Le Leggende
 
Leggenda popolare sulla nascita di Busachi
 
Una leggenda popolare narra che, il primo insediamento umano nel paese, avvenne ad opera di un certo “Perdu Busu” proveniente da Oliena. Egli avrebbe costruito un ovile per le sue pecore nella zona detta ancora oggi “S’Olianesa”. Quì, in seguito, sarebbero sorte le prime case del futuro paesino e la chiesa intitolata a S. Pietro. Il luogo di provenienza del pastore (Oliena) avrebbe dato il nome alla località ove egli si insediò e dal suo cognome (Busu) sarebbe derivato il nome Busachi. Infine al suo nome (Perdu) si dovrebbe l’invocazione della chiesa di S. Pietro (chiesa ormai scomparsa).
 
Leggende su Santa Susanna
 
Su Santa Susanna esistono alcune leggende in versioni non sempre concordanti. Una di queste riguarda le piccole ciotole in ceramica poste al di sopra del portone d’ingresso della chiesa. Secondo tale leggenda un venditore di ceramiche si fermò davanti alla chiesetta della Santa e affermò di non essere credente della Madonna. A queste parole si alzò un forte vento e sollevò alcune ciotole che andarono a incastonarsi sopra il portone. Questo come monito per i non credenti e invito a una fede più salda.

Un’altra leggenda, le cui notizie sono frammentarie, narra che la statua di Santa Susanna, appartenente al paese di Moddamene sarebbe stata portata via dagli abitanti di Ardauli. La statua sarebbe però tornata indietro da sola, fermandosi su quella che i busachesi chiamano “sa perda ‘e Santa Usanna” (la pietra di S. Susanna) posta a qualche centinaio di metri dall’omonimo villaggio.

 
 
Il nuraghe dl Santa Marra
 
Intorno al nuraghe di Santa Marra è nata una leggenda, alimentata dalla fervida fantasia popolare. Dice la leggenda che un contadino busachese, tale Battista Cau, sarebbe vissuto verso il 1813, l’anno della grave carestia diffusa anche in Sardegna per effetto di una lunga siccità, dopo il blocco napoleonico. Il Cau avrebbe confidato a un amico che il nuraghe conservava un immenso tesoro, posto sotto la protezione degli spiriti maligni. L'amico, il pastore Salvatore Pala da Campu Maiore, sarebbe andato a consultarsi con una stregona del Marghine, poi, trovato il tesoro, avrebbe tentato di tenerselo interamente per sè. Ma sarebbe stato punito dagli spiriti e scomparso dentro il nuraghe. Ora intorno a quei massi si sentirebbero parole come queste:
“Chie tottu ddu chere, tottu ddu perde” (chi tutto vuole, tutto perde).
 
La grassazione di donna Peppicca... una storia che sa di leggenda
 
Con la nascita del regno d’Italia si ebbero in Sardegna episodi di banditismo, ora conseguenza ritardata di un forte disagio economico, ora esplosione di delinquenza comune. La nobile Peppicca Mura di Samugheo viveva a Busachi in cospicua agiatezza. In una notte di plenilunio (ottobre 1867) ebbe circondata la casa da un forte gruppo di malviventi: abitava nel rione superiore del paese, in quei vasti locali dell’ex-Comune. Rapidamente una parte di quella cinquantina di uomini armati circondò la caserma e tolse ai tre carabinieri di stanza la possibilità di muoversi; un’altra parte occupò le strade di accesso di Busachi "de susu". E mentre il capo della banda scorrazzava sul suo cavallo per le strade del rione e gridava:

Tenide firma sa posta de noe! Ne bessas foras, Busacche, chinissa!” (State fermi sul posto, non uscite fuori, Busachi cenere),

il vice capo col suo gruppo agì contro la nobildonna atterrita e le richiese tutto il denaro che possedeva: assicurava, in contraccambio, rispetto per lei e le sue domestiche. Poi, in tutta fretta, mise ad arroventare nel fuoco della cucina un grosso treppiede: monito e minaccia, allo stesso tempo.
La ricca signora per evitare il “seggio della verità” dovette consegnare le sue monete, circa 40 mila lire, che giacevano parte in oro, parte in argento e parte in rame, dentro tre distinti cesti di giunco, coperti rispettivamente da uno strato di fave, di ceci, di orzo. I “graditi gentiluomini” ringraziarono -Peppicca s’ape chi fae mele- (l’ape che fa miele), e se ne andarono.
La spartizione della somma rubata avvenne cinque ore dopo, sotto un albero e alla luce di un gran fuoco, previa una generosa bevuta di acquavite. Episodio eccezionale: sopra uno degli alberi circostanti a quello della spartizione stava, non visto, appostato per la caccia al cinghiale, un viceparroco di Ortueri, don Sebastiano Mura. (Tratto da "A dir di Sardegna" di Raimondo Bonu).
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