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Sergio Levêque
Dalla maglietta al cervello
(il pensiero politico del “Che”)
Introduzione
Questo libro vuole essere uno strumento per tutti coloro che si sono avvicinati alla figura del “Che” solo attraverso l’iconografia classica, senza la possibilità di approfondire i contenuti del suo pensiero. Il “Che” è entrato nel mito per il suo alone leggendario, per le mille battaglie combattute, per la sua immagine quasi mistica, come ce la tramanda la fotografia di Alberto Korda.
La cosa triste è che molti tra quelli che ammirano la figura del guerrigliero eroico non conoscono gli aspetti fondamentali del contributo teorico lasciato a tutto il movimento antimperialista.
Ho addirittura conosciuto sedicenti comunisti che ritenevano Guevara un mito stereotipato e inutile, una figura di basso profilo, da inquadrare in un’ottica terzomondista; altri lo bollano come utopista, idealista che ha pagato con la vita il suo distacco dalla realtà. Anche a queste persone è rivolto il libro, sperando che si superino le superficiali etichette attribuite al maggiore pensatore rivoluzionario della seconda metà del XX secolo. Il titolo è una piccola provocazione, il voler far passare, da milioni di magliette e poster e bandiere, direttamente alle coscienze il pensiero del Comandante Ernesto Guevara de la Serna, detto il “Che”è invece il fiero proposito che mi ha spinto a scrivere.
4/7/28 Nasce a Rosario, in Argentina. A due anni contrae l’asma che gli sarà fedele nemica fino all’ultimo. Un’asma che secondo i medici lo rende non idoneo al servizio militare ma che non impedirà al guerrigliero eroico di distinguersi in mille battaglie.
1945 Si trasferisce nella capitale dove inizia a studiare medicina
1951-52 Primo viaggio per l’america latina con Alberto Granado
1953 si laurea e riparte per un secondo viaggio. Non tornerà mai più in Argentina.
1954 Assiste impotente al golpe in Guatemala
1955 È in Messico, dove conosce un gruppo di esuli cubani che progettano una rivolta armata contro Batista
25/11/56 Parte con altre ottantuno persone per liberare Cuba
2/1/59 Batista fugge e il Che entra vittorioso all’Avana
29/11 È nominato presidente del Banco Nacìonal e
l’anno dopo ministro dell’industria. Sono gli anni del rivoluzionario Pensamiento
economico.
1960 Compie un viaggio nei paesi socialisti
1963 Va in Algeria dove stipula accordi per la collaborazione alle lotte di liberazione africane
1964-65 Interviene all’ONU e al seminario economico di Algeri pronunciando degli storici discorsi di denuncia Antimperialisti. Entra in clandestinità per partecipare ad altre lotte di liberazione.
Non apparirà più in pubblico. Parte per il Congo
1966 Dà inizio alla guerriglia in Bolivia
8/10/67 Viene ferito e catturato nella gola del Yuro a Vallegrande. Lo portano a La Higuera dove sarà giustiziato senza processo per ordine della CIA
.
Un murales cubano
Un adolescente argentino di nome Ernesto
Guevara de la Serna
Il “Che” nasce
in una famiglia progressista, dalle larghe vedute. Fin da piccolo si dedica con
grande passione allo studio, tanto che a quattordici anni conosce Freud,
Neruda, London, Baudelaire, Jung e molto altro. A quindici anni (1943) inizia a
cimentarsi con quelle letture che saranno determinanti nello sviluppo delle sue
convinzioni: Gandhi, Marx ed Engels. Nello stesso anno c’è un golpe militare,
ed Ernesto dice in classe “I militari non danno la cultura al popolo, perché
altrimenti sarebbero rifiutati”. Quest’uscita gli costa una severa lavata
di capo da parte della spaventatissima maestra, ma ormai il suo antimilitarismo
è radicato e niente può fargli cambiare idea. Singolare è anche il colloquio
con l’amico Alberto Granado, mentre questi è in carcere per lo sciopero
antigolpista. Alberto dice ad Ernesto di prendere la parola al suo posto
durante le successive manifestazioni, e la risposta del giovane Guevara è: “Io
in piazza contro i militari non ci vado senza uno schioppo!”. In ogni caso
per lui la politica rimarrà un’attività secondaria, in quegli anni, anche se
prenderà parte ad alcune manifestazioni. Nel 1948 si iscrive a medicina, dopo
un breve trascorso ad ingegneria. Studia moltissimo, ma studia ciò che più lo
attrae: psicologia, alcuni argomenti di medicina (quasi mai attinenti ai suoi
corsi) e ciò lo porta a cogliere risultati non certo brillanti nel primo
periodo di studio, creando tensioni con la sua famiglia. In seguito le cose miglioreranno,
ma ormai Fuser[1] ha deciso che non
accetterà più soldi dai suoi, e comincia a vivere esercitando vari mestieri.
Alla fine del 1951 parte con Alberto per
un viaggio in motocicletta alla scoperta del Sudamerica. Sarà in questo viaggio
che toccherà con mano la condizione degli sfruttati, e da qui nascerà la sete
di giustizia che lo contraddistinguerà quando sarà un capo rivoluzionario. Le
testimonianze dirette della sua maturazione ci sono fornite dal suo diario,
alla fine del quale scrive che il suo futuro è
di combattere per la libertà degli oppressi. L’undici aprile del 53 si
laurea e comunica ai suoi che partirà
per il Venezuela. Alla stazione si congeda con una frase emblematica: “Aquì
vas un soldado de America” Il tono generale delle sue esternazioni è ancora
quello di un giovane, ribelle e un po’ fanfarone, ma lascia comunque trasparire
una grande determinazione, come nella lettera alla zia Beatriz spedita dal
Costarica, dove dice di essere passato per i domini della United Fruit,
convincendomi una volta di più di quanto siano terribili queste piovre
capitaliste. Ho giurato davanti all’immagine del caro e compianto compagno
Stalin che non avrò pace finché non le vedrò annientate. In Guatemala mi
perfezionerò e otterrò quanto mi manca per essere un rivoluzionario autentico.
Ti abbraccia il tuo nipote con la salute di ferro, lo stomaco vuoto e la lucida
fede nell’avvenire socialista. Sarà proprio il Guatemala una delle tappe
fondamentali, perché lì assisterà impotente al rovesciamento di Jacobo Arbenz.
Nella lettera a Beatriz del 28/2/54 scrive: per quanto riguarda la politica,
la mia posizione non è in alcun modo quella di un dilettante chiacchierone; ho
preso decisamente posizione per il governo e al suo interno per il partito
comunista. Quando poi la situazione precipita, il 20/4, scrive ai suoi: Gli
yankees hanno lasciato cadere definitivamente la maschera Roosveltiana di buoni
e stanno commettendo ogni sorta di soprusi. Se le cose arriveranno al punto che
si dovrà lottare contro aerei e truppe inviati dagli USA, si combatterà. Il
morale del popolo è molto alto e attacchi spudorati uniti alle menzogne della
stampa internazionale, hanno avvicinato al governo tutti gli indecisi, e c’è un
autentico clima da battaglia. Io sono già stato assegnato alle brigate
giovanili. Il 4/7, alla resa: Dopo l’aggressione dell’Honduras e senza
dichiarazione di guerra gli aerei sono venuti a bombardare la città. Eravamo
completamente indifesi, giacché non avevamo aerei, né artiglieria antiaerea, né
rifugi. Ci sono stati dei morti, pochi. Il panico, però, si è impadronito del
popolo e soprattutto del “valoroso e leale esercito del Guatemala”. Una
missione militare nordamericana si è incontrata con il Presidente e lo ha minacciato
di ridurre il paese a un cumulo di macerie in forza dei patti di collaborazione
tra USA, Honduras e Nicaragua. I militari se la sono fatta addosso e hanno
posto un ultimatum ad Arbenz. Questi non ha pensato che la città era piena di
reazionari e che le case che si sarebbero perse erano le loro e non quelle del
popolo, che non ha niente e difende il governo. Non pensò che un popolo in armi
è una forza invincibile, nonostante l’esempio della Corea e dell’Indocina.
Avrebbe potuto dare le armi al popolo e non volle, e questo è il risultato. Dal
Guatemala Ernesto passa in Messico da dove, il 29/9, fa un’interessante analisi
dell’esperienza guatemalteca nella lettera all’amica Tita Infante: Siamo
caduti come la repubblica in Spagna, ma con meno dignità. Da qui guardo
alle cose con una prospettiva diversa e comincio a rendermi conto che il
Messico ha recitato in questa commedia la stessa parte toccata alla Francia in
quell’altra. Il clima che si respira è completamente diverso da quello del
Guatemala. Anche qui si può dire quello che si vuole, ma a condizione di
poterlo pagare da qualche parte: si respira cioè la democrazia del
dollaro. Francamente, preferisco andare tra le rovine e non dover ascoltare da
uno dei migliori poeti del Messico che fu una pazzia per il Guatemala
“civettare con la Russia”. Il nemico del Guatemala sarebbero stati i comunisti;
si sono già dimenticati chi pagò gli aerei e chi ha collocato il fantoccio che
vi è ora e tutti gli altri. In Messico Ernesto scrive i suoi primi articoli
politici, nei quali vediamo che le sue analisi sono da autentico
marxista-leninista, pur non mancando di originalità. In “La classe operaia
degli USA, amica o nemica?”scrive che lì, le contraddizioni tra capitale e
lavoro non esplodono perché i padroni investono parte del plusvalore estorto ai
paesi latinoamericani ed asiatici per tenere buono il proletariato; ciò rende
facile giustificare agli occhi del popolo lo sfruttamento magari dietro facili
slogan anticomunisti. Testualmente: Lo sviluppo economico degli USA e la
necessità dei lavoratori di conservare il proprio livello di vita sono i
fattori per i quali, in termini conclusivi, la lotta di liberazione non si
rivolgerà contro un regime, ma contro una nazione che difende compatta le sue
conquiste egemoniche sull’America latina. Prepariamoci, quindi, a lottare
contro tutto il popolo degli USA, e i frutti della vittoria non saranno solo la
liberazione economica e l’eguaglianza, ma anche l’acquisizione di un fratello
minore: il proletariato degli Stati Uniti. Le scelte sono fatte, Ernesto sa
che le sue azioni successive saranno finalizzate alla liberazione degli
oppressi e alla rottura del giogo nordamericano.Quello che gli manca è la
possibilità di mettere in pratica i suoi propositi, ma siamo prossimi all’incontro
cruciale della sua vita: quello con Fidel Castro Ruz, leader radicale cubano in
esilio dopo un fallito tentativo di insurrezione. I due si conoscono e Fidel
svela ad Ernesto i piani del movimento ventisei luglio[2] per
rovesciare il dittatore Fulgenzio Batista. Dopo poco cominciano i preparativi,
la raccolta di uomini e mezzi, l’addestramento militare sotto la guida di un
veterano della guerra di Spagna, il generale Alberto Bayo. Sono proprio i
cubani che affibbiano ad Ernesto il nomignolo di “Che[3]”. Non
tutto va liscio, e un giorno la polizia messicana fa una retata dei
rivoluzionari. Dal carcere Ernesto scrive un’appassionata lettera alla madre,
che gli chiedeva di lasciar perdere la lotta e tornare a casa: Non sono
Cristo e filantropo, mamma. Sono tutto il contrario: per le cose in cui credo
lotto con tutte le armi a disposizione, e cerco di atterrare l’altro, piuttosto
che farmi inchiodare ad una croce. …Ciò che veramente mi abbatte è la tua
totale mancanza di comprensione, il tuo continuo richiamo alla moderazione e
all’egoismo, cioè le qualità più esecrabili di un individuo…Prosegue
descrivendo l’unità del gruppo e l’indissolubilità del suo legame con i
compagni con i quali sarà “libero o martire”. Firma la lettera così: Tuo
figlio, il Che. Lui è l’ultimo a lasciare la prigione, ma i compagni
non hanno mai preso in considerazione l’idea di partire senza di lui.
Trascorrono un periodo in clandestinità ancora in Messico, mentre mettono a
punto gli ultimi dettagli. Comprano uno yacht sgangherato, il Granma[4], e
preparano le provviste per la traversata verso Cuba. Il Che è il medico della
spedizione, e a lui sono affidati il pronto soccorso e i medicinali. L’ultima
testimonianza del suo percorso da Ernestito a Che Guevara è la poesia composta
in quel periodo ed intitolata:
(radici
che negano la rabbia d’America)
vengo
a voi, fratelli del nord
Carico
di grida di scoraggiamento e fede,
vengo
a voi, fratelli del nord,
vengo
da dove viene l’Homo Sapiens;
ho
divorato chilometri in riti transumanti,
con
la mia materia asmatica che porto come croce
e
nelle viscere la mania di metafore sconnesse.
Lunga
fu la strada e grande il carico,
rimase
in me l’aroma di passi vagabondi
e
anche nel naufragio del mio essere sotterraneo
-nonostante
si annuncino spiagge salvatrici-
nuoto
a malincuore contro la risacca,
conservando
intatta la condizione di naufrago.
Sono
solo davanti alla notte inesorabile
E
lascio al sicuro la dolcezza dei biglietti.
L’Europa
mi chiama con voce di vino stagionato,
sospiri
di carne bionda, oggetti di museo.
E
nell’insensatezza allegra dei paesi nuovi
Della canzone, di Marx ed Engels,che esegue Lenin e intonano i popoli.
Che Guevara nella guerra
rivoluzionaria.
Con Camilo
Cienfuegos, grande Comandante guerrigliero, che sarà protagonista con il Che
della presa di Santa Clara. Morirà, in circostanze ancora non del tutto
chiarite, in un incidente aereo nell’ottobre del 1959
Il
venticinque novembre del 56 il Granma parte dal porto di Tuxpan, in Messico,
con ottantadue guerriglieri a bordo, tra cui Guevara in qualità di medico. A
parte il Che, argentino, c’è solo un altro membro non cubano: Gino l’italiano,
un partigiano. L’Esercito Ribelle, braccio armato dell’M26/7, parte alla
volta di Cuba, per dare inizio alla lotta armata. Durante la guerriglia, le
lettere ai familiari costituiscono un naturale complemento ai “Passaggi della
guerra rivoluzionaria”, dando un quadro completo dei fatti e delle emozioni.
Subito dopo lo sbarco il gruppo subisce una pesante sconfitta, il Che viene
ferito di striscio, la gente fugge e lui si trova di fronte ad una difficile
scelta: Avevo davanti una cassa di proiettili e lo zaino con le medicine, e
non potevo trasportarli entrambi; presi la cassa di proiettili e lasciai lì le
medicine. Il guerrigliero ha prevaricato il medico. Queste, dunque, le
prime esperienze nella guerriglia. Successivamente, il gruppo raggiunge la
Sierra Maestra, da dove sconfiggerà ripetutamente l’esercito regolare. Il Che
si distinguerà talmente in battaglia da ricevere i gradi di comandante. È
instancabile, quando non si marcia e non si combatte dà lezioni ai compagni,
ripete ai suoi uomini che Senza alfabetizzazione non possiamo capire perché
portiamo il fucile. Sulla Sierra è circondato da un’aura mitica, non dorme
quasi mai, dirige i combattenti, il giornale[5] e la
stazione radio che hanno messo in piedi[6], e
cura instancabilmente la popolazione civile. I contadini lo considerano un
semidio. A spingerlo sono tanti fattori: i suoi principi, l’amore, che
considera la qualità fondamentale di un rivoluzionario, e soprattutto la
convinzione che l’esempio vale molto di più degli ordini, ed è il modo migliore
per tenere alto il morale della truppa. Un episodio su tutti: durante la marcia
di ritorno al campo, al termine di una dura battaglia, il Che, sfiancato
dall’asma, monta un cavallo. Un giovane guerrigliero lo nota e protesta; il Che
scende e prosegue a piedi, fino a cadere stremato. A quel punto fa chiamare il
giovane e gli spiega la situazione. Gli chiede se sia ancora convinto delle sue
ragioni ed il giovane scoppia in lacrime.
