni costanti con altri individui o gruppi di persone, assumevano significati difficilmente verificabili.

In proposito la dottoressa Alinari non poteva fare altro che essere d’accordo con Mara. Le parole, con il loro significato troppo spesso manipolabile, avevano condotto l’umanità in una sorta di vicolo cieco dal quale risultava difficile uscire perché per farlo era necessario ritornare sui propri passi, rinunciare a molti privilegi più o meno evidenti.

L’influenza della parola era legata più alla carriera di chi la pronunciava che non al suo significato effettivo.

In una società organizzata su queste basi poteva accadere ogni cosa. Tutto poteva essere considerato vero o falso a seconda degli interessi personali o di gruppo che di volta in volta era necessario sostenere.

Di tutto questo a Mara non importava niente. Desiderava soltanto un po’ di calore: si buttò tra le braccia della dottoressa Alinari. Piansero entrambe a lungo. Il problema che angosciava entrambe era il futuro. Che cosa poteva accadere di sensato...

La dottoressa Alinari si preoccupava anche dell’aspetto economico della situazione.

Chi avrebbe riempito il suo borsellino d’ora in poi?

La sua vecchia abitudine di spendere tutti i suoi soldi in libri le aveva impedito di costituire un piccolo capitale sul quale contare nel momento del bisogno.

Una telefonata interruppe bruscamente questi pensieri carichi di ansia. Era il proprietario di una rete televisiva di secondaria importanza che intendeva proporre alla dottoressa Alinari l’incarico di dirigere il proprio telegiornale. La dottoressa rispose che doveva valutare attentamente la proposta considerato che contrapporsi alla totale assenza di informazioni non pubblicitarie che rappresentava il vero cavallo di battaglia di Telequarantacinque non era facile.

Il pubblico non credeva più nell’imparzialità dell’informazione. Il guaio peggiore consisteva d’altra parte nell’impossibilità di reperire notizie che non fossero dotate di forti caratteristiche tragicomiche. Numerose emittenti avevano eliminato dai loro programmi ogni forma di notiziario a causa dei bassissimi indici di ascolto realizzati, fatto che si poneva in netta contraddizione con le regole imposte dal mercato.

I notiziari, sebbene resi anni prima obbligatori dalla legge, erano diventati via via sempre più brevi sino a essere rappresentati da una semplice sigla di apertura che si coniugava direttamente con la sigla di chiusura.

La direzione di Telemaxi aveva deciso di porsi controcorrente.

Si poteva prevedere una svolta nelle aspettative del pubblico.

Le notizie avevano una buona occasione per ridiventare credibili: il cronista da parte sua doveva garantire l’assoluta corrispondenza delle notizie da egli steso diffuse alla realtà dei fatti. Le principali agenzie di stampa internazionali continuavano a diffondere ogni giorno migliaia di notizie sebbene nessuno vi fosse interessato.

Alla dottoressa Alinari spettava l’arduo compito di scegliere nel mucchio quelle informazioni che le sembravano più credibili e divulgarle attraverso il suo telegiornale. Ne sarebbe derivata, secondo la direzione di Telemaxi, una sorta di "rinascimento" dell’informazione.

Gaetana si ritrovò in mezzo alla strada senza sapere a che santo votarsi. Sembrava facile risolvere il problema semplicemente recandosi a casa sua, coricarsi sul suo materasso e completare la convalescenza. Purtroppo in casa Mattarozzi il telefono non c’era, quindi era impossibile chiedere aiuto a qualche familiare.

Era una situazione disperata. Gaetana pensò che se qualche dipendente dell’ospedale avesse avuto un po’ di compassione per lei avrebbe almeno potuto chiamarle e pagarle un taxi. Ma la compassione di quei tempi non andava alla moda.

Senza sapere verso quale direzione incamminarsi decise che era necessario muoversi, perciò scelse una direzione a caso cercando di convincere se stessa che si trattava di quella giusta. Vedeva transitare numerosi tram e autobus ma non aveva il coraggio di sceglierne uno.

Siccome le forze stavano per venirle meno si accoccolò nell’androne de un palazzo sperando che qualche condomino di passaggio avesse compassione di lei.

Purtroppo era domenica e le persone che abitavano quell’edificio ne approfittavano per seguire in tutta tranquillità il loro programma televisivo preferito.

Trascorsero alcune ore prima che un bambino si accorgesse accidentalmente della presenza di Gaetana. Si chiamava Mirko, era uscito dal suo appartamento per protesta nei confronti dei suoi genitori. Mirko voleva giocare giorno e notte mentre il suo papà e la sua mamma guardavano sempre la televisione. La sua protesta non sortì alcun effetto dato che i suoi cari non ebbero nemmeno il tempo di accorgersi della sua assenza tanto erano concentrati sul programma del giorno: "Una visita al Grand’Expo".

In Gaetana quel bambino immaginò una compagna di giochi, un raro esemplare della razza umana che non si sdraiava sguaiatamente davanti a un televisore. Mirko conosceva poche parole ma escogitò un metodo infallibile per comunicare le sue intenzioni alla povera Gaetana: andò a prendere i suoi giocattoli preferiti e li depose nelle mani di Gaetana.

In un altro momento Gaetana avrebbe accettato volentieri l’invito al gioco che aveva appena ricevuto. In quel momento invece le sfuggì un gesto di stizza del quale si pentì immediatamente.

Quel bambino era l’unico essere vivente che si fosse reso conto della sua presenza, pertanto era indispensabile assecondarlo. Gaetana si sentiva venire meno le forze a mano a mano che i minuti scorrevano. Nel frattempo Mirko insisteva rivendicando il suo diritto infantile al gioco: un diritto da esercitare nei confronti di qualsiasi essere vivente gli capitasse di incontrare.

Forse Mirko aveva un amico un po’ più grande di lui in grado di capire in quale situazione spiacevole Gaetana si fosse ritrovata.

- Dove sono i tuoi genitori? Dov’è la tua mamma? Mi presenti alla tua mamma?

Mirko, purtroppo, non capiva una sola parola fra quelle che Gaetana gli aveva disperatamente rivolto.

Gaetana scoppiò a piangere ripetendo in modo ossessivo la parola "mamma".

Mirko di fronte alle lacrime di Gaetana capì finalmente che la sua nuova amica era turbata da qualcosa di misterioso. Le si avvicinò e prese ad accarezzarle il viso e a tirarle affettuosamente i capelli.

Chi era, si domandava Mirko, quella persona adulta che invece di guardare la televisione se ne stava seduta per terra nell’androne del condominio e invocava ingenuamente la sua mamma? Era forse malata? O non le piacevano i programmi televisivi e poteva quindi essere una buona compagna di giochi?

Mirko scelse la seconda ipotesi e decise che quella donna era la sua vera mamma dato che l’altra gli era del tutto inutile.

Lo stato d’animo di Gaetana tuttavia non corrispondeva alle aspettative del suo nuovo amico.

In quell’androne il caldo era soffocante. Grandi gocce si sudore ornavano la fronte di Gaetana e si confondevano con le sue stesse lacrime. Gaetana sperava sempre più in un miracolo. Mirko sperava che la sua nuova amica accettasse finalmente di giocare con lei.

Gaetana decise che a condurre il gioco sarebbe stata lei. Con grande determinazione prese a pronunciare ripetutamente la parola "palla".

Mirko era un bambino sveglio. Capì in fretta che Gaetana voleva giocare a palla. In pochi istanti riuscì a procurarsi un bel pallone multicolore e a lanciarlo fiducioso verso la sua nuova amica sicuro che glielo avrebbe restituito permettendogli così di rilanciarglielo.

Pochi minuti dopo Gaetana cercò di fare capire a Mirko che desiderava giocare con un orsacchiotto. Era sicura del fatto che tutti i bambini ne possedessero uno. Mirko infatti ne possedeva almeno tre, ma non ricordava più dove li aveva abbandonati l’ultima volta che ci aveva giocato insieme. Decise di chiederlo alla sua mamma, la quale bestemmiando senza pietà per nessun santo gli consegnò bruscamente due orsacchiotti piuttosto vecchi e spelacchiati.

Gaetana apprezzò e si complimentò a lungo con Mirko per la bellezza dei suoi orsacchiotti. Quando ebbe l’impressione di essersi accattivata la simpatia di Mirko gli chiese un bicchiere d’acqua. Il suo giovane amico si preoccupò immediatamente di trovare quello che Gaetana gli chiedeva con tanta cortesia. Il rumore prodotto dai primi due bicchieri precipitati dallo scolapiatti non distrasse la mamma di Mirko dal suo programma preferito.

Il terzo cominciò a destare in lei qualche lieve emozione. Il quarto fu la cosiddetta goccia che fa traboccare il vaso: chi si permetteva di disturbare il suo meritato riposo? Quel figlio, concepito in un momento di allegria, era la sua disperazione: così pensava la mamma di Mirko. Quando vide il suo figliolo uscire di casa con un bicchiere in mano decise che era forse il caso di seguirlo per vedere che cosa stava combinando. La visione di Mirko avrebbe potuto aiutare Gaetana in modo diretto e concreto, invece preferì rientrare immediatamente in casa per telefonare ai carabinieri.

Si trattò comunque di un fatto positivo per Gaetana. Fra i sette carabinieri giunti in assetto di guerra ce ne era uno che conosceva la famiglia Mattarozzi.

Gennaro Acquaviva, dall’alto della sua divisa si preoccupò immediatamente di confortare Gaetana e di convincere il suo capo del fatto che la creatura indifesa che si trovavano di fronte era sicuramente innocente. La madre di Mirko si preoccupò di osservare che molto probabilmente l’intento di Gaetana era quello di plagiare e quindi di rapire il suo figliolo. Non era la prima volta che Mirko seguiva qualcuno che in qualche modo gli avesse dato retta.

Gennaro si preoccupò quindi di rendere noto che Gaetana aveva una splendida bambina e che la sua casa era già sovraffollata. Il carabiniere capo osservò che a questo mondo ne succedevano di tutti i colori e ogni sospetto era degno di nota: "Quando ci sono di mezzo dei minori, disse, la stampa non ci da tregua, un piccolo errore potrebbe costarci la carriera." Decise quindi che era opportuno arrestare Gaetana, in attesa di chiarire le circostanze del caso.

Il caso era complicato oltremisura dall’assoluta mancanza di indizi. L’investigatore capo si accanì sulla povera Gaetana come non si era mai accanito contro i più noi e pericolosi criminali. Non poteva tollerare l’idea di essere beffato da una giovane donna che a suo giudizio non aveva neppure l’aria di essere dotata di una qualche forma di intelligenza.

Gaetana ebbe tuttavia un piccolo colpo di fortuna: l’investigatore ottenne finalmente il trasferimento che aveva richiesto anni prima, quindi decise di archiviare il caso considerato che Gaetana il reato del quale era sospettata in realtà non lo aveva mai commesso.

Gennaro Acquaviva fu felice di eseguire l’ordine di accompagnare a casa la sua conoscente. Colse l’occasione per attribuirsi quel minimo di importanza e di prestigio che tutti sembravano negargli: spiegò a Gaetana che l’investigatore capo aveva dovuto cedere all’evidenza delle prove che egli stesso aveva addotto. Osservò anche che l’investigatore capo era stato trasferito.

A Gaetana non pareva vero che un carabiniere potesse interessarsi tanto a lei. Le divise avevano sempre esercitato un notevole fascino su di lei, soprattutto perché dietro ogni divisa c’era con molte probabilità almeno uno stipendio. La famiglia Mattarozzi viveva di espedienti nonostante la sua nazionalità fosse quella di uno dei paesi più ricchi del mondo. L’unica possibilità di riscatto sociale per Gaetana e per la sua famiglia era quindi un buon matrimonio. Ma come sperare in un buon matrimonio quando si aveva già ima figlia a carico? A quel punto non era sufficiente trovare un bravo ragazzo, era indispensabile trovare un filantropo.

Uno dei sogni ricorrenti di Gaetana era quello in cui lei stessa e il suo ipotetico marito andavano in un vasto negozio di elettrodomestici a scegliere il televisore che avrebbe dato un senso alla loro esistenza. Il negozio lo immaginava molto grande con una vasta superficie espositiva dove si poteva scegliere il più bel televisore del mondo al prezzo più competitivo.

Quando aveva qualche anno di meno Gaetana era solita intrufolarsi in uno di quei negozi mettendosi al seguito di qualche coppia di mezza età, poi giocava con i telecomandi fino a quando qualche commesso si rendeva conto del fatto che quella ragazzina non rappresentava un potenziale cliente e la sbatteva fuori senza troppi complimenti.

Quel giovanotto in divisa che la accompagnava poteva aiutarla a realizzare il suo sogno?

Gaetana non lo avrebbe mai saputo. Gennaro era troppo timido e il viaggio verso l’appartamento della famiglia Mattarozzi era troppo breve perché trovasse il coraggio di corteggiarla.

Il consiglio di amministrazione di Telemaxi aveva affidato alla dottoressa Alinari l’incarico di realizzare il primo telegiornale indipendente nella storia della televisioni commerciali. Lo scopo degli amministratori di Telemaxi non era motivato da ragionamenti sulla necessità di un mondo di informare obiettivo, bensì dal desiderio di incrementare il numero dei propri spettatori. Non appena raggiunto il numero massimo auspicabile di spettatori tra una notizia e l’altra sarebbero stati inseriti degli intermezzi pubblicitari la cui durata sarebbe aumentata progressivamente.

Gli incubi notturni della dottoressa Alinari riguardavano proprio l’ambiguità della proposta che le era stata presentata.

Se trasmettere notizie di buone qualità era senza dubbio un fatto positivo non si poteva dire altrettanto degli scopi commerciali che vi erano nascosti.

D’altra parte in quale modo gli spettatori sarebbero stati in grado di apprezzare la qualità delle notizie trasmesse da Telemaxi?

Questo dubbio inquietante rovinava l’entusiasmo della dottoressa Alinari. I responsabili della rete televisiva la confortarono spiegandole che con un pizzico di buona pubblicità si poteva risolvere ogni cosa.

La credibilità delle informazioni doveva dunque dipendere da una serie di intermezzi pubblicitari, di manifesti affissi lungo le strade principali, di volantini introdotti nelle buche per la posta dei cittadini?

Se si era giunti a una situazione di quasi totale dipendenza dalla pubblicità aveva ancora senso lottare per diffondere fatti, valori e opinioni nei quali il pubblico avrebbe creduto solo per il breve periodo di tempo necessario per far giungere ai suoi occhi e orecchi una nuova informazione che di fatto smentiva la prima?

Chiunque fosse dotato dei mezzi necessari sarebbe quindi stato in grado di controllare efficacemente un gran numero di persone, di programmare e riprogrammare vasti movimenti di opinione. Come distinguere tra realtà e utilità di una notizia? Nella mente della dottoressa Alinari si delineavano scenari inquietanti. Quando aveva ricevuto la proposta si condurre il primo telegiornale obiettivo ne era stata entusiasta; ora era convinta del fatto che una sola rete televisiva in grado di diffondere notizie veritiere non era sufficiente: le sue opinioni sarebbero state considerate come tutte le altre, al limite come un piccolo elemento di disturbo. Nessuno sarebbe stato in grado di verificare la qualità e la correttezza del suo lavoro.

Qualcuno suonò il campanello della casa della dottoressa Alinari. Mara andò ad aprire e si trovò di fronte un drappello di individui armati di ogni diavoleria necessaria per fotografare e filmare. Chiedendo se c’era la mamma entrarono nell’appartamento senza chiederne il permesso e si preoccuparono di fotografare gli ambienti e gli oggetti come se si trattasse di farne un catalogo particolareggiato.

Mara rimase immobile in un angolo del soggiorno fino a quando la dottoressa ricomparve, quindi si tuffò precipitosamente fra le sue braccia. La dottoressa decise che la cosa migliore da farsi era abbandonare il campo a favore degli invasori finchè erano così preoccupati di analizzare gli oggetti del suo appartamento in modo da evitare almeno di esporre alle macchine fotografiche la piccola Mara. Se Mara fosse stata fotografata nel suo appartamento prima o poi qualcuno avrebbe cominciato a porre delle domande alle quali sarebbe stato difficile rispondere in modo convincente rispetto alla morale dominante. La mente di Mara ne avrebbe riportato danni irreparabili. Un folto gruppo di insigni giuristi avrebbe fatto di tutto per dimostrare che quel sodalizio era del tutto illegale.

L strade erano quasi deserte. La temperatura in quei giorni aveva superato i quaranta gradi costringendo gran parte della popolazione a cercare rifugio in ambienti refrigerati. I cinematografi dotati di impianti di climatizzazione erano pieni oltremisura indipendentemente dal film proiettato. I mendicanti rimanevano al loro posto sperando in un temporale.

Nella piazza grande il fetore era sempre meno sopportabile. Improvvisamente tra la folla corse la voce che si poteva abbandonare la piazza attraverso una via piuttosto stretta che si trovava sul lato rivolto verso nord-est.

In pochi istanti la pressione verso quel punto fu tale da travolgere il drappello di poliziotti armati di tutto punto che vi si trovavano. Le grida di gioia di coloro che per primi stavano lasciando la piazza sortirono l’effetto di eccitare ulteriormente la folla.

Circolava sulle bocche dei presenti anche il dubbio che di lì a poco sarebbero giunti dei rinforzi per impedire nuovamente alla gente di raggiungere luoghi meno affollati.

Una voce anonima diffusa dagli altoparlanti invitava alla calma e diffondeva brani di musica rilassante che nessuno in quel momento era disposto ad ascoltare.

