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COMMERCIO ARMI: ''Vergogna Italia''

Distrutta la 185/90: la vittoria delle armi sull'etica

Il ddl 1927 passa alla Camera

Roma 06 Giu 2003 - Ormai è finita: la Campagna in difesa della legge 185 non è riuscita a bloccare lo stravolgimento di questa innovativa normativa in materia di armamenti. La Camera ha ratificato l'accordo di Farnborough e messo mano in maniera definitiva al testo della 185/90. Triste è stato vedere che gli ultimi passi di questo ddl "scellerato" sono stati in qualche modo favoriti anche da partiti della minoranza che in questi mesi aveva invece dichiarato di voler aiutare la Campagna.

Il ritorno alla Camera della discussione non ha quindi visto alcun miglioramento della situazione, a parte l'adozione di alcuni Ordini del Giorno che stimolano attenzione sul tema delle armi e la promessa di ascolto delle associazioni che si battono su questo tema. Sono disponibili seguendo Elenco Votanti.doc o Elenco Votanti.pdf  i tabulati delle votazioni finali sul ddl 1927, in modo che ciascun cittadino abbia la possibilità di conoscere se il proprio parlamentare ha votato o meno a favore dello stravolgimento delle regole per il commercio delle armi.

Intanto, la campagna ha condotto un seminario di valutazione del lavoro svolto, che è servito, tramite il confronto con parlamentari ed operatori dell'informazione, per capire punti di forza e di debolezza della nostra azione. Il prossimo passo sarà la costituzione del network nazionale sulle armi.

Ringraziamo i 115 deputati che hanno votato contro, dimostrando la loro serietà intellettuale e morale.

Le Votazioni Suddivise per gruppi parlamentari

Gruppo Parlamentare

Numero Deputati

Favorevoli

 Contrari

Astenuti

in Missione

 

 

 

 

 

 

Alleanza Nazionale

99

48

0

35

16

Comunisti Italiani

10

0

1

8

1

Democratici di Sinistra

136

1

95

36

4

Forza Italia

178

123

1

24

30

Lega Nord

30

17

0

5

8

Margherita

84

7

8

67

2

Misto

6

2

0

4

0

Nuovo PSI

3

0

0

3

0

Rifondazione Comunista

11

0

6

5

0

SDI

9

4

0

5

0

SVP

5

0

1

4

0

UDC

40

21

0

11

8

Verdi

6

0

3

2

1

(Aggiornato il 06 Giugno 2003 ore 12:00)

 

Di seguito il discorso ufficiale della margherita alla camera prima delle votazioni per la 1927 che stralcia la 185

Roma 03 Giu - Dice L'on. Castagnetti: Signor Presidente, il gruppo della Margherita si asterrà sul provvedimento in esame e lo farà poiché è convinto della necessità di realizzare un nuovo quadro anche normativo per la difesa europea. La legge n. 185 del 1990 è importante perché ha contraddistinto l'impegno del nostro paese nel contrastare l'illegalità nel commercio delle armi. Si tratta di una normativa rigida e vincolante che non ha eguali nel panorama giuridico del mondo occidentale. Tuttavia, si tratta di una normativa nazionale che non dispiega i suoi effetti positivi al di fuori dei nostri confini. Ciò evidenzia, ove ve ne fosse ancora bisogno, quanto sia necessario costruire un minimo comune denominatore legislativo a livello di Unione europea su questa delicatissima questione. Non possiamo, infatti, anelare ad avere una politica comune di difesa a livello europeo se non ci confrontiamo con la realtà, e la realtà ci dice che, purtroppo, i principali produttori di armi! nel mondo e ovviamente, di conseguenza, i principali commercializzatori di armi sono i paesi europei dei quali i principali sono quelli che hanno sottoscritto l'accordo di Farnborough.

L'accordo, infatti, si pone come obiettivo quello di introdurre una normativa maggiormente efficace anche nel controllo del commercio delle armi. Infatti, non serve avere una normativa rigida all'interno di un singolo Stato nazionale se poi si rischia di essere scavalcati da altri che fanno concorrenza sulla base di una legislazione molto più leggera e non rispondente alle minime garanzie di trasparenza e legalità che necessitano in questo campo.

Nel corso della prima lettura del provvedimento ci eravamo astenuti, motivando questa posizione in considerazione dell'atteggiamento del Governo che, con la maggioranza che lo sostiene, non ha recepito nel merito gli emendamenti presentati dalle opposizioni che miravano a rendere più efficace la rete di controllo sul problema della commercializzazione delle armi. Devo rilevare che al Senato, grazie alla nostra iniziativa come opposizione, abbiamo conseguito un risultato significativo con la soppressione dell'ex articolo 11, conservando, quindi, il controllo sulle transazioni bancarie. È stato un risultato importante da non sottovalutare.

Ora dobbiamo lavorare per accrescere sempre di più questi principi di trasparenza e consentire che essi abbiano effetto. Siamo convinti, altresì, che questo non sia il miglior testo possibile, ma siamo anche convinti che sia un passo verso quella legislazione comune che rappresenta una priorità anche per il futuro dell'Unione europea e della sua politiche di difesa.

Il provvedimento in esame è volto non ad allargare tout court le strette maglie introdotte con lungimiranza nel nostro paese dalla legge n. 185 del 1990, ma ad estendere al maggior numero dei paesi europei una più ampia rete di garanzie tra coloro che, in base ad una non bella, ma reale classifica, risultano essere i principali produttori di armi.

Per tali ragioni, ci asteniamo sul provvedimento in esame, così come avevamo già fatto nel corso della prima lettura del suddetto, e lavoreremo per la costruzione di una politica di difesa comune a livello europeo, unica vera opportunità per realizzare un'autonoma posizione anche in politica estera.

 

 La dichiarazione di voto favorevole di Sergio Mattarella, sulla 1927

Roma 03 Giu - Signor Presidente, sono lieto di intervenire dopo gli onorevoli Rizzi ed Ascierto per ricordare che, in queste circostanze, dichiarando il voto, si esprimono le opinioni proprie e non si parla abitualmente di quelle altrui; sarebbe un miglior stile parlamentare argomentare le proprie convinzioni e non cercare di interpretare quelle altrui.

Signor Presidente, intervengo a titolo personale perché, così come anche in occasione della prima lettura svoltasi in quest'aula alcuni mesi addietro, voterò a favore di questo provvedimento. Come dicevo, signor Presidente, intendo motivare il perché di questo voto il quale nasce innanzitutto da una considerazione.

L'oggetto largamente prevalente di questo provvedimento è l'accordo fra i sei paesi firmatari per l'industria della difesa in Europa; tanto più lo è dopo le modifiche che l'iter parlamentare ha apportato al testo del provvedimento.

Presidente, onorevoli colleghi, lo sottolineo perché in questi mesi ciò che è avvenuto nel mondo ha sempre più provocato da parte di tanti, chi sinceramente chi con minor convinzione, l'auspicio di più Europa, di una comune politica estera e di difesa europea.

Desiderano che si realizzi questa prospettiva coloro, tra i quali mi colloco anch'io, che si ostinano a voler ripristinato un pieno rapporto collaborativo tra Europa e Stati Uniti; un rapporto collaborativo pieno che vuol dire un rapporto con reciproca attenzione, volto a decisioni condivise e assunte in comune: un rapporto, quindi, non squilibrato tra Europa e Stati Uniti.

Desidera una politica estera e di difesa comuni chi si è opposto - io sono tra questi - alla guerra in Iraq: una guerra nata dalla concezione unilateralista di questa amministrazione americana e sorta senza adeguata motivazione, sanguinosa quanto a morti e feriti, con molte distruzioni, materiali e culturali, con un dopoguerra travagliato e difficile soprattutto per le popolazioni ma non soltanto per esse e con una recrudescenza del terrorismo anche perché la guerra e la frustrazione del mondo arabo hanno prodotto un impulso al fenomeno criminale di reclutamen! to dei kamikaze.

Chi ha manifestato e manifesta queste convinzioni sa che è indispensabile, nel più breve tempo possibile, addivenire ad una politica estera comune in Europa e sa però che questo non può esistere senza una comune politica di difesa; inoltre, ciò non è possibile senza un'industria della difesa comune in Europa e senza comuni regole sugli armamenti sempre in Europa.

Questo accordo e quello dell'OCCAR perseguono questo obiettivo e producono questi risultati; inoltre concorrono a costruire le condizioni per la possibilità di politica estera e di difesa comune.

So che vi sono molti colleghi che avvertono - lo comprendo perché l'avverto anch'io - la pressione di un movimento di forte impatto emotivo che si esprime nell'affermazione tranchante, quasi uno slogan: si vuol togliere ogni controllo al commercio delle armi.

So, come sanno i colleghi, che è difficile e che è strada impervia opporre a questa emozione la spiegazione rag! ionata e tecnica del merito delle norme di questa legge, norme che non meritano tale valutazione.