Storica è la sua risposta alla domanda: “Perché lottiamo?” “Il guerrigliero
è un riformatore sociale. Si batte per cambiare il regime che mantiene tutti i
suoi fratelli disarmati nell’obbrobrio e nella miseria. Il guerrigliero è,
fondamentalmente e prima di tutto, un rivoluzionario agrario.” Ed infatti
il primo provvedimento che viene preso dopo la liberazione di un territorio è
la riforma agraria, cioè dare la proprietà della terra a chi la lavora.
Riguardo al rapporto con Fidel, il Che non ne metterà mai in discussione
l’autorità, ma puntualizzerà la diversità delle loro posizioni politiche. In
una lettera del dicembre del
Durante la
guerriglia
Momento di pausa durante la “lucha”
Capitolo 3
Quando entrano
all’Avana, il giovane combattente Mustelier chiede al Comandante Guevara il
permesso di raggiungere la sua famiglia, nella parte est di Cuba. Davanti al
suo rifiuto, egli obietta che ormai la rivoluzione era fatta e vinta, e il Che
risponde “Abbiamo vinto la guerra, la rivoluzione comincia ADESSO”. Per
il Che è chiaro che ora viene una fase estremamente delicata: la storia
è piena di rivoluzioni fatte dal popolo e terminate con delle restaurazioni,
come in Russia dopo la rivoluzione di febbraio, che portò al governo Kerensky,
la cui politica filozarista non risolse alcuno dei problemi che avevano spinto
in armi il popolo; ancora prima la Comune di Parigi soffocata nel sangue o la
Rivoluzione Francese; nella stessa Italia liberata dagli eroi partigiani si
insediò un governo asservito agli imperialisti Usa , “democratici” che avevano
una simpatica struttura, chiamata Gladio, che era pronta ad uccidere settemila
militanti comunisti all’indomani di un’eventuale vittoria del P.C.I.; quando la
Grecia si liberò del regime dei colonnelli, Papadopulos tenne nei luoghi di
potere tutti i burocrati corrotti, i poliziotti e i militari assassini e
torturatori e tutto il peggio della dittatura; la Spagna postfranchista era la
monarchia più autoritaria d’Europa,con persecuzioni ai danni di Baschi e
Catalani che hanno tuttora i loro strascichi; in Cile Pinochet ha avuto il
tempo di proclamarsi Senatore a vita e pertanto immune e non ha ancora pagato per le migliaia di
delitti commessi. Ancora oggi, nel XXI secolo, in tutti i Paesi dell’America
Latina continuiamo ad assistere ad un golpe militare dopo l’altro, senza che si
possa mai comprendere la situazione dei singoli Stati; quando poi vengono
indette le elezioni si candidano sempre quelli che il giorno prima sparavano
sul popolo, e l’ONU assiste compiaciuta ai brogli dei signorotti di turno, a
patto che questi siano i più graditi agli Usa; si potrebbe continuare a lungo
con questo elenco di restaurazioni, che dimostra come lo scheletro del potere
corrotto sia difficile da far sparire anche dopo insurrezioni popolari e
presunte “transizioni alla democrazia”. Conscio di ciò il Che si preparava a
lottare con tutte le sue forze per far sì che il popolo cogliesse i frutti
della vittoria. Già al momento della fuga di Batista i ribelli vengono a sapere
di un golpe militare che potrebbe scavalcare la rivoluzione, e si impegnano in
una marcia forzata per prendere la capitale prima dell’esercito. Questo sarà
solo il primo dei molti pericoli che dovranno affrontare durante la
rivoluzione. Comincia così il biennio 59-61, che va dalla vittoria dei ribelli
alla proclamazione del carattere socialista della rivoluzione. L’ex Presidente
Urrutìa, deposto dal golpe di Batista, viene rimesso al suo posto,con un
governo formato da esponenti di tutte le opposizioni antibatistiane, anche
quelle di destra, e da qualche esponente dei gruppi cittadini dell’M26/7,
mentre L’Esercito Ribelle assume il completo controllo delle forze armate.
Tutti coloro che sostengono di aver avversato Batista vanno a battere cassa.
Arriva il momento della resa dei conti con il II Fronte di Gutierrez Menoyo. In
proposito il Che, nell’articolo “Una colpa della rivoluzione”, scritto qualche
anno dopo, fa la seguente analisi: … Entrarono all’Avana ed occuparono le
posizioni strategiche più importanti . . . secondo la loro
mentalità. Dopo pochi giorni, infatti, arrivava il conto dell’Hotel Capri:
15.000 dollari di cibo e bevande per pochi profittatori. Quando giunse l’ora di
assegnare i gradi…volevano tutti gli incarichi in cui nell’amministrazione
prerivoluzionaria si rubava, in cui il denaro sarebbe passato per le loro mani.
Questo era il centro delle loro aspirazioni. Fin dai primi giorni sorsero serie
divergenze, ma prevaleva sempre la nostra apparente saggezza rivoluzionaria e
cedevamo in nome dell’unità. Naturalmente non concedevamo posti agli aspiranti
traditori, ma non li eliminavamo, temporeggiavamo, tutto a beneficio di
un’unità che non veniva totalmente compresa. Questa fu una colpa della
rivoluzione. …Ora la nostra
coscienza si è ripulita perché se ne sono andati tutti… a Miami (Ladri ed
assassini, questa è l’origine degli “eroi” anticastristi rifugiati a Miami).Tante
grazie, mangiavacche del secondo fronte. …Tante grazie per averci dimostrato
che dobbiamo essere inflessibili di fronte all’errore, la debolezza, il dolore,
la malafede di chiunque e levarci a denunciare e punire in ogni punto in cui
affiori la corruzione,contraria agli alti postulati della rivoluzione. Il
Che comincia subito a spingere per la riforma agraria, ma Urrutìa difende il
latifondo e il capitale, e la situazione si blocca. Per due anni la situazione
a Cuba resterà sospesa tra le pressioni dei poteri economici nazionali e
stranieri e le spinte interne a
realizzare i cambiamenti rivoluzionari. In questi due anni il Che, che è
l’esponente più autorevole della sinistra dell’M26/7,viene distolto dalla vita
politica; mandato in giro per il mondo come ambasciatore e poi nominato
presidente del Banco Nacìonal. In questo periodo scrive comunque due analisi
della rivoluzione. La prima, “Note per lo studio dell’ideologia della
Rivoluzione Cubana”, scritta nel 1960, è la dimostrazione dell’ineluttabilità
del binomio antimperialismo-socialismo. Il
Che spiega ai compagni, a tutto il popolo di Cuba e dell’America Latina,
che l’unica rivoluzione possibile è quella socialista, perché è l’unica che può
rompere il giogo dell’Imperialismo che porta solo sfruttamento e crimine.
Riportiamo alcuni passi da queste note, con particolare attenzione a quelli sul
marxismo, profondamente indicativi dell’alta capacità di sintesi del Che:
È questa una
singolare rivoluzione per la quale, secondo alcuni, non varrebbe l’enunciato di
Lenin: “Senza teoria rivoluzionaria non c’è movimento rivoluzionario”. Sarebbe meglio
dire che la teoria rivoluzionaria, come espressione di una verità sociale, si
pone al di sopra di qualsiasi enunciato; vale a dire che la rivoluzione si può
fare se si interpreta correttamente la realtà storica e se si utilizzano al
meglio le forze in gioco, anche senza conoscere la teoria.
…Nella rivoluzione cubana bisogna distinguere due fasi completamente diverse: quella della lotta armata fino alla vittoria, e la trasformazione politica, economica e sociale verificatasi da quel momento in poi. …Noi le tratteremo dal punto di vista dell’evoluzione del pensiero rivoluzionario dei suoi dirigenti attraverso il loro rapporto con il popolo. È bene affermare la nostra posizione rispetto al marxismo. La nostra risposta alla domanda se siamo o no marxisti è la stessa che darebbe un fisico o un biologo cui si chiedesse se è newtoniano o pasteuriano. Ci sono delle verità così evidenti, così connaturate alla coscienza dei popoli, che è inutile discuterle. Il merito di Marx è di aver prodotto di colpo nella storia del pensiero sociale un cambiamento qualitativo; interpreta la storia, ne comprende la dinamica, prevede gli eventi futuri, ma va al di là della previsione, oltre i limiti del proprio dovere di scienziato, esprimendo un concetto rivoluzionario: non ci si deve limitare a interpretare la natura, bisogna trasformarla. L’uomo cessa di essere schiavo e strumento dell’ambiente e si trasforma in artefice del proprio destino. Da questo momento, Marx diventa il bersaglio obbligato di tutti coloro che hanno uno speciale interesse a conservare il vecchio…
A partire dal Marx rivoluzionario si forma un gruppo politico con idee concrete che, basandosi sui giganti Marx ed Engels e sviluppandosi attraverso fasi successive con personalità come Lenin, Stalin e Mao-Tse-Tung stabilisce un corpo di dottrine e di esempi da seguire.…Le leggi del marxismo sono presenti negli avvenimenti della rivoluzione cubana, indipendentemente dal fatto che i suoi dirigenti professino o conoscano a fondo, dal punto di vista teorico, tali leggi. Questo è un concetto fortemente innovativo, in quanto l’affermazione di Lenin citata all’inizio delle note da molti è stata interpretata come un dogma, mentre la Rivoluzione Cubana mostra un nuovo aspetto dell’evoluzione dei movimenti rivoluzionari, infatti, applicando la concezione materialistico-dialettica a Cuba si scopre che qualunque sincero movimento antimperialista DEVE necessariamente trasformarsi in un movimento comunista, in quanto questa è l’unica alternativa possibile alla sconfitta o alla restaurazione imperialista. Vediamo ora come il Che illustra le differenze tra l’esercito popolare e quello della dittatura, sempre dalle “note per lo studio dell’ideologia della Rivoluzione Cubana” :
A volte
risulta incomprensibile come colonne ribelli di così piccole dimensioni… si
siano potute battere contro un esercito ben armato. La questione fondamentale
risiede nelle caratteristiche di ciascuno dei due fronti: quanto maggiori sono
i pericoli, i disagi, le sofferenze e i rischi, i rigori della natura, tanto
più il guerrigliero si sente a casa propria. Non importa per il risultato finale che ne esca vivo o
morto.
Il soldato nemico è il socio meno
importante del dittatore, riceve l’ultima briciola lasciatagli dal penultimo
dei profittatori di una lunga catena che comincia a Wall Street e finisce con
lui. La sua paga e le sue prebende non valgono mai la vita, se il prezzo è
questo, la cosa migliore da fare è ritirarsi davanti al pericolo guerrigliero.
Da queste due morali nasce la differenza che doveva portare alla nostra
vittoria. Dopo di essa,… con la riforma agraria come bandiera, la cui
realizzazione inizia sulla Sierra Maestra, questi uomini arrivano a scontrarsi
con l’imperialismo; sanno che la riforma agraria è la base su cui bisogna
costruire la nuova Cuba; sanno che essa darà la terra a tutti i diseredati, ma
la toglierà a chi la possiede ingiustamente; e sanno anche che i proprietari
più ingiusti sono uomini influenti nel
Dipartimento di Stato o negli Usa; ma hanno imparato a vincere le difficoltà con
l’appoggio del popolo e hanno già visto il futuro di liberazione che ci attende
al di là delle sofferenze. Quest’ultimo passo è
il preludio alla nazionalizzazione delle imprese americane in territorio
cubano. Il secondo scritto, “Cuba,
eccezione storica o avanguardia nella lotta al colonialismo?ӏ del 1961; esso
costituisce un’ideale prologo al ben più celebre “Creare due, tre, molti
Vietnam”. È nel contempo un’analisi della rivoluzione cubana e un manifesto
rivoluzionario di portata mondiale: infatti qui il Che demolisce
sistematicamente le teorie degli eccezionalisti, cioè di coloro che sostengono
che la rivoluzione cubana non sia riproponibile negli altri paesi a causa delle
specificità della situazione dell’isola, e dimostra la necessità della guerriglia
come strumento di liberazione dei popoli. Vediamo una breve sintesi: Mai
prima d’ora si era verificato, in America, un fatto tanto straordinario quanto
la nostra guerra rivoluzionaria. … Il nostro movimento, per quanto molto
eterodosso, ha seguito le linee di tutti i grandi avvenimenti storici di questo
secolo, caratterizzati dalle lotte anticoloniali e dal passaggio al socialismo.
Tuttavia certi settori hanno preteso di scorgere delle eccezionalità e ne
elevano artificiosamente l’importanza. Ammettiamo che ci siano state delle
eccezioni: è un fatto ormai assodato che ogni rivoluzione annoveri dei fattori
specifici, né è meno incontrovertibile che tutte le rivoluzioni seguiranno
delle leggi. Analizziamo i fattori di
questa pretesa eccezionalità. Il primo è Fidel, grande leader e condottiero. (Alcuni sostenevano che a Cuba si fosse vinto solo
grazie al carisma di Fidel) Tuttavia nessuno potrebbe affermare che a
Cuba vi siano condizioni politico-sociali del tutto diverse da quelle degli
altri paesi d’America e che a causa di tali diversità si sia fatta la
rivoluzione. Né d’altro canto, si potrebbe affermare che Fidel abbia fatto la
rivoluzione nonostante questa differenza. Una condizione che potremmo definire
un’eccezione è il fatto che
l’imperialismo si trovò disorientato e non riuscì mai a valutare l’esatta
portata della rivoluzione, ma l’imperialismo sa, al contrario di certi gruppi
progressisti, trarre insegnamento dai propri errori e quindi difficilmente
altri paesi potranno giovare di questa
situazione. …vedremo ora quali sono le radici permanenti di tutti i fenomeni
sociali d’America,le contraddizioni che, maturando, provocano dei mutamenti che
possono tendere ad acquistare l’ampiezza di una rivoluzione come quella cubana.