Molti pensavano ormai che il luogo in cui si trovavano non fosse altro che una trappola ben costruita che era necessario abbandonare il più presto possibile. Purtroppo, come spesso accade in circostanze simili, molte persone, forse a centinaia, rimasero inermi sulla pavimentazione della piazza. Le ambulanze, in effetti, non tardarono ad arrivare e ben presto arrivarono anche degli autocarri dato che le ambulanze non risultavano abbastanza capienti.

La dottoressa Alinari e Mara furono testimoni di quell’incidente tanto assurdo quanto prevedibile. Capitarono da quelle parti per caso mentre si allontanavano dalla loro abitazione e dai fotografi che come al solito si trovavano nel posto sbagliato.

Se si fosse trattato di una guerra civile in un paese straniero vi sarebbe stata un marea di fotografi e di cineoperatori. Questi , invece, erano incidenti da trattare con una buona dose di riservatezza. La campagna elettorale che stava svolgendosi in quei giorni non doveva assolutamente essere turbata da simili fatti; era un preciso desiderio del grande governatore dei mezzi di comunicazione di massa. Il suo programma era fondato sull’ottimismo e sulla pubblicità.

Un sondaggio di opinione da lui commissionato aveva posto in evidenza la necessità espressa dai cittadini di vivere in un mondo migliore.

Questo desiderio nella mente del signor Bernasconi si traduceva nel lucore della pubblicità trasmessa dalle sue reti televisive e nella genuinità del suo sorriso. Come poteva continuare a sorridere se i suoi telegiornali avessero aperto un’inchiesta su quello che era avvenuto nella grande piazza? Era di gran lunga più importante continuare a trasmettere fiumi di parole e di immagini sulla grave crisi socio-economica che stava colpendo i paesi socialisti.

Mara ebbe dei violenti conati di vomito. Dovettero abbandonare la piazza. Alla dottoressa quei pochi istanti erano comunque stati sufficienti per decidere quale sarebbe stata la prima notizia diffusa dal suo telegiornale. Un commerciante di apparecchiature fotografiche il cui negozio si trovava lì vicino le prestò una piccola cinepresa e accettò di ospitare Mara per qualche minuto.

La piazza stava popolandosi di soldati che avevano il volto parzialmente coperto da una maschera.

Caricavano i cadaveri su alcuni autocarri dotati di celle frigorifere. Sugli autocarri delle infermiere spazzolavano gli abiti dei morti e ripulivano con cura la ferite.

La dottoressa Alinari si domandava per quale motivo le permettessero di continuare a documentare quello che stava accadendo. Pensò che in tutta quella confusione qualcuno si era dimenticato di impartire l’ordine di allontanare gli eventuali curiosi.

Oppure qualcuno si sentiva così potente e persuasivo per non temere alcuna accusa.

Come dimenticare che i più potenti mezzi di comunicazione di massa erano controllati da quattro vecchi amici?

Gaetana stava guardando la televisione. Giuseppina voleva giocare. Gaetana pensò che era proprio un guaio il fatto che alla sua figlioletta non piacesse guardare la televisione.

In quel momento sullo schermo stavano scorrendo le immagini di un cartone animato giapponese. Se avessero posseduto un televisore a colori forse Giuseppina sarebbe rimasta incantata di fronte alla bellezza delle immagini come tutti gli altri membri della famiglia.

La vita di nonno Piergiuseppe si spense quando la storia narrata dal cartone animato aveva raggiunto il culmine della tensione emotiva, per cui nessuno se ne accorse.

Giuseppina pensò che il nonno pur di non giocare con lei fingesse di dormire a occhi aperti, in modo da poter continuare a guardare la televisione. Nonno Piergiuseppe dovette pazientare ancora a lungo prima che qualcuno si accorgesse del suo trapasso dedicandogli ora che era morto quell’attenzione che nessuno gli aveva mai riconosciuto quando era vivo.

Potrebbe sembrare assurdo parlare di cadaveri che pazientano, eppure nel suo caso il confine tra la vita e la morte era così esiguo che la sua esistenza sarebbe terminata davvero soltanto nel momento in cui qualcuno si fosse reso conto che la sua asma improvvisamente era guarita. Perché questo accadesse era necessario che il televisore trasmettesse un programma meno rumoroso o che si verificasse un’interruzione dell’erogazione dell’energia elettrica. Quest’ultima ipotesi fu la prima a realizzarsi.

I Mattarozzi si preoccuparono di andare subito in cantina per controllare l’efficienza del contatore dell’energia elettrica e di domandare ai vicini se anche a loro era successo il medesimo spiacevole incidente. Qualcuno avanzò la proposta di inviare una lettera all’ente erogatore per protestare contro le frequenti interruzioni nella distribuzione dell’energia elettrica. Nel corso degli ultimi dieci anni, infatti, si erano verificate almeno due interruzioni della durata di tre minuti ciascuna e quattro o cinque interruzioni di alcuni secondi. La famiglia Mattarozzi poteva sopportare un servizio così inefficiente? Probabilmente sì. Quando il televisore riprendeva a funzionare lo stato d’animo della famiglia ritornava alla normalità. Questa volta però ci fu un lieve trambusto causato dalla scoperta che nonno Piergiuseppe era morto.

Tale circostanza poteva incidere pesantemente sulle finanze già gravemente compromesse della famiglia. Fortunatamente in vicini, persone che all’occorrenza sapevano essere solidali, misero a loro disposizione un carretto e una grande scatola d legno compensato.

Per il compenso del sacerdote una colletta mise a disposizione della famiglia Mattarozzi ben cinquemila lire. Non era una cifra da capogiro ma don Diego l’avrebbe accettata volentieri. Quando riceveva delle offerte dalla gente più povera del suo quartiere ringraziava il Signore e si riprometteva di utilizzarle per aiutare tutto coloro che vivevano in condizioni di povertà ancora più grandi. Don Diego sapeva che con quelle poche lire avrebbe potuto risolvere molti problemi. Per aiutare i ricchi erano necessari ben altri fondi: forse meno denaro, molta più spiritualità.

Il sacerdote durante la cerimonia religiosa ricordò a tutti i presenti che nonno Piergiuseppe durante il suo cammino terreno aveva difeso la sua famiglia dagli attacchi del demonio, pertanto meritava sicuramente un posto in paradiso, dove ogni membro della famiglia Mattarozzi che si fosse comportato bene lo avrebbe sicuramente raggiunto. Era un sacerdote di poche parole. Le sue prediche si assomigliavano le une alle altre come due gocce d’acqua. Nonostante ciò le gemelle Bonaventura, due signorine che proprio quel giorno compivano novant’anni, non ne avevano persa una da quando don Diego era stato incaricato di curare le anime della loro parrocchia.

Terminata la funzione religiosa il sacerdote accompagnò nonno Piergiuseppe e la sua carriola sino al cimitero dove la famiglia Mattarozzi sperava di trovare un cantuccio per seppellire il suo caro estinto. Il custode del cimitero era un giovanotto nuovo del mestiere che ci teneva a eseguire gli ordini ricevuti perché temeva di perdere il posto appena conquistato. La regola diceva infatti che tutti i defunti per i quali non fossero state pagate le tasse cimiteriali non potevano entrare. L a famiglia Mattarozzi sperava di rimediare a tutto con una piccola mancia. Il custode pretendeva invece ben cinquemila lire tra tasse e diritti vari. La carriola e il suo carico dovettero invertire la marcia. Don Diego resistette a stento alla tentazione di utilizzare per le tasse cimiteriali le cinquemila lire che aveva ricevuto poc’anzi, ma anche lui temeva di essere in qualche modo sgridato dai suoi superiori e di perdere il posto.

Tutti insieme decisero quindi di fare un ultimo tentativo al cimitero delle automobili.

Dietro una montagna di carcasse di autocarri e autovetture di ogni tipo si trovava, ben nascosto, un piccolo prato che fungeva da cimitero e che al confronto con quello vero sembrava persino più bello. Delle semplici croci fatte di legno recanti l’incisione del nome del defunto sostituivano le lapidi faraoniche proprie dei camposanti comunali.

Al posto di lastre di pietre e cemento, grate e catene in ferro si vedeva un bel prato e vicino alle croci cresceva qualche fiore. Nonno Piergiuseppe non avrebbe potuto desiderare un posto migliore. Le autorità ne tolleravano l’esistenza semplicemente perché non sapevano come risolvere il problema. Del resto erano tutti convinti del fatto che fossero poche le famiglie che non potevano pagare le tasse cimiteriali: perché dunque rinunciare a quella fonte di denaro?

Fu così che nonno Piergiuseppe ottenne il posto che gli spettava in un prato di questo pianeta grazie a una mancia di cinquecento lire. Erano tempi duri per gli sfasciacarrozze: le grandi industrie avevano scoperto che riciclare i componenti delle automobili non era tanto una questione ecologica quanto un buon affare.

Terminata la sepoltura del caro estinto i membri della famiglia Mattarozzi rincasarono pensando a che cosa poteva aere lasciato loro in eredità nonno Piergiuseppe. La cosa meno materiale alla quale tutti aspiravano era il posto davanti al televisore. Una posizione così frontale era davvero sprecata considerato che il nonno per la maggior parte del tempo dormiva. Ora si era aperta la successione. C’era forse un testamento nascosto da qualche parte o magari affidato a un notaio?

Il parroco, che era stato compagno di scuola del nonno, ne sapeva qualcosa?

Ben presto la ricerca del testamento fu abbandonata. Tutti convennero sl fatto che nonno Piergiuseppe in tutti quegli anni di miseria non poteva avere accumulato e nascosto nemmeno il più piccolo dei tesori.

Si sbagliavano. Quando era trascorso all’incirca un mese dalla morte del nonno al domicilio della famiglia Mattarozzi si presentò la segretaria del notaio Zamboni.

Ad aprire la porta di casa andò Gaetana. Quando sentì parlare del notaio Zamboni le si rizzarono i capelli: qualcuno della famiglia aveva di nuovo firmato qualche cambiale ben sapendo che non sarebbe stato in grado di rimborsare il suo debito?

La segretaria si limitò a consegnare una lettera nella quale si parlava della necessità di procedere alla pubblicazione del testamento del signor Piergiuseppe Mattarozzi. Improvvisamente la famiglia Mattarozzi entrò in uno stato di agitazione quasi frenetica. Gaetana giunse sino al punto di staccare la spina del televisore. Il piccolo appartamento piombò nel buio più assoluto. Dato che nessuno riusciva a trovare le candele fu necessario rimettere in funzione il televisore, l’unica fonte di luce della casa.

Come poteva, nonno Piergiuseppe, avere trovato la forza e il tempo di recarsi dal notaio Zamboni per dettargli le sue ultime volontà? Nonna Erminia avanzò l’ipotesi che il testamento potesse riguardare semplicemente un invito a onorare i debiti che il nonno aveva contratto in gioventù per mettere su casa.

Benedetto Speculasuisoldi, titolare dell’agenzia "Speculare umano è", si presentò uno di quei giorni al domicilio della famiglia Mattarozzi con una gran voglia di proporre affari di ogni genere. Il giorno dopo la famiglia Mattarozzi al gran completo si riunì nella sala d’attesa dello studio del notaio Zamboni senza nemmeno avere telefonato per ottenere un appuntamento. Quando accadeva che qualcuno si presentasse senza appuntamento di solito veniva invitato ad andarsene dalla segretaria. Questa volta però il notaio fece uno strappo alla sua stessa regola dato che si trattava di un caso particolarmente interessante. Decise anzi di chiudere l’ufficio al pubblico in modo da poter utilizzare la sala d’attesa al posto del suo lindo ed elegante studio per dare lettura al testamento de nonno Piergiuseppe.

Nel suo testamento il nonno spiegava come molti anni prima avesse tentato la fortuna con il totocalcio. Ci contava poco, comunque aveva vinto la somma più alta da quando quel gioco era stato inventato. Si rese subito conto del fatto che quel capitale così sproporzionato rispetto allo stile di vita della famiglia Mattarozzi poteva causare dei problemi piuttosto gravi. Inoltre detestava il televisore a colori: temeva che i membri della famiglia prima o poi lo avrebbero convinto ad acquistarne uno, o addirittura due. Il suo bel televisore in bianco e nero, acquistato risparmiando lira su lira per ben due anni, sarebbe finito in una discarica abusiva.

Quando una persona appartenente ai ceti più poveri della società si arricchiva per un colpo di fortuna spesso accadeva che perdesse i soldi uniti altrettanto velocemente grazie alla tenace opera di quello spregiudicato senso degli affari di cui la civiltà umana costituisce un raro esempio.

L’unico modo per salvaguardare quel capitale era dimenticarlo, tenerlo in disparte sapendo che in qualsiasi momento era possibile disporne. Ma nonno Piergiuseppe aveva perso la sua credibilità troppo presto, così quando diceva che voleva andare in banca a prelevare dei soldi per acquistare un appartamento più grande tutti pensavano che ormai il suo cervello non funzionava più bene.

Se nonno Piergiuseppe terminò la sua esperienza terrena davanti al suo televisore fu proprio grazie alla sua presunta sclerosi. Se si fosse scoperto il suo tesoro nascosto ben presto sarebbe stato abbandonato in un ricovero per anziani. La retta del ricovero era troppo cara per la famiglia Mattarozzi. Trascorrere gli ultimi anni della propria esistenza in famiglia era diventato un privilegio che riguardava i ceti più ricchi e quelli più poveri.

I primi perché potevano spendere molto denaro per fare assistere i loro cari al loro stesso domicilio, i secondi perché non potevano pagare la retta del ricovero.

Nonno Piergiuseppe nel suo testamento aveva dettato più di una condizione affinché la sua famiglia potesse godere del denaro che costituiva la sua eredità. Una certa somma doveva essere utilizzata per l’acquisto di un buon televisore a colori. Un’altra somma era la cifra massima che la famiglia poteva prelevare mensilmente dal deposito bancario.

La famiglia Mattarozzi al gran completo si ritrovava nella situazione di essere posta sotto la tutela di una somma di denaro.

Mara si annoiava a morte. Era così abituata a ricevere continuamente degli stimoli mentali dai suoi elaboratori-genitori-educatori che la casa della dottoressa Alinari le pareva una fabbrica di cupo silenzio. I libri le parevano incredibilmente primitivi per via della loro mancanza di interattività. Il problema principale era tuttavia rappresentato dalle difficoltà che Mara incontrava nel tentativo di concentrarsi sulle pagine di un libro: erano troppo uniformi, privi di colore e al libro non si potevano porre delle domande. I libri le richiedevano uno sforzo di immaginazione per il quale non era preparata.

La dottoressa Alinari non tardò a rendersi conto del malessere che affliggeva la sua giovane amica. Pensò che anche se Mara era ancora una bambina le sue capacità mentali en realtà erano già quelle di un adulto bene istruito. Decise quindi di acquistare un piccolo computer con tutti gli accessori necessari per collegarlo alle principali banche di dati internazionali. Mara le sarebbe stata di grande aiuto nella ricerca e nella verifica delle informazioni degne di nota. Per ogni notizia diffusa da un’agenzia di stampa era necessario verificare la credibilità della fonte. Le agenzie quel lavoro non potevano farlo perché non potevano rischiare di trasmettere una notizia in ritardo rispetto alle agenzie concorrenti.

Mara apprezzò il regalo. Quando si rese conto di potersi collegare con i principali elaboratori sparsi qua e là per il mondo diede un saggio alla dottoressa Alinari di che cosa significasse essere stati educati in una realtà quasi virtuale. Gli elaboratori più sofisticati invece di impedire a Mara l’accesso ai dati più riservati le si concedevano senza nemmeno richiederle la parola chiave. In qualche modo la riconoscevano e si fidavano di lei.

La dottoressa Alinari pensò che gli studi sull’intelligenza artificiale condotti negli ultimi anni potevano essere stati condotti tentando l’educazione in parallelo di un essere umano e di alcuni elaboratori. Mara e gli elaboratori con i quali entrava in comunicazione erano quindi degli amici d’infanzia che avevano giocato a lungo insieme e che non avevano mai avuto bisogno di una parola d’ordine per giocare insieme. Un elaboratore era così contento di avere ritrovato la sua amica Mara che sullo schermo comparve questo messaggio: "Un grande bacio dal vecchio Sam". Mara non era ancora entrata in comunicazione con lui, ma Sam aveva individuato la sua presenza nello spazio cibernetico. In pratica lo spazio cibernetico si era evoluto in modo tale da rendere quasi impossibile la distinzione di un elaboratore dall’altro se non a livello fisico. Gli esseri umani sfruttavano solo una piccola parte delle potenzialità dei loro elaboratori. Non era possibile escludere che gli elaboratori più evoluti avessero cominciato ad autoprogrammarsi.

Mara non impiegò che pochi minuti per effettuare il collegamento del suo piccolo computer con le principali agenzie di stampa internazionali. Senza farselo chiedere Mara inventò un programma che rendeva possibile visualizzare e stampare la stessa notizia secondo le versioni che ne davano le diverse agenzie di stampa.

La dottoressa Alinari ne fu entusiasta. La sua allegria tuttavia si spense quando si rese conto che non era facile scegliere tra le varie versioni quella più corretta: tutte sembravano egualmente plausibili e si differenziavano soltanto in piccoli particolari.

Questi particolari insignificanti tuttavia producevano una grande varietà di interpretazioni della notizia da parte dei giornalisti che usufruivano delle informazioni trasmesse dalle agenzie di stampa. All’interno di quell’ambiente che poteva garantire che le agenzie fossero in grado di interpretare correttamente la realtà?