Non si può dire che venga smantellato il sistema della legge n. 185 del 1990. Parto, emblematicamente, dall'articolo 1, quello che parla delle violazioni, perché è stato assunto come punto emblematico in questi mesi. In questo articolo, vi sono due norme: sia in quello vigente che in quello che viene introdotto adesso.

La prima parla dell'embargo del commercio delle armi nei confronti dei paesi individuati dall'ONU; la norma che sta per essere approvata definitivamente con questo provvedimento prevede che, oltre all'embargo disposto dall'ONU, scatti anche, come divieto, l'embargo dell'Unione europea, e quindi rafforza il rigore della norma.

Ma vi è anche l'altra norma sulla quale ci si sofferma. Si parla di divieto di commercio e transito delle armi verso paesi che commettono gravi violazioni dei diritti umani. La normativa attuale parla di violazioni tout court, è vero, ma la legge attuale non indica le autorità c! he possono accertare, dichiarandola, l'esistenza della violazione dei diritti umani.

Quella vigente, prevista dalla legge n. 185 del 1990, è una grida manzoniana, perché si parla di divieto di dare armi a chi viola i diritti umani, ma non vi è alcuna un'autorità che lo accerti e lo dichiari.

La norma del provvedimento che stiamo per votare, invece, prevede che vi sia sì il divieto per gravi violazioni, ma anche che vi siano tre autorità che, alternativamente, possono dichiarare che in quei paesi esistono violazioni dei diritti umani: sono l'ONU, l'Unione europea e il Consiglio d'Europa.

La norma acquista, in questo modo, un'effettività ed un'efficacia fattuale che prima non aveva e che oggi non ha ancora.

Ho sentito invocare in questa aula, al Senato e fuori dal Parlamento, il codice di condotta europeo, e condivido l'esigenza e l'auspicio che venga presto trasformato in norma interna dei singoli Stati.

Sul punto, tuttavia, vorrei rico! rdare che il codice di condotta europeo parla di gravi violazioni e vi collega soltanto la raccomandazione a procedere con cautela nei rapporti di vendita di armi verso questi paesi, mentre la norma prevista in questo disegno di legge è assai più rigorosa e severa.

Signor Presidente, purtroppo non ho il tempo di toccare tutti i punti controversi del provvedimento, ma vorrei aggiungere che non è esatto, ad esempio, che queste nuove norme consentano varchi nel commercio delle armi verso o tramite i paesi NATO.

Questo regime particolare - questo favore, per così dire - per i paesi NATO è previsto anche oggi dalla legge n. 185: basti leggere l'articolo 1, punto 9, lettere b) e c), e l'articolo 11, al punto 5, della normativa vigente.

Mi limito però a ricordare, signor Presidente, le proposte emendative che l'opposizione in quest'aula, in prima lettura, ha fatto approvare ed introdurre nel testo del provvedimento; mi limito altresì a ricordar! e la modifica, anch'essa importante come quelle introdotte alla Camera, approvata dal Senato della Repubblica.

Il provvedimento è ora in queste condizioni; certo, avremmo potuto modificare ulteriormente qualche altro aspetto, ma è mia opinione che, al termine dell'iter di ratifica nei vari paesi - e vorrei ricordare che il nostro è l'ultimo dei sei paesi firmatari a ratificare l'accordo -, il controllo del commercio non soltanto illecito, ma anche spregiudicato delle armi in Europa, sarà non indebolito, bensì rafforzato.

Ciò perché definire in Europa regole comuni per il commercio delle armi è, di per sé, condizione di maggior rigore e di maggiore efficacia sul controllo del commercio, e perché non vorrei si dimenticasse che, sul piano del controllo degli armamenti in Europa, con l'accordo di Farnborough l'Italia, che è dotata di una normativa avanzata in materia, quale la legge n. 185 del 1990, contribuisce a trascinare altri importanti paesi europei ad adottare regole simili alla citata legge.

Signor Presidente, condivido le considerazioni formulate poc'anzi dal collega Molinari, in particolare l'affermazione che, se il Governo e la maggioranza avessero avuto alla Camera, in prima lettura, un atteggiamento più disponibile verso quanto l'opposizione proponeva, questo provvedimento avrebbe avuto vita più semplice, più agevole e più veloce.

Ma i residui particolari punti da cui avremmo voluto togliere e rimuovere ogni margine di ambiguità ! non possono in alcun modo prevalere sull'oggetto largamente prevalente di questo disegno di legge, costituito dall'accordo tra i sei paesi che lo hanno firmato per facilitare la ristrutturazione dell'industria della difesa in Europa.

Ho sentito alcuni colleghi dire che con il voto finale non è in discussione l'accordo. Sono certo che ciò sia nei loro intendimenti, ma non sono di questo avviso. Il voto ha come oggetto principale, anzitutto, l'accordo fra i sei paesi.

Si tratta di un tassello troppo importante sulla strada della difesa comune in Europa per porlo in secondo piano e credo che non sia possibile collocarlo in ombra proprio per chi ha contestato e contesta con ragione la tiepidezza e l'ondeggiamento di questo Governo sull'Europa.

Oggi ribadisco anch'io questa contestazione al Governo e alla sua maggioranza, a partire dal ritiro dal progetto dell'A400M, il grande aereo da trasporto europeo che ormai è partito in grande tra Gran Bretagn! a e Spagna, Germania e Francia ed altri paesi, mentre l'Italia ne è rimasta fuori, fino al suggerimento apparso oggi sui giornali del Presidente del Consiglio a Finmeccanica perché non sia (come anni fa si poneva) elemento di raccordo fra le altre industrie Europa francesi e inglesi, ma costituisca elemento di rottura tra le industrie europee.

Occorre più Europa e l'abbiamo detto in tanti e tante volte, un'Europa non subalterna, ma protagonista. Chi ha questa convinzione non può ignorare l'importanza di tale accordo e in questi mesi ne abbiamo parlato tanto.

 

UE: BERLUSCONI, UN'AGENZIA PER FORNITURA TECNOLOGIE MILITARI

Trieste 6 giu - Parlando degli investimenti pubblici europei per dare una spinta all'economia, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha ipotizzato da Trieste parlando con i giornalisti, la costituzione di un'agenzia europea. ''Si potrebbe pensare -ha detto- ad un'agenzia che provveda alla fornitura ai vari Paesi delle tecnologie militari''. Un'agenzia ''che sappia distribuire nei vari Paesi le varie specificita'''.

 

"FERMIAMO I MERCANTI DI ARMI IN DIFESA DELLA 185"

ADDIO ALLA 185/90: «VERGOGNA ITALIA»

Roma 06 Giu - «L'approvazione della riforma della legge 185 sull'esportazione di armamenti italiani all'estero è una vera e propria vergogna nazionale. Dopo avere tanto lottato su questo problema, e dopo aver dato vita - insieme a tanti altri - alla campagna che porterà alla legge 185 del 1990, oggi mi sento tradito». La dichiarazione di Alex Zanotelli con Nigrizia sul voto alla Camera del 3 giugno.

L'approvazione della riforma della legge 185 sull'esportazione di armamenti italiani all'estero è una vera e propria vergogna nazionale. Dopo avere tanto lottato negli anni '80, quand'ero direttore a Nigrizia, su questo problema, e dopo aver dato vita - insieme a tanti altri - alla campagna che porterà alla legge 185 del 1990, oggi mi sento tradito.
Mi sono sentito tradito prima di tutto quando, la scorsa settimana, in Commissione Esteri-Difesa questa riforma della legge è passata per 16 voti contro 15: abbiamo perso per un solo voto. Mi sento tradito perché solo uno della Margherita (uno su dieci) si è presentato in Commissione. Gli altri erano assenti perché la Margherita era spaccata sulla 185. Questo è di una gravità estrema, perché la Margherita durante la guerra all'Iraq aveva promesso, specialmente attraverso il suo segretario Castagnetti, che avrebbe tenuto duro nella sua opposizione alla guerra. Non può ora venire a tradirci in questa maniera proprio sul commercio delle armi. Lo ritengo un tradimento, da parte sia del segretario sia della Margherita.
Secondo, mi addolora profondamente il voto di ieri alla Camera.
09 tra astenuti e non votanti. Di nuovo sento come tradimento il fatto che la Margherita si sia astenuta in massa e che lo Sdi e l'ex ministro della difesa Mattarella abbiano votato sì.

Sarebbe importante sapere al più presto come ognuno abbia votato, e chiedo che questa lista venga diffusa in internet.

Trovo gravissime due cose in questa riforma:
1)
il fatto che la modifica alla legge 185 toglie l'end use, cioè sapere dove le armi vadano davvero a finire, permettendo le cosiddette triangolazioni, che ho personalmente testimoniato quando ero direttore a Nigrizia, e che tante morti hanno causato;
2) trovo altrettanto grave che non ci sia più l'obbligo per il governo di presentare la relazione annuale sulle esportazioni autorizzate. Questa è un'altra botta al movimento pacifista ed è soprattutto un'altra maniera per nascondere i loschi traffici di armi.
È altrettanto grave il fatto che le armi potranno essere esportate in paesi dove ci siano violazioni dei diritti umani, purché non "gravi". Tutto questo ci fa apparire ancora più chiaro come alla Camera non ci sia alcuna idea di etica in questo campo; penso che il Senato si sia comportato con molta più dignità e con molto più senso etico. Rimango esterrefatto da questo comportamento dei deputati. Rimango addolorato al vedere come anche i partiti di opposizione hanno votato. I Comunisti italiani: su 10, 8 si sono astenuti; dei 136 Ds, 36 astenuti; di Rifondazione, su 11, 5 astenuti, tra i quali Bertinotti; dei Verdi, 2 astenuti su 6. È incredibile che 189 deputati non fossero presenti. È una vergogna.