In ordine cronologico, nonostante non sia di grande importanza attualmente, va
posto il latifondo. Il latifondo è stato la base del potere economico della
classe dominante per tutto il secolo scorso e oltre …Successivamente, il
latifondista comprese che non sarebbe riuscito a sopravvivere da solo, e
strinse alleanza con i monopoli. I capitali nordamericani arrivarono a
fecondare le terre vergini, per portarsi poi via tutta la valuta che in
precedenza,“generosamente”, avevano regalato, più altri guadagni che
rappresentavano la somma investita nel paese “beneficiato” moltiplicata
parecchie volte. L’America divenne il campo della lotta inter-imperialista,…che
si è decisa quasi completamente a favore dei monopoli nordamericani a partire
dalla seconda guerra mondiale. Da allora in poi l’imperialismo si è dedicato a
rafforzare il proprio dominio coloniale. Tutto ciò dà come risultato
un’economia mostruosamente distorta,…ci chiamano, noi, popoli d’America,
“sottosviluppati”. Si richiama l’attenzione del
lettore sull’analisi del sottosviluppo, che spiega perfettamente le ragioni
della condizione di quelli che oggi vengono chiamati paesi in via di sviluppo o
del terzo mondo, e soprattutto il permanere di queste condizioni anche quando,
ormai, i progressi tecnici permetterebbero di produrre risorse sufficienti per
tutti i popoli della terra. Che cos’è il sottosviluppo? Un nano con una
testa enorme è “sottosviluppato”,… ecco cosa siamo noi, definiti dolcemente
“sottosviluppati” e in realtà paesi coloniali. Siamo paesi ad economia distorta
a causa dell’azione imperialista, che ha sviluppato in maniera anormale i rami
dell’industria o dell’agricoltura necessari a far da complemento alla sua
complessa economia. Il “sottosviluppo” comporta pericolose specializzazioni in
materie prime. Noi sottosviluppati siamo anche quelli della monocoltura, un
unico prodotto la cui incerta vendita dipende da un mercato unico che impone e fissa le
condizioni. Il “sottosviluppo” dà come risultato bassi salari e disoccupazione.
Questo fenomeno apre un circolo vizioso che sbocca in ancora più bassi salari e
in ulteriore disoccupazione,…che creano quello che è il denominatore comune dei
popoli d’America, dal Rio Bravo al polo Sud. Si chiama FAME DEL POPOLO, del
popolo stufo di essere oppresso, di essere vessato, di essere sfruttato al
massimo, stufo di vendere la propria forza lavoro per una miseria, perché da
ogni corpo umano venga spremuto il massimo di utile, poi sperperato nelle orge
dei padroni del capitale. Vediamo quindi che vi sono grandi denominatori comuni
nell’America latina. … Che cosa abbiamo fatto per liberarci dell’imperialismo e dei suoi mercenari,
disposti a difendere tutto il complesso sociale dello sfruttamento dell’uomo
sull’uomo? Le condizioni obiettive per la lotta sono date dalla fame del
popolo,…e dall’alone di odio creato dalla repressione. Mancava in America…la
coscienza della possibilità della vittoria con l’uso della via violenta contro
le forze imperialiste e i loro alleati interni. Queste si creano mediante la
lotta armata,…la sconfitta dell’esercito da parte delle forze popolari e il suo
successivo annientamento come imprescindibile condizione di ogni autentica
rivoluzione. Cerchiamo di esporre le difficoltà che a nostro parere renderanno
più dure le nuove lotte rivoluzionarie d’America : l’imperialismo ha imparato
fino in fondo la lezione di Cuba,…gli Stati Uniti affrettano la consegna di
armi ai governi fantoccio che vedono più minacciati e fanno loro firmare patti
di vassallaggio, per rendere giuridicamente più facile l’invio di truppe e strumenti
di uccisione e repressione. E la borghesia? Giacché si sa che in molti paesi
esistono delle contraddizioni oggettive tra le borghesie nazionali e
l’imperialismo, che sconfigge in un’impari lotta l’industria nazionale, così
come vi sono altre forme di lotta per il plusvalore e la ricchezza. Nonostante
queste contraddizioni esse temono di più la rivoluzione popolare delle
sofferenze sotto l’oppressione dell’imperialismo. La grande borghesia si oppone
apertamente alla rivoluzione e non esita ad allearsi con l’imperialismo per
combattere il popolo e impedirgli la rivoluzione. Tali sono le difficoltà che
vanno aggiunte a tutte quelle insite nelle lotte di questo tipo nelle nuove
condizioni in cui si trova l’America latina dopo la rivoluzione cubana. Ve ne sono
altre più specifiche. I paesi che hanno subito processi di concentrazione della
popolazione in grandi centri abitati, trovano maggiore difficoltà a preparare
la guerriglia. Inoltre l’influenza ideologica dei centri popolati impedisce la
guerriglia e incoraggia lotte di massa organizzate pacificamente (è questo anche il caso dell’Europa occidentale e
degli altri paesi industrializzati, dove la lotta armata non ha mai ricevuto
l’appoggio delle masse popolari.) Quest’ultimo elemento dà origine ad una
certa “istituzionalità”, secondo la quale, in periodi più o meno “normali”, le
condizioni siano meno dure del trattamento abituale riservato al popolo. È da tener presente che, come già espresso in “La
classe operaia degli Usa, amica o nemica?”, le condizioni medie di vita nei
paesi industrializzati sono tali soprattutto grazie allo sfruttamento dei paesi
coloniali, e ciò favorisce l’assopimento della coscienza di classe. …Errore
imperdonabile sarebbe quello di sottovalutare i vantaggi che il programma
rivoluzionario può ottenere da una data campagna elettorale; come sarebbe
altrettanto imperdonabile limitarsi alle elezioni e non vedere gli altri mezzi
di lotta volti ad ottenere il potere, strumento indispensabile per applicare e
sviluppare il programma rivoluzionario. Qui
entriamo nell’eternamente dibattuta questione della partecipazione dei
movimenti comunisti alle istituzioni borghesi. La posizione guevariana in
merito è la seguente: per via elettorale non si può raggiungere lo scopo
rivoluzionario, ma questo non vuol dire che bisogna rifuggire in assoluto la
partecipazione alle elezioni, in quanto la presentazione di un programma
rivoluzionario può, in chiave tattica, apportare notevoli benefici al
movimento, fungendo da strumento di denuncia e dando risonanza alle ragioni
della lotta. Tutto questo, chiaramente, a patto che l’obiettivo tattico non
corrompa quello strategico, cioè che la partecipazione alla politica
istituzionale non faccia perdere di vista lo spirito rivoluzionario
imborghesendo il partito, come è avvenuto, ad esempio, al P.C.I. …Quando sentiamo parlare di presa del potere
per via elettorale, la nostra domanda è sempre la stessa: dando inizio alle
trasformazioni previste dal programma, non si entrerebbe immediatamente in
conflitto con le classi reazionarie del paese? E non è sempre stato l’esercito
lo strumento di oppressione di tali classi? Se così è, è logico dedurre che
tale esercito si schiererà dalla parte della sua classe ed entrerà in conflitto
col governo costituito. Può succedere che il governo venga rovesciato con un
colpo di stato e che ricominci il gioco che non finisce mai;…ci sembra
difficile che le forze armate accettino di buon grado delle riforme sociali
profonde e si rassegnino come agnellini alla propria liquidazione come casta. (Per rendersi conto della scientifica esattezza di
queste parole, basti pensare a cosa è successo ad Allende, democraticamente
eletto, e al popolo cileno qualche anno dopo la morte del Che o, per restare
geograficamente più vicini a noi, in Spagna nel 1936) Tempi oscuri
attendono l’America latina, e le recenti dichiarazioni del governo degli Stati
Uniti sembrano indicare che tempi oscuri attendono il mondo intero (e se non sono tempi duri i nostri…) .
Lumumba[8], selvaggiamente assassinato, nella grandezza del suo martirio
insegna quali sono i tragici errori che non vanno commessi. Una volta dato il
via alla lotta antimperialista, è indispensabile essere conseguenti e bisogna
tener duro, costantemente e senza mai fare un passo indietro: avanti
sempre, contrattaccando sempre, rispondendo sempre ad ogni aggressione con una
pressione più forte delle masse popolari. Questo è il modo di trionfare. Sempre
nel 1960 scrive “La guerra di guerriglia” e il manuale “Consigli al
combattente”. Sono scritti di tattica militare, pertanto non ce ne occuperemo
in questa sede, mi limito a raccomandare agli
interessati la loro lettura, se non altro per l’interesse storico di
questi documenti. Vale la pena riportare l’episodio cui seguì la proclamazione
del carattere socialista della rivoluzione cubana: la battaglia di Playa Gìron.
Il quindici aprile del 1961, aerei Usa con piloti cubani addestrati dalla CIA
bombardano le basi aeree cubane. Segue lo sbarco di qualche migliaio di esuli,
che riescono a prendere a tradimento tre piccoli villaggi. Il piano degli Usa è
ingegnoso: creare un piccolo “territorio liberato”dove far insediare un governo
controrivoluzionario in modo da riconoscerlo e avere mano libera per
intervenire a Cuba. (All’epoca c’era la guerra fredda e gli Usa non potevano
intervenire senza pretesto come fanno oggi in Iraq e Jugoslavia). A questo
punto accade una cosa meravigliosa: migliaia di cubani, con armi improvvisate,
si lanciano contro gli invasori, ricacciandoli rapidamente indietro. Travolti
dalla rabbia popolare e dal successivo intervento dell’Esercito Ribelle, il
19/4 gli invasori sono sconfitti. Il Che fà il seguente bilancio dell’accaduto:
Non si può chiedere ad un uomo che aveva mille cavallerie[9] di terra di suo padre, e che viene qui soltanto a fare atto di
presenza perché gliele ridiano,di andare a farsi ammazzare di fronte a un
contadino che non aveva niente e che ha una voglia matta di ucciderlo perché
vogliono portargli via la sua terra. Sempre sul
socialismo,ai compagni perplessi dice: Non siete d’accordo con la
riforma agraria? Con l’espropriazione degli yankee? Con la nazionalizzazione,
la giustizia sociale, il diritto di ognuno a godere dei frutti del proprio
lavoro?…Allora siete precisamente favorevoli al socialismo. In quest’anno il Che si dedica con ardore alla
riforma dell’apparato statale, non ancora al passo con i principi
rivoluzionari. Scrive “Contro il burocratismo”, e si batte per creare un
meccanismo di controllo operaio sugli amministratori, per tenere alta la
pressione della base sui dirigenti di fabbrica. Tengo a sottolineare questo
concetto perché il Che scrive queste cose nel 1961, cioè anticipando Mao di
parecchi anni! È credenza comune a molti che il concetto di controllo delle
masse popolari sui dirigenti della rivoluzione come strumento necessario per
impedire abusi nasca durante la discussa Grande Rivoluzione Culturale
Proletaria, in Cina, mentre invece la paternità dell’idea è del Che. Il
burocratismo sarà appunto la causa principale del crollo dell’Urss, dove i
dirigenti di partito avevano creato un apparato rigidissimo e, in definitiva,
una nuova classe di burocrati borghesi, frenando di fatto la costruzione del
socialismo e portando ai tristi risultati che ben conosciamo. La fiducia del
Comandante nell’Urss comincia a vacillare dopo la crisi dei missili del 1962.
L’Unione Sovietica aveva fornito spontaneamente a Cuba dei missili per
difendersi da eventuali attacchi da parte degli Stati Uniti, o almeno così
sostenevano i burocrati di Mosca. In realtà, il progetto sovietico era molto
diverso: convincere gli Stati Uniti a rimuovere i missili dalla Turchia e dalla
Germania-est, infatti, quando gli aerei-spia americani inquadrarono i missili
scoppiò la più violenta crisi di tutta la guerra fredda. Gli Usa accusarono i
Russi di preparare l’attacco nucleare da Cuba,
e l’Urss rispose chiedendo la rimozione delle testate dalla Turchia e
dall’allora Germania-est. Cuba fu usata semplicemente come pedina di scambio
dai sovietici, e in questo il Che vide i germi della controrivoluzione. Cuba
non aveva chiesto le armi a Mosca, ma ora si trovava nuda di fronte ad un
probabile assalto yankee.
Foto del
periodo 59-61
Il matrimonio con Aleida
March, rivoluzionaria cubana conosciuta durante la guerriglia
.
Durante un
discorso ufficiale
Una pausa al Banco Nacìonal
Con Fidel Castro
Le concezioni economiche del Che
ci sono giunte attraverso gli articoli scritti nel periodo in cui è
ambasciatore, banchiere e ministro (59-65). Molti sono i contributi originali
in questo campo, dalla morale socialista in ambito economico, alla definizione
delle caratteristiche dei dirigenti rivoluzionari e dei rapporti tra i vari
soggetti, fino al sistema di finanziamento di bilancio, in aperta polemica con
il modello sovietico di autogestione finanziaria delle imprese. Nell’articolo “Le
discussioni sono collettive, le decisioni e le responsabilità di uno solo”, indica
le linee che gli amministratori devono seguire e i loro rapporti con gli
organismi operai e politici. Le funzioni di un direttore sono le seguenti:
supervisione e direzione dei lavori con la massima responsabilità di fronte al
ministero del buon funzionamento di tutto, direzione della produzione e
realizzazione della pianificazione statale, vigilanza su lavoro, salari e uso
corretto delle macchine, informare, orientare, stimolare, addestrare e
qualificare il personale per ottenere un’attività maggiormente rivoluzionaria,
collaborare con le organizzazioni rivoluzionarie e sindacali. Sui sindacati:
Quale sarà la funzione dei sindacati? Essi hanno due funzioni distinte e complementari,
in questo periodo. Una è afferrare l’idea generale del governo, discuterla a
livello di fabbrica e diffonderla tra i lavoratori, l’altra, solo in apparenza
opposta, ma in realtà complementare, è la difesa degli interessi immediati e
specifici della classe lavoratrice al livello di impresa o di fabbrica. …Come
integrare tutta questa difesa degli interessi immediati della classe
lavoratrice con le grandi iniziative economiche del governo? La soluzione è
semplice, perché non esiste contraddizione tra i due compiti. Il governo cerca
di far progredire rapidamente il paese; questa è una grande aspirazione, ma
quando si mette in atto in una fabbrica, si scontra con difficoltà pratiche. In
questo caso la missione del sindacato è di adeguare le condizioni reali del
posto di lavoro alle direttive generali dello Stato. … Il sindacato deve
svolgere questa doppia funzione: vigilare le condizioni di lavoro di operai e
impiegati e dare al tempo stesso l’orientamento rivoluzionario del sacrificio e
dello sforzo necessari da parte della massa, con tutta l’onestà di cui sono
capaci i membri del proletariato. …Ogni contraddizione deve venire risolta
mediante discussioni, perché l’arma superiore della classe operaia, lo
sciopero, è l’arma di definizione violenta delle contraddizioni di classe, cosa
che non deve succedere in una società avviata verso il socialismo. Naturalmente
nella fase di costruzione del socialismo la lotta di classe continua, ma il
governo rivoluzionario deve assolutamente impedire che si sviluppino
contraddizioni con la classe operaia tanto violente da dover sfociare in
scioperi. L’articolo “Il quadro politico, spina dorsale della rivoluzione”, ci
fornisce una panoramica delle caratteristiche di un militante comunista, e
delle responsabilità che questo deve assumersi durante la costruzione del
socialismo. Può sembrare un discorso idealista, ma il Che si basa sulla sua
personale esperienza per dire cosa significa essere comunisti: …Che cos’è un
quadro? È un individuo che ha raggiunto il sufficiente livello di sviluppo
politico per poter interpretare le grandi direttive emanate dal potere
centrale, farle sue e trasmetterle come orientamento alla massa, e che
percepisce inoltre le manifestazioni che questa fa dei suoi desideri e delle
sue motivazioni più intime. È un individuo dotato di disciplina ideologica e
amministrativa, che nella produzione sa praticare il principio della
discussione collettiva e della decisione e responsabilità uniche; la cui
fedeltà è provata, il cui valore fisico e morale si è accresciuto di pari passo
col suo sviluppo ideologico, in modo tale che è sempre disponibile ad
affrontare qualsiasi prova e a rispondere anche con la vita del buon andamento
della rivoluzione. Per formarlo bisogna stabilire il principio selettivo nelle
masse, è lì che bisogna cercare le personalità nascenti, provate nel sacrificio
o che cominciano a mostrare le proprie inquietudini, e affidare loro incarichi
di maggiore responsabilità che le mettano alla prova nel lavoro pratico.