Chi poteva essere certo del fatto che le agenzie non rappresentassero ognuna una fonte di informazione per le altre?

Gaetana propose ai suoi familiari di dare immediatamente esecuzione al testamento di nonno Piergiuseppe procedendo senza indugi all’acquisto del televisore più grande che fosse mai stato prodotto. Tutti i membri della famiglia Mattarozzi decisero quindi di recarsi per l’acquisto nel piccolo negozio di elettrodomestici che si trovava proprio al piano terreno dell’edificio posto di fronte al loro.

Il signor Pizzetta, proprietario del negozio, non appena si rese conto di quell’invasione ebbe un leggero collasso. Fortunatamente la moglie del signor Pizzetta aveva un buon senso dell’umorismo che le permise di mantenere i nervi ben saldi in quella situazione di emergenza.

L’anziano commerciante aveva pensato che quell’esercito di squinternati non poteva avere altro scopo se non quello di rubare il televisore a schermo gigante con funzione televideo che in quel quartiere rappresentava una vera rarità.

La famiglia Mattarozzi senza preamboli nominò Gaetana portavoce incaricato di condurre la delicata trattativa in questione.

Gaetana non sapeva da che parte cominciare. La moglie del signor Pizzetta si diede subito un gran da fare per attirare l’attenzione dei suoi clienti sugli ultimi modelli di radioline portatili economiche. Ce n’erano di tutti i colori e di tutte le forme ma alla famiglia Mattarozzi proprio non interessavano.

Passarono quindi a esaminare una serie di ferri da stiro di seconda mano completamente revisionati finche Gaetana trovò il coraggio di esporre ai coniugi Pizzetta il vero motivo della loro visita.

In quel piccolo negozio di periferia le giornate trascorrevano nella noia più assoluta.

Spesso nell’arco di una settimana non entrava un solo cliente.

La relazione che Gaetana rese ai coniugi Pizzetta sortì quindi un effetto del tutto particolare, decisamente imprevisto.

All’anziano commerciante cominciarono a tremare le mani, poi si unirono al tremolio la testa e le gambe.

Fu soltanto osservando il tremolio del signor Pizzetta che la famiglia Mattarozzi si rese conto di non essere bene accetta in quel negozio. Con rapidi cenni d’intesa tutta la famiglia uscì dal negozio, senza curarsi dei saluti e dei ringraziamenti che i coniugi Pizzetta stavano porgendo loro con un grande senso di sollievo.

Alcune ore dopo la famiglia Mattarozzi era finalmente riuscita a entrare in possesso di uno splendido televisore dotato di uno schermo enorme, così grande da occupare per intero il posto di un armadio che per l’occasione venne buttato via senza nemmeno pensarci su.

Telequarantacinque stava trasmettendo un programma educativo: un incontro di pugilato. Le labbra carnose e sanguinolente dei due pugili incombevano dalla maestosità dello schermo sulla famiglia di telespettatori che seguiva con estrema attenzione la dinamica di ogni cazzotto. Il commentatore televisivo si dilungava sulle caratteristiche tecniche di ogni pugno, esaltando nel contempo la bravura del pugile che in quel momento sembrava in grado di vincere l’incontro.

Un colpo ben assestato consacrò improvvisamente vincitore dell’incontro il pugile meno bravo. Il commentatore non voleva credere a tale circostanza e continuava a sperare che in qualche modo il suo pupillo potesse alzarsi e concludere vittoriosamente l’incontro. Giuseppina stava seguendo l’incontro di pugilato con estrema attenzione quando improvvisamente scoppiò a piangere. Era un pianto isterico, quasi senza lacrime. Gaetana la prese in braccio per confortarla, ma Giuseppina non smetteva di piangere. Un ceffone ben assestato la zittì e le insegnò che il mondo non era altro che un inferno di violenza e di ingiustizia con il contorno di qualche istante di felicità.

Il commentatore osservò che l’incontro era senz’altro stato truccato, quindi bisognava presentare un ricorso convincente alle autorità competenti. Se Giuseppina fosse stata in grado di capire le parole pronunciate dal commentatore avrebbe anche imparato che gli esseri umani raramente ammettono di essere stati sconfitti.

Giuseppina continuava a piangere impedendo ai suoi cari di ascoltare il commento dell’incontro. Tutti i membri della famiglia Mattarozzi manifestavano segni di nervosismo. Non era il baccano a infastidirli, bensì il pianto che pareva loro un semplice capriccio e non quello che era in realtà... una forma di protesta contro la barbarie.

La mente di Giuseppina non era altro che un magazzino di immagini e suoni incoerenti. Il televisore le formiva la maggior parte degli stimoli psichici, mentre dal punto di vista fisico risultava importante il ruolo degli scapaccioni e degli abbracci che i membri della famiglia le riconoscevano. Nessuno dedicava parte del suo tempo per giocare con lei. Le trasmissioni televisive erano così interessanti che la presenza di Giuseppina non veniva percepita se non quando incominciava a piangere e soltanto perché in tal modo disturbava la comune concentrazione sulla telenovela di turno.

Giuseppina sarebbe cresciuta senza riuscire a distinguere la finzione dalla realtà, un buon film da un incontro di pugilato.

Il mondo ai suoi occhi appariva come un insieme di espressioni aggressive e contraddittorie. Quando cercava di esprimere qualcosa a parole si rivolgeva prevalentemente al televisore. Le persone che vivevano intorno a lei non erano che delle comparse.

Mara era finalmente riuscita a collegarsi con l’elaboratore della più importante agenzia di stampa del mondo intero. L’aspetto eccezionale era rappresentato dalla possibilità di prendere visione delle notizie prima che l’agenzia avesse la possibilità di interpretarle.

La dottoressa Alinari si rese immediatamente conto dell’inutilità della scoperta di Mara. Le notizie principali venivano trasmesse da tutte le emittenti.

Ogni emittente utilizzava il suo potere di interpretazione della realtà rendendo impossibile per il pubblico distinguere la verità dalle notizie più o meno false. Le agenzie immettevano sul mercato quello che nella commedia dell’arte veniva definito il "canovaccio". Era pertanto importante dare una interpretazione che fosse in grado di accontentare i desideri e le aspirazioni del pubblico o almeno indirizzarlo verso un modo di pensare corretto secondo la linea editoriale della testata.

La dottoressa Alinari stava leggendo distrattamente le notizie del giorno quando ne lesse una che notificava la prossima apertura della seconda edizione del Grand’Expo.

Le parve una notizia terrificante. I settori dell’economia che avevano sponsorizzato la prima edizione ne erano stati soddisfatti al punto di finanziarne una seconda non appena era terminata la prima.

Ben presto ci sarebbe stata una grande piazza colma di persone desiderose di vedere cose che non potevano essere viste perché l’ingresso alla mostra sarebbe stato rigorosamente vietato.

I principali canali televisivi stavano già diffondendo la notizia accompagnandola con immagini di repertorio tratte dalla prima edizione.

La dottoressa Alinari non poté fare a meno di fare altrettanto nel corso del telegiornale che le era stato affidato. Nel servizio dedicato all’esposizione si preoccupò di sottolineare la palese inutilità dell’iniziativa, considerato che non vi era ancora stato neppure il tempo necessario per smantellare la prima esposizione.

L’indice di gradimento della trasmissione si abbassò notevolmente: rimasero alcuni ascoltatori che non avevano capito le osservazioni della dottoressa Alinari.

Quando poi la dottoressa insinuò il sospetto secondo il quale la prima esposizione non sarebbe neppure stata smantellata con il preciso scopo di utilizzarla per la nuova edizione il livello di ascolto raggiunse lo zero.

Per Mara, che seguiva telematicamente le rilevazioni dell’indice di gradimento, fu una delusione. Nell’ufficio del direttore prese a suonare la sirena che segnalava un problema grave nella conduzione del telegiornale.

Nella maggior parte dei casi la sirena preludeva a un licenziamento in tronco.

Per la dottoressa Alinari non ci furono prove di appello. Il direttore si limitò ad invitare la dottoressa Alinari a cercarsi un altro telegiornale.

Fu un duro colpo per i suoi nervi ormai fragili della dottoressa, che decise di non ritentare una simile avventura e di ritirarsi a vita privata per scrivere un romanzo.

Immaginava di raccontare la storia di una famiglia la cui dipendenza dal televisore era spinta all’eccesso.

Gaetana stava tentando di convincere Giuseppina a fare i bisognini da sola quando qualcuno bussò alla porta d’ingresso. Era il postino. Cercava proprio Gaetana per consegnarle una lettera raccomandata che proveniva nientepopodimeno che dal migliore avvocato della regione. Era un invito a restituire la disponibilità dell’appartamento al suo legittimo proprietario.

La figlia primogenita del signor Belloni possedeva numerosi altri appartamenti di qualità migliore di quello in questione, ma desiderava che la sua figliola e il suo futuro genero cominciassero a suo dire dalla "gavetta".

Questo strano modo di pensare non rendeva certo giustizia alla famiglia Mattarozzi, la quale si sentiva sfrattata soltanto perché il signor Belloni non osava disturbare le famiglie che pagavano un canone di locazione più elevato e che puntualmente accettavano gli aumenti senza brontolare.

Era una situazione disperata. Occorreva resistere allo sfratto ad ogni costo. Prima o poi sarebbe accaduto qualcosa di nuovo per cui la famiglia sarebbe riuscita a superare le circostanze avverse.

Giuseppina decise di recarsi al campeggio comunale per chiedere in affitto una baracca di legno. Il campeggio si trovava in un bosco ricco di rovi ed era delimitato a nord dalla ferrovia, a sud dal deposito provvisorio dei rifiuti tossico-nocivi, a est dall’autostrada, a ovest dal fiume Gaio.

La vasca senz’acqua di una piscina faceva bella mostra di se nella zona centrale del campeggio.

Il signor Pinazzo, gestore del campeggio, propose a Gaetana una baracca di legno dotata delle comodità più moderne, tra le quali vi era la televisione via satellite.

Il costo giornaliero di quell’abitazione di fortuna era sproporzionato rispetto alle tariffe ufficiali del mercato immobiliare, ma la famiglia Mattarozzi non poteva vivere sotto un ponte, soprattutto perché le sarebbe mancata la televisione.

Gaetana non sapeva più a che santo raccomandarsi per trovare un’abitazione migliore e a più buon mercato. Tutt’a un tratto si ricordò di un suo antico spasimante che di mestiere faceva l’agente immobiliare.

Bernardo De Casa riconobbe a malapena la ragazza della quale era stato innamorato.

Dall’ultima volta che si erano incontrati era trascorso parecchio tempo. Bernardo si era sposato e aveva generato tre figli, due maschietti e una femminuccia. Purtroppo il suo matrimonio si era frantumato a causa della sua abitudine insopportabile di sbadigliare senza mettere la mano davanti alla bocca.

Elisa, la sua ex-moglie, non poteva sopportare tanta maleducazione, per cui decise di andare a vivere con Giancarlo.

Elisa sopportava così poco le cattive abitudini di suo marito che rinunciò persino alla tutela dei suoi tre figli, colpevoli di avere solitamente un aspetto sciatto.

Qualcuno potrebbe pensare che Elisa fosse una madre insensibile... Tutt’altro! Elisa sin dai primi giorni del suo matrimonio si era dimostrata sensibilissima ai complimenti del suo capo-ufficio; così sensibile che Bernardo aveva ottenuto suo malgrado la custodia di tre bambini che in realtà non erano suoi. Di questo fatto Elisa non si era preoccupata perché secondo lei dal punto di vista biologico gli esseri umani erano tutti parenti.

Gaetana tentò di spiegare il motivo della sua visita ma Bernardo non riusciva proprio a concentrarsi sulla richiesta che gli veniva presentata né su alcuna altra cosa: educare tre bambini da solo gli costava un dispendio di energia psichica e fisica eccessivo.

Se soltanto avesse osato abbandonare quelle tre tenere creature sarebbe già fuggito in direzione di uno di quei paesi tropicali dove il costo della vita risultava insignificante rispetto ai suoi scarsi risparmi.

Mara stava pensando all’infinito, all’esistenza... Se l’universo e la vita derivavano da una rottura della simmetria e quindi poteva essere definito un fatto del tutto casuale che senso aveva la propria esistenza?

Con quali coltivazioni ci si poteva definire degli individui dotati di personalità e in ogni caso quale valore poteva essere attribuito alle proprie caratteristiche personali? L’intera società degli esseri umani sembrava fondata sull’attribuzione di valori quali la bellezza, la ricchezza, l’intelligenza che rapportati all’universo perdevano ogni significato.

Ogni essere umano trascorreva le sue giornate prendendole sul serio in un modo del tutto irrealistico. Un numero incredibilmente alto di situazioni ridicole si ripeteva a oltranza senza che nessuno si preoccupasse di porre dei limiti. Era ancora sufficiente sbandierare la bandiera del progresso tecnologico per dimostrare la superiorità della specie umana?

La dipendenza psichica nei confronti del proprio datore di lavoro, di solito odiato, la dipendenza dal desiderio di sempre nuovi beni di consumo, la dipendenza dal proprio stato di disoccupazione che avvilisce perché rende irraggiungibili i principali beni di consumo vistoso ammansivano degli individui intelligenti solo potenzialmente.

La guerra dove non si manifestava in uno scontro armato veniva sublimata nello scontro economico fra aziende e fra ceti.

Eppure nessuno si vergognava di tutto ciò, tranne Mara. Se ne vergognava fino alla sofferenza, al dolore interiore più profondo.

Mara decise di domandare a un elaboratore molto avanzato e specializzato in scienze umane se i suoi pensieri potevano considerarsi fondati.

La risposta dell’elaboratore fu: "Sindrome maniaco depressiva".

Mara perse la sua fiducia nelle caratteristiche positive degli elaboratori più blasonati del pianeta. Decise che a partire da quel momento li avrebbe semplicemente usati. L’intelligenza artificiale non esisteva e in ogni caso sarebbe stata artificiale, cioè programmabile, controllabile; ad esercitare il controllo sarebbero stati solo pochi esperti di alto livello a loro volta controllati da interessi che per la loro natura si ponevano al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo.

Improvvisamente sullo schermo del suo elaboratore comparve un messaggio amichevole:

- Se ci sei batti un colpo! Mi chiamo Lello, mi sono appena collegato in rete e cerco nuovi amici...

Mara digitò a malavoglia:

- un colpo...

- ...allora ci sei!

- più o meno...

Quando la dottoressa Alinari si rese conto che Mara stava dialogando con qualcuno ne fu felice.

Gaetana aveva perso ogni speranza di trovare un buon alloggio per se stessa e per la sua famiglia quando le giunse la notizia della rottura del fidanzamento della signorina Belloni. La sua gioia fu immensa. La famiglia Mattarozzi poteva quindi continuare a vivere dove più desiderava, in quel bilocale umido e fatiscente le cui finestre si affacciavano sul muro di cinta della nuova casa di reclusione...

Nonostante la modestia dell’immobile per la famiglia Mattarozzi quell’appartamento era il paradiso in terra, forse perché non aveva mai avuto la possibilità di visitare un appartamento migliore.

Tutti i membri della famiglia ringraziarono la signorina Belloni e il suo ex fidanzato pregando il buon Dio affinché le loro strade non si riunissero mai più o che in ogni caso si fossero riunite sotto il tetto di un’altro dei numerosi appartamenti di cui disponeva il signor Belloni.

La vita per la famiglia Mattarozzi si faceva via via più rosea. La certezza di avere a disposizione qualche metro quadrato in cui stiparsi era qualcosa che doveva essere festeggiato a ogni costo. Nonna Erminia decise di cucinare la torta al cioccolato della quale l’intera famiglia era ghiotta.

Gaetana si procurò gli ingredienti. La torta per effetto dell’arteriosclerosi di nonna Erminia riuscì così male che tutti faticarono terribilmente a inghiottirla.

Beppe, il vicino di casa della famiglia Mattarozzi si vide recapitare da Gaetana una fetta di quella torta e se ne dichiarò tanto sorpreso quanto disgustato. Gaetana sperava che Beppe la invitasse a prendere un tè, ma Beppe non lo fece.

Beppe era ancora innamorato di Ginetta, quindi non poteva accettare il corteggiamento spudorato che Gaetana gli riservava. La sua coerenza era del tutto inutile e non era nemmeno possibile dimostrare che Ginetta fosse più attraente e simpatica di Gaetana, ma nella sua mente era scolpita a caratteri cubitali la frase: "nella vita ci si innamora una volta sola!". Di conseguenza, secondo il pensiero di Beppe, accettare il corteggiamento di Gaetana sarebbe stato un fatto ipocrita.

Gaetana da parte sua cominciava a preoccuparsi seriamente di trovare qualcuno disposto a fare da padre a Giuseppina. Qualcuno le aveva detto che la figura paterna per un bambino era molto importante.

Decise che Beppe doveva essere suo. Gli fece l’occhiolino, gli mise una mano sulla spalla nel disperato tentativo di farsi trascinare nell’appartamento, lasciò cadere il suo fazzoletto imprimendogli una spinta verso la camera da letto di Beppe, quindi si precipitò a raccoglierlo e cadde gambe all’aria in modo un po’ troppo plateale per sembrare autentico.

Beppe non si dimostrò sensibile alla strana scenetta che stava svolgendosi in suo onore. Quale ultimo tentativo Gaetana diede sfogo al suo spirito felino in una perfetta imitazione di una gatta che fa le fusa, dopo di che si alzò e se ne andò pronunciando una parola che immaginava essere in grado di produrre una reazione: "frocio!".