Ora dobbiamo ammettere, da parte di questo movimento che c'è alla base, che abbiamo fatto ultimamente troppa poca pressione a questo livello. Tutto il movimento che si è mosso contro la guerra in Iraq doveva con altrettanta forza muoversi contro le modifiche alla 185: questo non è avvenuto. Un grazie va ai sindacati, in particolare alla Cgil, perché sono rimasti fermi nella loro opposizione alle modifiche. Ecco perché ritengo importante, a questo punto, ripar
dalla società civile organizzata: davanti al tradimento da parte dei partiti italiani la società civile organizzata dovrà diventare sempre più soggetto politico e fare politica con la P maiuscola. Dobbiamo rilanciare una campagna per ritornare alla 185 e dobbiamo rilanciarla soprattutto in campo europeo, perché con le joint ventures molte armi verranno prodotte con capitali e industrie europee, e sfuggiranno a qualsiasi controllo.
Non basta più l'indignazione, dobbiamo impegnarci. E chiedo a tutti di scrivere ai propri deputati che hanno votato per il sì o che si sono astenuti, dicendo la propria rabbia per questo voto, che significherà più esportazioni di armi italiane, più triangolazioni, più segretume, e sempre più morti fra i poveracci del mondo. Abbiamo le mani macchiate di sangue.
Dobbiamo reagire come cittadini in tutte le maniere che possiamo. E chiedo che anche ufficialmente la Conferenza episcopale italiana dica il suo disappunto per quanto è avvenuto, perché la Cei si era data da fare perché queste modifiche non avvenissero; penso sia importante che ora esprima pubblicamente il suo sconcerto.

Alex Zanotelli, -  Nigrizia e la Campagna in difesa della legge 185

(Aggiornato il 06 Giugno 2003 ore 11:00)

 

COMMERCIO ARMI: ''Vergogna Italia''

Verona 5 giu - In una nota pubblicata su ''Nigrizia'' il missionario
comboniano, critica severamente il comportamento dei parlamentari che , rappresenta una ''botta'' ai pacifisti. ''Vergogna Italia'' titola la
rivista missionarfia ''Nigrizia'' una nota nella quale padre Alessandro Zanotelli critica il comportamento dei parlamentari, segnatamente della Margherita, che hanno permesso l'approvazione della riforma di legge 185/90 sul commercio delle armi. Una vera ''botta'' al movimento dei pacifisti, secondo il missionario.
''Mi sono sentito tradito - spiega padre Zanotelli - prima di tutto quando, la scorsa settimana, in Commissione Esteri-Difesa questa riforma della legge e' passata per 16 voti contro 15: abbiamo perso per un solo voto. Mi sento tradito perche' solo uno della Margherita (uno su dieci) si e' presentato in Commissione. Gli altri erano assenti perche' la Margherita era spaccata sulla 185. Questo e' di
una gravita' estrema, perche' la Margherita durante la guerra all'Iraq aveva promesso, specialmente attraverso il suo segretario Castagnetti, che avrebbe tenuto duro nella sua opposizione alla guerra. Non puo' ora venire a tradirci in questa maniera proprio sul commercio delle armi. Lo ritengo un tradimento, da parte sia del segretario sia della Margherita. Secondo, mi addolora profondamente il voto alla Camera, di 222 per il si' e di 115 no, con 209 tra astenuti e non votanti. Di nuovo sento come tradimento il fatto che la Margherita si sia astenuta in massa e che lo Sdi e l'ex ministro della difesa Mattarella abbiano votato si'. Sarebbe importante sapere al piu' presto come ognuno abbia votato, e chiedo che questa lista venga diffusa in internet. Trovo gravissime due cose in questa riforma: 1) il fatto che la modifica alla legge 185 toglie l'end use, cioe' sapere dove le cosiddette triangolazioni, che ho personalmente testimoniato quando ero direttore a Nigrizia, e che tante morti hanno causato; 2) trovo altrettanto grave che non ci sia piu' l'obbligo per il governo di presentare la relazione annuale sulle esportazioni autorizzate. Questa e' un'altra botta al movimento pacifista ed e' soprattutto un'altra maniera per nascondere i loschi traffici di armi''.

(Aggiornato il 05 Giugno 2003 ore 11:00)

 

Discorso alla Camera dei Deputati del 3 giungo 2003, seduta n°317, del Deputato Giuseppe Molinari (Margherita-DL l'Ulivo):

GIUSEPPE MOLINARI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, come abbiamo già avuto modo di evidenziare nel corso dell'articolato e ricordato dibattito in Commissione, la posizione del gruppo parlamentare della Margherita sul provvedimento è di critica astensione. Il provvedimento in esame è volto non ad allargare tout court le strette maglie introdotte con lungimiranza nel

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nostro paese dalla legge n. 185 del 1990, ma ad estendere ad un maggior numero di paesi europei una più ampia rete di garanzie tra coloro che, in base ad una non bella, ma reale classifica, risultano essere i principali produttori di armi. È risaputo, infatti, che i paesi sottoscrittori dell'accordo risultano essere in assoluto i principali produttori e commercializzatori di armi a livello mondiale.
Nel corso della prima lettura del provvedimento ci eravamo astenuti, motivando questa posizione, in considerazione dell'atteggiamento assunto dal Governo: il medesimo e la maggioranza che lo sostiene non hanno recepito nel merito gli emendamenti presentati dalle opposizioni che miravano a rendere più efficace la rete di controllo in merito al problema della commercializzazione delle armi.
Dobbiamo dire che al Senato, grazie alla nostra iniziativa come opposizione, abbiamo conseguito un risultato significativo, con la soppressione dell'ex articolo 11, conservando quindi il controllo sulle transazioni bancarie. Si tratta di un risultato importante, se si considera il fatto che la legge n. 185 del 1990 fu il risultato di una mobilitazione della società dopo lo scandalo della BNL di Atlanta che procurava armi al regime di Saddam Hussein impegnato in una guerra contro l'Iran. Con le nuove norme purtroppo non si conosce quale sia il valore finale del materiale di armamento esportato, ma soprattutto è stato eliminato il certificato di uso finale. In definitiva non si sa a chi serviranno le armi prodotte e commercializzate.
Sono queste le perplessità che permangono e le preoccupazioni che mobilitano il mondo dell'associazionismo, che in questi mesi ha inondato le nostre caselle di posta elettronica ed ha promosso iniziative e convegni in modo capillare su tutto il territorio nazionale. Noi restiamo convinti che per ratificare l'accordo di Farnborough non vi fosse la necessità di modificare sostanzialmente la legge n. 185 del 1990, cosa che invece avviene, con pervicacia, da parte del Governo.
Siamo altresì convinti però che vi sia la necessità di un maggiore coordinamento della legislazione, in primo luogo a livello europeo. Non è infatti utile conseguire l'obiettivo, che tutti noi ci poniamo, di una maggiore severità nella commercializzazione e produzione delle armi, con una normativa nazionale molto restrittiva, mentre nel resto dei paesi produttori ci troviamo di fronte a normative meno vincolanti, magari dettate dalle pressioni dei grandi gruppi industriali che condizionano le scelte anche politiche dei governi, in un settore strategico delle politiche industriali e militari di un paese.
Con i governi di centrosinistra, e in particolare con l'azione dell'allora ministro Mattarella, ci siamo posti l'obiettivo di promuovere un sistema di difesa moderno ed integrato, con regole comuni e finalizzate a garantire la pace nella consapevolezza dell'esigenza di rendere completa e maggiormente incisiva nell'efficacia la legge n. 185 del 1990, anche superando quella dimensione nazionale che oggi rappresenta un limite oggettivo della normativa, riconducendo l'intera problematica a livello comunitario.
Noi invece abbiamo assistito purtroppo all'involuzione della nostra politica estera in campo europeo, con un rovesciamento dei rapporti con i paesi componenti dell'UE per essere più vicini agli USA. Questo ci ha reso molto, ma molto deboli, con il serio rischio di una destrutturazione anche della nostra industria militare, a vantaggio della concorrenza americana che resta indiscussa e molto più aggressiva proprio in un settore nel quale la tradizione giuridica di regolamentazione europea appare necessaria per rendere più sicuro l'intero contesto internazionale, nello specifico di una materia così delicata e complessa.
Con questo tipo di ratifica abbiamo purtroppo perso un'importante occasione perché resteranno indeterminate alcune questioni e soprattutto resteranno irrisolti alcuni problemi sotto l'aspetto del controllo. Permane la mancata conoscenza del valore di armamento, persiste la mancanza del certificato d'uso finale, l'incertezza