Intimamente legato al concetto di quadro è quello di capacità di sacrificio,
quello che mostra col proprio esempio le verità e le parole d’ordine della
rivoluzione. Il quadro si deve conquistare il rispetto dei lavoratori con la
sua azione. È indispensabile che possa contare sulla considerazione e
sull’affetto dei compagni che deve guidare per le vie d’avanguardia. Segue
poi la lunga serie di articoli che costituiscono la polemica sul sistema di
finanziamento di bilancio o di Bettelheim, dal nome dell’economista francese
che sosteneva l’applicazione del modello russo[10].
Sono scritti estremamente tecnici e ricchi di citazione di testi classici di
Karl Marx, Lenin ed altri. Ciò che più ci colpisce sono i riferimenti agli
scritti giovanili di Marx, citati più volte anche durante le riunioni al
Ministero dell’Industria, che sono stati troppo spesso dimenticati da altri
teorici. Sono i testi più marcatamente umanistici del filosofo tedesco, ed
hanno una notevole influenza su quello che da molti viene definito “L’umanesimo
rivoluzionario del Che”. È molto interessante la sintesi che il Comandante
sviluppa tra i testi di economia e quelli umanistici: ne viene fuori una
concezione altamente evoluta dell’economia e del lavoro, basata sulla
liberazione dell’uomo dall’alienazione, in modo da renderlo protagonista e
responsabile del benessere di tutta la società. Sull’alienazione aveva già
scritto Marx, ma purtroppo questo concetto era passato in secondo piano
rispetto ad altri, mentre Guevara ne fa uno degli assi portanti della struttura
economica. L’alienazione è quella che vive il proletario nel momento in cui va
a vendere la propria forza lavoro ad un padrone per un certo numero di ore, al
fine di assicurarsi i mezzi di sussistenza. Il lavoratore percepisce quel tempo
come una parte della vita che non gli appartiene, che diviene proprietà dello
sfruttatore in cambio del salario. Nel socialismo, invece, il lavoro è parte
integrante della vita dell’individuo, in quanto esso rappresenta il contributo
dell’uomo alla società, e viene svolto in nome del progresso economico e
sociale dell’intera comunità di individui. Questo tema verrà affrontato più
estesamente in seguito, al momento della stesura de “Il Socialismo e l’Uomo a
Cuba”. Il nocciolo della polemica di Bettelheim è questo: il Che sostiene il sistema
di finanziamento di bilancio, in cui la banca dà all’impresa in base al suo
bilancio, senza percepire interessi, fungendo solo da cassa; le aziende non
hanno fondi propri e tutte le loro entrate vengono restituite al bilancio
nazionale. Il sistema del calcolo economico o di autogestione delle imprese (in
uso in Urss e sostenuto a Cuba da alcuni economisti) si basa su controlli
globali e una decentralizzazione spinta. Il controllo indiretto viene
effettuato dalla banca tramite il denaro, e il risultato monetario della
gestione serve da misura per i premi; l’interesse materiale è la grande leva
che muove i lavoratori. Il sistema di finanziamento di bilancio, invece, si
basa su un controllo centralizzato dell’impresa; il suo piano e la sua gestione
sono controllati da organismi centrali in modo diretto. Vantaggi del sistema
esposti in forma generale: Primo, tendendo alla centralizzazione, tende a
un’utilizzazione più razionale dei fondi a carattere nazionale. Secondo, tende
ad una maggiore razionalizzazione di tutto l’apparato amministrativo dello
Stato. Terzo, questa stessa tendenza alla centralizzazione costringe a creare
unità più grandi entro limiti adeguati, che risparmino forza-lavoro e aumentino
la produttività dei lavoratori. Quarto, integrato in unico sistema di norme, fa
di tutte (le aziende) una sola grande impresa statale…Quinto, disponendo
di organismi costruttori compresi nel bilancio, si può semplificare il
controllo degli investimenti,… È importante dire che così si crea nell’operaio
l’idea generale della cooperazione fra tutti, l’idea di appartenere ad un
grande insieme che è costituito dalla popolazione del paese e si favorisce lo
sviluppo della sua coscienza del dovere sociale. …È necessario chiarire una
cosa : noi non neghiamo la necessità oggettiva dell’incentivo materiale, ma
siamo contrari al suo uso come leva fondamentale. … Per i sostenitori
dell’autogestione finanziaria l’incentivo materiale diretto non si contrappone
allo “sviluppo” della coscienza, per noi invece sì. Per questo lottiamo contro
il suo predominio,poiché significherebbe ritardare lo sviluppo della morale
socialista. (Il Che dice queste cose a ragion veduta, essendo da poco
tornato da un viaggio nei paesi socialisti in cui ha potuto costatare come lì
fosse “sottosviluppata” la morale rivoluzionaria),…noi affermiamo che in un
periodo di tempo relativamente breve lo sviluppo della coscienza contribuisce
allo sviluppo della produzione più dell’incentivo materiale e lo facciamo
basandoci sulla proiezione generale dello sviluppo della società per entrare
nel comunismo, il che presuppone che il lavoro cessi di essere una penosa
necessità per trasformarsi in un piacevole imperativo. L’affermazione richiede
la sanzione dell’esperienza… finora le cose sono andate così e il metodo,
perfezionato dalla pratica, dimostra la sua coerenza interna. (Le cose sono
andate così per qualche anno, poi la morte del Che e l’inasprirsi dell’embargo
hanno messo un freno allo sviluppo di Cuba, che però ancora oggi vanta il
miglior welfare dell’America latina, e come assistenza sanitaria pubblica
supera di gran lunga gli Usa). … ciò che vogliamo ottenere con questo
sistema è che la leva dell’interesse materiale non si trasformi in qualcosa che
costringe l’individuo a lottare disperatamente con gli altri per assicurarsi
determinate condizioni … che lo pongano in posizione privilegiata. Far sì che
il dovere sociale sia il punto fondamentale su cui poggia tutto lo sforzo del
lavoro dell’operaio. Questi concetti vengono nuovamente espressi nella
lettera a Josè Medero Mestre, che sostiene l’autogestione finanziaria :…Dopo la distruzione della società
precedente si è preteso di fondare la nuova su un ibrido; all’uomo-lupo, alla
società dei lupi, si sostituisce un’altra specie che non ha l’impulso disperato
di rubare ai propri simili, dal momento che lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo
è scomparso, ma che ha impulsi dello stesso genere, determinati dal fatto che
la leva dell’interesse materiale si trasforma nell’arbitrio del benessere
individuale e della piccola collettività (le fabbriche,ad esempio); in questo
rapporto io vedo la radice del male. Vincere il capitalismo con i suoi stessi
feticci, ai quali si è tolta la qualità magica più efficace, il profitto[11], mi sembra un’impresa
difficile. In definitiva, nel sistema
di autogestione il Che vede tutte le premesse per un ritorno al capitalismo,
cosa che si è puntualmente verificata in tutto l’est europeo e in molte zone
della Cina. Ciò a cui tutti noi abbiamo assistito a cavallo della fine degli
anni 80 non è stato il tanto osannato “crollo del comunismo”, né la
realizzazione del sogno di “libertà e democrazia”, né tantomeno il “trionfo dei
valori cristiani”: abbiamo tutti potuto ridere delle profezie di Fatima[12],
visto che sono scoppiate più guerre negli anni 90 che nei 30 anni precedenti.
Hanno cercato di darci a bere tutta questa sterile propaganda, ma in realtà è
semplicemente crollato un modo errato di costruire il socialismo. Solo il
superamento dell’interesse individuale può portare alla costruzione della società
senza classi,in cui ognuno dà secondo le sue possibilità e riceve secondo i
suoi bisogni, in cui il lavoro non è una parte del proprio tempo sacrificato in
nome del dio denaro, bensì il compimento volontario del proprio dovere verso la
società. Proprio in questo noi vediamo la stringente attualità delle concezioni
Guevariane.
Per quanto concerne la formazione della morale rivoluzionaria, il Che evidenzia più volte l’importanza del Partito: Bisognerebbe a questo punto sottolineare il ruolo educatore che dovrebbe svolgere il partito affinché il centro di lavoro si trasformi nell’espressione collettiva delle aspirazioni e delle inquietudini dei lavoratori e sia il luogo in cui vengono plasmati i loro desideri di servire la società. Si potrebbe pensare che il centro di lavoro sia la base del nucleo politico della società futura, e che le sue indicazioni … diano occasione al partito e al governo di prendere le decisioni fondamentali per l’economia o per la vita culturale dell’individuo. Rifiuta tutti i dogmatismi scolastici e le interpretazioni forzate di Marx e Lenin, per cui entra in dura polemica con il “Manuale di economia politica” russo, a cui dedica anche un lavoro di confutazione sistematica, che purtroppo non è mai giunto a noi. Durante una riunione al Ministero dell’industria presenta la relazione sulle sue esperienze nell’Urss: A Mosca ho avuto una riunione con tutti gli studenti… Io ero pronto a dare battaglia durissima contro il sistema dell’autonomia contabile. Ebbene, mai mi era capitato di avere un uditorio più attento, che abbia capito le mie ragioni più rapidamente. E volete sapere perché? Perché erano lì, e perché molte delle cose che io vi dico qui in forma teorica loro le sanno. Le sanno perché se le trovano davanti, quando vanno dal medico, al ristorante, a comprare qualcosa nei negozi: oggigiorno accadono cose incredibili nell’Urss. Questa storia del sostegno, di cui si parla, delle masse verso il sistema dell’autonomia, è falsa. Con l’autonomia contabile si ha una valorizzazione dell’uomo per ciò che rende, cosa che il capitalismo già fa alla perfezione. E quindi è stato lì, proprio in Unione Sovietica, che si è potuta ottenere maggiore chiarezza. Vuol dire questo che si tratta di revisionismo o di Trotskismo?… E dicevano: “è revisionismo”, “bisogna chiederlo al Partito”, “perché così non sta bene”. Qui traspare tutta l’avversione per il dogmatismo burocratico dei russi, che affrontavano i problemi economici relativi alla costruzione del socialismo esattamente come un pretino affronta le domande relative alle questioni concrete, rispondendo per preconcetti e frasi fatte. A quel punto, quando si cominciò a porre i problemi, lo scontro si fece violento. La Bibbia, vale a dire il Manuale, perché disgraziatamente la Bibbia qui non era “Il Capitale”, ma il Manuale… dei punti cominciarono ad essere impugnati, mentre venivano dette però anche cose pericolosamente capitalistiche: fu allora che emerse la questione del revisionismo. Il trotskismo emerge invece da due lati: uno (quello che meno mi attrae) viene dal lato dei trotskisti che dicono che vi è una serie di cose che Trotsky aveva già detto. …Ora, è vero che dal pensiero di Trotsky si possono ricavare una serie di cose. Io credo che nelle questioni fondamentali su cui si fondava, Trotsky commetteva degli errori; credo che il suo comportamento posteriore fu erroneo e negli ultimi tempi anche oscuro. Credo anche che i trotskisti non abbiano apportato nulla al movimento rivoluzionario, in nessun paese. I trotskisti la pongono da questo punto di vista (Trotsky lo aveva detto!) e quindi tutta una serie di persone che mormorano sul trotskismo. Credo che in questo (nelle accuse di trotskismo mosse chiunque la pensi diversamente) sia un’implicazione politica che non si riferisce soltanto all’atteggiamento che si può assumere davanti ai problemi, come quello del finanziamento di bilancio, ma che vi sia anche una divergenza nascosta, molto profonda, molto amara e come tutte le divergenze di questo tipo poco flessibile, poco generosa nel riconoscimento delle idee altrui. Questa è l’unica presa di posizione sul trotskismo che ci sia nota, anche se sappiamo che in Bolivia, tra gli altri, il Comandante leggeva i due tomi della “Storia della Rivoluzione Russa” di Trotzky.
Ad una riunione durante uno dei
suoi viaggi a Mosca
Durante
una giornata di lavoro volontario, che il Che considerava essenziale per
aggregare gli uomini e rinforzare il loro spirito rivoluzionario: L’importanza
del lavoro volontario non si riflette sulla parte direttamente economica che
potrebbe portare alle imprese o allo Stato; essa si riflette nella coscienza
che si acquista di fronte al lavoro e nello stimolo o esempio che questo
atteggiamento significa per tutti i compagni. L’educazione comunista deve
essere basata su questa coscienza e i lavoratori volontari d’avanguardia sono
quelli che meglio realizzano gli ideali del vero comunista, …che nel suo luogo
di lavoro, nel suo centro di produzione (che è il suo luogo di lotta, la sua
trincea) dice agli altri compagni: “Seguitemi per questo cammino”
Lavoro volontario: guida un trattore durante la zafra, la raccolta di canna da zucchero. La collaborazione alla raccolta della canna era la principale forma di lavoro volontario a Cuba.
In qualità di
ambasciatore della Rivoluzione Cubana, il Che non viaggia solo nei paesi
socialisti e non allineati, va anche alle conferenze di sviluppo
latinoamericane e all’Onu. È in queste occasioni che pronuncia i discorsi più
incisivi. Il Comandante è ormai in una fase in cui Cuba gli sta stretta, le sue
posizioni filocinesi cozzano troppo spesso contro Fidel Castro, fedele alla
linea di un Urss allo sbando, in cui la restaurazione capitalista è immanente.
Ormai i progetti del Che sono rivolti altrove, vuole dare il suo contributo ad
altre lotte rivoluzionarie. Qui affrontiamo un’altra sostanziale innovazione
apportata dal Che al pensiero comunista: secondo le concezioni precedenti, la rivoluzione poteva avvenire solo quando vi
fossero state tutte le condizioni oggettive e soggettive, mentre secondo
Guevara, l’accendersi di un “foco” guerrigliero avrebbe inasprito le
contraddizioni, facendo maturare le condizioni favorevoli. Il suo “debutto”
come portavoce di tutti gli sfruttati, prima ancora che del governo di Cuba,
avviene alla conferenza per lo sviluppo dell’agosto
Alla conferenza di Punta del Este
All’Onu Con
Salvador Allende, che vincerà
le
elezioni in Cile e verrà poi rovesciato
dal golpe clerico-fascista
di Pinochet
Quella che culmina con il discorso di Algeri è l’ultima missione ufficiale compiuta dal Che come membro del Governo di Cuba. Durante il suo svolgimento, il Comandante ha intrecciato i contatti con i capi del movimento rivoluzionario congolese, gettando le basi per il futuro appoggio cubano alla lotta lumumbista[15]. Il futuro del Che è nella guerriglia, e visto che i progetti latinoamericani sono stati momentaneamente accantonati, il territorio di lotta deve essere l’Africa. Questa è la fase in cui il Che scrive i testi più rilevanti, quello che possiamo considerare un vero e proprio testamento spirituale indirizzato agli uomini che dopo di lui intraprenderanno il difficile cammino del rivoluzionario. Possiamo considerare questo testamento diviso in due parti: la prima è “Il Socialismo e l’Uomo a Cuba”, e riguarda l’hombre nuevo, i compiti dell’individuo comunista durante la fase di costruzione del socialismo e il confronto tra l’uomo comunista e quello che vive nella società capitalista. La seconda parte è costituita da “Creare due, tre, molti Vietnam è la parola d’ordine”, scritto durante la clandestinità e pubblicato solo nell’aprile del 67, quando il Che si trova già da alcuni mesi in Bolivia. Qui possiamo leggere le motivazioni della guerriglia e le analisi della situazione mondiale, oltre alla proclamazione dei doveri dei rivoluzionari nei paesi che non hanno ancora intrapreso il cammino della costruzione del socialismo.