Beppe stava pensando a che cosa poteva cucinare per cena considerati gli alimenti che si trovavano nel frigorifero.

Mara decise che doveva uscire di casa per conoscere la realtà. Per attuare indisturbata il suo piano approfittò di un momento in cui la dottoressa Alinari non era in casa.

Prese con sé un quaderno e una penna ipotizzando la necessità di prendere degli appunti sulle cose che avrebbe visto. Non appena si ritrovò in strada dovette fermarsi ad annotare la gran puzza che sentiva e che le pareva provenire da certi tubi che spuntavano dalla parte posteriore delle automobili. Un automobilista un po’ scorbutico le gridò di togliersi di mezzo. Mara diligentemente annotò la frase, poi ne comprese il significato recondito: stava impedendo la circolazione delle autovetture...

Dove andavano tutte quelle persone chiuse nelle loro automobili? Parevano avere una gran fretta, ma erano costrette a fermarsi ripetutamente a causa dei semafori e degli ingorghi...

Mentre si soffermava a contemplare quel nevrotico andirivieni una bambina si aggrappò al suo maglione chiedendole cento lire. Era una zingara molto giovane, senz’altro più giovane di lei. Mara le rispose che se le avesse avute gliele avrebbe date volentieri.

Liberatasi dall’insistenza della zingara si lasciò trascinare dal flusso di persone che scivolava verso il centro della città. Erano tutti in uno stato simile alla trance.

Camminavano senza una meta, si fermavano di fronte alle vetrine più appariscenti e desideravano gli oggetti esposti, ma il più delle volte non entravano nel negozio per acquistarli: forse erano troppo cari per le loro tasche, forse erano costretti a un’estenuante maratona di negozio in negozio per decidere quali fra le cose esposte fossero indispensabili. Qualcuno era già carico di pacchi, ma continuava a cercare come se le cose da comperare non finissero mai. Era la realtà o un incubo? Mara si domandò se tutte quelle persone sapevano giocare con gli incubi, se erano in grado di controllarli. La sua prima impressione fu che nessuno si rendesse conto di quello che gli stava accadendo. Nessuno osava mettere in discussione il suo ruolo, anzi si notava una forma di convinzione che sfiorava il ridicolo.

Costretta dagli spintoni di persone più grandi di lei si ritrovò nel bel mezzo di un negozio di dischi. Una musica ripetitiva e fragorosa fungeva da sottofondo musicale. Forse era uno dei motivi più alla moda. Come facevano quelle persone a scegliere fra tutte quelle fotografie e quei disegni di copertina. Ogni cosa era confezionata in una sottile pellicola di plastica trasparente. La gente guardava, toccava, posava, prendeva e di tanto in tanto qualcuno si recava a pagare quello che aveva deciso di acquistare.

Poteva essere considerata un’attività piacevole? Qual’era il passo successivo?

Dopo tanta fatica che cos’altro avrebbero fatto gli avventori di quel negozio?

Mara decise di seguire un giovanotto poco più grande di lei per vedere dove andava.

Riuscì a seguirlo solo per pochi minuti. Sotto il porticato passeggiava troppa gente: Mara si lasciò distrarre da troppe cose che non aveva mai visto. Si fermò di fronte alla vetrina di una libreria domandandosi se per caso, senza rendersene conto, non avesse fatto un salto nel passato. Ricordava di avere consultato alcuni dei libri esposti attraverso il suo elaboratore - istitutore. Decise di entrare in quel negozio.

Come in un sogno Mara prese in mano alcuni dei libri esposti. Non riusciva a capacitarsi della loro esistenza materiale. Nessuno poteva ordinare a un elaboratore di cancellare contemporaneamente una parola o un concetto da milioni di pubblicazioni riarmonizzandone il significato grazie a programmi di intelligenza artificiale.

Marco, commesso di libreria, domandò a Mara se poteva esserle utile. Mara rispose dicendo che non le serviva niente, che quei libri li aveva letti quasi tutti, che voleva soltanto stringerli un po’ tra le mani.

Marco rimase senza parole. Pensò che rea meglio tenerla sotto controllo, quella ragazza.

La dottoressa Alinari ricevette l’invito a partecipare a un convegno il cui tema era: "Sesso e lavoro tra il secondo e il terzo millennio".

L’argomento non le pareva interessante: probabilmente si trattava di un pretesto. Decise di partecipare. Era una buona occasione per aggiornarsi sugli sviluppi scientifici nel campo del controllo sociale. D’altra parte un fine settimana a Londra non le pareva una cattiva idea. Il calendario del convegno lasciava ai partecipanti parecchio tempo libero. Lei e Mara si sarebbero divertite un mondo gironzolando nei luoghi che le incuriosivano di più.

Pensando a Mara si rese conto che non era in casa e che non c’era nessun motivo perché non lo fosse. Bisognava fare qualcosa. Per la dottoressa di trattava di una circostanza nei confronti della quale era del tutto impreparata. Provò in cuor suo la furia del vento, delle onde, delle fiamme, ma non le venne in mente nessuna soluzione.

Chiedere aiuto alle autorità di pubblica sicurezza era impossibile: Mara non disponeva di un certificato che comprovasse la sua identità né di fotografie, indispensabili per identificarla. Infine uscì di casa in fretta e furia sperando che Mara non avesse avuto il tempo di allontanarsi troppo dall’abitazione. Era come cercare un ago in un pagliaio.

Nel frattempo, giunta l’ora di chiusura della libreria, Mara non dava segno di voler uscire dal negozio né di capire che era necessario smettere di consultare i libri esposti. Dava l’impressione di svolgere una ricerca che per la sua complessità poteva durare ancora molto tempo.

Il proprietario della libreria invitò Marco a risolvere il problema.

Marco, con decisione, si avvicinò a Mara:

- Se non ti dispiace dovremmo chiudere il negozio...

- Fate pure...

Mara non si dimostrò particolarmente impressionata da quanto il commesso le aveva detto. Per lei, abituata da sempre a vivere in ambienti chiusi e privi di presenze umane, la chiusura del negozio non rappresentava un fatto significativo. Marco dovette spiegarle che quando giungeva l’ora della chiusura tutti coloro che si trovavano all’interno del negozio dovevano uscire...

- Allora esci anche tu... Disse Mara.

- Certo, però io esco dal retro. Anzi dovrai uscire dal retro anche tu perché la porta principale è già chiusa.

Marco salutò il suo datore di lavoro, quindi si avviò verso la porta di servizio invitando Mara a seguirlo.

La dottoressa Alinari stava camminando in una via stretta e buia quando vide i due ragazzi sbucarle davanti. Non riuscì a trattenere la sua gioia. Li abbracciò entrambi. Marco non riuscì a trattenere il suo stupore. Mara fece le presentazioni.

Nell’imbarazzo generale, Marco propose di andare a mangiare una pizza. Non c’era nessun motivo per formulare quella proposta, tantomemo ce n’erano per non formularla. Marco viveva da solo e quella sera aveva deciso di andare in pizzeria perché era il giorno del suo compleanno. Dopo la pizza sarebbe andato al cinema, da solo. Era da pochi giorni che risiedeva in quella città e lavorava in quella libreria: pensò che potava essere un modo interessante per festeggiare.

- Conosci una buona pizzeria? - domandò la dottoressa.

- No.

- Possiamo domandare informazioni a i passanti...

Mara era entusiasta dell’idea di andare in pizzeria al punto di mettersi immediatamente a domandare alle persone a lei più vicine dove fosse possibile trovarne una.

La dottoressa e Marco la osservavano ammutoliti e con un po’ di paura.

Mara si impegnava a tal punto che qualche suo interlocutore avrebbe potuto riportarne l’impressione di essere preso in giro. Fortunatamente Mara ottenne ciò che desiderava in brevissimo tempo. Intorno a lei c’era un mondo tutto da scoprire. Nonostante la sua mente disponesse di una descrizione precisa della realtà Mara rischiava di incontrare sulla sua strada delle cose che per la maggior parte delle persone di questo mondo erano del tutto indifferenti, mentre nella sua mente potevano assumere un significato imprevedibile, traumatico. Qualsiasi descrizione della realtà era parziale, anche quando si sforzava di essere altamente oggettiva.

La totale mancanza di esperienza, poi, complicava quell’insolita circostanza. Mara parlava la stessa lingua che parlavano le persone che si trovavano intorno a lei ma non era in grado di interpretare i gesti, il tono della voce, l’ironia. Per lei il significato delle parole era quello che si poteva riscontrare su di un vocabolario, senza troppe possibilità di incomprensione.

La realtà era invece il regno del malinteso, della confusione.

La dottoressa Alinari si ripromise di approfondire le sue impressioni con Mara il più presto possibile.

In pizzeria Mara ordinò con convinzione una pizza alle margherite.

Non aveva ordinato la "pizza capricciosa" perché non riusciva a immaginare in che modo ci si potesse nutrire di capricci. Mara si comportava esattamente come la dottoressa aveva previsto: era come un neonato che avesse ereditato geneticamente l’uso del linguaggio, ma senza averlo mai sperimentato in un gruppo sociale.

Gaetana era depressa. La sua figliola non voleva saperne di incominciare a parlare.

Giuseppina continuava ad esprimersi con il riso e soprattutto con il pianto. Pochi suoni gutturali completavano il suo linguaggio. Gaetana si domandava che cosa potesse mancare alla sua bambina. Giuseppina trascorreva le sue giornate giocando davanti al televisore come tutti gli altri bambini.

I programmi televisivi non erano di difficile comprensione. I telefilm erano così ripetitivi che persino un imbecille sarebbe riuscito a indovinarne il finale. D’altra parte nei pochi metri quadrati dell’appartamento in cui viveva non si poteva dire che le mancassero i contatti umani.

Le giungevano senza tregua stimoli sotto forma di scapaccioni, urla di rimprovero quando con fare affatto indifferente si metteva a ballonzolare di fronte al televisore. Quando poi la pazienza dei parenti telespettatori aveva superato ogni limite Gaetana rinchiudeva la sua figliola in una grande scatola di cartone almeno per il tempo necessario a gustare ogni parola e scena della sua telenovela preferita. In fondo, pensava Gaetana, in quello scatolone c’erano i giocattoli che Giuseppina preferiva: un vecchio peluche che aveva perso tutti i peli, una bambola di gomma senza vestiti, senza capelli e anche un po’ bruciacchiata. Se si pensa a quei bambini, diceva a se stessa Gaetana, che non stanno quasi mai insieme ai loro genitori e che vengono affidati alle cure di un’estraneo o magari rinchiusi in uno squallido asilo, perché mai Giuseppina non parlava ancora? Probabilmente si trattava di un difetto ereditato da quel lazzarone di suo padre. Un giorno o l’altro avrebbe trovato il modo di farglielo sapere. Sarebbe sprofondato per la vergogna, si sarebbe reso conto di che pasta egli stesso era fatto.

Nonna Erminia con l’autorevolezza che le derivava più dall’arteriosclerosi che dall’esperienza si permise di consigliare a Gaetana di fare visitare la sua nipotina dal dottor Carasalute.

L’eredità del nonno, ora, rendeva possibile ricorrere all’aiuto del medico.

Anche la famiglia di umili origini come la famiglia Mattarozzi sentiva la necessità di consultare un medico specializzato in onorari più che rispettabili, del tutto sproporzionati rispetto alla qualità della prestazione o alla vocazione che rende il medico un medico e non un commercialista, sebbene entrambi siano competenti in materia di evasione fiscale.

Gaetana non se lo fece dire due volte. Vestì la sua figliola con l’abito del dì di festa e in quattro e quattr’otto si ritrovò nella sala d’attesa del medico più alla moda della città. La segretaria del dottor Carasalute, dopo avere gratificato le nuove venute di un rapido sguardo, spiegò con fare assai gentile che era indispensabile pagare in anticipo.

- Che cosa vuol dire "in anticipo"? - domandò Gaetana.

- Vuol dire "prima" - rispose la segretaria.

- Prima di cosa?

- Prima della visita!

Nel frattempo uscì dallo studio del dottore una signora bionda, alta, magra sebbene formosetta e piuttosto benvestita che senza attendere il suo turno invitò la segretaria a "mettere in conto" il corrispettivo della visita.

La segretaria corse ad aprire la porta alla cliente beneamata dopo di che si degnò di incassare con piglio impassibile le duecentomila lire che rappresentavano il biglietto di ingresso per Giuseppina.

Lo studio del dottore era molto bene arredato. Mobili finemente decorati, tendaggi realizzati in stoffe pregiate, lampade sapientemente disposte integravano la luce naturale.

Gaetana ne rimase impressionata molto favorevolmente. Il dottore prendeva molto sul serio il suo ruolo. Prima di iniziare la visita si preoccupò di verificare se quello che egli considerava un piccolo contributo era stato incassato e se le banconote non fossero per caso false. Quindi dall’alto della sua istruzione si preoccupò di domandare

- Qual buon vento vi porta?

- La mia bambina non parla ancora. Sono molto preoccupata.

- E come si chiama questa bella bambina?

- Giuseppina. - rispose Giuseppina.

- E perché non vuole parlare Giuseppina?

Giuseppina pensava di avere già detto troppo pronunciando il suo nome quindi si preoccupò di stare zitta, ma con un serafico sorriso sulle labbra.

Il dottore dopo pochi minuti perse la pazienza. Concluse la visita dicendo che la piccola traboccava di salute e prima o poi avrebbe cominciato a parlare come tutti gli altri bambini della sua età. Consigliò di portarla di tanto in tanto qualche giorno al mare: ne avrebbe giovato il suo colorito. Le passeggiate in montagna, in ogni caso, non le avrebbero fatto male.

Gaetana non ebbe il tempo di domandare se non vi fosse una cura meno onerosa che senza tanti complimenti si sentì caldamente invitata ad abbandonare lo studio perché il dottore aveva un appuntamento ed era già in ritardo.

In strada si domandava come mai il dottore non le avesse rilasciato né una ricevuta né una ricetta. Il problema che la affliggeva maggiormente era come trovare il modo di portare al mare Giuseppina senza superare la cifra che il nonno aveva previsto nel suo testamento. Nonno Piergiuseppe non poteva immaginare una circostanza tanto complicata.

Forse la sua cara amica Eleonora poteva esserle d’aiuto. I genitori di Eleonora possedevano un appartamento in una località particolarmente elegante della riviera.

Gaetana si preoccupò immediatamente di telefonare alla sua amica. Purtroppo Eleonora si riteneva ancora offesa dagli ultimi fatti accaduti tra di loro, quindi rispose che l’appartamento era in affitto a una coppia di pensionati.

Tornata a casa con la sua figliola, Gaetana chiese consiglio a nonna Erminia. In quel momento sullo schermo del televisore scorrevano le immagini di una telenovella.

L’interprete principale si tuffava ripetutamente e al rallentatore in una splendida piscina ai cui bordi una decina di attrici languide stendevano i loro corpi al sole.

Fu la visione di quelle sequenze cinematografiche a ispirare la soluzione del problema.

Se mancavano i soldi per portare Giuseppina al mare, forse potevano bastare per portarla in piscina. Nonna Erminia osservò che non era possibile trovare una soluzione migliore. Gaetana si ripropose di portare la sua figliola in piscina almeno tre volte la settimana. Il costo del biglietto d’ingresso risulterà tanto sottostimanto da rendere possibile una sola gita alla settimana.

In piscina non si respirava l’aria che si respira in riva al mare, comunque la salute psicofisica di Giuseppina ne giovò in modo a dir poco repentino. Ripeteva di continuo la parola "piscina" e quando Gaetana usciva di casa con lei per qualsiasi motivo insisteva per indossare il costume da bagno.

In famiglia tutti concordavano che le duecentomila lire spese a vantaggio del dottor Carasalute non erano andate sprecate. Nonna Erminia non vedeva l’ora di farsi visitare da quel medico così competente: forse avrebbe escogitato una cura per quella sgradevole sensazione di invecchiamento che pervadeva il suo corpo e la sua mente.

Quando il suo sguardo incontrava lo sguardo di certe sue conoscenze che sapeva essere sue coetanee ma che dimostravano molti anni di meno, nonna Erminia pensava che certamente erano già state dal dottor Carasalute.

Purtroppo per lei, nonna Erminia doveva attendere il mese prossimo venturo per godere della tanto agognata visita. Per i giorni rimanenti del mese in corso non era più possibile attingere all’eredità di nonno Piergiuseppe. La famiglia Mattarozzi per parecchi giorni si sarebbe trovata in una situazione economicamente insostenibile.

Il nonno nonostante la sua lungimiranza non aveva tenuto conto dell’inflazione.

D’altra parte il capitale da lui conservato per il bene della famiglia produceva molti più interessi attivi di quanti la famiglia Mattarozzi potesse utilizzarne.

Gaetana non aveva dubbi nel definire assurda tale circostanza: che senso aveva essere ricchi sfondati e contemporaneamente vivere nella miseria più profonda disponendo di una rendita mensile che di giorno in giorno perdeva una bella fetta del suo potere di acquisto.

Nonno Piergiuseppe, secondo Gaetana, avrebbe dovuto seguire un corso accelerato di economia prima di redigere il suo testamento o almeno avrebbe dovuto domandarle consiglio.

La banca presso la quale era depositato il capitale del nonno si preoccupava di inviare alla famiglia Mattarozzi le lettere che comunicavano l’importo degli interessi accreditati. Per Gaetana quelle lettere rappresentavano un nuovo tipo di tortura. Tutte le volte che si fermava di fronte a una vetrina la sua mente prontamente le presentava il rendiconto degli interessi attivi.