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sulla destinazione degli armamenti in relazione al riconoscimento e alla tutela dei diritti umani nei paesi verso i quali sono rivolte eventuali esportazioni degli armamenti e a poco credo possano valere gli stessi ordini del giorno approvati sia alla Camera sia al Senato e la modifica introdotta al Senato relativamente alla soppressione dell'articolo 11 rimane per noi tuttavia insufficiente rispetto al complesso contesto normativo in cui questa ratifica interviene. La legge 185 è stata concepita ed impostata come legge nazionale ed inevitabilmente mostra dei limiti di natura operativa. Tuttavia, la ratio di fondo e l'ispirazione della legge non può assolutamente essere considerata inattuale se consideriamo i tanti focolai di guerra che permangono in tutto il mondo con il tragico corollario di vittime.
Può accadere ed accade nell'ambito della stessa Unione europea che l'Italia interrompa correttamente l'esportazione di armi verso un'area e verso paesi a causa della violazione dei diritti umani ma ciò non impedisce che un altro paese dell'Unione europea subentri all'Italia nel vendere quelle stesse armi che il nostro paese aveva bloccato.
È questa la ragione che deve spingere a definire regole comuni per i paesi europei perché questo si declina concretamente con un maggior rigore. È la mancanza di questa ricerca e l'assenza del confronto che contestiamo al Governo sul provvedimento, che essendo una ratifica meritava maggiore disponibilità, oltre al dialogo e all'approfondimento.
Di fronte a questa considerazione il nostro gruppo parlamentare si asterrà coerentemente come ha fatto nel corso della prima lettura di questo provvedimento.

Come potrete notare alla pagina:Discorso Camera
 

"Seduta n. 317 - Martedì 3 Giugno 2003"

Si nota che dalle dichiarazioni di alcuni esponenti della maggioranza e del Governo i contenuti del disegno di legge 1927 sono stati precedentemente proposti dal Governo D'Alema con effetti diversi se non peggiori dal DDL ora approvato. Questo non giustifica nulla, ma fa pensare. Fanno pensare le varie astensioni. Riporto a tal proposito un estratto del discorso del Sottosegretario di Stato per la Difesa, Filippo Berselli:

"Voglio ricordare che allora - e coerentemente oggi - l'intero gruppo della Margherita si astenne sul provvedimento ritenendolo, certamente, meritevole di ulteriori modifiche, ma anche soddisfatto di quanto il Governo aveva fatto, cammin facendo, per modificarlo e migliorarlo.
Vorrei anche ricordare che alla Camera dei deputati, in prima lettura, un gruppo considerevole e potrei dire anche autorevole dei colleghi deputati del gruppo dei Democratici di sinistra si erano astenuti, adottando un atteggiamento speculare a quello seguito dall'intero gruppo della Margherita: si astennero i colleghi Angioni, Benvenuto, Bova, Buglio, Cabras, Lulli, Mancini, Minniti, Nigra, Quartiani, Sandi, Visco. Tali colleghi deputati dell'opposizione e, segnatamente, quelli del gruppo dei Democratici di sinistra ritennero di dare un segnale di disponibilità, di apprezzamento nei confronti di quel Governo che aveva presentato alle Camere un certo testo e che aveva ritenuto, cammin facendo, come affermato prima, di modificarlo, tenuto conto dei suggerimenti, delle proposte migliorative provenienti dai gruppi di opposizione e del fatto che, storicamente, la prima iniziativa governativa volta a modificare la legge n. 185 del 1990 non è stata quella assunta da questo Governo, ma è stata formalmente quella del Governo presieduto allora dall'onorevole D'Alema e, successivamente, del Governo presieduto dall'onorevole Amato. "

Astensioni dunque che non vengono solo dalla Margherita.

La cosa è preoccupante, perchè sebbene i parlamentari della Margherita si sono astenuti facendo notare la mancanza di una normativa europea salda ed efficace e i parlamentari dei DS poi si sono schierati contro l'approvazione del DDL, i mutamenti della legge 185/90 causeranno speculazioni alle spalle dei soliti innocenti.

(Aggiornato il 03 Giugno 2003 ore 20:00)

 

COMMERCIO ARMI: EPIFANI, CAMERA RESPINGA PROVVEDIMENTO

ROMA 3 GIU - ''La Cgil conferma la sua contrarieta' al provvedimento, che sara' discusso oggi alla Camera, teso a modificare la legge che disciplina l'import-export delle armi e chiede ai gruppi politici e ai singoli deputati di pronunciarsi contro di esso'': lo afferma in una dichiarazione il segretario generale Guglielmo Epifani. La Cgil conferma che ''la nuova normativa produrrebbe una minore trasparenza e controllabilita' delle trattative contrattuali inerenti il commercio delle armi. Per tale ragione, conclude Epifani - mi auguro sia condiviso da tutti i deputati l'impegno alla promozione della pace ed alla trasparenza. La Cgil pertanto chiede che la Camera respinga il provvedimento in esame''.

(Aggiornato il 03 Giugno 2003 ore 11:00)

 

Amnesty International: Difendiamo la legge 185/90

Ciò che rende innovativa la legge 185/90 sono le misure di trasparenza e i
divieti di esportazione di armamenti espressi nell’art. 1, comma 6:

verso Paesi in stato di conflitto armato e in contrasto con i principi
dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che vieta l’uso della forza
armata;
verso Paesi la cui politica contrasti con l’art. 11 della Costituzione,
quindi, verso gli Stati che si dimostrino propensi a mettere in atto
aggressioni;
verso i Paesi nei cui confronti sia dichiarato un embargo dalle Nazioni
Unite;
verso Paesi i cui governi siano responsabili di accertate violazioni delle
convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo;
a Stati che, ricevendo aiuti dall’Italia, destinino al bilancio militare
risorse eccedenti rispetto alle esigenze di difesa del Paese.
Per l’importanza che attribuisce al rispetto e alla promozione dei diritti
umani, alla prevenzione dei conflitti e per le formulazioni avanzate dei
divieti, la legge italiana rappresenta un modello nel panorama
internazionale, che tuttavia in dieci anni di applicazione, è stato
disatteso sotto diversi aspetti. La 185 è stata aggirata attraverso un
susseguirsi di atti regolamentari e da una tendenza interpretativa sempre
più riduttiva, che stanno svuotando la disciplina.
Sono state sottratte, infatti, all’applicazione di questa legge la maggior
parte delle armi leggere classificate come "civili" e sono finite in Sierra
Leone e nella ex Jugoslavia malgrado gli embarghi delle Nazioni Unite.
Per salvaguardare "la riservatezza commerciale delle imprese" il Governo ha
diminuito la quantità e la qualità delle informazioni contenute nella
Relazione Annuale alle Camere e, di conseguenza, il ruolo di controllo e
indirizzo del Parlamento. Non è più possibile incrociare i dati relativi
alle armi vendute coi Paesi destinatari e, quindi, sapere con esattezza cosa
si è esportato e a chi.
Una delibera restrittiva ha affidato l’accertamento delle violazioni dei
diritti umani (che fa scattare automaticamente il divieto dell’art. 1) solo
ad organi delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea che si sono dimostrati
inappropriati e non particolarmente attivi nell’infliggere condanne. Inoltre
il Ministero degli Esteri valuta discrezionalmente "il grado di tensione"
del conflitto o la misura della "latente conflittualità" e quindi decide, di
volta in volta, quali tipi di armamento tollera la guerra in corso.
Il 29 dicembre 1999 il Governo italiano, con l’alibi dell’ "europeizzazione"
del mercato e delle regole, ha presentato un Disegno di legge favorevole
alle esigenze ed alle posizioni dell’industria militare ed ai "venti" di
revisione che hanno ispirato alcune proposte di modifica avanzate negli
ultimi anni.
In particolare, si vogliono sottrarre dall’applicazione della 185/90 le
coproduzioni industriali di materiali di armamento con Paesi membri dell’UE,
dell’Unione dell’Europa occidentale e della NATO, che verrebbero regolati
esclusivamente da specifici accordi intergovernativi. I vari pezzi e
componenti d’arma fabbricati in Italia sarebbero quindi esportati sotto la
responsabilità dei partners che li hanno assemblati, in assenza di una
regolamentazione internazionale adeguata e con il solo ausilio di un Codice
di Condotta Europeo non vincolante, lacunoso in molti aspetti e più debole
rispetto alla disciplina della 185. Stando così le cose vi è il grave
rischio di consegnare armi e soprattutto tecnologia a paesi instabili che
non danno alcuna garanzia sul rispetto dei diritti umani o che potrebbero
riesportarle a terzi destinatari verso cui, dall’Italia, non sarebbe
possibile il trasferimento.