“Il Socialismo e l’Uomo a Cuba” viene scritto nel 65, sotto forma di lettera ad un giornalista uruguagio, a cui aveva promesso un articolo dopo i fatti di Punta Del Este. Questo è il più bel manifesto dell’uomo comunista. Rappresenta la sintesi tra il socialismo scientifico di Marx, Engels e Lenin e i fondamentali valori dell’umanesimo, senza per questo concedere spazio all’utopia. Vediamone qualche passo, anche se “impongo tassativamente” al lettore di leggere la versione integrale, in modo da poter affrontare anche la parte, particolarmente audace per l’epoca, in cui critica il realismo socialista, che in quegli anni veniva considerata l’unica forma d’arte adatta all’uomo comunista, mentre Guevara scrive chiaramente che non deve esserci nessuna restrizione all’espressione creativa dell’uomo nuovo.
Capita di
frequente d’ascoltare per bocca dei portavoce capitalisti, l’affermazione
secondo cui il nostro sistema sociale sia caratterizzato dall’abolizione
dell’individuo, sacrificato sull’altare dello Stato. Non cercherò di confutare
quest’affermazione su base meramente teorica, ma cercherò di stabilire i fatti
quali oggi si vivono a Cuba. Il
Comandante demoliva già nel 1965 quelle idee che il traditore Veltroni annuncia
come nuove nel 2000: la proclamazione dell’incompatibilità tra comunismo e
libertà, l’adozione del liberismo più feroce come ragion d’essere della
“sinistra”, la “necessità di far scomparire le identità comuniste” eccetera. La
borghesia usa gli stessi argomenti cercando di farli apparire sempre nuovi. Prima di tutto traccerò a grandi linee la
storia della nostra lotta rivoluzionaria … la tappa guerrigliera. Essa si
svolse in due ambienti: quello del popolo, una massa ancora assopita che doveva
essere mobilitata; e la sua avanguardia, la guerriglia, generatore di coscienza
rivoluzionaria e di entusiasmo combattivo. Anche in essa l’individuo rimase il
fattore fondamentale. Nel gennaio del 1959 si costituì il Governo
rivoluzionario, con la partecipazione di membri della borghesia. Poi si
produssero serie contraddizioni, fino alle dimissioni del presidente Urrutìa
sotto la pressione delle masse. Appariva così nella storia di Cuba la massa.
Questa entità dalle molte facce non è la somma di elementi della stessa
categoria, che agisce come un gregge mansueto. La massa partecipò alla Riforma
Agraria, passò attraverso l’esperienza eroica di Playa Giròn , e oggi continua
a lavorare per la costruzione del socialismo. Questo passaggio ha una
particolare importanza teorica, in quanto, coerentemente con quanto affermato
riguardo al sistema di finanziamento di bilancio, il superamento dell’interesse
materiale individuale fa raggiungere un superiore livello di coscienza
collettiva alle persone, che diventano insieme cosciente di individui che
lottano per il medesimo fine, apportando un enorme contributo alla causa della
costruzione del socialismo. Questo sembrerebbe dare ragione a chi parla di
sottomissione dell’individuo allo Stato; la massa realizza i compiti assegnati
con entusiasmo, e l’iniziativa parte in genere dall’alto comando. Solo che
questa viene spiegata al popolo, che la fa sua. Tuttavia a volte lo Stato si
sbaglia. Ecco un’affermazione molto
coraggiosa, visto che venne fatta in un’epoca in cui la burocrazia di partito
si considerava assolutamente infallibile. Quando uno di questi errori si
produce, si nota una diminuzione dell’entusiasmo collettivo, e allora il lavoro
si va paralizzando fino a ridursi a misure insignificanti. …Ciò che riesce
difficile da capire a chi non vive l’esperienza della Rivoluzione, è la stretta
unità dialettica tra l’individuo e la massa, nella quale entrambi si
compenetrano, e la massa, a sua volta, presa come insieme di individui, si
compenetra con i dirigenti. …Nella società capitalista l’uomo è guidato da un
freddo ordinamento che sfugge al dominio della sua comprensione. L’essere
umano, oggetto di alienazione, ha un invisibile cordone ombelicale che lo lega
alla società intesa nel suo complesso: la legge del valore. Essa agisce in
tutti gli aspetti della sua vita, e va modellando la sua strada e il suo
destino. Le leggi del capitalismo, invisibili per la gente in genere, e per di
più cieche, agiscono sull’individuo senza che questi se ne avveda. Egli non
riesce a scorgere altro che la vastità di un orizzonte che gli appare
sconfinato. Così glielo presenta la propaganda capitalista, che pretende di
ricavare dal caso Rockfeller, vero o falso che sia, una lezione intorno alle
possibilità di successo. Il sogno americano del self-made-man, il
miliardario venuto dal nulla. L’equivalente del nostro mai abbastanza odiato
Berlusconi. Rockfeller veniva indicato da tutti come il modello di uomo
americano, la dimostrazione che nella “libera” società occidentale chiunque può
sfondare, in contrapposizione all’uguaglianza socialista. La miseria che
occorre accumulare perché si determini un esempio del genere, e la somma delle
infamie che una fortuna di quelle dimensioni presuppone, (Ad esempio i
legami politici di Berlusconi con Craxi, che gli ha concesso una serie di
licenze al di là di tutte le leggi.) non appaiono nel quadro, e non è sempre
possibile alle forze popolari di venire in chiaro di questi concetti. Qui
il Che apre una parentesi in cui accenna a quello che nei giorni nostri è il
principale problema del movimento operaio nel mondo occidentale: (Qui
cadrebbe opportuna una disquisizione sulla misura in cui nei paesi imperialisti
gli operai vanno perdendo il loro spirito internazionalista di classe sotto l’influenza
di un certo compiacimento dei paesi economicamente dipendenti, e sul modo in
cui questo fatto attenua in pari tempo lo spirito di lotta delle masse nel loro
stesso paese; ma questo è un tema che esula dallo scopo di queste note.) Ad
ogni modo la loro propaganda mostra la via, più o meno irta di ostacoli, che,
almeno in apparenza, un individuo fornito delle qualità necessarie può superare
per raggiungere la meta. Il premio si intravede remoto; il percorso è
solitario. Ed è una corsa di lupi: si può arrivare soltanto grazie agli
insuccessi degli altri. …Nello schema di Marx il periodo di transizione era
concepito come il risultato della trasformazione esplosiva del sistema
capitalista distrutto dalle sue contraddizioni interne; nella realtà successiva
si è visto come dall’albero imperialista si stacchino alcuni paesi che ne
costituiscono i rami più deboli,
fenomeno previsto da Lenin[16]. … In questi paesi
non si è ancora prodotta una completa educazione al lavoro sociale, e la
ricchezza è lungi dal trovarsi a portata di mano delle masse mediante un
semplice processo di appropriazione. Il sottosviluppo da un lato, e la fuga
abituale di capitali verso paesi “civilizzati” dall’altro, rendono impossibile
un cambiamento rapido e senza sacrifici. Resta ancora un lungo tragitto da
percorrere nella edificazione della necessaria base economica, e la tentazione
di seguire le vie già battute dell’interesse materiale come molla di
propulsione di uno sviluppo accelerato, è grandissima. Si corre il pericolo che
i singoli alberi impediscano di vedere il bosco. Perseguendo la chimera di
realizzare il socialismo con le armi spuntate
che il capitalismo ci ha lasciato (la merce come cellula economica, il
reddito, l’interesse materiale inteso come molla, eccetera), si può imboccare
un vicolo senza uscita. E vi si arriva dopo aver percorso un lungo
tragitto,…ed è difficile individuare il
momento preciso in cui si è sbagliato strada. E intanto la base economica
adottata ha compiuto la sua opera di mina sullo sviluppo della coscienza. Per
costruire il comunismo, contemporaneamente alla base materiale bisogna fare
l’uomo nuovo. …Il capitalismo ricorre alla forza, ma inoltre educa
la gente entro il sistema. La propaganda diretta viene realizzata da coloro che
sono incaricati di spiegare l’ineluttabilità di un regime classista, sia esso
di origine divina[17], o sia imposto dalla
natura come entità meccanica. Questo placa le masse, che si vedono oppresse da
un male contro il quale non è possibile la lotta. Poi subentra la speranza; ed
è in questo che il regime capitalista si differenzia dai regimi di casta che lo
hanno preceduto e che non offrivano via d’uscita. Per alcuni continuerà a
vigere la formula della casta: il premio a chi ubbidisce sarà l’approdo, dopo
la morte, ad altri mondi meravigliosi dove i buoni vengono premiati, col che si
osserva la vecchia tradizione. Per altri vi è un’innovazione: la divisione in
classi è fatale, ma gli individui possono uscire da quella cui appartengono,
mediante il lavoro, l’iniziativa, eccetera. Questo procedimento deve
necessariamente essere profondamente ipocrita; è l’interessata dimostrazione
del fatto che una menzogna è verità. Nel nostro caso, l’educazione diretta
acquista un’importanza molto maggiore. La spiegazione è convincente perché è vera,
non ricorre a sotterfugi…. L’educazione mette radici nelle masse, e il nuovo
atteggiamento preconizzato tende a convertirsi in costume; la massa lo va
facendo proprio e preme su coloro che non si sono ancora educati. Questo è il
metodo indiretto di educazione delle masse, non meno potente dell’altro. …Gli
uomini vanno acquistando ogni giorno di più
coscienza della necessità di incorporarsi nella società e, in pari
tempo, della loro importanza come elementi motori della stessa. … Le
avanguardie tengono lo sguardo rivolto al futuro e alla sua ricompensa, ma
questa non si intravvede più come qualcosa di individuale; il premio è la nuova
società, in cui gli uomini avranno caratteristiche diverse: la società
dell’uomo comunista. … ora sono le masse che fanno la storia, in quanto insieme
cosciente di individui che lottano per la stessa causa. L’uomo, nel socialismo,
malgrado la sua apparente standardizzazione, è più completo; … Non si tratta di
saper quanti chilogrammi di carne si mangiano o quante volte all’anno un tale
possa andarsene in giro sulla spiaggia, o quante belle cose importanti
all’estero si possano acquistare con i salari attuali. Si tratta di far sì che
l’individuo si senta più completo, ricco d’una maggior ricchezza interiore e
investito di un’assai maggiore responsabilità. … All’interno del paese i
dirigenti hanno il dovere di eseguire i loro compiti d’avanguardia; e bisogna
dirlo con tutta sincerità: in una vera Rivoluzione, alla quale si dona tutto,
dalla quale non ci si attende nessuna ricompensa materiale, il compito del
rivoluzionario d’avanguardia è insieme magnifico e angoscioso. Mi lasci dire, a
rischio di apparire ridicolo, che il vero rivoluzionario è guidato da grandi
sentimenti d’amore. È impossibile concepire un autentico rivoluzionario che non
abbia questa qualità. Forse è proprio questo uno dei maggiori drammi del
dirigente, che deve unire a uno spirito appassionato una mente fredda, e deve
saper prendere le più dolorose decisioni senza che un solo muscolo gli si
contragga. … in queste condizioni, bisogna possedere una grande dose di umanità
, di senso di giustizia e della verità, per non cadere in eccessi di
dogmatismo, in freddi scolasticismi, nell’isolamento dalle masse. …È chiaro che
nelle circostanze attuali esiste il pericolo delle debolezze in cui è possibile
cadere. Se un uomo pensa che, dovendo dedicare tutta la sua vita alla
rivoluzione, non possa distrarre la mente dal suo lavoro per la preoccupazione
che a un suo figliolo manchi questa o quella cosa, che i suoi bambini abbiano
le scarpe rotte, che la sua famiglia sia priva di certi beni che reputa
necessari, permetterà che sotto questo suo atteggiamento incomincino ad
infiltrarsi i germi della corruzione. Nel nostro caso, abbiamo sostenuto che i nostri figli devono avere ciò che hanno
i figli dell’uomo della strada, e che debbono mancare di ciò che a quelli
manca; e la nostra famiglia deve capirlo e lottare per questo. La rivoluzione
si fa attraverso l’uomo, ma l’uomo ha il dovere di forgiare giorno per giorno
il suo spirito rivoluzionario. …Sappiamo che vi sono altri sacrifici davanti a
noi e che dovremo pagare un prezzo per il fatto eroico di costituire
un’avanguardia come nazione. … Veniamo alle conclusioni:
Noi
socialisti siamo più liberi perché siamo più completi; e siamo più completi
perché siamo più liberi
Lo scheletro
di questa nostra completa libertà è ormai formato; mancano ancora la sostanza
proteica e il rivestimento; li creeremo.
La nostra
libertà e il suo supporto quotidiano sono tinti di sangue e gonfi di sacrificio.
Il nostro
sacrificio è cosciente: quota per pagare quella libertà che stiamo costruendo.
La strada è
lunga e in parte ignota; conosciamo quali sono i nostri limiti. Ma faremo
l’uomo del secolo XXI, lo faremo noi stessi.
Ci forgeremo
nell’azione d’ogni giorno, creando un uomo nuovo con una nuova tecnica.
La
personalità (il dirigente) svolge il
ruolo della mobilitazione e della direzione in quanto incarna le più
alte virtù e le maggiori aspirazioni del popolo e non s’allontana mai dalla sua
via.
Chi apre la
strada è il gruppo d’avanguardia, formato dai migliori fra i buoni, il Partito.
La gioventù è
il materiale fondamentale della nostra opera, in essa riponiamo le nostre speranze, e la prepariamo perché possa
un giorno ricevere dalle nostre mani la bandiera.