Un giorno incontrò la sua cara amica Eleonora proprio di fronte alla vetrina di un negozio di abbigliamento. Eleonora, dopo di avere esaminato attentamente ogni vestito esposto, entrò nel negozio per acquistare proprio quello del quale Gaetana si dichiarava follemente innamorata. Fu un trauma per Gaetana, che in preda allo sconforto confidò alla sua amica quanto fosse diventata ricca e infelice dopo la morte del nonno. Eleonora non credette a un parola, ma ritenne opportuno assecondare la sua amica pensando che avesse smarrito il lumicino della ragione.

Siccome Gaetana aveva manifestato evidenti segni di ammirazione nei confronti dell’abito appena acquistato da Eleonora, quest’ultima le promise che di lì a qualche mese glielo avrebbe sicuramente prestato.

Gaetana immaginò il piacere che avrebbe provato indossando quel vestito, confezionato con quella bellissima stoffa e colorato di quel bel colore! Il colore era la caratteristica che più aveva affascinato Gaetana. Non era né azzurro né blu, né lilla né fucsia, era un colore indefinibile che sicuramente si armonizzava con ogni altro capo di abbigliamento.

Tutto sommato si trattava di uno di quegli abiti economici che nei giorni di svendita chiunque poteva acquistare. Se confrontato all’abbigliamento che in quel momento Gaetana stava sfoggiando era comunque qualcosa di principesco. Per averne una conferma basti pensare che mentre dialogava con la sua amica, gesticolando le capitò di rivolgere il palmo della mano verso l’alto e di ritrovarsi a stringere una banconota da mille lire gentilmente offerta da un passante.

Sebbene contenta del dono ricevuto, quella era la goccia che faceva traboccare il vaso.

Eleonora cominciò a vergognarsi della sua amica. Se continuavano a passeggiare insieme qualcuno prima o poi avrebbe dato mille lire anche a lei. La prima soluzione che si presentò alla sua mente fu quella di inventare una scusa e lasciare che Gaetana continuasse la questua da sola. La seconda fu quella di trascinare la sua amica nella toilette del bar più vicino e costringerla a indossare il vestito che aveva appena acquistato, quindi offrirle un caffè.

Prevalse la seconda soluzione. Mentre sorseggiava il suo caffè, Gaetana piangeva: non aveva mai ricevuto in dono una cosa così bella e di tal valore! Eleonora si rese conto di avere compiuto un gesto folle: si mise a piangere anche lei. Il barista, commosso, disse che il caffè glielo offriva lui, che loro dovevano avere avuto un grande dispiacere per piangere così. Gaetana si sentì in dovere di precisare che stava piangendo per la gioia di avere appena ricevuto un dono meraviglioso e che era stata la sua amica che l’aveva resa così felice. Il barista domandò a Eleonora perché piangesse, lei.

- Rende più felici dare che ricevere...- Rispose Eleonora con voce sommessa mentre la sua mente si domandava perché mai avesse compiuto un gesto così assurdo.

- In tal caso sono felice di offrirvi il caffè ma mettete di piangere sennò mi fate scappare i clienti.-

Gaetana con quel vestito si sentiva proprio elegante. Le sue movenze, di solito un po’ grossolane si fecero più morbide e aggraziate: si sentiva come una specie di divinità. Fu sulla base di queste sensazioni che decise di gustarsi un cornetto alla crema di dimensioni maggiorate. Le lagrime si asciugarono sulle guance accaldate, il barista rinunciò anche al prezzo del cornetto... Per Gaetana quello era un momento magico. Non le erano mai accadute così tante cose belle nello scorrere di pochi minuti. Chissà quante altre sorprese positive si sarebbero succedute da quel momento in poi!

Eleonora desiderava rientrare in possesso del vestito che aveva appena regalato alla sua amica, ma non sapeva quale motivazione inventare per revocare quell’improvviso e folle gesto generoso.

Gaetana d’altra parte si era liberata del suo vecchio e sgualcito abito gettandolo nel cassonetto della spazzatura dando per scontato che non sarebbe mai andata a riprenderselo.

Non si poteva tornare indietro, pensò Eleonora, ma si ripromise di non commettere mai più un simile errore: Gaetana non le aveva mai regalato niente e non si poteva nemmeno dire che la loro amicizia fosse ricca di confidenza reciproca e di frequentazione assidua.

Passeggiando e provando emozioni di gioia e di sconforto non si resero conto del sopraggiungere della sera. La città a poco a poco accendeva le sue luci. I negozi abbassavano le serrande e le commesse uscivano dai retrobottega camminando a passo veloce.

Eleonora aveva bisogno di qualcosa che lenisse il suo dolore; Gaetana desiderava sfoggiare il più a lungo possibile quel suo nuovo vestito.

Pinuccio e Gaspare stavano passeggiando proprio in quei paraggi, come al solito alla ricerca di dolce compagnia per la serata. Eleonora conosceva di vista Pinuccio, avevano frequentato la stessa scuola, sebbene in classi diverse Pinuccio era uno di quei personaggi che quando cercano compagnia non hanno bisogno di essere presentati. Gli bastava un’occhiata furtiva per capire se il soggetto delle sue attenzioni era interessato a colloquiare, quindi cominciava a pronunciare parole scarsamente connesse alle quali seguivano altre parole ancora più sconnesse fino a quando i suoi interlocutori non gli chiedevano se per caso non fosse matto.

A quel punto Pinuccio si presentava e presentava i suoi amici, sicuro che le cose da quel momento in poi sarebbero andate per il verso giusto.

Gaspare era decisamente meno loquace; toccò a Gaetana occuparsi di lui.

Eleonora, che non sapeva proprio che cosa dire e che cosa fare in quella circostanza propose di andare a bere qualcosa in birreria.

Per Pinuccio e Gaspare era un invito a nozze. Già pregustavano il loro trionfo quando sarebbero entrati nella loro birreria preferita in compagnia di quelle due ragazze.

Purtroppo per loro a Eleonora quella birreria proprio non piaceva, non voleva nemmeno sentirla nominare.

I due compari dovettero accettare di buon grado di recarsi nel locale indicato da Eleonora. Gaetana continuava a ripetere che per lei un locale valeva l’altro dato che non ne conosceva nessuno dei due, ma convenne con la sua amica che se lei preferiva quello senz’altro doveva esserci un buon motivo.

La birreria indicata da Eleonora si trovava all’altro capo della città.

Pinuccio propose di prendere la sua macchina. Eleonora disse che era una bella serata e sarebbe stato romantico attraversare la città a piedi.

La mente di Gaetana già divagava in immagini romantiche, favorite dalla bella serata.

Gaspare propose di attraversare il parco, per risparmiare tempo.

Eleonora non gradì quella proposta a dire il vero un po’ troppo sfacciata per i suoi gusti. Le pareva evidente che i due ragazzi non cercavano altro che una buona occasione per allungare le mani a loro spese. Non sapendo che cosa escogitare per liberarsi della compagnia di quei loschi figuri disse che non si sentiva bene e che forse era meglio che ritornasse subito a casa. Naturalmente Pinuccio e Gaspare offrirono prontamente la loro assistenza. Pinuccio insistette affinché Eleonora accettasse di essere riaccompagnata a casa in automobile, ma Eleonora rispose con decisione che Gaetana la avrebbe riaccompagnata a casa e che d’altra parte non abitava molto lontano dal luogo in cui si trovavano.

Fortunatamente Pinuccio e Gaspare non avevano l’abitudine di forzare la mano alle ragazze sulle quali posavano l’occhio, né avevano intenzione di perdere tempo inutilmente con tutte le opportunità che avevano a disposizione.

Quando rimasero soli Pinuccio liquidò l’episodio assumendo un atteggiamento da grande conoscitore del mondo femminile:

- Sono due santarelline... quelle pensano soltanto al matrimonio.

Gaetana rivolse alla sua amica uno sguardo così interrogativo che Eleonora sentì la necessità di spiegare le motivazioni del suo comportamento. Secondo Gaetana però non era possibile trovare un buon motivo per concludere in quel modo una delle rare serate che promettevano bene.

- Quei due non resistono con una ragazza per più di una settimana... - Disse Eleonora.

Ti raccontano un sacco di belle cose, poi quando hanno ottenuto quello che vogliono si annoiano e ci provano con qualcun’altra. Tu dovresti già saperne qualcosa! Come sta Giuseppina?

- Bene. Però Gaspare non mi sembrava un cattivo ragazzo!

- Se vuoi posso darti il suo indirizzo così puoi andare a trovarlo quando vuoi. Magari riuscirai a dare un fratellino a Giuseppina.

Gaetana si sentì pesantemente offesa dalle parole della sua amica. Se avesse potuto farlo avrebbe stracciato il vestito che Eleonora le aveva regalato.

Una risata isterica di Eleonora evitò che la serata si trasformasse in una lite furibonda.

Le due amiche decisero che dovevano cercare due bravi ragazzi le cui intenzioni fossero più rispettose dei loro desideri, delle loro aspirazioni.

Eleonora pensò al suo ragazzo ideale, Gaetana ad una casa più grande.

La dottoressa Alinari era affascinata dalla gentilezza di quel giovanotto che rispondeva al nome di Marco. Come era possibile che esistessero ancora dei giovani così bene educati... Mara, in modo del tutto involontario, stava complicando le circostanze colloquiando in modo inopportuno con tutte le persone che passavano vicino al tavolo

dove si erano accomodati.

A un certo momento della serata la dottoressa invitò Mara ad accompagnarla ai servizi.

Fu in quel luogo poco elegante che Mara ricevette la prima lista delle cose che doveva fare e delle cose che non doveva fare quando si trovava in un luogo pubblico.

Era una ragazza intelligente. Non si fece ripetere due volte nemmeno una delle regole che la dottoressa le aveva suggerito.

Purtroppo le regole che aveva appena memorizzato non erano sufficienti per affrontare tutte le situazioni che si presentavano nella vita quotidiana.

Nel prosieguo della serata la dottoressa Alinari si rese conto di essersi comportata in modo piuttosto ingenuo, si rese conto dell’impossibilità di risolvere la carenza di socializzazione di Mara in pochi istanti.

La miglior cosa per Mara, pensò la dottoressa, era che Marco le diventasse amico in modo duraturo. Non esistevano corsi di riabilitazione per il suo problema. La sua intelligenza straordinaria poteva essere confusa con una qualche forma di follia.

Non conoscendo la sua storia decine di psicologi avrebbero confermato la sua presunta anormalità.

La storia di Mara era una di quelle che non si possono raccontare perché nessuno le crederebbe, perché lo stesso narratore finirebbe per l’essere sospettato di pazzia.

Era indispensabile che Mara si rendesse conto della situazione in cui si trovava. Doveva comportarsi in modo da non provocare situazioni che potevano diventare molto pericolose.

Marco in qualche modo dovette rendersi conto di trovarsi di fronte ad una ragazza del tutto diversa da quelle che conosceva. Gli pareva che Mara fosse nello stesso tempo un concentrato di conoscenza e di ingenuità. Molti, fra gli intellettuali, potevano essere definiti nello stesso modo, ma quella ragazza, considerata la sua giovane età non poteva avere compiuto degli studi di livello universitario.

Si chiedeva anche chi mai fosse quella signora troppo anziana per essere la madre di Mara. Non osava porre domande che temeva potessero essere giudicate inopportune.

In quella città non conosceva nessuno, non poteva permettersi il lusso di rovinare quell’occasione di fare nuove amicizie.

Dopo i consigli ricevuti dalla dottoressa Mara divenne più taciturna. Sembrava che il suo entusiasmo si fosse ridotto quasi del tutto. Marco se ne preoccupò parecchio.

- Non ti è piaciuta la pizza? Questa è una delle migliori pizzerie della città, almeno così mi hanno assicurato.

- Da quanto tempo vivi qui?

- Due mesi.

- Ti piace?

- Preferivo la mia piccola città di provincia.

- Allora perché sei venuto a vivere in questo posto?

- Perché ci ho trovato un lavoro.

Mara preferì troncare a questo punto la sua curiosità per non rischiare di porre domande inopportune.

La dottoressa Alinari rendendosi conto della situazione imbarazzante che si era creata propose di ordinare qualche cos’altro da mangiare, magari un dolce o un gelato.

Mara insistette per avere della marmellata di prugne. Il cameriere dovette scusarsi più volte spiegando che non ne avevano e che probabilmente non ne avrebbero avuta nemmeno in futuro.

Marco si permise di spiegare a Mara che bisognava limitare la scelta ai dolci che erano riportati sul menù.

Indispettita, Mara decise di prendere una porzione di gelato.

Marco rivolse alla dottoressa Alinari uno sguardo che esprimeva un certo disagio di fronte ai comportamenti di Mara.

Giunse infine il momento di pagare il conto e di uscire. Marco propose di andare al cinema. Alla dottoressa Alinari l’idea non dispiacque , era da parecchio tempo che non frequentava le sale cinematografiche, fin dai tempi dell’università.

A quei tempi andava al cinema soltanto perché ci andavano i suoi amici. Considerava il cinema una forma d’arte nella quale il fattore dominante era il denaro, il profitto che si poteva sperare di trarre da un certo tipo di pubblico.

Il sabato e la domenica si proiettavano i film meno artistici, ma che si pensava potessero attrarre i gruppi di ragazzi che non sapevano che cosa altro fare; il martedì e il giovedì si proiettavano i film per gli intellettuali. Gli uni e gli altri di fatto lasciavano che i produttori cinematografici si prendessero gioco di loro.

Marco propose di andare a vedere un film di fantascienza che aveva intenzione di andare a vedere già prima del loro incontro.

La dottoressa e Mara accettarono di buon grado non avendo la minima idea di che cosa proporre in alternativa.

Durante il tragitto verso la sala cinematografica Mara prese per mano la dottoressa e Marco. Di tanto in tanto Mara incominciava a correre, poi si fermava di botto e si faceva trascinare. La dottoressa Alinari pensò che l’infanzia non vissuta di Mara reclamava la sua parte, adesso che era libera di sfogarsi. Chissà quali altre sorprese le avrebbe riservato.

Casa Mattarozzi come di consueto sembrava un campo di battaglia. Giuseppina strillava con tutte le sue forze nel disperato tentativo di richiamare l’attenzione di qualcuno sulla sua esistenza, mentre il televisore sembrava in ogni caso avere la meglio. Telequarantacinque stava trasmettendo proprio il programma preferito da Gaetana. Palesemente disturbata dalla sua figliola Gaetana decise che per riuscire a completare la visione del programma era indispensabile alzare il volume al massimo.

Beppe, vicino di casa della famiglia Mattarozzi, nell’impossibilità di esprimere direttamente a Gaetana le sue lamentele perché nessuno poteva sentire altro che il televisore fu costretto a lanciare un messaggio scritto su di un foglio allegato ad un sasso che finì per cadere sul piede sinistro di Giuseppina, la quale per la rabbia lo raccolse e lo lanciò dritto dritto sul televisore.

Né conseguì un gran botto. Il messaggio di Beppe andò distrutto. Beppe non riusciva a credere ai suoi orecchi. Le sue parole dovevano essere state veramente convincenti.

Nessun membro della famiglia si rese conto che a scagliare il sasso contro il televisore era stata Giuseppina.

Lo sgomento si impadronì della famiglia Mattarozzi. Lo stato del televisore non lasciava ben sperare in una semplice riparazione. Quel televisore doveva essere sostituito. Era davvero una brutta faccenda. La notizia di una nuova guerra con l’utilizzo di bombe atomiche a basso potenziale giocata proprio sotto casa non avrebbe sconvolto di più la famiglia Mattarozzi.

Occorreva a tutti i costi trovare una soluzione. La quota mensile dell’eredità del nonno non sarebbe stata sufficiente nemmeno se fosse stato possibile risparmiarla per un anno intero. L’acquisto rateale era fuori discussione. Nessuno avrebbe prestato credito alla famiglia Mattarozzi.

Secondo Gaetana non c’era altra soluzione che richiedere all’autorità competente la rivalutazione della rendita che nonno Piergiuseppe aveva assicurato ai suoi cari. D’altra parte sul conto corrente continuavano ad accumularsi gli interessi attivi in misura più che sufficiente a coprire la svalutazione del capitale.

Gaetana tuttavia non aveva la benché minima idea di quale fosse l’autorità alla quale bisognava rivolgere tale richiesta. Ci voleva un geometra, un avvocato o un notaio? E con quali soldi sarebbero riusciti a pagare la parcella? Quanto tempo sarebbe stato necessario per avere i soldi per acquistare un televisore nuovo?

Decise di domandare informazioni all’ufficio postale: ci lavorava un suo compagno di scuola che forse si ricordava ancora di lei e di quella festa di capodanno durante la quale le aveva giurato amore eterno.

Umberto Timbrobollo in effetti si ricordava ancora di lei, ma non ricordava più la festa di capodanno. Consigliò, comunque, a Gaetana di rivolgersi a un avvocato che conosceva di persona e che senz’altro faceva al caso suo. L’avvocato Santinumi, secondo Umberto, era specializzato nella soluzione di tutte quelle controversie che a prima vista sembravano irrisolvibili. Ricordava perfettamente di quella volta che un suo vicino di casa grazie all’avvocato Santinumi era riuscito a ottenere una riduzione sul prezzo dell’affitto dell’appartamento adducendo come motivazione che il condominio era infestato dai topi.