Oltre a ridimensionare il ruolo del Ministero degli Affari Esteri a
vantaggio del Ministero della Difesa, ad esempio nell’aggiornamento dei
materiali a cui si applica questa disciplina, si vuole anche eliminare il
ruolo consultivo che possono svolgere le organizzazioni non governative,
come Amnesty International, sulla situazione dei diritti umani nei Paesi
importatori di armi.

Vedi anche:

CAMPAGNA ARMI LEGGERE

Di quali armi parliamo?

Fermiamo il potere dei mediatori di armi

La trasparenza: vogliamo vederci chiaro!

Armi fuori controllo: le vendite italiane di armi leggere

Vendite italiane di armi 1998

Difendiamo la legge 185/90!

(Aggiornato il 03 Giugno 2003 ore 10:00)

 

Indagine di Amnesty: Vendite italiane di armi 1998

Valore complessivo.
Nel 1998 sono state effettuate esportazioni per un ammontare di 1.935 miliardi di lire (il 30% in più rispetto al 1997), e sono state rilasciate autorizzazioni per un totale di 2.127 miliardi lire (il 16% in più rispetto al 1997).
Registriamo dunque un incremento globale, nonostante il volume dei trasferimenti mondiali, secondo i dati Sipri, abbia subito una battuta d’arresto dovuta al drastico crollo delle borse e dei mercati dei Paesi del Sud-Est asiatico e della diminuzione delle spese militari in Russia e USA (il mercato globale ammontava nel 1998 a 22 milioni di dollari).

Clienti.
I maggiori importatori di armi italiane sono stati i Paesi del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale. Le esportazioni verso la regione compresa tra il Marocco e l’Arabia Saudita raggiungono i 643 miliardi di lire (35% del totale) di autorizzazioni. Il Medio Oriente, insieme al Sud-Est asiatico, sono le regioni che trainano la domanda internazionale di armamenti negli anni Novanta, le uniche caratterizzate da una crescita delle spese militari e delle importazioni di materiale bellico dopo la fine del bipolarismo. I Paesi del Medio Oriente spendono in media per la difesa il 7/8% del prodotto interno lordo, una delle percentuali più alte a livello mondiale. Nella regione mediorientale abbiamo assistito nel 1999 ad un aumento delle importazioni pari al 36% rispetto al 1998.

Leggi di mercato: il caso della Siria.
E’ il primo cliente italiano con una commessa di 400 miliardi di lire relativa ad un contratto delle Officine Galileo di Finmeccanica per la fornitura di 500 sistemi visori di controllo del tiro per carri armati T72 in ambienti notturni o saturi di fumo. Fino a qualche anno fa la Siria, sospettata di essere legata al terrorismo, si riforniva da Paesi appartenenti all’ex blocco sovietico, ma dalla fine dell’era bipolare assistiamo ad un processo di "depoliticizzazione" che caratterizza l’attuale mercato. Si va modificando la politica dei fornitori favorendo le variabili di ordine economico rispetto a quelle di carattere geo-politico o strategico. Un mercato sempre più aggressivo porta a vendere al miglior offerente.

Strategie politiche e violazioni dei diritti umani: il caso Turchia.
Si colloca all’ottavo posto della classifica. In quanto Paese NATO gode di procedure semplificate. Nel ’98 sono state concesse autorizzazioni verso la Turchia per un valore complessivo di 81,8 miliardi, prestazioni di servizi per 2 miliardi e sono state effettuate consegne per 37,7 miliardi. Tra le commesse maggiori, una fornitura di munizionamento navale Simmel Difesa (8,5 miliardi). Nonostante persistenti e gravissime violazioni dei diritti umani nei confronti dei Curdi, le tensioni con la Grecia per il controllo di Cipro e il divieto di esportare armi verso governi responsabili di violazioni dei diritti umani e Paesi coinvolti in conflitti armati, imposto dalla legge 185/90, il Governo italiano non ha sospeso i trasferimenti militari appellandosi alla mancata condanna della Commissione ONU per i Diritti Umani. E’ decisiva e risulta palese in casi come questo l’ampia discrezionalità del Ministero degli Affari Esteri nella definizione di conflitto e nella valutazione del grado di tensione. In simili circostanze risulta fatale la mancanza di supporto del consesso europeo. Anzi, nel ‘98 si è verificata una paradossale situazione per cui addirittura il Paese importatore, la Turchia appunto, minacciava l’embargo per l’acquisto degli elicotteri Agusta AB412 durante la vicenda Ocalan. Non sono più gli esportatori a scegliere le aree di destinazione in base a considerazioni di tipo politico, ma sono oggi gli importatori ad influenzare le stesse politiche estere ed interne dei venditori. Anche gli USA hanno dovuto riconsiderare una condanna sulle violazioni dei diritti umani nei confronti della Turchia, nonostante l’opposizione del Congresso, in seguito alla cancellazione dell’ordine di elicotteri.

Coproduzioni: il caso Arabia Saudita.
Cliente al 5° posto con 28,7 miliardi di autorizzazioni e 261 milioni di consegne. E’ il primo importatore mondiale. Le modeste esportazioni italiane sono in realtà dovute al fenomeno delle coproduzioni internazionali. Non compaiono due mega-commesse annunciate nel ’97 (22 elicotteri Agusta) e sistemi missilistici navali SAAM/F, prodotti da un consorzio italo-francese (50% Alenia e, per la Francia, Thomson 25% e Aerospatiale 25%) per un valore complessivo di 500 miliardi. La Presidenza del Consiglio ha auspicato uno snellimento procedurale delle movimentazioni di pezzi e componenti di coproduzioni realizzate in ambito internazionale, compresa la proposta di affidare al paese assemblatore la possibilità e responsabilità di valutare l’idoneità dell’acquirente. Dunque sarà ancora più difficile rintracciare nella Relazione del Presidente del Consiglio le movimentazioni ed il destinatario finale di molte coproduzioni.

EUROPA OCCIDENTALE

Al secondo posto troviamo i Paesi dell’Europa Occidentale con 578 miliardi di nuove autorizzazioni e 592 miliardi di consegne (30% del valore globale). Causa di questo incremento sono anche le crescenti coproduzioni in ambito europeo, risposta dell’industria bellica alla globalizzazione. Più del 54% sono coproduzioni.

Francia.
Sono state rilasciate autorizzazioni per esportazioni in Francia per un ammontare di 241 miliardi, dei quali 214 riguardano movimentazione di materiali per la costruzione del siluro MV90, frutto del consorzio Eurotorp (l’italiana Whitehead Alenia Sistemi Subacquei al 50%).

Gran Bretagna.
222 miliardi dei 324 di consegne riguardano segmenti per elicotteri EH101 dell’Agusta prodotti dal consorzio EH Industries (Agusta e Westland al 50%). La nuova società coprirebbe il 20% del mercato elicotteristico mondiale.

Non compare nella Relazione del Presidente del Consiglio alcun riferimento riguardo sottrazione alle normali procedure autorizzatorie di componenti relative a numerose coproduzioni internazionali tra cui il sistema missilistico FSAF, gli elicotteri EH101, il siluro MV90, l’Eurofighter e l’elicottero NH90, che coprono quasi il 50% degli scambi in ambito europeo. Evidentemente andiamo incontro ad una riduzione della trasparenza.

EUROPA DELL’EST

Questi Paesi hanno assorbito 152 miliardi di nuove autorizzazioni. La crescita dell’export italiano verso i Paesi dell’Est Europa negli ultimi tre anni è strettamente connessa all’allargamento della Nato che ha imposto ai nuovi entrati (Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria) e ai candidati (Slovenia e Romania) programmi di ammodernamento dei propri eserciti. Tuttavia il futuro di questo nuovo mercato resta ancora incerto, a causa delle capacità economiche di questi Paesi ancora impegnati in processi di ricostruzione e sviluppo. Primo cliente è la Repubblica Ceca con 147 miliardi per 74 radar Grifo FIAR per aerei addestratori.

USA

Sono state concesse autorizzazioni per 155 miliardi ed effettuate consegne per 670 miliardi. Nel 1998 Bell Helicopter e Agusta hanno creato una joint venture in cui l’Agusta possiede il 55% delle azioni.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE

Le spese militari dei Paesi di quest’area sono costantemente in ascesa; in modo particolare assistiamo al riarmo del Brasile, al quale l’Italia ha venduto apparati radaristici e sistemi Albatros di Alenia Difesa. Sono state effettuate esportazioni in Paesi interessati da conflitti interni come il Messico (14,16 miliardi per aerei leggeri Aermacchi) e Colombia (parti di ricambio per cannoni navali per un valore di 10 miliardi).

ESTREMO ORIENTE

Assistiamo ad un vero crollo dell’area, soprattutto dei Paesi dell’Asean (Malaysia, Corea del sud, Thailandia) a causa della crisi delle borse e dei mercati asiatici e dei successivi tagli alle spese militari. Rimangono comunque tra i clienti italiani India e Pakistan, nonostante il conflitto tra i due sia stato classificato dal Sipri "conflitto interstatuale ad alta intensità", stimando più di 2000 vittime tra il 1997 ed il 1998.