…
Patria o muerte
“Creare due,
tre, molti Vietnam è la parola d’ordine” viene scritto a cavallo tra la
missione in Congo e quella in Bolivia. Esso è costituito da una prima parte in
cui si analizza la situazione mondiale e il ruolo dell’imperialismo, e da una
seconda in cui si esplicano le ragioni dell’internazionalismo e della lotta
antimperialista. Il Che apre questo manifesto rivoluzionario con una citazione
di Josè Martì, eroe della liberazione di Cuba dalla Spagna: È l’ora dei
forni e non si vedrà altro che luce. Da questa frase traspare
l’incrollabile determinazione rivoluzionaria, la certezza del dovere di
combattere i nemici dell’umanità, e di continuare a farlo fino a quando non
saranno state spezzate le catene dell’ultimo sfruttato. Prosegue con l’analisi
della situazione di pace di quel periodo, che ricorda tanto la pax romana, la
pace dei sepolcri, e che andrebbe chiamata pax yankee. Ventun anni senza
guerra mondiale, in questi tempi di supremi confronti, di urti violenti e di
bruschi cambiamenti, sembrano molti. Tuttavia, anche senza analizzare i
risultati pratici di questa pace per la quale noi tutti ci dichiariamo pronti a
lottare (la miseria, la degradazione, lo sfruttamento sempre maggiore di enormi
settori del mondo), è lecito chiedersi se questa pace sia reale. Ci piace
pensare che proprio da queste parole nasca il famoso slogan “Senza giustizia
nessuna pace”. …Ci basta opporre all’eccessivo ottimismo (generato da
questa lunga “pace”) l’esempio delle guerre di Korea e Vietnam. Nella guerra
di Korea, … sotto la sleale bandiera delle Nazioni Unite, sono intervenuti
dozzine di paesi, militarmente guidati dagli Stati Uniti, con la massiccia
partecipazione di soldati americani e l’uso, come carne da cannone, della
popolazione sudcoreana arruolata. Da sottolineare questa diversificazione
dei ruoli all’interno del fronte aggressore: gli americani dirigevano le
operazioni, impiegavano armi e soldati scelti, mentre i sudcoreani andavano a
morire al fronte nello scontro fratricida con gli abitanti della parte
settentrionale del paese. Chiaramente da questa guerra gli Usa ebbero il loro
tornaconto, economico e politico, mentre i sudcoreani, loro alleati, persero
l’unità nazionale e innumerevoli vite umane. Un po’ quello che succede
regolarmente all’Italia, che fornisce il territorio nazionale agli americani
per riceverne in cambio “vantaggi” quali l’abbattimento del DC-9 Itavia nel
cielo di Ustica, qualche tonnellata di bombe nell’Adriatico durante la guerra
del Kossovo, la strage del Cermis, dove due ufficiali yankee strafatti di
cocaina hanno tirato giù una funivia, volando al di sotto di qualunque quota
ragionevole. Non solo, ma i piloti hanno anche cercato di distruggere le prove,
una volta scoperti. Nonostante tutto questo, i due top gun non hanno subito
alcuna conseguenza penale, in quanto per i reati commessi dai soldati americani
all’estero “rimane competente la magistratura Usa”. Dunque niente condanna per
strage e niente indennizzi alle famiglie delle vittime. Questo è
l’atteggiamento degli Stati Uniti d’America nei riguardi degli alleati. (O
sarebbe meglio dire dei sottoposti?) Da parte nordamericana, (in Vietnam
e Korea) sono stati compiuti esperimenti di ogni genere con armi di
distruzione, escluse le termonucleari, ma comprese le batteriologice e
chimiche. Nelle guerre imperialiste attuali, come le due missioni nel Golfo
Persico, la Jugoslavia, i missili sull’Afghanistan che, per inciso, hanno
distrutto l’unica fabbrica di antibiotici del paese, gli Usa non usano più le
armi chimiche, bensì le bombe all’uranio impoverito che, molto
democraticamente, distribuiscono per anni tumori e leucemie alla popolazione
civile. Per fortuna i macellai che portano in giro questi strumenti di morte
non sono immuni a queste malattie, per cui gli “eroici” top gun americani, che
bombardano a tradimento treni passeggeri in Jugoslavia, che distruggono ponti
mentre vi transitano automezzi civili, pagano una piccola parte delle loro
colpe. Hanno finalmente costruito una bomba intelligente: quella che dà il cancro
al mittente. …C’è una triste realtà: il Vietnam, questa nazione che incarna
le aspirazioni, le speranze di vittoria di tutto un mondo dimenticato, è
tragicamente solo. Questo popolo deve sopportare i colpi della tecnica
nordamericana, quasi a man salva nel Sud, con alcune possibilità di ripresa nel
Nord, ma sempre solo. La solidarietà del mondo progressista con il popolo del
Vietnam ha il sapore di amara ironia che,
per i gladiatori romani, aveva l’incitamento della folla. Non si tratta
di augurare vittoria alla vittima dell’aggressione, ma di dividere la sua
sorte, di accompagnarla nella vittoria o nella morte. Quando analizziamo la
solitudine vietnamita, ci assale l’angoscia di questo momento illogico
dell’umanità. L’imperialismo nordamericano è colpevole di aggressione: i suoi
crimini sono enormi e disseminati in tutto il mondo. Questo lo sappiamo,
signori! Ma sono altrettanto colpevoli coloro che, nell’ora della decisione,
hanno esitato a fare del Vietnam una parte inviolabile del territorio socialista,
correndo sì il rischio di una guerra su scala mondiale, ma costringendo anche i
nordamericani ad una decisione! E colpevoli sono coloro che alimentano una
guerra di ingiurie e sgambetti, cominciata già da molto tempo dai
rappresentanti delle due maggiori potenze in campo socialista. L’ennesimo
attacco a chi, pur proclamandosi socialista, disattende tutti i doveri
dell’internazionalismo. Stavolta non viene risparmiata neanche la Cina, che
pure aveva rappresentato un saldo punto di riferimento per il Comandante. Come
mai questo cambiamento? Pur non avendolo mai detto espressamente, il Che si era
sempre considerato un filocinese, mentre ora si rende conto che neppure Pechino
si comporta coerentemente con quello che dovrebbe essere il modo di agire
comunista. Questa presa di coscienza riguardo alla Cina è maturata in seguito
al secondo viaggio compiuto dal Che a Pechino, immediatamente dopo il discorso
di Algeri. Nella terra dei mandarini l’allora numero due Deng-Xiao-Ping gli ha
negato gli aiuti richiesti per accendere fuochi di guerriglia in America,
Africa e Indocina, mentre il Presidente Mao gli ha addirittura rifiutato
l’incontro, tutto preso a preparare la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria.
La conseguenza più tragica e paradossale del conflitto russo-cinese è stata
proprio questa: intenti a superarsi, i due grandi paesi socialisti persero
completamente di vista i loro doveri verso i popoli del mondo. Per avere
un’idea di come venisse considerato il Che a Pechino, basti pensare che è da
poco che in Cina si è cominciato a pubblicare le sue opere. Questo vuol dire
che fino ad ora oltre un quinto dell’umanità non ha potuto documentarsi; la
censura è sempre inaccettabile, ma sapere che per l’apparato del partito
comunista cinese il pensiero di Guevara era da censurare dà molto da pensare.
Ancora sugli insegnamenti da trarre dal Vietnam: La maggiore potenza
imperialista sente nelle viscere il dissanguamento provocato da un paese povero
e arretrato, e la sua favolosa economia risente dello sforzo della guerra. … E
l’imperialismo s’impantana nel Vietnam, non trova via di uscita e ne cerca
disperatamente una che gli permetta di eludere con dignità il pericoloso
frangente in cui si trova. Dovranno ritirarsi sconfitti. … I popoli di tre continenti osservano e imparano
la lezione del Vietnam. Visto che gli imperialisti, con la minaccia della
guerra, esercitano il loro ricatto sull’umanità, la giusta risposta è non
temere la guerra. Attaccare duramente, incessantemente in ogni punto del
confronto, deve essere la tattica generale dei popoli. Sull’Europa
occidentale: Il compito della liberazione tocca ancora ai paesi della
vecchia Europa, abbastanza sviluppati per sentire tutte le contraddizioni del
capitalismo, ma così deboli da non poter seguire la direzione dell’imperialismo
o da impegnarsi in questa strada. In questi paesi le contraddizioni assumeranno
un carattere esplosivo, ma i loro problemi, e di conseguenza le loro soluzioni,
sono diversi da quelli dei nostri popoli dipendenti ed economicamente
arretrati. Le condizioni attuali sono la coerente evoluzione dell’analisi
del Comandante. L’Europa continua a mantenere un certo livello di vita grazie
al plusvalore estorto in Polonia, Romania, Albania, Croazia, Jugoslavia,
eccetera. L’area Euro, con alla testa Germania e Francia, tenta invano di
contrapporsi allo strapotere del dollaro, che invece rischia di schiacciare la
concorrente economia europea. La crescente disoccupazione, con le conseguenti
sacche di povertà, come pure il crescere dell’inflazione, la perdita di potere
d’acquisto della moneta, il venir meno dello stato sociale, non sono altro che
i segni di un’economia in crisi. Per non parlare della completa dominazione
militare degli yankee nella NATO, con basi militari americane sparse ovunque,
specialmente nel nostro paese. Da ciò si dovrebbe dedurre che la lotta
antimperialista dovrà prendere piede anche in Europa, visto che qui il
capitalismo sta naufragando, costringendo il proletariato a condizioni di vita
davvero inaccettabili. Vediamo ora l’analisi della situazione nei territori
dipendenti. Il campo fondamentale dello sfruttamento imperialista abbraccia
i tre continenti arretrati, America (del Sud), Asia e Africa.
Attualmente va inserito in quest’elenco anche l’Est europeo, che dopo i disastri
dei burocrati distruttori del socialismo si è trasformato in un territorio di
sfruttamento e di rapina imperialista, con la penetrazione di capitali
nordamericani ed europei nei settori strategici dell’economia, con il popolo
affamato, abbrutito, la mafia imperante, migliaia di prostitute per le strade
di tutta Europa e addirittura i bambini venduti alle voglie dei prodotti della
corruzione della società capitalista. Ogni paese (appartenente al campo
di quelli dipendenti) ha caratteristiche proprie, ma anche i continenti, nel
loro insieme, presentano caratteristiche peculiari. L’America costituisce un
complesso più o meno omogeneo e, nella quasi totalità del suo territorio, i
capitali monopolistici nordamericani mantengono un primato assoluto. … I nordamericani
sono giunti quasi al culmine del loro dominio politico ed economico ed ormai
potrebbero avanzare ben poco;… La loro politica è di conservare quello che
hanno conquistato… la loro linea d’azione è impedire movimenti di liberazione.
Sui “casus belli” imperialisti: … Sotto lo slogan “Non permetteremo un altra
Cuba” si cela la possibilità di aggressioni a mansalva, … le truppe yankee sono
pronte ad intervenire in qualsiasi luogo d’America in cui l’ordine stabilito
venga alterato, mettendo in pericolo gli interessi nordamericani. Questa
politica gode di un’impunità assoluta, … l’Onu è di un’inefficienza che rasenta
il ridicolo e il tragico. Gli eserciti di tutti i paesi d’America sono pronti
ad intervenire per schiacciare i loro popoli. In effetti si è costituita
l’internazionale del crimine e del tradimento. Esattamente questi erano i
pretesti con cui si massacravano i popoli che non volevano sottostare al giogo
Usa. Oggi la situazione è leggermente diversa: essendo la lotta per il
socialismo in una fase stagnante, le aggressioni si giustificano con
pretestuosi “motivi umanitari”. Queste nobili ragioni permettono ai paesi
imperialisti di intervenire dove meglio gli aggrada, dimenticando che un paese
in cui viene largamente applicata la pena di morte dovrebbe essere l’ultimo a
mettere bocca nelle questioni altrui. Per rendersi conto di quanto queste
missioni umanitarie siano solo dei pretesti per espandere il proprio dominio,
basti pensare a quello che quotidianamente subisce il popolo kurdo in Turchia, e
la Turchia è un paese Nato, in odore di ingresso nella comunità europea,
nessuno mai si sognerebbe di attaccarla “solo” perché lì quotidianamente
vengono catturati, torturati, uccisi, violentati, decine di esseri umani di
etnia kurda. Le fosse comuni di Milosevic sono davvero misera cosa rispetto a
ciò che succede nella nostra alleata Turchia, e questo secondo lo stesso
tribunale internazionale dell’Aja. Per non parlare dei crimini perpetrati da
Israele nei confronti del popolo della Palestina, con la benedizione degli Usa,
che esercitano il diritto di veto alle Nazioni Unite su qualunque sanzione ai
sionisti. Spero che il lettore mi perdonerà per questa breve ed appassionata
digressione, torniamo ora a noi, e proseguiamo con l’Asia e l’Africa. …L’Asia
è un continente con caratteristiche diverse. Le lotte di liberazione contro una
serie di potenze coloniali europee hanno dato come risultato l’insediarsi di
governi più o meno progressisti, la cui ulteriore evoluzione è stata, in certi
casi (Cambogia, Laos, Vietnam, Korea, Cina), l’approfondimento degli
obiettivi primari della liberazione nazionale, e in altri, di ritorno verso
posizioni filo-imperialiste (Sud-Korea, India, eccetera). Dal punto di
vista economico, gli Stati Uniti avevano molto da guadagnare in Asia. I
cambiamenti li favoriscono; si lotta per soppiantare altre potenze
neocoloniali, per penetrare in nuove sfere d’azione sul terreno economico, a
volte direttamente, a volte utilizzando il Giappone.…Geograficamente
appartenente a questo continente, ma con contraddizioni sue proprie, il Medio
Oriente è in piena ebollizione, senza che si possa prevedere quali proporzioni
assumerà la guerra fredda tra Israele, sostenuto dagli imperialisti, e i paesi
progressisti della regione. Fino agli anni settanta si diceva “Palestina
libera, Palestina Rossa”, e l’Algeria era l’avanguardia dei popoli d’Africa.
Purtroppo, principalmente a causa di grandi limiti oggettivi, i partiti
comunisti di questi paesi hanno perso la direzione delle masse popolari, che
adesso si battono sotto l’oscena bandiera dell’integralismo islamico. Questo
fenomeno di degenerazione della lotta di classe e di liberazione in lotta
religiosa è in preoccupante espansione nella fase attuale, tanto che alcuni
considerano che la contraddizione principale di questo periodo non sia quella
tra capitalismo e socialismo, bensì quella tra integralismo islamico e
imperialismo nordamericano. Purtroppo una più approfondita analisi di questa
situazione va al di là sia delle nostre forze che dello scopo di queste righe. L’Africa
offre le caratteristiche di un campo quasi vergine per l’invasione
neocoloniale. Si sono prodotti mutamenti che, in una certa misura, hanno
costretto le potenze coloniali a cedere le loro antiche prerogative di
carattere assoluto. Ma quando i processi ricominciano ininterrottamente, al
colonialismo succede, senza violenza, il neocolonialismo, i cui effetti sono
identici, per quanto concerne il dominio economico. Gli Stati Uniti non avevano
colonie in questa regione, ma oggi lottano per entrare nei recinti chiusi dei
loro soci … non hanno ancora grandi interessi da difendere, eccetto il loro
preteso diritto di intervenire in qualunque luogo del mondo in cui i loro
monopoli abbiano annusato buoni guadagni o l’esistenza di grandi riserve di materie
prime. Pensiamo un attimo alla missione “umanitaria” in Somalia, terra
nella quale i maggiori crimini contro l’umanità sono stati compiuti proprio dai
caschi blu dell’Onu, con in prima fila i soldati italiani. Stupri e torture
venivano perpetrati quotidianamente dai “portatori di pace”. Il testo
continua con l’analisi della strategia e della tattica della lotta
antimperialista, soffermandosi sulle varie situazioni di guerriglia e sulle
contromisure Usa. Oggi ci sono consiglieri (statunitensi) in tutti i
paesi nei quali si mantiene una lotta armata… ma se i focolai della guerra
verranno diretti con sufficiente abilità militare, diventeranno imbattibili e
provocheranno l’invio di altri yankee. … A poco a poco le armi antiquate che
bastano per la repressione di piccole bande cederanno il posto ad armi moderne
e i gruppi dei consiglieri saranno sostituiti da combattenti nordamericani.