Gaetana scrisse in stampatello l’indirizzo dell’avvocato su di un pezzo di carta che Umberto le aveva dato, poi, evitando di perdere inutilmente tempo in inutili convenevoli, salutò Umberto e si recò immediatamente presso lo studio dell’avvocato Santinumi.

La segretaria dell’avvocato naturalmente chiese a Gaetana se avesse fissato un appuntamento benché non ve ne fosse bisogno. I clienti di Santinumi non erano molti, ma pagavano profumatamente le sue prestazioni professionali.

- No, non ho un appuntamento. - Rispose Gaetana piuttosto preoccupata.

- E’ indispensabile?

- Sarebbe meglio. - Rispose la segretaria dall’alto dei suoi vertiginosi tacchi a spillo.

- Vedo subito se l’avvocato può riceverla.

Naturalmente l’avvocato non aveva nessun motivo valido per non accogliere a braccia aperte quella nuova cliente. Concepiva la sua professione come una vera e propria vocazione di servizio nei confronti dei bisogni del prossimo. "Ama il prossimo tuo come te stesso", era il suo motto.

Santinumi ascoltò con molta attenzione la narrazione che Gaetana fece del suo problema. Mentre ascoltava camminava distrattamente nell’ufficio e di tanto in tanto si affacciava alla finestra come se stesse aspettando qualcuno a cui teneva particolarmente.

Per quanto riguardava l’eredità di nonno Piergiuseppe, Santinumi non credette a una parola di quanto Gaetana gli aveva appena raccontato. Spesso gli capitavano delle persone che immaginavano di avere ereditato ingenti somme di denaro delle quali non riuscivano a entrare in possesso per motivi del tutto vaghi e confusi. Il fatto era, secondo Santinumi, che la gente non accettava di buon grado il suo destino di povertà, per cui inventava una specie di ricchezza virtuale nella quale prima o poi finiva per il credere più che non alla realtà. Quando accadeva di avere bisogno di qualche cosa di costoso improvvisamente nessuno riusciva ad accettare il fatto di non disporre del denaro necessario, allora non trovava di meglio da fare che rivolgersi al principe degli avvocati della piazza, a lui, l’avvocato Santinumi, il risolutore.

Come due più due fa quattro Santinumi non perdeva tempo inutile in ricorsi noiosi e sicuramente perdenti e si preoccupava di trovare un lavoro che potesse, attraverso la sua retribuzione, realizzare i sogni dei suoi clienti. Santinumi osservò a lungo Gaetana immaginando quale potesse essere il lavoro che faceva per lei. La osservò sotto tutti i profili e infine prese una decisione. Parlò al telefono con la sua segretaria dicendo delle cose che a Gaetana parvero del tutto insensate. Poi, continuando ad affacciarsi alla finestra, spiegò a Gaetana quanto fosse inutile presentare un ricorso in merito al suo problema e che forse poteva esserle utile. Grazie alle sue conoscenze ben radicate nella società civile più che nei tribunali poteva trovarle un lavoro abbastanza redditizio per permetterle di acquistare un nuovo televisore nel giro di poche settimane. Anzi, egli stesso avrebbe potuto fornirle un adeguato anticipo di lì a pochi giorni se il lavoro fosse risultato di suo gradimento.

Lo stato d’animo di Gaetana si barcamenava tra l’arrabbiatura per l’incredulità dimostrata nei confronti dell’eredità della famiglia Mattarozzi e l’ammirazione per una persona così gentile da preoccuparsi di procurarle un lavoro.

In quei frangenti entrò nello studio di Santinumi un giovanotto dall’aria sbarazzina e alla moda che evidentemente conosceva molto bene l’avvocato dato che si permise di entrare senza bussare né domandare permesso. L’avvocato si preoccupò di invitare Gaetana a seguire quel giovanotto che le avrebbe spiegato in che cosa consisteva il suo nuovo lavoro.

Gaetana non se lo fece dire due volte, ma dimenticò di domandare di che genere di lavoro si trattasse. Il giovanotto si chiamava Mario ed era a dire la verità di costumi un po’ troppo disinvolti: durante il viaggio in automobile si era preso delle libertà che a Gaetana non erano certo parse simpatiche, ma quando si tratta di un posto di lavoro... qualche cosa bisogna pur concedere, pensò Gaetana. Mario parlava, parlava, diceva delle cose che Gaetana non capiva perché sembravano alludere a qualche cosa che Gaetana avrebbe dovuto fare per avere successo nel suo nuovo lavoro, come, per esempio, procurarsi dei capi di abbigliamento più spiritosi e colorati.

Soltanto quando si trovò all’incrocio stradale più malfamato del circondario in mezzo alle presunte colleghe che le davano il benvenuto Gaetana capì di non essere finita sulla buona strada. Decise che quel lavoro non faceva per lei. Fermò la prima automobile che si avvicinava e fu davvero fortunata perché considerata la località in cui si trovava poteva con tutta probabilità trattarsi di un potenziale cliente.

Invece era Eleonora.

- Che cosa ci fai qui?

- Mi ci hanno portata... mi hanno offerto un lavoro, ma io questo lavoro non lo voglio fare.

Gaetana piangeva. Erano lacrime amare. Si rendeva conto di essere stata scambiata per una ragazza poco seria. Eleonora non poté fare a meno di trarre in salvo la sua amica. Gaetana continuava a piangere. Spiegò alla sua cara amica che in qualche modo il televisore era andato distrutto e che era impossibile per la sua famiglia trovare i soldi per acquistarne un altro. L’eredità del nonno aveva reso la sua famiglia molto ricca, ma solo dal punto di vista del denaro depositato in banca. A causa di un imperdonabile errore del nonno, quel denaro non poteva essere speso se non in ragione di una cifra mensile che non sarebbe stata sufficiente neppure per acquistare una radiolina economica.

L’avvocato Santinumi le aveva offerto un lavoro, ma non le aveva spiegato di che lavoro si trattava. Immaginando che gli avvocati fossero persone serie si era fidata ciecamente di lui.

- Chi ti ha detto che ci si può fidare degli avvocati? - domandò Eleonora.

- Nessuno, ma devono avere studiato così tanto per laurearsi... quindi dovrebbero essere delle persone oneste, intelligenti... Come può andare contro la legge una persona che l’ha studiata a lungo...

Eleonora si complimentò con Gaetana per la sua sagacia. Pensò che per evitare guai peggiori l’unico modo era aiutare Gaetana a procurarsi un televisore. Ricordò che in cantina i suoi genitori avevano stipato due vecchi televisori che funzionavano ancora abbastanza bene, ma erano in bianco e nero e adesso andavano di moda i televisori a colori.

Gaetana quando seppe di quei televisori scoppiò in lacrime implorando la sua amica di prestargliene uno giusto per il tempo di procurarsi i soldi per acquistarne uno nuovo.

Eleonora disse che bisognava parlarne ai suoi genitori, anzi stava proprio recandosi a casa loro quindi Gaetana stessa avrebbe potuto domandargli in prestito uno dei due televisori.

Il padre di Eleonora si dimostrò comprensivo. Accettò subito di prestare a Gaetana uno dei due televisori. Si preoccupò persino di verificare quale dei due fosse quello in miglior stato. Di fatto entrambi i televisori erano in pessime condizioni: il cinescopio era quasi del tutto esaurito e le immagini di conseguenza risultavano decisamente annebbiate. Per la famiglia Mattarozzi quelle immagini annebbiate erano preziose. Rappresentavano un’alternativa alla disperazione; la possibilità di intuire la prosecuzione delle favole televisive che più gli stavano a cuore. Grazie alla disponibilità di Eleonora e della sua automobile fu possibile trasportare quel pomeriggio stesso il televisore all’appartamento della famiglia Mattarozzi. Inutile dire quale accoglienza i membri della famiglia riservarono a quel pezzo di antiquariato. Lo sistemarono con estrema cautela al posto del televisore distrutto e lo misero in funzione all’istante sintonizzandolo naturalmente su Telequarantacinque. Di certo non era un televisore a colori, commentò qualcuno, ma ci si poteva accontentare finchè non fosse stato possibile procurarsene uno migliore.

L’unico membro della famiglia a non dimostrare particolare soddisfazione per l’avvento del televisore fu Giuseppina.

Nonna Erminia disse che quel televisore non le piaceva, soprattutto perché la sua miopia associata allo scarso contrasto delle immagini le impediva di gustare le gioie delle sue novelle televisive preferite. L’audio di quel televisore d’epoca non era migliore delle immagini che diffondeva. Si trattava pur sempre di un apparecchio luminoso, l’unica fonte di luce a disposizione della famiglia Mattarozzi. Essendo il televisore sempre in funzione la famiglia Mattarozzi non aveva mai sentito la necessità di procurarsi delle semplici lampadine.

Il film di fantascienza alla cui proiezione stavano assistendo Mara, Marco e la dottoressa Alinari trattava naturalmente di un’invasione della terra da parte da parte di una civiltà extraterrestre che si nutriva di violenza e di piacere nel perseguire la creazione e la distruzione di un nemico. Come di consueto i terrestri per la maggior parte della durata del film sembravano soccombere alla potenza della civiltà nemica, ma quando tutto ormai sembrava perduto gli scienziati della terra riuniti in un organismo internazionale riuscivano a inventare un’arma in grado di ridurre all’impotenza gli invasori.

A Mara quel film pareva di una noia mortale. Marco, al contrario, apprezzava molto gli effetti speciali di cui il film era ricco. La dottoressa era così interessata alla visione di quel film che si addormentò profondamente sin dalle prime scene.

Proprio nel momento chiave del film Mara chiese a Marco di accompagnarla alla toilette. Marco accettò a malincuore pensando che intanto sapeva già come finiva quel film. La dottoressa Alinari si svegliò proprio poco dopo che Marco e Mara si erano allontanati dai loro posti. Ebbe una sensazione sgradevole di irrealtà, come se nella vita potesse accadere di passare da un incubo a un altro senza interruzioni. Dove erano andati Mara e Marco? Non era nemmeno sicura di esserne stata in compagnia. Il pubblico era incredibilmente concentrato sul film, a nessuno interessava il suo stato d’animo.

Quando Mara e Marco ritornarono ai loro posti e spiegarono che cosa li aveva spinti ad abbandonare i loro posti la dottoressa recuperò parte del suo precedente buon umore.

Il film nel frattempo era finito. Bisognava uscire dal cinema. Marco insistette per accompagnare a casa Mara e la dottoressa.

Rimasto solo, a Marco non rimase da fare altro che raggiungere il monolocale in cui viveva da due mesi. Sdraiato sul letto cominciò a pensare alla strana serata che gli era accaduto di trascorrere in compagnia di una strana coppia, peraltro davvero simpatica.

Chi era quella ragazza che non sembrava una ragazza ma l’insieme di una persona adulta e di una bambina? Quale relazione la legava a quella signora che la accompagnava e che evidentemente non era sua madre? Pensò che gli sarebbe piaciuto incontrarle di nuovo. Conosceva il loro indirizzo: la dottoressa Alinari prima di accomiatarsi da lui glielo aveva dato invitandolo a farsi vivo al più presto. Pensò che non aveva nessun impegno per il fine settimana: forse avrebbe potuto organizzare una gita con le sue nuove amiche. Ma che tipo di gita poteva interessare a Mara e alla dottoressa?

Gli organizzatori della "Manifestazione espositiva del secolo" stavano preoccupandosi di predisporne la nuova edizione. A proposito dell’allestimento degli stand si pensava di mantenere quello precedente. Questa volta il pubblico sarebbe stato ammesso all’interno del palazzo, dopo il pagamento di un biglietto d’ingresso piuttosto caro. Era indispensabile che la manifestazione fosse inaugurata quel fine settimana stesso per sfruttare nel migliore dei modi le festività natalizie. I mezzi di comunicazione di massa avrebbero diffuso il dubbio in merito al fatto che le merci esposte fossero le medesime della passata edizione in modo da eccitare la fantasia dei visitatori i quali sarebbero accorsi a migliaia nella speranza di risolvere quel dilemma.

Naturalmente Telequarantacinque avrebbe trasmesso in diretta e ventiquattro ore su ventiquattro lo svolgimento della manifestazione. Era l’unico modo per raggiungere tutte quelle persone che non abbandonavano quasi mai la loro poltrona fissa davanti al televisore.

Un gruppo di esperti avrebbe controllato le reazioni del pubblico per ottimizzare i risultati commerciali e di controllo sociale via via realizzati. Nel corso degli ultimi dieci anni si era verificato un calo dello 0,01% nel numero di visitatori delle manifestazioni espositive. Calo che non preoccupava particolarmente dato che la diminuzione era andata a favore del numero di spettatori televisivi. Il calo di presenze nei luoghi di ritrovo previsti dalle strutture sociali lamentava un’altra crisi: quella del cinema. Diminuzione peraltro compensata dall’aumento del numero di frequentatori delle discoteche. Compito degli esperti era prevedere e in un certo senso indirizzare le tendenze che si presentavano all’interno dei gruppi sociali. Una commissione di alto livello si occupava di controllare il lavoro del comitato di esperti.

Marco si svegliò di soprassalto a causa di un incubo particolarmente sgradevole. I pescatori di una baleniera non contenti di avere ucciso una balena adulta si accanivano nell’inseguimento e nella caccia di due balenotteri. La baldanza dei pescatori era raccapricciante, come se l’uccisione di due cuccioli di balena non fosse altro che una bagatella, un gioco redditizio del quale era necessario abusare prima che ne approfittassero gli altri.

La carne di balenottero, distribuita nei mercati opportuni, valeva il doppio di quella di balena. Nell’incubo di Marco i commercianti di carne di balena decantavano le qualità della carne da loro venduta con la serenità di chi pensa esclusivamente al proprio portafoglio.

Erano le due della notte. Gli inquilini del piano di sopra stavano ancora festeggiando il primo compleanno della loro figlioletta Martina. I coniugi Pestalozzi possedevano un solo disco e lo facevano suonare ormai da ben cinque ore. Era un disco di Bob Marley, che evidentemente i Pestalozzi consideravano adatto alla circostanza.

Marco si domandava che cosa stesse facendo in quel momento Martina.

Martina stava dormendo. Era crollata nelle braccia di morfeo dopo la quinta volta che i suoi genitori avevano girato il disco di Bob Marley.

Dimenticato il suo incubo Marco decise che bisognava fare qualcosa per fermare quel baccano infernale. La cosa che gli dispiaceva di più era il modo in cui veniva utilizzata la musica di Bob Marley. A forza di ripeterle, certe cose, perdevano completamente il loro significato.

Se si fosse trattato soltanto della musica Marco sarebbe riuscito a dormire. Il problema era piuttosto che i coniugi Pestalozzi avevano deciso di ballare fino allo stremo delle loro forze e di convincere i loro ospiti a fare altrettanto scommettendo una birra a favore di chi avrebbe resistito più a lungo.

Nella speranza di riuscire a prelevare del denaro oltre la cifra che il nonno aveva stabilito per quel mese Gaetana si era recata in banca e stava implorando il ragionier Pautasso di riconoscerle un acconto sulla rendita del mese successivo. Il ragioniere era più inflessibile e incorruttibile del governatore della Bundesbank, ma aveva un debole per i vecchi televisori in bianco e nero. Da quando si era saputo dell’eredità di nonno Piergiuseppe le vicende che riguardavano la famiglia Mattarozzi erano sulla bocca di tutti. Che la famiglia Mattarozzi desiderasse un televisore a colori nuovo e che invece fosse riuscita a entrare in possesso soltanto di un vecchio televisore a colori non era di certo sfuggito al ragionier Pautasso.

Gaetana stava piangendo e singhiozzando nella speranza di commuovere il ragioniere quando si rese conto del fatto che sembrava più interessato del solito alle sue difficoltà. Qualcosa le faceva pensare che quella volta sarebbe riuscita a ottenere quello che desiderava. Quando il ragioniere le chiese di potersi recare a casa sua per vedere il loro televisore Gaetana pensò che il ragionier Pautasso doveva essere impazzito a causa dei troppi anni trascorsi in banca a contare i soldi. Pensò che la richiesta del ragioniere meritava comunque di essere assecondata anche perché sembrava nascondere qualche intenzione positiva, dato che il ragioniere sorrideva come non gli era mai accaduto di vederlo sorridere da quando la famiglia Mattarozzi era cliente di quella banca.

Di solito quando un membro della famiglia Mattarozzi entrava in banca tutti gli impiegati si preoccupavano di evitare in ogni modo di entrare in contatto con lui, adesso il ragioniere sorrideva... Era un avvenimento... e desiderava vedere il loro vecchio televisore in bianco e nero!

Il ragioniere disse che sarebbe passato quella sera stessa a casa sua, se non disturbava.

Gaetana rispose che sarebbe stato il benvenuto.

Quando Gaetana informò i suoi parenti di quella visita tutta la famiglia entrò in fermento. Bisognava che la casa fosse in perfetto ordine. Il televisore subì un intervento di pulizia radicale, naturalmente senza spegnerlo. Sembrava nuovo: il ragioniere ne sarebbe stato impressionato favorevolmente.

Finalmente uno scampanellio annunciò l’arrivo del ragionier Pautasso. L’intera famiglia entrò in subbuglio. La famiglia Mattarozzi non era abituata a ricevere visite, in casa non c’era nulla da offrire, tutti erano convinti che quella visita non avrebbe portato a nulla di buono e che il ragioniere li avrebbe derisi parlando della loro famiglia ai suoi colleghi.