Il caso Cina.
La Cina costituisce un caso particolare. Nel 1998 sono state concesse autorizzazioni per 100 milioni ed effettuate consegne per 21 miliardi. Negli anni ’90 l’Italia non aveva esportato in Cina a causa di un embargo in sede europea. Ma quest’anno, nonostante continuino le violazioni dei diritti umani e sia ancora valido l’embargo dell’Unione Europea, l’Italia ha stabilito che verso il Governo di Pechino sono da vietare solo quelle esportazioni di armi che, in base ad un esame caso per caso, potranno essere utilizzate per attività repressive e/o di limitazione dei diritti umani. Una tale direttiva è di dubbio fondamento giuridico in quanto prevede una limitazione del divieto a determinati tipi di armi, contravvenendo alla lettera della legge che interdice l’esportazione di tutti i materiali di armamento contemplati dalla normativa verso i Paesi sottoposti a divieto. Essa costituisce un pericoloso precedente di gradazione, tramite semplici atti sublegislativi, anche di altri divieti, in particolare quello di esportare armi a Paesi che violano i diritti umani. I materiali bellici di cui è vietata l’esportazione si riducono ad alcuni tipi di armi leggere, sfollagente e lacrimogeni. E molte di esse già non ricadono nel controllo della legge. E, nella migliore tradizione, l’Italia ha esportato armi a Taiwan che si prepara per un’eventuale aggressione cinese.

Armi che alimentano la repressione: il caso Indonesia.
Nell’ultimo decennio l’Italia ha notevolmente contribuito a potenziare l’esercito indonesiano, vendendo armamenti all’esercito del Presidente-dittatore Suharto per un valore globale di 60 miliardi, malgrado le forti denunce di violazioni delle libertà fondamentali, brutali repressioni finite nel sangue, detenzione di prigionieri politici e, soprattutto, l’invasione militare di Timor Est. Le vendite italiane raggiungono un picco nel 1994 (54 miliardi), ad appena un anno dalla condanna formale ai danni dell’Indonesia da parte della Commissione ONU per i diritti dell’uomo. E nel febbraio 1997 il Ministro della Difesa si recava a Jakarta, insieme a rappresentanti di importanti industrie armiere, come Finmeccanica, Alenia Difesa e Fincantieri per sottoscrivere con il collega indonesiano Sudrajat un accordo di cooperazione militare. L’Indonesia ha assorbito nel 1998 nuove autorizzazioni per un valore di 119 milioni e 122 milioni di consegne, nonostante numerose delibere del Parlamento Europeo ed una recente risoluzione della Commissione ONU per i Diritti Umani. Coinvolta potrebbe essere Finmeccanica con la vendita di parti di ricambio per centrali da tiro NA18.

AFRICA

L’Africa centro-meridionale assorbe solo 1,8 miliardi di nuove autorizzazioni e 21 di consegne. Nel 1994 verso il Congo e nel ’97 verso l’Eritrea picchi di esportazioni hanno preceduto lo scoppio di conflitti. Il primo destinatario è il Sud Africa con 1,75 miliardi (parti di ricambio per cannoni navali). Ha inoltre siglato un maxi-contratto con l’Agusta per l’acquisto di 40 elicotteri A109 per un valore di 500 miliardi di lire. Verranno prodotti in joint-venture con l’industria aeronautica sudafricana Denel con cessione della licenza di esportazioni in Africa. L’accordo prevede inoltre forme di offset, cioè di compensazione. L’investimento nel settore della difesa dovrà essere affiancato da uno a fini civili pari al 50% del valore di quello militare, aprendo la strada ad una serie di iniziative italiane nel settore del tessile, dell’oro, della biomedicina e nella lavorazione delle ceramiche. Queste forme di compensazione introducono una nuova preoccupante commistione tra riarmo e sviluppo.
 

Armi che alimentano i conflitti armati: l’Eritrea.
Nel 1998 è stata autorizzata la vendita di caschi proprio nell’anno in cui è scoppiato il conflitto con l’Etiopia: 15 caschi NGU-55/P (66 milioni) per i piloti degli aerei. In giugno attacchi indiscriminati di aerei eritrei hanno ucciso numerosi civili nelle città di Mekelle e Adigrat. Nel 1997 erano stati consegnati all’Eritrea sei caccia da attacco al suolo MB-339 Ce dell’Aermacchi di Varese per un valore di 78,5 miliardi. La cifra comprendeva anche i pezzi di ricambio per questi velivoli (nel 1998 sono stati esportati pezzi di ricambio per i 6 velivoli inclusi nel contratto per un valore di circa 1 miliardo) e l’addestramento per un anno (nel bel mezzo del conflitto?). In quell’anno lo Stato africano si è collocato all’ottavo posto nella classifica dei clienti dell’industria bellica italiana.

Lo Zimbabwe, che tra il 1997 e il 1998 ha acquistato dall’Italia sei aerei leggeri da addestramento e antiguerriglia Sf-260 E/F Siai Marchetti (Agusta), secondo le segnalazioni pervenute, si è servito di aerei per bombardare obiettivi civili nel quadro degli aiuti forniti dal Governo (e da Angola, Chad e Namibia) al presidente della Repubblica Democratica del Congo Laurent-Désiré Kabila contro l’opposizione armata, spalleggiata da Ruanda, Burundi e Uganda.

La posizione del Ministero degli esteri non è chiara. L’utilizzo dello strumento della sospensione delle esportazioni in funzione preventiva assume una valenza ancora maggiore proprio nel contesto africano dove l’industria della difesa è poco sviluppata, alta è la dipendenza dai rifornimenti esteri e dove, quindi, è più diretta la correlazione tra aumento di importazioni, escalation delle tensioni e probabilità di degenerazione in conflitti.

http://www.amnesty.it/campaign/armi_leggere/vendite.php3

 

 

DOSSIER: LA PROPOSTA DI MODIFICA DELLA LEGGE 185/'90 SUL COMMERCIO DI ARMI

Osservatorio Sul Commercio delle Armi - O.S.C. Ar - Ires Toscana
Firenze 31 gennaio 2002.
A cura di Chiara Bonaiuti


Il disegno di legge n.1927/XIV

recante la ratifica ed esecuzione dell’accordo quadro relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività per la difesa europea della legge n. 185/'90

E’ attualmente in discussione nelle Commissioni riunite Esteri e Difesa il disegno di legge n.1927 recante la ratifica ed esecuzione dell’accordo quadro relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attivita per la difesa europea , che comporta, al contempo, emendamenti la legge n. 185/90. La modifica principale consiste nell’introduzione di un nuovo tipo di autorizzazione alle esportazioni di armamenti, la cosiddetta autorizzazione globale di progetto. Per quanto si inserisca nell’ottica dell’integrazione dell’industria europea degli armamenti, gli emendamenti introdotti possono avere conseguenze sulla trasparenza e il controllo del commercio delle armi. Il risultato e che una parte significativa delle esportazioni di materiale di armamento semplicemente scomparira dalle possibilita di controllo degli organi parlamentari, della stampa e dell’opinione pubblica.

Per comprenderne la portata e utile avere due parametri di riferimento: la legge n.185/90 recante «Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” ed alcuni articoli dell’ “Accordo quadro relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attivita per la difesa europea”.

1. La legge vigente:
- in generale

La legge n.185/90, come noto, e un insieme organico di norme che regola la trasparenza e il controllo del commercio italiano di materiali di armamenti. I tratti distintivi della normativa sono identificabili nei seguenti tre punti:

1. il principio secondo cui le esportazioni sono subordinate alla politica estera dell’Italia, alla Costituzione e ad alcuni principi del diritto internazionale, da cui discendono i divieti di cui all’art.1.5 e 1.6 (tra cui il divieto di esportare armi se queste contrastino con la lotta al terrorismo internazionale, il divieto di esportare a stati che responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali sui diritti umani e il divieto di esportare a paesi in stato di conflitto), che hanno anticipato i criteri del Codice di Condotta Europeo;

2. il sistema di controllo che prevede chiare procedure di rilascio di delle autorizzazione e meccanismi di controllo successivi, segnando una chiara distinzione tra mercato lecito e illecito. Di estrema importanza e il divieto di cedere armi quando manchino adeguate garanzie sulla destinazione finale, richiedendo che alla domanda di autorizzazione sia allegato un certificato di uso finale attestante che il materiale non verrà riesportato senza preventiva autorizzazione dell’Italia. E’ rilevante che la legge richieda che il CUF sia rilasciato dalle autorità governative: per cercare di evitare traffici illeciti e il fenomeno delle triangolazioni si mira a coinvolgere le autorità del paese in modo da impegnarlo a svolgere un’attività di controllo sugli operatori economici.

3. Infine la legge recepisce le istanze di trasparenza interna ed esterna emerse in sede ONU prevedendo un’ampia e significativa informazione al Parlamento, e quindi all’opinione pubblica, sulle esportazioni e importazioni di armi italiane, tramite la presentazione di una relazione annuale al Parlamento del Presidente del Consiglio dei Ministri, che riporta dati dettagliati su azienda fornitrice, materiale esportato, valore, destinatario finale, banche coinvolte, etc.