Come è successo, ad esempio, a Panama e nello stesso Vietnam. Questo
comporterebbe una notevole dispersione di forze da parte degli Usa e, nella
visione tattica del Che, un loro conseguente indebolimento, con una crescita
dell’opposizione interna, creando così contraddizioni in seno all’imperialismo
sfruttabili nell’ottica strategica. In altre parole, quanti più saranno i fronti
su cui gli yankee saranno impegnati, tanto
più essi si indeboliranno. Questo indebolimento dovrebbe manifestarsi in due
direzioni: esternamente, a causa del dispiego di forze per reprimere i popoli
in lotta, e internamente, col crescente dissenso della classe operaia
americana, che è quella che paga i costi delle guerre, siano essi in dollari o
in vite umane. Quindi, la somma della dispersione dei contingenti militari,
dell’acuirsi della lotta di classe sul suo stesso territorio, e dell’aumento
dell’onda d’urto dei popoli in lotta, che sottraggono materie prime e
infliggono sconfitte militari, dovrebbe portare alla sconfitta degli Usa.
Veniamo ora alla parte in cui vengono definiti gli obiettivi strategici e
tattici della lotta antimperialista.… In definitiva bisogna considerare che
l’imperialismo è un sistema mondiale, ultima tappa del capitalismo[18], e che bisogna
abbatterlo in un grande scontro mondiale. Lo scopo strategico di questa lotta
deve essere la distruzione dell’imperialismo. La parte che tocca a noi,
sfruttati e sottosviluppati del mondo, è quella di eliminare le basi di
sostentamento dell’imperialismo: l’oppressione dei nostri paesi, dai quali gli
imperialisti traggono capitali, materie
prime e manodopera a basso costo ed esportano
nuovi capitali (strumenti di dominio) armi e articoli di ogni genere,
facendoci sprofondare in una dipendenza assoluta. … Dobbiamo eseguire un
compito di carattere generale che abbia come scopo tattico di togliere il
nemico dal suo ambiente, costringendolo a lottare in luoghi in cui le sue
abitudini di vita urtino con la realtà dominante. Non bisogna sottovalutare
l’avversario: il soldato americano ha notevoli capacità tecniche ed è
spalleggiato da mezzi di tale ampiezza da renderlo temibile. Gli manca
essenzialmente la motivazione ideologica che possiedono invece in altissimo
grado i suoi più ostinati nemici odierni: i soldati vietnamiti[19]. Potremo
trionfare su questo esercito solo nella misura in cui riusciremo a minarne il
morale. E il morale si mina infliggendogli sconfitte e causandogli sofferenze
dietro sofferenze. Ma questa strategia minima implica da parte dei popoli
immensi sacrifici, sacrifici che devono essere richiesti sin da oggi, alla luce
del sole, e che forse saranno meno dolorosi di quelli che i popoli dovrebbero
sopportare se evitassimo costantemente la battaglia, perché altri ci tolgano le
castagne dal fuoco. È chiaro che l’ultimo paese che si libererà lo farà
probabilmente senza lotta armata, e le sofferenze che una guerra lunga e
crudele come quella che fanno gli imperialisti gli saranno risparmiate. … ma
non dobbiamo mai cedere alla tentazione di essere gli alfieri di un popolo che,
pur anelando alla propria libertà, rifiuta la lotta che questa implica e
aspetta la libertà come un’elemosina. … non possiamo farci nessuna illusione,
né abbiamo il diritto ad ottenere la libertà senza combattere. Questo è
quello che il Che chiede ad ogni sincero militante comunista, cominciando
ovviamente da se stesso: assumersi delle precise responsabilità nell’ambito
della lotta, e non nascondersi dietro facili alibi, aspettando magari che “la
fase permetta un diverso sviluppo della situazione”. Ancora sulla tattica nei
paesi dipendenti e sottosviluppati : E le lotte non saranno semplici
combattimenti di strada, né scioperi generali pacifici; e non sarà nemmeno la
lotta di un popolo infuriato che in due o tre giorni distrugge l’apparato
repressivo delle oligarchie governanti; sarà una lotta lunga, cruenta… Gli
inizi saranno estremamente difficili. Tutta la repressione, la brutalità e la
demagogia di cui le oligarchie sono capaci, verranno messe al servizio di
questa causa. … L’odio come fattore di lotta, l’odio intransigente per il
nemico, che spinge l’essere umano oltre i limiti naturali e lo trasforma in
un’efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere. I nostri
soldati devono essere così; un popolo senza odio non può trionfare su un nemico
brutale. Vediamo adesso la concezione guevariana dell’internazionalismo
proletario nell’ambito delle lotte di liberazione, nell’ottica della
rivoluzione mondiale: E che si sviluppi un vero internazionalismo
proletario, con eserciti proletari internazionali, dove la bandiera sotto la
quale si combatte diventi la causa sacra della redenzione dell’umanità, così
che morire sotto le insegne del Vietnam, del Venezuela, del Guatemala, del
Laos, della Guinea, … sia glorioso e desiderabile tanto per un americano che
per un asiatico, un africano o anche un europeo. Ogni goccia di sangue versata
in un territorio sotto la cui bandiera non si è nati, è un’esperienza che chi
sopravvive raccoglie per poi applicarla alla lotta nel suo paese d’origine. E
ogni popolo che si libera è una fase vinta nella battaglia per la liberazione
della propria gente. Viene poi affrontata l’eterna questione delle
divergenze. Penso che il mio lettore conosca la storiella per cui due comunisti
fanno una cellula del partito e tre comunisti fanno due partiti comunisti. Il
settarismo e lo scissionismo sono due mali storici della sinistra antagonista,
sempre divisa in gruppi, che a loro volta si spaccano ad ogni divergenza
interna. È ora di moderare le nostre divergenze e mettere tutto al servizio
della lotta… Nel nostro mondo in lotta, ogni divergenza a proposito della
tattica, del metodo d’azione per il raggiungimento di obiettivi limitati deve
essere analizzata con il rispetto dovuto alle opinioni altrui. In quanto al
grande obiettivo strategico, la distruzione dell’imperialismo attraverso la
lotta, dobbiamo essere intransigenti. Questo vuol dire che solo in chiave strategica
bisogna essere chiusi, mentre sulla tattica, sul metodo di lavoro e di
direzione, su tutte le contraddizioni secondarie, sulle etichette che dividono
la sinistra antagonista[20],
bisogna essere estremamente pragmatici, al fine di creare un movimento forte e
coeso. …Come potremmo guardare a un futuro luminoso e vicino se due, tre,
molti Vietnam fiorissero sulla superficie terrestre, con la loro parte di morte
e di immense tragedie, con l’eroismo quotidiano, con i ripetuti colpi assestati
all’imperialismo, che sarebbe costretto a disperdere le sue forze, sotto gli
assalti dell’odio crescente dei popoli del mondo! … E adesso
sull’eventualità della propria morte in battaglia, rispondendo anticipatamente
a tutti quelli che dopo Quebrada del Yuro si affrettarono a proclamare la fine
dell’“utopismo guerrigliero” insieme a quella del suo ispiratore. In questo
passo non c’è nulla di scientifico, è l’appassionata dichiarazione di guerra a
chi tiene nell’abbrutimento e nella miseria la grande maggioranza del genere
umano, è la trascinante affermazione della propria disposizione al sacrificio
in nome della vittoria. Tutto questo si deduce anche dallo stile della
scrittura, fatta di periodi lunghissimi, più da incitamento di piazza che da
articolo, come se volesse sollevare con il suo carisma tutti gli sfruttati,
invitandoli ad alzare le mani ed impugnare le armi contro il crudele nemico. Se
a noi, che in un piccolo punto della carta geografica del mondo (Guatemala,
Cuba, Congo, Bolivia) compiamo il dovere che propugniamo e mettiamo al
servizio della lotta quel poco che ci è permesso dare (la nostra vita, il
nostro sacrificio) capitasse uno di questi giorni di esalare l’ultimo respiro
su una terra qualsiasi, ormai nostra, intrisa del nostro sangue, si sappia che
abbiamo misurato la portata dei nostri atti e che non ci consideriamo niente di
più che elementi del grande esercito del proletariato, ma che ci sentiamo
orgogliosi di aver imparato dalla Rivoluzione cubana … l’immensa lezione che
emana dal suo atteggiamento in questa parte del mondo: “Che importano i
pericoli o i sacrifici di un uomo o di un popolo, quando è in gioco il destino
dell’umanità?” Ogni nostra azione è un grido di guerra contro l’imperialismo, è
un appello vibrante all’unità dei popoli contro il grande nemico del genere
umano: gli Stati Uniti d’America. In qualunque luogo ci sorprenda la morte, che
sia la benvenuta, purché il nostro grido di guerra giunga ad un orecchio
ricettivo, e purché un’altra mano si tenda per impugnare le nostre armi e altri
uomini si apprestino a intonare canti di morte con il crepitio delle
mitragliatrici e nuove grida di guerra e di vittoria.
L’addio a
Cuba e il ritorno alla guerriglia
Il 14/3/65, al
ritorno dalla conferenza di Algeri, il Che appare per l’ultima volta in
pubblico, all’aeroporto dell’Avana. Ad attenderlo ci sono Fidel Castro e
Osvaldo Dorticòs, allora Presidente di Cuba. I due sono evidentemente provati a
causa di tutte le lamentele che hanno
dovuto ascoltare da Mosca in seguito al discorso di Algeri. Il Che e Fidel
resteranno in riunione quasi ininterrottamente per quaranta ore. Secondo molti
biografi in quelle ore, dopo aver chiarito che quelle espresse ad Algeri erano
opinioni personali del Comandante e non la posizione ufficiale del governo di
Cuba, i due stabiliscono le modalità dell’operazione in Congo. Da allora in poi
il Che vivrà tra clandestinità e guerriglia. Lascia tutti gli incarichi
ufficiali e scrive le ultime lettere, le famose lettere d’addio[21] che
verranno affidate a Fidel e da questi lette solo quando sarà inevitabile, cioè
quando la propaganda, che voleva il Che morto o in galera a causa dei dissidi
con il Lider Maximo, stava convincendo i più. È vero che il Che causò, a causa
delle sue posizioni, molti problemi al governo di Cuba, ma è altrettanto vero
che Fidel fece sempre tutto il possibile per appoggiare le missioni
guerrigliere del Che. Cuba non solo non ha mai tradito, ma ha sempre fornito al
Che, nei limiti del possibile, uomini e mezzi, contrariamente a quanto fatto
dal PCB e dai partiti dei paesi dell’est. Le testimonianze dei periodi
guerriglieri ci sono fornite dai “Passaggi della guerra rivoluzionaria: Congo”
e dal famosissimo “Diario in Bolivia”. Del primo scritto vanno segnalate le
analisi della peculiare situazione africana, dove le numerose lotte intestine e
la diffidenza verso i guerriglieri cubani, stranieri ed in alcuni casi bianchi,
causarono molti problemi alla lotta. Del periodo tra la missione in Congo e
quella in Bolivia abbiamo detto che viene scritto “Creare due, tre, molti
Vietnam”, e nel contempo viene preparata la spedizione boliviana. Del “Diario
in Bolivia” hanno particolare importanza l’introduzione scritta da Fidel
Castro, nella quale viene svolta un’eccellente analisi dei perché della
sconfitta della guerriglia, e le considerazioni del Che sul governo Boliviano e
sull’atteggiamento delle truppe guerrigliere. Il primo incontro del Che con
Mario Monje, segretario del PCB, avviene il 31 dicembre del 1966. Nel Diario
l’incontro viene definito cordiale ma un po’ forzato. Il Che parla di un
atteggiamento ambiguo sin dal primo momento da parte di Monje, testualmente: la
domanda “che cosa sei venuto a fare” era nell’aria. … La conversazione con
Monje ha avuto un avvio generico ma ben presto si è concentrata intorno alle
sue proposte principali che si riassumono in tre condizioni fondamentali:
1)
Egli rinuncerebbe alla direzione del partito
dopo aver ottenuto però che questo assuma almeno una posizione di neutralità e
che vi si possano attingere quadri per la lotta
2) La direzione politico-militare della lotta dovrebbe spettare a lui fintanto che la rivoluzione si svolga sul territorio boliviano
3) Egli si occuperebbe dei rapporti con gli altri partiti sudamericani, cercando di indurli a sostenere i movimenti di liberazione (Ha fatto l’esempio di Douglas Bravo[22])
Gli ho
risposto che sul primo punto spettava a lui decidere come segretario del
partito, sebbene io considerassi un gravissimo errore la sua posizione. Una
posizione vacillante e accomodante, tale da lasciare intatto il prestigio di
coloro che invece andavano condannati per la loro posizione politicamente
incerta. Il tempo mi avrebbe dato ragione. In pratica Monje cercava di
salvaguardare quella parte del partito che non voleva assolutamente saperne
della guerriglia. Circa il terzo punto, non avevo obiezioni a che cercasse
di realizzarlo, però era destinato al fallimento. Chiedere a Codovilla[23]di appoggiare Douglas
Bravo è come chiedergli che ammetta un’insurrezione all’interno del suo
partito. …Il secondo punto non avrei
potuto accettarlo in alcuna maniera. Il capo di
militare sarei stato io e su tale questione non ammettevo la minima
ambiguità. A questo punto la discussione si è bloccata continuando in un
circolo vizioso. Ci siamo lasciati concludendo che ci avrebbe ripensato e ne
avrebbe discusso con i compagni
boliviani. Il Che era reduce dall’esperienza in Congo, dove i cubani
ebbero solo il ruolo di consulenti, e non ci fu mai un comando militare chiaro,
tanto che non si riuscirono mai a coordinare le forze dei vari distaccamenti.
Alla luce di quell’esperienza il Comandante non poteva assolutamente permettere
che un grigio uomo di partito, senza alcuna esperienza di guerriglia, prendesse
il comando dell’E.L.N.-B[24].
Difficilmente le esperienze acquisite dietro una scrivania sarebbero state
utili a Monje nella lotta rivoluzionaria. Il Che ad un certo punto della
discussione arrivò a proporre di lasciare a lui il comando formale, cioè era
disposto ad andare a fargli il saluto militare tutte le mattine e lasciare che
lui fosse riconosciuto come capo all’esterno del movimento, ma di fatto tutte
le decisioni avrebbe dovuto prenderle lui, che era un Comandante guerrigliero.