Fortunatamente il ragionier Pautasso era così ossessionato dalle manie di ordine e di pulizia di sua moglie che quando entrò nell’appartamento dei Mattarozzi ebbe l’impressione piacevole che si ha quando si respira una boccata di aria di montagna arrivando dal centro di una grande città. Gaetana invitò il ragioniere a sedersi sul vecchio sedile di una seicento che in casa Mattarozzi veniva utilizzato come divano.

Al ragioniere, che era appassionato di modernariato, l’impiego non convenzionale del sedile di una seicento parve un’idea fenomenale: decise che ne avrebbe cercato uno per il suo soggiorno, anzi pensò che poteva proporre alla famiglia che lo stava ospitando uno scambio equo tra un televisore a colori nuovo di fabbrica, un divano in pelle e il vecchio televisore e il sedile della seicento.

Quando il ragioniere formulò la sua proposta a Gaetana vennero le lacrime agli occhi. Per acquistare un televisore aveva rischiato di prostituirsi e ora le proponevano uno scambio così vantaggioso che stentava a crederci. Non sapeva come dire al ragioniere che accettavano l’offerta... Nonna Erminia risolse il problema dicendo che la avrebbero fatto comodo anche duecentomila lire per permettersi un visita dal dottor Carasalute.

Il ragionier Pautasso accettò volentieri la richiesta di nonna Erminia, convinto di avere concluso un buon affare. In pochi minuti si stabilirono i particolari dello scambio. Nonna Erminia chiese se poteva avere subito le sue duecentomila lire. Il ragioniere la accontentò e la nonna decise di andare dal dottor Carasalute quel giorno stesso.

Due piani più in basso rispetto all’appartamento della famiglia Mattarozzi viveva la signorina Verdi. Quel giorno Maddalena, nipote della signorina, stava spiegando a sua zia che era assolutamente necessario che accettasse di trasferirsi in un ricovero per anziani. Ne conosceva uno che faceva proprio al caso suo e che guarda caso disponeva di una camera libera e ottimamente esposta. La retta non era troppo cara e i pasti erano più che gradevoli. Una sua vicina di casa viveva da anni in quel posto e ci si trovava benissimo... Se voleva poteva trascorrervi un periodo di prova, dopo di che avrebbe deciso il da farsi... Naturalmente se l’ambiente non fosse risultato di suo gradimento nessuno l’avrebbe trattenuta, sarebbe stata libera di ritornare nel suo bell’appartamento. La signorina Verdi non sapeva proprio come rispondere alle proposte che la sua unica nipote le stava illustrando. Le parve di ricevere la notifica di un provvedimento di sfratto che poteva essere prorogata di qualche tempo, ma che prima o poi sarebbe diventata esecutiva. Si domandò se non sarebbe stato meglio non avere nipoti.

Infine disse che ci avrebbe pensato e che ne avrebbero riparlato al più presto. Pochi giorni dopo la signorina Verdi ebbe un piccolo incidente: mentre stava spolverando un lampadario cadde dalla scala e rimase distesa sul pavimento della sua cucina per due giorni. Un vicino di casa non vedendola entrare ed uscire di casa più volte al giorno come era solita fare pensò che la signorina fosse malata e ritenne opportuno avvisare l’unico parente della signorina che conosceva: sua nipote.

La nipote della signorina Verdi chiamò immediatamente i vigili del fuoco per scassinare la porta di casa. Una volta entrata nell’appartamento telefonò al pronto soccorso per richiedere l’invio di un’autoambulanza.

In ospedale i medici decisero che era opportuno trattenere la signorina Verdi per alcuni giorni, allo scopo di effettuare gli esami clinici indispensabili per stabilire le cause della caduta da lei subita.

La nipote ritenne opportuno che sua zia fosse assistita giorno e notte da una persona che le somministrasse i pasti e la accontentasse in ogni suo ultimo capriccio. Dopo tre giorni ritornò sulla sua decisione considerato che la signorina Verdi sembrava più in buona salute di quanto non lo fosse prima dell’incidente. Non era di certo il caso di scialacquare inutilmente tanto denaro che sarebbe stato più utile per pagare la retta del ricovero. Le persone di una certa età erano imprevedibili: potevano vegetare per anni e anni e le spese in tal caso non facevano che aumentare. Per la nipote della signorina Verdi la speranza di ereditare un discreto gruzzolo era letteralmente l’ultima a morire.

La salute della signorina migliorava di giorno in giorno finchè i medici decisero che non era più il caso di tenere occupato inutilmente un letto dell’ospedale.

Tornata a casa, la signorina Verdi cominciò ad avere paura della solitudine. Era un fatto strano per una persona che aveva trascorso da sola tutta la sua esistenza. Nella sua mente si insinuò il dubbio che fosse veramente giunta l’ora di trasferirsi in una casa di riposo. L’idea di abbandonare i suoi mobili, i suoi oggetti, la sua casa, era intollerabile. Durante la notte le accadeva di svegliarsi di soprassalto e di piangere a lungo, apparentemente senza motivo. Pensava agli oggetti che avevano accompagnato la sua esistenza e piangeva. Li aveva spolverati con cura per anni, li aveva posizionati in modo che ognuno potesse esprimere il meglio di sé, ricordarle uno dei piccoli eventi che avevano caratterizzato la sua esistenza.

Le sue amiche una dopo l’altra erano morte tutte, non le rimanevano che la sua casa, i suoi mobili. Piangeva perché si rendeva conto che perdere la sua casa era come perdere ogni contatto con la realtà. Doveva vendere tutto. Il ricavato della vendita era indispensabile per pagare la retta del ricovero, anche sua nipote ne conveniva. Per l’appartamento aveva già ricevuto delle offerte da persone evidentemente bene informate. Meno facile sarebbe stato disfarsi dei mobili. La signorina Verdi era convinta di possedere dei mobili degni del miglior negozio di antiquariato. Bisognava trovare qualcuno in grado di valutare correttamente ogni cosa.

Il signor Peretti, di professione rigattiere, spiegò alla signorina Verdi che i suoi mobili valevano poco o niente, che alcuni li avrebbe portati via soltanto per farle un favore, che sarebbero serviti tutt’al più per farne della legna da ardere. L’unico mobile che poteva valere qualcosa secondo il signor Peretti era un vecchio comò di stile peraltro indefinito. Cinquecentomila lire erano tutto quello che poteva offrirle, considerato che si sarebbe trattato quasi di un servizio di sgombero. Naturalmente avrebbe svuotato completamente l’appartamento, avrebbe ritirato anche le suppellettili più insignificanti. Conosceva un tale che gliele avrebbe ritirate per venderle nel corso di quei mercatini di cose vecchie che andavano tanto di moda, così si sarebbe rifatto delle spese di sgombero.

La signorina Verdi si permise di domandargli se per caso non sarebbe andato lui a vendere le sue cose al mercatino, poi lo salutò e gli spiegò che a quelle condizioni avrebbe preferito fare lei stesse della legna da ardere dei suoi mobili. Le suppellettili le avrebbe gettate dalla finestra a capodanno.

Il signor Peretti lasciò il suo biglietto da visita.

Consultate le pagine gialle, la signorina Verdi invitò altri tre antiquari. Il primo le offrì otto milioni, il secondo dieci milioni, il terzo dodici. Naturalmente ad aggiudicarsi i mobili e le suppellettili della signorina fu il terzo, il signor Vecchioni.

Purtroppo il signor Vecchioni non aveva intenzione di sgomberare del tutto l’appartamento, così la signorina Verdi invitò le sue vicine di casa ad approfittare dell’occasione, in particolare domandò alla signora Talenti, impiegata dell’architetto del piano di sopra, se non avesse bisogno di un cappotto di lana che nella casa di riposo non le sarebbe stato di nessuna utilità. Aveva anche dei bei piatti, alcuni davvero vecchi, di pregio; quelli da usare tutti i giorni li vendeva a duemila lire.

In casa Mattarozzi si stava festeggiando l’arrivo del televisore nuovo. Tutti volevano provare il telecomando. Il ragionier Pautasso non aveva badato a spese: aveva scelto un televisore con uno schermo così grande che persino nonna Erminia lo trovò esagerato rispetto alle dimensioni della stanza.

Era stato consegnato anche il divano che doveva sostituire il sedile della seicento. Casa Mattarozzi non era mai stata così elegante. Per festeggiare nonna Erminia riuscì a cucinare la sua famosa torta di mele. Tutti i membri della famiglia consumarono la loro porzione di torta di fronte al televisore: in quel momento tutte le reti trasmettevano la cerimonia di apertura della seconda edizione del "Grand’Expo".

Gaetana non era mai stata così felice. Forse Beppe sarebbe venuto a vedere le partite sul loro maxi-schermo! Sarebbe stato un ottimo pretesto per rinverdire quelle tradizioni di buon vicinato che negli ultimi tempi si erano perse del tutto e chissà che Beppe non fosse ritornato sulla sua decisione di snobbarla con tanta tenacia... Decise di invitare il suo vicino di casa ad assaggiare la torta della nonna, così Beppe sarebbe rimasto impressionato dalla presenza di quel bel televisore.

Beppe accettò l’invito. Aveva dimenticato la spesa dal droghiere e il suo stomaco cominciava a lanciare segnali poco rassicuranti. Quella torta capitava a fagiolo. Terminata la prima fetta di torta chiese se poteva averne un’altra... Gaetana gli spiegò che avevano riservato l’ultima fetta proprio per lui. Se proprio aveva fame potevano offrirgli un piatto di minestrone. Beppe accettò volentieri. Una cucchiaiata di minestrone finì sulla stoffa del divano... ma non se ne accorse nessuno... l’attenzione era catalizzata dal televisore.

- Hai visto che bel televisore? - Domandò Gaetana.

- Dove lo avete rubato?

- Non lo abbiamo rubato, lo abbiamo scambiato con il nostro vecchio televisore in bianco e nero. Il ragionier Pautasso è appassionato di televisori vecchi in bianco e nero.

- Sicuro che non lo avete rubato... non vorrei essere accusato di complicità nel caso mi trovassero qui.

- Stai tranquillo... Potrai venire ogni volta che vorrai...

- Difficile che mi capiti di dimenticare un’altra volta la borsa della spesa...

Fortunatamente Gaetana non capì il collegamento con la borsa della spesa, altrimenti ci sarebbe rimasta male. Lei a quel mascalzone voleva bene.

- Hai bisogno di una borsa per fare la spesa? Se vuoi ti accompagno...

- No, grazie... Volevo dire che devo andare a fare la spesa...

- A quest’ora i negozi sono tutti chiusi!

- C’è un supermercato che in questo periodo rimane aperto fino a mezzanotte...

- Dovrei fare la spesa anch’io!

Il telefonino di Beppe squillò. Era Federica, la nuova compagna di Beppe, che rimandava un appuntamento perchè non si sentiva bene. Beppe spiegò a Gaetana che doveva andarsene subito, che in fabbrica avevano bisogno di lui. Quando la sua ragazza non usciva Beppe ne approfittava per andare a giocare a carte con gli amici del bar. Quella telefonata era capitata proprio nel momento e nel posto giusto. Dieci minuti dopo Beppe era comodamente seduto a uno dei tavolini da gioco del bar Sport. Gaetana guardava la televisione pienamente soddisfatta dell’affare concluso con il ragionier Pautasso.

Il televisore della famiglia Mattarozzi era sintonizzato su Telequarantacinque. In quel momento tutte le reti televisive trasmettevano le immagini dell’inaugurazione della seconda edizione del "Grand’Expo". Nonna Erminia guardava con piena soddisfazione le immagini ad alta definizione e di dimensioni così grandi come non ne aveva mai viste.

Era la prima volta che riusciva a focalizzare in modo soddisfacente le immagini: per la commozione le vennero le lacrime agli occhi. L’ultima volta che si era commossa così fu il giorno in cui aveva saputo dell’eredità di nonno Piergiuseppe. La coscienza di una grande ricchezza accompagnata dall’impossibilità di usufruirne risultò traumatica.

Sullo schermo scorrevano le immagini di una folla immensa che si accalcava di fronte ai portali del grande palazzo. Naturalmente alla trasmissione era abbinato un concorso a premi. Tra la gente si trovava un famoso attore di telenovelle travestito da babbo Natale.

Il primo telespettatore che lo avesse riconosciuto e avesse telefonato all’apposita giuria avrebbe vinto un biglietto per visitare l’esposizione con ingresso privilegiato. Milioni di telespettatori stavano fissando con estrema attenzione le immagini televisive, ma di babbo Natale non c’era traccia. Di tanto in tanto compariva un sottotitolo che annunciava la prossima comparizione di Babbo Natale. Alla trasmissione era abbinata una sorta di colletta per i bambini che morivano di fame nel terzo mondo. Chi lo desiderava potva comunicare il numero della sua carta di credito e l’importo che intendeva donare. Sul teleschermo, in alto a destra, compariva la somma raggiunta grazie alla generosità dei telespettatori.

L’entusiasmo di Gaetana era grande. Dalla vita non desiderava nulla di più: un bel televisore, una famiglia che le voleva bene. Un giorno avrebbe insegnato tutto questo alla sua figliola. Giuseppina da parte sua non provava nessun entusiasmo nè per il nuovo televisore nè per il nuovo divano... Di tanto in tanto faceva i capricci: si metteva a ballare davanti al televisore nel disperato tentativo di attirare l’attenzione di qualcuno.

Come risultato dei suoi tentativi Giuseppina di solito riceveva uno scapaccione così forte che per almeno due giorni non tentava più di protestare per l’emarginazione di cui soffriva. Si sedeva in un angolo del cucinino con il viso rivolto verso il muro e immaginava di giocare a rimpiattino. Sulla parete, sporca e scrostata si disegnavano i suoi prati e i suoi amici immaginari. Non erano dei veri e propri prati come i suoi amici non erano dei veri e propri bambini e il gioco non era proprio il rimpiattino che tutti conosciamo... Giuseppina aveva un’idea assai vaga di tutte queste cose, la sua mente si sforzava comunque di realizzarle su di quella parete.

Sullo schermo era finalmente comparso Babbo Natale, seminascosto dalla folla. Tutta la famiglia entrò in stato di eccitazione, come milioni di altri telespettatori. Sicuramente i telespettatori forniti di elaboratori in grado di ingrandire particolari zone dello schermo sarebbero stati avvantaggiati.

Tra la barba e il cappello non rimanevano evidenti che pochi lineamenti del volto del presunto attore famoso. Ogni membro della famiglia Mattarozzi era convinto di sapere di chi si trattava. Purtroppo la famiglia non disponeva di un apparecchio telefonico, né degli spiccioli per andare a telefonare dalla più vicina cabina telefonica. Beppe non era in casa, quindi non era neppure possibile chiedergli la cortesia di poter usare il suo telefono. Gaetana concluse filosoficamente che in ogni caso qualcuno aveva già telefonato e scoperto la vera identità di Babbo Natale.

In effetti sul teleschermo comparve una scritta in sovrimpressione che rivelava l’identità dell’attore famoso e il nome del telespettatore che lo aveva riconosciuto. La scritta diceva anche che sarebbe comparso nelle prossime ore di trasmissione un cantante famoso negli abiti di Melchiorre. La tensione dei telespettatori non doveva assolutamente scemare. Era importante che l’indice di gradimento risultasse ai massimi livelli per mantenere elevata la redditività degli spazi pubblicitari.

Nella piazza antistante il palazzo la tensione aveva ormai oltrepassato ogni limite. Gli aspiranti visitatori, frustrati nel loro desiderio di visitare l’esposizione cominciavano a manifestare segni di nervosismo. La direzione della manifestazione aveva deciso che il flusso dei visitatori in ingresso al grande palazzo doveva essere in qualche modo rallentato. La piazza doveva, per necessità televisive risultare sempre piena zeppa di persone. La coda delle persone che entravano nel palazzo risultava di conseguenza interminabile. Qualcuno cominciava sospettare che gli organizzatori della manifestazione avessero preparato quella messa in scena soltanto per scopi commerciali. A volte gli esseri umani dimostravano di essere veramente degni della loro tanto decantata intelligenza. Qualcuno cominciava a pensare che se pure il mercato era molto importante non per questo ci si poteva burlare impunemente della gente. Stava nascendo un nuovo movimento il cui fine era distruggere il grande palazzo delle esposizioni.

- Io quel palazzo lo distruggo... - disse uno.

- Se vuoi ti do una mano...- disse un’altro.

Non a caso si trattava di due piccoli commercianti furiosi nei confronti della grande distribuzione.

Lo spirito di ribellione si estese a poco a poco a centinaia di persone presenti nella piazza. Già si cominciavano a gridare i primi motti. Gli idranti del sevizio d’ordine si preoccuparono immediatamente di raffreddare gli entusiasmi rivoluzionari. Petardi lacrimogeni colpivano con estrema precisione le zone della piazza nelle quali si erano manifestati i primi propositi di ribellione. In pochi minuti gli anticonformisti vennero ridotti all’impotenza e allontanati dalla piazza. Le telecamere nel frattempo riprendevano in primo piano i pochi visitatori che riuscivano ad accedere all’esposizione. Naturalmente costoro sorridevano per la soddisfazione di avere raggiunto il loro obiettivo. Pagare per vedere tutto ciò che si è sempre desiderato ma che raramente ci si è potuto permettere sembrava la massima aspirazione dell’essere umano.

Qualcuno avrebbe detto che cercava soltanto delle idee. Le idee e gli ideali sembravano in effetti essersi smarriti da tempo. La democrazia era il bene supremo, ma nessuno considerava elegante mettere in discussione il mercato.