Per tali norme e principi l’Italia si colloca in una delle posizioni piu avanzate a livello europeo, sul versante della trasparenza, dei controlli e delle prevenzione dei conflitti, ed e risultata uno dei paesi meno coinvolti nel riarmo di paesi instabili quali ex Jugoslavia, Iraq e Afghanistan.

- in particolare: le autorizzazioni alle esportazioni

Il disegno di legge ruota attorno all’introduzione di una nuova modifica dell’autorizzazione all’esportazione di materiale di armamento: l’autorizzazione di progetto globale, che di fatto liberalizza gli scambi di pezzi e componenti nel caso di coproduzioni con partner europei e Nato, non solo all’interno dei confini dell’UE e della Nato, ma anche nel caso questi vengano esportati a paesi terzi (con alcuni caveat che andremo ad illustrare).

Fino ad oggi, secondo la legge vigente, esisteva un unico tipo di licenza individuale, da rilasciare all’operatore per l’esportazione, importazione e transito sia di pezzi che di componenti che di materiali finiti. Secondo l’art. 11 della legge, nella domanda di autorizzazione doveva essere specificato il tipo di materiale da esportare, il valore, i compensi per intermediazioni finanziarie, il destinatario intermedio e il destinatario finale. Ad essa doveva essere allegato un certificato di uso finale, rilasciato dalle autorita governative del paese destinatario.

Il procedimento autorizzatorio era preceduto da un’autorizzazione alle trattative (art.9) e da una autorizzazione alle transazioni bancarie (art.27) e seguito da controlli successivi, la documentazione a dogana, il certificato di arrivo a destino (art. 20).

Il concorso e l’elevato livello di collaborazione tra diversi ministeri (Esteri, Difesa, Tesoro, Finanze, etc.) limitava i pericoli di collusione e garantiva l’efficacia controlli previsti per legge tramite un incrocio dei dati finanziari, fiscali doganali ed economici. Ogni ministero per la propria competenza riportava inoltre “indicazioni analitiche per tipi quantita e valori monetari e per destinatari” dei materiali di armamento, indicandone gli stati di avanzamento nel proprio allegato alla relazione annuale del governo al Parlamento (art.5).

Il legislativo poteva cosi esercitare potere di indirizzo e un ulteriore controllo sulle esportazioni autorizzate e svolte l’anno precedente.

. in particolare: le coproduzioni transnazionali di materiale di armamento

Nel caso di coproduzioni internazionali con partner europei o Nato, le rigorose procedure autorizzatorie si applicavano a ciascun componente esportato, con il fine di evitare che tali pezzi e componenti di marca italiana venissero assemblati in un paese estero e successivamente trasferiti a stati terzi considerati secondo la politica estera italiana e la nostra normativa, inaffidabili o a rischio.

Le nostre autorita avevano, inoltre, secondo la legge vigente, piena sovranita e responsabilita sulla destinazione finale di materiali assemblati all’estero, prodotti con pezzi e componenti italiani, ed esportati a paesi terzi. Nei casi di coproduzione l’operatore doveva dichiarare sin dall’inizio, non solo l’industria e il paese con cui coproduce, ma anche l’eventuale paese terzo che avrebbe acquistato il materiale di armamento. Era sul destinatario finale che il Ministero degli esteri valutava la coerenza con i principi ed i divieti della legge ed era il destinatario finale che appariva nella relazione annuale del governo al parlamento.



2. Il disegno di legge

Il ddl n.1927 introduce un nuovo tipo di autorizzazione all’esportazione: l’autorizzazione globale di progetto. Essa si applica a tutti i programmi di coproduzione intergovernativi o interindustriali di produzione, ricerca o sviluppo di materiale di armamento svolti con imprese di paesi dell’Unione Europea e della Nato (art. 7 del ddl che modifica art. 13 della legge). In questi casi e per ciascun programma di coproduzione, l’autorizzazione globale di coproduzione si sostituisce alle singole autorizzazioni di ciascun pezzo e componente. Per ottenerla l’operatore deve dichiarare solo “la descrizione del programma congiunto; le imprese dei paesi di destinazione o di provenienza del materiale; il tipo di materiale” (art. 6 del ddl che modifica l’art.11 della legge vigente). Scompaiono quindi i riferimenti al numero di pezzi, al valore, al destinatario finale, alle intermediazioni finanziarie. Non e richiesto il certificato di uso finale. Le autorizzazioni globali sono inoltre esentate dai controlli bancari (art.11 del ddl che modifica art.27), certificato di arrivo a destino (art. 10 del ddl modif. art. 20 legge n. 185/90). Le informazioni sul destinatario finale, valore etc, non essendo richieste nell’autorizzazione non sono ovviamente riportate nella relazione annuale del governo al Parlamento.

La portata della modifica

Il campo di applicazione del nuovo tipo di autorizzazione risulta piuttosto vasto ed e prevedibile che nei prossimi anni essa arrivera a coprire una parte non indifferente delle nostre esportazione. La licenza globale di progetto si applica infatti a tutti i programmi congiunti, sia intergovernativi che interindustriali, di produzione, ricerca e sviluppo di materiali di armamento, realizzati con imprese dei paesi della Nato o dell’Unione Europea, che abbiano sottoscritto con l’Italia accordi per aderire ai principi ispiratori della nostra normativa (art. 7 del ddl che modifica l’art.13 della legge).

Considerando che le esportazioni italiane di armi a paesi dell’Unione europea nell’ambito di programmi di coproduzione intergovernativa coprivano gia, secondo i dati riportati dalla relazione l’anno passato, piu del 50% delle nostre esportazioni verso l’area, e che il processo di globalizzazione e integrazione dell’industria europea degli armamenti si sta intensificando, e prevedibile che tale percentuale sia destinata ad aumentare e a divenire maggioritaria. A tale quota va aggiunta la percentuale di coproduzioni interindustriali: secondo la formulazione dell’emendamento all’art.13 della legge, infatti, le procedure semplificate non si applicano solo agli accordi intergovernativi, “piu sicuri” in quanto prevedono un accordo preventivo tra governi, ma anche ad accordi tra industrie dei paesi sopra elencati. L’operatore che avra l’accortezza di stringere un accordo con un’azienda con un paese europeo o Nato con una legislazione piu permissiva potra allargare i mercati, per godere di procedure autorizzatorie semplificate ed eludere la nostra normativa.

Le conseguenze

Per tutte le esportazioni che rientreranno all’interno dell’autorizzazione globale, non saranno applicabili i normali controlli, ne il Governo (con le eccezioni, come illustreremo, relative ai programmi di coproduzione realizzati con i cinque paesi che hanno ratificato l’accordo), ne il Parlamento saranno informati sulla destinazione finale del materiale nel caso in cui sia assemblato in un paese partner ed esportato ad un paese terzo. Al momento del rilascio dell'autorizzazione il governo (con le stesse eccezioni) si esprimerà ed applicherà i principi ed i divieti della legge solo sulla destinazione intermedia (ovvero il paese con cui si coproduce), e non sulla destinazione finale. La relazione annuale del governo al parlamento, ovviamente, non riporterà valori e destinazione finale dei materiali che ricadono all’interno dell’autorizzazione globale.

Non sarà infine possibile ricostruire i dettagli e il valore aggregato delle esportazioni italiane di materiale di armamenti, ne operare congrue analisi diacroniche dei dati. In sintesi non saranno applicabili i tratti salienti della nostra normativa: procedure autorizzatorie, controlli contro le triangolazioni, i controlli bancari, ne sui pezzi e componenti, ne sul prodotto finito, i divieti di esportare a paesi instabili o aggressivi (nel caso in cui il materiale sia assemblato nel paese con cui si coproduce), trasparenza e controllo del parlamento e dell’opinione pubblica.



3. L’accordo quadro per la ristrutturazione dell’industria europea della difesa

Il disegno di legge si inserisce nel contesto del recepimento dell’accordo quadro per la ristrutturazione dell’industria europea della difesa ("Framework Agreement Concerning Measures to Facilitate the Restructuring and Operation of the European Defense Industry") presentato il 27 luglio 2000. L’accordo, come noto firmato e ratificato da altri cinque paesi (Francia Gran Bretagna, Spagna, Germania e Svezia) e nato su spinta dei rappresentanti delle industrie europee degli armamenti con il fine di facilitare il processo di integrazione e di ristrutturazione dell’industria.

Esso si pone, tra le altre cose, due obiettivi principali:

Snellire, semplificare le procedure e le barriere interne di trasferimenti di pezzi e componenti per coproduzioni transnazionali tra le parti, al fine di rafforzare la cooperazione nel settore;

Definire nuove procedure comuni per determinare le destinazioni extraeuropee, cercando di garantire che l’esportazione di sistemi prodotti in cooperazione sia gestita in maniera responsabile e comune tra le parti, in conformità agli obblighi e impegni internazionali degli stati partecipanti all’area di controllo dell’Unione Europea, in particolar modo ai criteri del Codice di Condotta europeo.