Neanche questo accettò Monje, che cercava solo il pretesto per rompere con
quella “frangia di pazzi estremisti”, come ebbe poi a definire l’E.L.N.-B in
una riunione del partito. Ci siamo poi trasferiti al nuovo accampamento e lì
ha parlato con tutti ponendo l’alternativa di restare o seguire le direttive
del partito; tutti hanno risposto che sarebbero restati e pare che la cosa lo
abbia colpito. Il primo gennaio il Che scrive: Questa mattina, senza
discutere con me, Monje mi ha informato che si ritirava … La mia impressione è
che, avendo saputo da Coco[25] la mia decisione di
non cedere sulle cose strategiche, egli abbia colto al volo l’occasione per
forzare la rottura, poiché le sue argomentazioni sono inconsistenti. Nel
pomeriggio ho riunito tutto il gruppo per informarlo sull’atteggiamento di
Monje, annunciando che avremmo realizzato l’unità con tutti quelli che fossero
decisi a fare la rivoluzione, e ho predetto momenti difficili e giornate di
travaglio morale per i lavoratori boliviani. Nell’analisi del mese di
gennaio scrive: Com’era da aspettarsi, l’atteggiamento di Monje è stato
prima evasivo e poi di vero e proprio tradimento. Il partito ci sta già
attaccando e non so sino a che punto arriverà, ma questo non ci fermerà di
certo e forse, alla lunga, potrà essere un vantaggio (ne sono quasi sicuro). La
gente più onesta e combattiva sarà con noi, anche se dovrà attraversare delle
crisi di coscienza più o meno gravi. Qui l’analisi del Che non è del tutto
condivisibile; in realtà quando alla macchina di propaganda di regime, che
demonizza i combattenti del popolo chiamandoli terroristi e vili assassini, si
somma la sconfessione del partito, che dovrebbe guidare le masse popolari e
invece le mette contro le loro avanguardie, i guerriglieri, si crea un
pericoloso isolamento, che nei casi che ci sono noti ha sempre portato alla
sconfitta. Questo avviene perché le masse, prive dell’organismo guida (un
partito comunista degno di questo nome) vengono fuorviate per un periodo più o
meno lungo, durante il quale la macchina repressiva della borghesia ha modo di
infliggere pesanti sconfitte ai combattenti. Senza l’appoggio ed anzi, con
l’aperta ostilità dei traditori del PCB, la lotta và comunque avanti,
riportando numerosi successi. Dopo un po’ la presenza del Che in Bolivia viene
confermata da più parti e si scatenano le reazioni: gli Usa inaspriscono ancora
i rapporti con Cuba, accusata di fomentare disordini in altri paesi, mentre il
blocco socialista critica il Che con un accanimento sconosciuto prima di
allora. L’atteggiamento dei paesi dell’est verso la guerriglia in Bolivia era
così ostile perché le assurde regole della guerra fredda imponevano il rispetto
degli accordi di Jalta sulla spartizione del mondo tra le due superpotenze, e
il Che metteva a repentaglio questi equilibri. L’otto settembre leggiamo sul
Diario: …Un giornale di Budapest critica Che Guevara, figura patetica e, a
quanto pare, irresponsabile, e porta ad esempio la posizione marxista del
Partito Comunista Cileno che assume atteggiamenti pratici di fronte alla realtà[26]. Come mi piacerebbe
vincere, se non altro per smascherare i codardi e i venduti di tutte le razze e
strofinargli il muso nelle loro porcherie. Dal punto di vista strettamente
politico vanno segnalati i comunicati fatti dall’E.L.N.-B al popolo, ai
minatori e ai compagni nelle città. Questi comunicati venivano firmati
semplicemente dall’E.L.N. o da Inti Peredo, ma venivano sempre scritti dal Che,
infatti vi ritroviamo i contenuti di
“Creare due, tre, molti Vietnam è la parola d’ordine”, adattati alla
specifica situazione boliviana, e tutta una serie di istruzioni politiche e
militari per i compagni che svolgono attività clandestine di appoggio alla
lotta di liberazione all’interno delle città. L’otto ottobre del 1957 il Che
viene ferito ad un braccio durante l’imboscata di Quebrada del Yuro, e il suo
fucile viene distrutto da una raffica. Questo spiega come mai fu catturato
vivo. Portato alla vicina scuola di La Higuera, verrà assassinato da un
sottufficiale (nessun ufficiale aveva avuto il coraggio di farlo) qualche
minuto prima delle 13.
Appendice
Le lettere d’addio
A Fidel
Fidel,
mi ricordo in quest’ora di mole cose: quando ti conobbi in casa di Maria Antonia[27], quando mi proponesti di venire con te, tutta la tensione dei preparativi.
Un giorno vennero a domandarci chi avrebbero dovuto avvisare in caso di morte, e la possibilità reale del fatto ci colpì tutti. Più tardi sapemmo che era vero, che in una rivoluzione si trionfa o si muore (se è vera). Moti compagni rimasero lungo la strada che portava alla vittoria.
Oggi tutto ha un tono meno drammatico perché siamo più maturi, ma il fatto si ripete. Sento di aver compiuto quella parte del mio dovere che mi legava alla rivoluzione cubana nel suo territorio, e mi congedo da te, dai compagni, dal tuo popolo, che ormai anche il mio.
Rinuncio formalmente ai miei incarichi nella direzione del partito, alla mia carica di ministro, al mio grado di comandante, alla mia condizione di cubano. Nulla di legale mi vincola a Cuba, soltanto legami di altro genere, che non si possono rompere come i titoli.
Facendo un bilancio della mia vita passata, credo di aver lavorato con sufficiente onestà e dedizione a consolidare il trionfo rivoluzionario. Il mio unico errore di qualche gravità è di non aver avuto maggior fiducia in te fin dai primi momenti sulla Sierra Maestra e di non aver compreso con sufficiente rapidità le tue qualità di capo e di rivoluzionario. Ho vissuto magnifici giorni e ho provato, al tuo fianco, l’orgoglio di appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della crisi dei Caraibi[28]. Poche volte come allora uno statista brillò tanto in alto, e così provo orgoglio anche per averti seguito senza esitazioni, per essermi identificato col tuo modo di pensare e di vedere e di valutare i pericoli e i princìpi.
Altre terre del mondo reclamano il contributo dei miei modesti sforzi. Io posso fare ciò che a te è negato dalla tua responsabilità alla testa di Cuba, ed è giunta l’ora di separarci.
Si sappia che lo faccio con un misto di allegria e dolore: lascio, qui, la parte più pura delle mie speranze di costruttore e i più cari tra gli esseri a me cari, e lascio un popolo che mi adottò come un suo figlio; ciò lacera una parte del mio spirito. Sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro tra i doveri: lottare contro l’imperialismo ovunque esso sia; ciò riconforta e cura largamente qualunque strazio.
Ripeto una volta d più che sollevo Cuba da qualsiasi responsabilità, salvo da quella che emana dal suo esempio. Che se la mia ultima ora mi raggiungerà sotto altri cieli, il mio pensiero andrà a questo popolo e in particolare a te. Che ti ringrazio per i tuoi insegnamenti e il tuo esempio e che farò in modo di essere fedele fin nelle conseguenze estreme dei miei atti. Che sono stato identificato sempre con la politica estera della nostra Rivoluzione e che continuo ad esserlo. Che, dovunque io sarò, sentirò la responsabilità di essere un rivoluzionario cubano e che come tale agirò. Che non lascio ai miei figli e a mia moglie nulla di materiale e che ciò non mi addolora: che sia così mi rallegra. Che non chiedo nulla per loro poiché lo Stato darà loro quel che basta per vivere ed educarsi.
Avrei molte cose da dirti, a te e al nostro popolo, ma sento che non sono necessarie: le parole non possono esprimere quello che io vorrei, e non vale la pena d’imbrattare carta.
Hasta la victoria siempre![29] Patria o morte!
Ti abbraccia con fervore rivoluzionario
Che
Questa fu la lettera letta da Fidel durante una manifestazione pubblica, in violazione della consegna del Che di rendere pubbliche le lettere solo dopo l sua morte. Come già detto, questa violazione fu una inevitabile necessità politica per smentire la gigantesca campagna di disinformazione diffamazione che voleva un Che ucciso o in galera per ordine di Fidel.
Cari vecchi,
una volta ancora sento i miei talloni contro il costato di Ronzinante: mi rimetto in cammino col mio scudo al braccio[30].
Sono passati quasi dieci anni da quando vi scrissi un’altra lettera di commiato. A quanto ricordo, mi lamentavo di non essere un miglior soldato e un miglior medico; la seconda cosa ormai non mi interessa, come soldato non sono tanto male.
Nulla è cambiato, in sostanza, a salvo il fatto che sono molto più cosciente, il mio marxismo si è radicato e depurato. Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli che lottano per liberarsi , e sono coerente con quello che credo. Molti mi daranno dell’avventuriero, e lo sono; soltanto che lo sono di un tipo differente: di quelli che rischiano la pellaccia per dimostrare le loro verità.
Può darsi che questa sia l’ultima volta, la definitiva. Non la cerco, ma rientra nel calcolo logico delle probabilità. Se così fosse, eccovi un ultimo abbraccio.
Vi ho molto amati, ma non ho saputo esprimere il mio affetto; sono, nelle mie azioni, estremamente drastico, e credo che a volte non abbiate capito. Non era facile capirmi, d’altra parte: credetemi almeno oggi.
Ora, una volontà che ho educato con amore d’artista sosterrà due gambe molli e due polmoni stanchi.
Riuscirò.
Ricordatevi, ogni tanto, di questo piccolo condottiero[31]del XX secolo. Un bacio a Celia, a Roberto, a Juan Martìn e a Pototìn, a Beatriz, a tutti. A voi un grande abbraccio di figliol prodigo e ostinato
Ernesto
Ai figli
Cari Hildita, Aleidita, Camilo, Celia ed Ernesto,
se un giorno dovrete leggere questa lettera, sarà perché io non sono tra voi.
Quasi non vi ricorderete di me e i più piccoli non ricorderanno nulla.
Vostro padre è stato uno di quegli uomini che agiscono come pensano e, di sicuro, è stato coerente con le sue convinzioni. Crescete come buoni rivoluzionari. Studiate molto per poter dominare la tecnica che permette di dominare la natura. Ricordatevi che l’importante è la rivoluzione e che ognuno di noi, da solo, non vale nulla.
Soprattutto, siate sempre capaci di sentire nel più
profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del
mondo. È la qualità più bella di un rivoluzionario. Addio, figlioli, spero di
vedervi ancora. Un bacione ed un grande abbraccio da
Papà
Nota
dell’autore:
Tutte le citazioni e le immagini contenute in questo
libro sono tratte dal mio archivio personale di testi in lingua originale,
quindi nella bibliografia includerò solo i testi che sono disponibili anche in
italiano. I testi utilizzati sono protetti da copyright di proprietà degli
eredi del Che e delle Case Editrici cubane
Bibliografia italiana
Guevara,
Ernesto Che, a cura di Roberto Massari: Scritti Scelti. Cooperativa Erre Emme
edizioni 1993
Guevara,
Ernesto Che : Prima di morire, appunti e note di lettura. Feltrinelli, 1998
Guevara,
Ernesto Che : Diario della Rivoluzione Cubana, in varie edizioni
Guevara,
Ernesto Che : La guerra di guerriglia. Baldini&Castoldi 1996
Guevara,
Ernesto Che : L’economia. Baldini&Castoldi 1996
Guevara,
Ernesto Che : Politica e Sviluppo. Baldini&Castoldi 1996
Guevara,
Ernesto Che : Lettere Scelte. Baldini&Castoldi 1996
Guevara,
Ernesto Che : Diario in Bolivia, Feltrinelli 1968
Guevara,
Ernesto Che, Castro, Raùl : La conquista della speranza. Marco Tropea editore,
1996
Guevara,
Ernesto Che : Latinoamericana, diario di un viaggio in motocicletta.
Feltrinelli1993
Guevara,
Ernesto Che : Passaggi della Guerra Rivoluzionaria: Congo. Disponibile in varie
edizioni
Cormier,
Jean Le battaglie non si perdono, si vincono sempre. RCS 1997
Paco
Ignacio Taibo II : Senza Perdere La Tenerezza. Il Saggiatore, 1997
Sono
inoltre disponibile in italiano:
Almeyra-Santarelli
: Il Pensiero Ribelle, Datanews 1993
Roberto
Massari : Che Guevara, l’uomo dal mito alla storia Editori Riuniti/Erre emme
1997
Josè
Soto : Ernesto Che Guevara, Ideario Newton Compton 1996
David
Deutschmann : Ernesto Che Guevara raccontato da Fidel Castro. Newton Compton
1997
[1] (FUribondo SERna, come lo chiama Alberto)
[2] M26/7, dalla data del fallito assalto alla caserma Moncada, costato l’esilio a Fidel
[3] Intercalare tipico argentino, vale in italiano “mio”
[4] Il nome dello yacht era Grandmother, loro lo chiamavano Granma, nonnina.
[5] El Cubano Libre, su cui si spiegavano al popolo le ragioni della lotta rivoluzionaria.
[6] Radio Rebelde, che diffonderà il suo segnale in tutta la Sierra smentendo puntualmente le continue menzogne propagandistiche degli uomini di Batista,che quotidianamente annunciavano di aver inflitto duri colpi ai guerriglieri, proclamando di aver preso ora Fidel, ora il Che, ora Raùl Castro o Camilo Cienfuegos.
[7] Il movimento del llano è il movimento cittadino, il cui contributo alla lotta rivoluzionaria fu generoso ma modesto.
[8] Primo Presidente del Congo liberato
[9] 1cavalleria=134,3mq
[10] Raccomando al lettore di leggere la versione integrale dell’articolo “A proposito del sistema di finanziamento di bilancio”, facilmente reperibile in Italia.
[11] Si legga in proposito l’articolo “Considerazioni sui costi di produzione” del 1963
[12] La Russia si convertirà e il mondo avrà la pace
[13] Partito Comunista Boliviano
[14] Partito comunista dell’Unione Sovietica
[15] Cioè il fronte di coloro che lottavano contro il golpe che aveva portato al martirio di Lumumba.
[16] Infatti le principali rivoluzioni sono state fatte nella Russia zarista, in Cina, a Cuba, paesi dominati da un’aberrante coesistenza di colonialismo e feudalesimo.
[17] Storicamente le religioni hanno sempre servito i potenti, giustificando il loro regno sulla terra e dissuadendo i popoli dalla lotta. “Date a Cesare quel che è di Cesare” “Porgi l’altra guancia” “Beati i poveri di spirito” eccetera, facendo così da macchina di propaganda a tutti i dittatori, da Franco a Hitler a Mussolini a Pinochet a Khomeini.
[18] Cfr V.I. Lenin : L’imperialismo, fase suprema del capitalismo.
[19] Valgono per i soldati americani le stesse considerazioni fatte per quelli batistiani nelle “Note per lo studio dell’ideologia della rivoluzione cubana” (vedi capitolo 3)
[20] Trotskysti, Stalinisti, Maoisti, Leninisti, Luxemburghisti, Marxisti-Leninisti, Bordighisti, anarco-comunisti e chi più ne ha più ne metta….
[21] Riportate in appendice a questo testo
[22] Comandante guerrigliero venezuelano, marxista-leninista puro.
[23] Figura filoistituzionale del PC argentino, sempre propenso al dialogo con la borghesia e mai all’appoggio alle avanguardie del proletariato. Secondo alcuni storici mise l’apparato repressivo sulle tracce della guerriglia di Masetti, temendo che questa gli sottraesse consensi e quindi potere all’interno del movimento comunista.
[24] Esercito di Liberazione Nazionale Boliviano
[25] Coco Peredo, e suo fratello Inti, combatterono in Bolivia a fianco del Che. Furono i migliori quadri formati nel corso di quella lotta, tanto che Inti si distinguerà anche in altre guerriglie e sarà ufficialmente il capo dell’E.L.N.-B, visto che la presenza del Che doveva rimanere segreta per evitare rappresaglie contro Cuba da parte degli Usa.
[26] Partecipando alle elezioni e facendo la fine che ha fatto.
[27] Cubana antibatistiana che viveva in Messico. A casa sua si tennero molte riunioni dell’M26/7
[28] La crisi dei missili, vedi capitolo tre.
[29] Fino alla vittoria, sempre!
[30] Autoironicamente il Che si paragona a Don Chisciotte, che parte contro i giganti con lo scudo e Ronzinante, per spiegare ai suoi la necessità di rimettersi in marcia verso la vittoria contro l’imperialismo.
[31] In italiano nel testo originale