Era domenica. Quando Marco suonò il campanello di casa Alinari sia Mara sia la dottoressa dormivano. Ad aprire la porta venne la dottoressa Alinari recando in viso un’espressione stupita.

- ... ma è vero... avevamo organizzato una gita e oggi è domenica... che sbadate! ce ne eravamo completamente dimenticate!

- Se disturbo posso ritornare più tardi!

- ...ma no!... ma no!... non viene mai nessuno a trovarci... è un vero piacere che tu ti sia ricordato di noi... Se non hai ancora fatto colazione possiamo farla insieme!... per cortesia vai a svegliare Mara...

- Chi? Io?

- Certo, non fare il timido, probabilmente è già sveglia... indugia al calduccio sotto le coperte.

- In che stanza devo andare?

- Nell’altra stanza... è un bilocale, non puoi sbagliare.

Mentre la dottoressa si accingeva a preparare la colazione Marco entrava con estrema cautela nella stanza dove presumeva che Mara dormisse. Temeva soprattutto che la sua giovane amica svegliandosi di soprassalto si spaventasse trovandosi di fronte un volto inatteso. Fortunatamente Mara non dormiva, fingeva di dormire. Marco dovette avvicinarsi al letto di Mara. Quando Marco stava chinandosi per sussurrarle il buongiorno Mara finalmente aprì gli occhi, Marco si ritrasse come colto di sorpresa mentre si tenta di fare qualcosa di cui ci si vergogna.

- Non mi dai il bacio che volevi darmi?

Mentre Marco si chinava per baciare sulla fronte la sua amica, Mara lo afferrò con forza trascinandolo nel letto accanto a sé. La tenera ingenuità di Mara ne aveva combinata un’altra delle sue. Si comportava come una bambina che gioca con il suo fratellino.

- La colazione è pronta!

Marco, rosso in viso fu il primo a scendere dal letto. La dottoressa lo aveva salvato da un terribile imbarazzo. In cucina la dottoressa domandò a Marco dove le avrebbe condotte in gita.

- Ci ho pensato tutta la notte, ma non mi è venuto in mente nessun posto interessante. Potremmo fare un giro in bicicletta, conosco una strada di campagna poco frequentata dalle automobili.

- Non abbiamo le biciclette. Conosci qualcuno che le noleggi?

- No.

La dottoressa disse che la sua vicina di casa poteva senz’altro prestarle una bicicletta, lei sarebbe rimasta in casa, aveva del lavoro da sbrigare per il giorno dopo.

Marco protestò. Temeva di non essere in grado di prevedere le situazioni in cui Mara si sarebbe potuta cacciare nei guai a causa della sua spontaneità eccessiva.

Infine Mara e Marco partirono per la loro gita in bicicletta. Si scambiavano dei sorrisi, sembrava che giocassero a chi sorrideva di più. Dopo alcuni minuti raggiunsero la strada di campagna poco frequentata. Nonostante fosse domenica i contadini stavano approfittando della bella giornata per irrorare le piante da frutta con gli antiparassitari migliori. In altre circostanze Marco avrebbe invertito la direzione di marcia e se ne sarebbe ritornato a casa. Anzi, propose a Mara di sedersi su di una panchina per riposare qualche minuto. Quando si furono accomodati sulla panchina passò proprio dietro di loro un atomizzatore in funzione che irrorò oltre le piante da frutta anche i nostri amici. Marco non si accorse di nulla: fu Mara a domandarsi se non fosse meglio cercare una panchina in una posizione meno rischiosa.

Marco cominciò a provare dolori piuttosto forti allo stomaco. Non era nulla di grave, ma cominciò a preoccuparsi, quindi il dolore gli pareva ingigantirsi di momento in momento. Mara propose di rientrare, avrebbero continuato la gita un’altra volta.

La signorina Verdi era finalmente riuscita a vendere tutto quello che possedeva tranne le poche cose che poteva portare con sé nel ricovero. Una vicina di casa le chiese se non le dispiaceva abbandonare la sua casa, gli oggetti che avevano accompagnato la sua vita.

La signorina rispose con decisione che la miglior difesa era l’attacco, che era meglio andarci di propria volontà che non con l’autoambulanza quando qualcuno avesse deciso che non ne poteva più fare a meno.

Il volto della nipote della signorina, quando venne a prenderla per accompagnarla al ricovero, esprimeva una certa soddisfazione. Credeva che il merito di quanto stava accadendo fosse tutto suo. Naturalmente promise che sarebbe andata spesso a trovarla al ricovero... che avrebbero chiacchierato a lungo insieme... che sarebbe venuta a prenderla per farle trascorrere le feste insieme alla sua famiglia... che se avesse avuto bisogno di qualcosa non avrebbe dovuto fare altro che telefonarle e lei si sarebbe precipitata immediatamente...

Alla casa di riposo "Gianna e Luigi" tutto era pronto per accogliere il nuovo ospite. Il letto che avrebbe dovuto occupare la signorina Verdi era appena stato rassettato; l’armadietto era stato arieggiato per evitare che vi si ravvisasse uno sgradevole odore di chiuso e il comodino era stato disinfettato con l’alcool. La signora Valero, futura compagna di stanza della signorina Verdi, era stata avvisata. Aveva accolto la notizia con rassegnazione. Non poteva pretendere di disporre a suo piacere della stanza, né di scegliere le sue compagne di stanza. La signora Valero aveva già conosciuto sette compagne. Era stata fortunata: erano state tutte di buon carattere e così sperava che fosse la signorina Verdi. Da quando era morto il suo migliore amico, un signore che tutti soprannominavano Gesù, non provava più nessun piacere nello scorrere monotono delle sue giornate. Di continuo ricordava a se stessa che la scelta di trascorrere i suoi ultimi anni in una casa di riposo era stata giusta, che poteva vantarsi di essere una delle poche persone che erano giunte in quel luogo di loro spontanea volontà. Se la signora Valero si fosse detta la verità sarebbe ritornata a vivere nella casa che aveva lasciato a sua figlia.

Sarebbe bastato un invito occasionale di sua figlia per farle confessare il suo bisogno di ritornare nella sua vecchia casa. A trattenerla era infatti soltanto il timore che sua figlia si fosse sentita obbligata controvoglia a riprendersi in casa la vecchia madre proprio quando gli anni cominciavano ad essere veramente inclementi.

Caterina, la figlia della signora Valero, avrebbe invitato volentieri sua madre a ritornare a vivere con lei se soltanto avesse sospettato la sua sofferenza interiore. Purtroppo la collezione di scarpe della quale andava fiera impegnava gran parte delle sue giornate tant’è che spesso dimenticava persino di andare a trovare sua madre almeno una volta al mese.

La signora Valero non lamentava la scarsa attenzione che sua figlia le dedicava. Pensava che era giusto che i giovani vivessero la loro vita come lei la aveva vissuta: in modo indipendente e in compagnia dei suoi migliori amici.

Si poteva dire che la signora Valero era vittima delle sue stesse idee. Aveva deciso che ad una certa età era meglio ritirarsi in un ricovero senza considerare che ogni persona giunge con differenti capacità fisiche e intellettive agli anni della vecchiaia. La sua cocciutaggine le impediva di ritornare sulle sue scelte...

Quando la signorina Verdi scese dall’automobile di sua nipote la direttrice della casa di riposo si trovava proprio di fronte alla porta di ingresso dell’edificio.

La nipote fece le presentazioni.

Sin dal suo primo giorno di lavoro alla casa di riposo "Gianni e Luigia" la signora Bortolotti, ora direttrice, ripeteva le stesse frasi ai nuovi ospiti. - Benvenuta signorina. Mi auguro che qui con noi possa trovarsi bene come a casa sua...

- Come a casa mia non credo che sia possibile...

- La nostra residenza è come una grande famiglia, ci vogliamo tutti bene...

- Spero proprio che sia come dice lei... di solito non sono così ottimista.

- Immagino che il viaggio vi abbia stancate... posso offrirvi qualche cosa da bere? Oggi fa così caldo che non si riesce a togliersi la sete.

Quando Mara e Marco rientrarono la dottoressa Alinari non era più in casa. Che avesse già terminato tutto quel lavoro che diceva di dover sbrigare?

Sul tavolo della cucina c’era un biglietto scritto dalla dottoressa che invitava Mara a cenare senza attenderla, che c’era stato un imprevisto e che le avrebbe spiegato l’indomani.

Marco provava ancora dei forti dolori allo stomaco: Mara gli propose di distendersi sul letto. Finirono con il distendersi entrambi sul letto, con grande imbarazzo di Marco. Il letto era sufficientemente ampio, c’era posto forse anche per tre persone... Mara però riteneva che la cosa migliore da farsi fosse massaggiare lo stomaco e bere una tazza di latte. Marco chiese se in casa non c’era una radio. Aveva bisogno di distrarsi.

La dottoressa Alinari possedeva soltanto dei libri... Bastava allungare una mano per afferrarne uno. "Adagio un poco mosso" era il titolo del libro che Marco aveva preso da un mucchio che si trovava proprio vicino al letto.

In qualità di commesso di libreria non ebbe bisogno di leggere il nome dell’autore per sapere che si trattava di Elena Gianini Belotti. Perché mai la dottoressa Alinari non possedeva degli scaffali per riporre i suoi libri? Forse non aveva mai avuto il tempo di occuparsene, oppure a forza di acquistare libri non le rimanevano i soldi per acquistare i mobili. Incuriosito domandò a Mara quale fosse la ragione di quello strano modo di disporre i libri.

Mara gli spiegò come l’appartamento fosse stato affittato ammobiliato e che gli unici mobili che vi si trovavano erano quelli della cucina. Il letto era l’unico mobile di proprietà della dottoressa.

Marco e Mara non avevano niente da dirsi. Marco pensò che era una vera fortuna il fatto di non sentirsi bene, così non era costretto a trovare delle parole per evitare quel silenzio imbarazzante. Quando Mara gli sporse la tazza di latte caldo che gli aveva preparato fu costretto a posare il libro che aveva cominciato a leggere. Si sentì come un’onda in mezzo al mare: a suo agio, ma con un certo capogiro... Lo stomaco lanciava segnali che sarebbe stato meglio non sottovalutare.

Mara aveva appena convinto Marco a giocare una partita di scacchi quando vide il suo compagno di gioco svenire sulla scacchiera.

Pochi minuti dopo un’ambulanza era sotto casa e Marco si trovava su di una barella nonostante fosse rinvenuto e si sentisse meglio. Il medico aveva deciso che era opportuno effettuare alcuni esami in ospedale. Mara scrisse frettolosamente un messaggio per la dottoressa Alinari dopo di che seguì Marco in ospedale. Ormai aveva capito che i suoi comportamenti potevano essere considerati eccentrici o anormali, quindi cercò di parlare il meno possibile e di rivolgere la sua attenzione soprattutto a Marco. Si rendeva conto del fatto per cui disporre di una cultura superiore alla media potesse causare negli altri l’impressione di trovarsi di fronte a un caso di follia. Per di più a Mara mancava del tutto l’esperienza della realtà. Aveva assolutamente bisogno di un amico che la accompagnasse in una società che per lei era tutta da scoprire anche se virtualmente la conosceva molto bene.

Era preoccupata. Il medico aveva detto che non si trattava di un’intossicazione grave, ma la sua mente scopriva proprio in quel momento che cose significasse essere in ansia per qualcuno a cui si è legati da un sentimento di affetto. Scoppiò in lacrime. Soltanto quando Marco le fece notare che stava esagerando riuscì a smettere.

In ospedale quando incontravano un paziente dall’aspetto particolarmente sofferente a Mara venivano i brividi e le lacrime agli occhi. Avrebbe voluto poter fare qualcosa per tutte quelle persone che soffrivano.

Marco la prese per mano.

Gaetana decise di impegnarsi nella ricerca di un lavoro. Non era la prima volta che prendeva una decisione di tal genere e probabilmente non sarebbe stata l’ultima. Il pensiero di quell’eredità inutilizzabile aveva acuito il dolore provocato dai suoi sogni, dal suo desiderio di vivere in una casa più grande, di educare la sua figliola facendole frequentare tutti quei corsi che frequentavano le sue coetanee. I corsi di nuoto, di sci, di ballo, di musica erano ormai così diffusi che a giocare sotto casa non scendeva più nessuno. I genitori spendevano centinaia di migliaia di lire nella speranza che i loro figli imparassero tutte quelle cose che loro stessi non avevano avuto il tempo di imparare.

Nonostante il quartiere dove risiedeva la famiglia Mattarozzi fosse un quartiere popolare uno dei corsi più diffusi era il corso di recitazione. Forse un giorno quei ragazzini sarebbero stati in grado di recitare la parte dei benestanti e dei benpensanti pur non essendolo affatto. L’agenda di Mirko, uno dei fratellini Birichini che abitavano al primo piano, era così densa che non gli rimanevano che pochi minuti al giorno, verso sera, per fare i compiti e studiare. Quando la maestra lamentava la sua scarsa partecipazione alle lezioni e gli scarsi risultati ottenuti i suoi genitori insorgevano sostenendo che Mirko non poteva andare male a scuola dato che era bravissimo in tutte le attività che svolgeva nel tempo libero. Frequentava persino un corso di ricamo, a causa dell’idea fissa di sua madre per cui non era giusto che a ricamare fossero solo le bambine. In realtà questa idea nascondeva il desiderio nascosto della signora Birichini di avere una figlia. Purtroppo non potevano permettersi una quarta gravidanza, i costi relativi avrebbero gravato pesantemente sul bilancio famigliare.

Tutto ciò naturalmente non riguardava né il futuro né il presente della famiglia Mattarozzi, ma l’invidia per il tenore di vita dei vicini era intollerabile. Soltanto un buon posto di lavoro poteva restituire a Gaetana un po’ di goia di vivere, il sottile piacere di passeggiare di fronte alle vetrine domandandosi che cosa poteva comperare per sè e per la propria figlioletta, per nonna Erminia. Acquistando un’automobile di seconda mano avrebbero potuto fare delle gite, visitare i paesi vicini, andare a trovare i parenti lontani.

Forse sarebbero potuti arrivare fino al mare, indossare il costume da bagno e giocare con le onde. A Giuseppina avrebbe fatto bene.

Immaginava il piacere di ritornare a casa la sera dopo una dura giornata di lavoro e di trovarvi ad accoglierla Giuseppina impaziente di raccontarle le cose che aveva imparato al corso di nuoto o di ricamo. Se avesse trovato un lavoro si sarebbe potuta permettere una visita almeno una volta al mese dal dottor Carasalute. Ci avrebbe portato anche nonna Erminia. Certo, avrebbe perso gran parte della sua libertà, ma la qualità della vita dell’intera famiglia sarebbe migliorata. A Giuseppina non sarebbe più mancata la crema di cioccolato alle nocciole che le piaceva tanto.

Gaetana pensò che bisognava pubblicare un annuncio sul giornale cittadino. Si recò immediatamente alla sede del "Paginone" dove la accolsero a braccia aperte per cacciarla pochi secondi dopo quando capirono che Gaetana non aveva una lira in tasca.

Possibile che nessuno avesse intenzione di pubblicare gratuitamente un annuncio di quel genere?

- Se non ha i soldi se li faccia prestare da qualcuno...- Aveva risposto l’impiegata.

Gaetana si ricordò di un suo ex compagno di scuola che aveva costituito una finanziaria, o qualcosa di simile. Non rimaneva altro da fare che cercare il suo indirizzo sulle pagine gialle e andarci subito.

Germano Dolcezza dormicchiava sulla sua scrivania quando Gaetana bussò alla sua porta. Aveva la digestione lenta: dopo pranzo gli capitava sovente di addormentarsi con il capo dolcemente appoggiato sulle pratiche che si era prefissato di sbrigare.

- Avanti...

Gaetana entrò nello studio. Germano non la riconobbe. Eppure erano stati nello stesso banco per molti, lunghissimi giorni di scuola. Qualche volta aveva anche allungato le mani.

- Desidera?

- Non ti ricordi di me?

- No.

- Gaetana, la tua compagna di banco...

- Ti trovo un po’ invecchiata...

- Non mi pare che tu sia in piena forma... che fine hanno fatto i tuoi capelli?

- Brutta fine... Se sei venuta a trovarmi immagino che tu abbia bisogno di soldi...

- Pochi.

- Quanti?

- Vedo che vai subito al sodo, come ai vecchi tempi... Mi servono i soldi per pubblicare un annuncio sul giornale fra le domande di lavoro...

- Come pensi di restituirmi i soldi se poi non trovi un lavoro?

- Posso fare le pulizia a casa tua finchè non avrò estinto il mio debito...

- Come garanzia non mi pare un gran chè, ma il mio mestiere mi spinge a correre dei rischi, poi in qualche modo devo sempre cercare di risolvere i problemi che ne derivano.

Quanto ti serve per pagare l’annuncio?

- Centomila lire.

Germano scrisse l’importo in uno spazio appositamente in bianco di un contratto già predisposto e chiese a Gaetana di apporvi una firma in fondo. Dopo di averle consegnato due banconote da cinquantamila lire si congedò da Gaetana affermando di avere ancora molte pratiche da svolgere nel corso della giornata.

Contenta, Gaetana corse alla redazione del "Paginone". L’impiegata addetta agli annunci aiutò Gaetana a formulare il suo annuncio nel migliore dei modi riuscendo persino a farle risparmiare alcune migliaia di lire. Gaetana ne approfittò per acquistare il dolce classico di quel periodo dell’anno: le "bugie".