Le modifiche principali che introduce sono due:

La licenza globale di progetto, applicabile a programmi congiunti di coproduzione intergovernativa realizzati tra due o più paesi che hanno ratificato l’accordo. La licenza si sostituisce alle singole autorizzazioni specifiche per le esportazioni o movimentazioni di singoli pezzi e componenti nel quadro della coproduzione. L’accordo precisa che il rilascio della licenza non esonera dai certificati di utilizzo o di arrivo a destino ne dai controlli doganali per i pezzi e componenti esportati (art.12) da un nucleo minimo di controlli volto ad impedire deviazioni verso destinazioni illecite dei pezzi. Essa si applica solo nel caso di coproduzioni tra stati che hanno ratificato l’accordo e che siano precedute da un accordo intergovernativo. “E’ responsabilità di ogni parte stabilire le condizioni per la concessione e il ritoro della licenza”. Le modalità di rilascio sono estremamente importanti per evitare deviazione o perdita di controllo di pezzi e componenti.

Nel caso di esportazione di una coproduzione delle industrie appartenenti a due o più stati parte, ad uno stato terzo, l’accordo prevede una procedura decisionale comune che coinvolge tutti gli stati che hanno partecipato alla stessa. Secondo l’art.13, le parti che intraprendono un programma di armamento determineranno assieme, per ogni specifico programma, una lista di destinazioni lecite. La decisione sui paesi cui e possibile esportare verra presa tramite la procedura del consensus, che, come noto, si avvicina a quella dell’unanimità pur non richiedendo voto formale. Essa quindi, teoricamente, conferisce a ciascuno stato il potere di bloccare l’ammissione di un paese, ritenuto a rischio, aggressivo o repressivo, secondo la propria normativa o politica estera, dalla lista delle destinazioni lecite, favorendo i paesi con le normative più avanzate e un processo di armonizzazione delle normative verso standard alti. Una tale procedura decisionale rappresenta un importante passo avanti rispetto a quella prassi (diffusa solo in alcuni paesi) che nel caso di coproduzioni rimandava al paese assemblatore la responsabilità dell’esportazione verso paesi terzi e che aveva favorito la tendenza da parte delle industrie a riallocare la capacita manifatturiera in paesi con minori controlli e barriere più basse all’esportazione.

Il campo di applicazione dell’accordo (e quindi la licenza globale di progetto) e circoscritto a:

1) i soli programmi di coproduzione intergovernativa (con possibili estensioni, seguendo determinate clausole).;

2) i soli sei paesi parte dell’accordo.

L’accordo, redatto in tempi record, presenta ancora alcune vaghezze sul piano politico e dei controlli, sulla trasparenza e sulla pace e sicurezza internazionale, parte delle quali sono demandate a successivi arrangements. Nel frattempo e responsabilità dei singoli stati, riempire, con le proprie normative, tali vuoti normativi.

4. L’accordo quadro e il disegno di legge: un breve confronto

Le modifiche introdotte dal disegno di legge si spingono oltre quanto richiesto dall’accordo.

a) Per ciò che concerne i requisiti, le modalità di rilascio e i controlli della licenza globale di progetto, il disegno di legge ha introdotto la formula più generica, una sorta di autorizzazione tipo open (senza specificare numero di pezzi modalità di comunicazione dell’uscita dei materiali e di verifica), per la quale non e chiaro come possano essere effettuati controlli sull’effettiva aderenza delle esportazioni al programma e per evitare deviazioni di pezzi e componenti verso paesi o individui pericolosi.

Considerando che l’autorizzazione globale di progetto si sostituisce alle singole autorizzazioni alle esportazioni per un programma di coproduzione che può durare anche anni, essa dovrebbe essere pensata e formulata in modo tale da garantire un nucleo minimo di controlli, anche periodici, al fine di verificare la rispondenza dell’esportazione effettiva dei pezzi e componenti, al fine di verificare l’arrivo a destino dei pezzi, strumenti per effettuare controlli sull’affidabilità delle industrie e un sistema, anche informatico che permetta di sapere esattamente quanti pezzi sono usciti e in quale paese ed industria si trovi, seguendo l’iter dei pezzi usciti dall’Italia.

Tale controllo a livello nazionale andrebbe man mano integrato e sostituito con controlli multinazionali che passino tramite una collaborazione tra autorità nazionali, dogane e polizie dei vari paesi.

b) Sull’esportazione a paesi terzi (ovvero che non partecipano all’accordo di coproduzione), i problemi principali sono imputabili innanzitutto alle modifiche introdotte dal ddl e non previste dall’accordo.

1. La prima concerne l’applicazione dell’autorizzazione globale non solo agli stati parte dell’accordo che quindi si sono impegnati a decidere assieme tramite la procedura del consensus, sull’esportazione ad una non parte, ma anche ai restanti paesi dell’Unione Europea o della Nato. Per i paesi che non hanno aderito all’accordo quadro (Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Grecia, Ungheria, Islanda, Lussembugo, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Turchia, Stati Uniti, etc. alcuni dei quali hanno legislazioni estremamente permissive e controlli molto blandi) non valgono le norme relative alla procedura del consensus per definire assieme la lista delle destinazioni lecite. Nei confronti di tali paesi (che hanno normative e politiche estere differenti da quella italiana, molte volte meno rigorose), il rilascio della licenza globale di progetto, equivale ad un’abdicazione di sovranità e responsabilità ovvero a conferire una delega in bianco sulla scelta delle destinazioni finali al paese con cui si coproduce, senza che le nostre autorità possano controllare nulla in merito. Nell’autorizzazione globale di progetto l’operatore deve infatti indicare solo il paese e l’industria con cui coproduce e non il destinatario finale (ovvero l’eventuale paese terzo che acquisterà il materiale), ne il valore. Ciò significa che in tutti i casi di rilascio di tale autorizzazione a stati non parte dell’accordo ne governo ne parlamento saranno informati sulla destinazione del materiale di armamento coprodotto con pezzi e componenti di marca italiana e assemblato all’estero. L’accordo Debre Schmidt del 1972 tra Francia e Germania, che recepiva tale principio, e stato recentemente rescisso proprio perchè favoriva la tendenza a riallocare la produzione e l’assemblamento di materiali di armamento, nel caso di coproduzione, nei paesi con barriere all’esportazione più basse. La richiesta di una preventiva adesione ai principi ispiratori della legge italiana risulta un po’ troppo generica per garantire omogeneità di vedute, di politiche esportative e di controlli.

2.La licenza non si applica solo a coproduzioni intergovernative, come previsto dall’accordo quadro, che possiamo considerare relativamente più sicure in quanto prevedono un accordo preventivo tra governi, ma anche a semplici accordi tra industrie. Sara quindi sufficiente per una società italiana stringere un accordo con una qualsiasi società turca o ungherese (anche costituita ad hoc) per godere delle procedure semplificate (Bellagamba).

5. Un’ulteriore precisazione

Il disegno di legge prevede un’ulteriore modifica non richiesta dall’accordo quadro. Essa riguarda il divieto di esportare a paesi i cui governi siano responsabili di accertate violazioni dei diritti umani. Il disegno di legge precisa che le violazioni delle convenzioni devono essere gravi e accertate da appropriati organi dell’UE e dell’ONU. L’aggiunta dell’aggettivo gravi, che restringe la cerchia dei paesi che ricadono all’interno del divieto, viene motivata con la necessita di “adeguarsi al criterio numero 2 previsto dal "Codice di condotta", che prevede la specificità della gravita per le violazioni dei diritti dell'uomo”. Merita precisare che il Codice di Condotta, approvato nel 1998 e non vincolante giuridicamente, e stato inteso come una base di partenza, un minimo comun denominatore sul quale costruire una regolamentazione più rigorosa e vincolante. I criteri che introduce, specifica lo steso documento, “should be regarded as the minimum for the management of, and restraint in, conventional arms transfers by all EU Member”. Ed ancora, nelle disposizioni operative e precisato che il Codice “non ostacolerà il diritto degli Stati membri di operare politiche nazionali piu restrittive”.

In linea generale, lo spirito delle modifiche apportate, anche nel contesto di accordi e documenti internazionali, come l’accordo quadro e il codice di condotta, sembra rispecchiare da parte del nostro paese una politica rinunciataria che risponde al principio del minimo comun denominatore. Al contrario l’Italia, in forza della propria normativa, che la poneva, fino adesso, in una delle posizioni più avanzate, avrebbe potuto svolgere un ruolo guida, propulsivo e responsabile, volto a costruire una regolamentazione europea di trasparenza e controllo del commercio delle armi orientata verso standard alti.

Solo con un atteggiamento responsabile si può costruire politica estera e di sicurezza dell’UE, orientata al mantenimento della pace e della sicurezza europea ed internazionale, che si basi anche su misure preventive realmente efficaci e lungimiranti.

Chiara Bonaiuti (O.S.C. Ar di Ires Toscana), Firenze
(Questo Dossier e riproducibile citando l’autore e la fonte)

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Ultimo aggiornamento: 21-07-04.

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