"E facile cogliere il rapporto esistente
tra le creazioni sataniche dei poeti e le creature viventi
che si sono date agli eccitanti"
Baudelaire, Paradisi artificiali
Il
nepente di OMERO
" Tutti gli uomini di ogni tempo storico o preistorico,
quali che siano la loro morale, la loro religione o il loro grado di civiltà
- scrive R. Gilbert - Lecompte nel suo saggio Il signor Morfeo avvelenatore
pubblico - hanno sempre usato di questi prodotti chiamati tossici dal farmacologia:
dai filtri dei maghi antichi e dei medicine - men di ogni tribù primitiva,
le erbe sante degli Inca, la coca e il peyotl del Messico, bétel da masticare
degli Oceanici, l'oppio cinese e indù lo hascisc e tutte le varietà
di canape asiatiche e africane fino ai moderni veleni d'Europa: etere, tabacco,
morfina, eroina, cocaina e la più universale, l'alcool, sotto tutte le
sue forme metropolitane e coloniali." Perché questa universale predilezione
per i " prodotti tossici ?" Perché l'uomo a sempre avuto la
tendenza a "uscire" dagli stretti limiti della condizione umana, a
rifiutare ignoranza, miseria, dolore fisico e morale. E la sua liberazione l'ha
cercata nella religione, nella conoscenza (conoscere vuol dire appropriarsi,
conquistare), nella magia e nella poesia. E quando non l'ha trovata in queste
esperienze, l'ha cercata nella droga. Omero ha cantato nell'Odissea il filtro
opposto alla tristezza e all'ira che induce l'oblio di tutti i mali: "
Chi l'inghiottisse nel cratere infuso non potrebbe versare per tutto il giorno
Dalle ciglia una lacrima, se pure La madre o il padre gli giacesser morti Se
pur dilacerassero col ferro suo fratello o suo figlio a lui d'innanzi Ed egli
coi suoi occhi guardasse ". il misterioso filtro omerico ha un nome evocatore
" nepente " (letteralmente, che sopprime il dolore) e proviene dalla
" fertile terra d'Egitto che produce farmaci infiniti". I sacri sacerdoti
di Osiride conoscevano infatti le virtù magiche e curative dell'oppio,
e il celebre faraone Amenofis I ne faceva un grande uso personale. Ma le testimonianze
storiche della presenza della droga nelle antiche civiltà non si fermano
agli Egizi. Del papavero da oppio troviamo traccia già nelle tavolette
a scrittura cuneiforme dei Sumeli e poi nei basso rilievi del IX secolo avanti
Cristo. Le sculture assire testimoniano la presenza attiva nell'antica civiltà
di un'altra droga importantissima: l'hascisc. Ed è dall'assiro Qounnabou
che i greci hanno derivato il nome Cannabis diventato poi modernamente da noi
Canapa. Lo storico greco Erodoto parla di hascisc a proposito delle cerimonie
funerarie degli Sciiti: i parenti del morto si riuniscono sotto una tenda e
spargono manciate di semi di canapa sopra pietre roventi e s'inebriano del fumo
che ne scaturisce: " Dicono di riuscire così a parlare con il morto
e gli dèi che lo proteggono ". " E' possibile affermare - scrive
J. L. Brau nella Storia della droga - che tutti i deliri profetici degli oracoli
e delle sibille dell'antichità erano dovuti a casi di intossicazioni
naturali, come a Delfo, dove le emanazioni di biossido di carbonio che uscivano
da una fessura della roccia facevano cadere la Pizia in trances estatiche."
La Roma dell'impero mondiale è la patria di elezioni di tutti i vizi,
virtù, religioni, credenze magiche e abitudini dei popoli conquistati.
La droga occupa logicamente un posto importante nella corte imperiale, nei festini
dei nobili e nelle pozioni dei vari maghi - sacerdoti delle più strane
religioni. Virgilio parla di " Laetho perfusa papavera somna.", papaveri
impregnati del sonno del Lete (il fiume dell'oblio); nella sua Storia Naturale,
Plinio descrive gli effetti medici del papavero; e Dioscoride afferma che l'uso
della canapa " fa venire davanti agli occhi fantasmi e illusioni piacevoli
e gradevoli ". Già nelle antiche civiltà mesopotamiche, l'oppio
era entrato nella composizione di pozioni e unguenti medici (le famose teriache)
per alleviare e liberare l'uomo dal dolore. Tra le prime teriache " storiche"
sono da ricordare quelle preparate da Andromaco il Vecchio per l'imperatore
Nerone e quelle del sommo Galieno per Marco Aurelio Antonino.
Il mangiatore di
oppio
"Oh giusto sottile e possente oppio !
. tu che
costruisci nel seno delle tenebre, con i materiali immaginari del cervello,
con una arte più profonda di quella di Prasitele e di Fidia, città
e templi che superano in splendore Babilonia e tutte le altre città.
Tu che dal caos di un sonno turbato da incubi evochi alla luce del sole
i volti di bellezze da tempo sepolte; e fisionomie familiari, benedette,
ripulite e terse dagli oltraggi della tomba. Tu solo puoi dare all'uomo
quei tesori, tu possiedi le chiavi del paradiso o giusto, sottile e possente
oppio!" Con questa accorata invocazione si aprono le Confessioni
di un mangiatore inglese di oppio (1822) di Thomas de Quincey opera di
scarso valore artistico ma che avrà presto grande influenza su
tutta la letteratura ottocentesca grazie soprattutto alla traduzione francese
Charles Baudelaire. Per un lungo
|
periodo,
l'influenza della droga sulla letteratura è stata di carattere "
accidentale": l'artista o il letterato non la assumevano per provare sensazioni
sovrumane o per cercare nuove vie alla creazione, ma come medicina per lenire
violenti dolori fisici, proprio come facevano del resto tanti altri normalissimi
mortali. Così, accanto al poeta francese Ronsard (1524 - 1585) troveremo
nel novero degli " oppiomani occidentali" il celebre frate Savonarola
(1452 - 1498), il grande cardinale Richelieu (1585 - 1642), e tanti altri nomi
famosi. Anche per Thomas de Quincey e per l'americano Edgarde Poe la prima esperienza
con la droga è stata di carattere accidentale. Il primo, per guarire
da violentissimi dolori cervicali provocati da un'imprudente terapia personale
(tuffava la testa in una bacinella piena di acqua gelata per guarire un mal
di denti !); il secondo per uccidere il tarlo dell'alcoolismo che lo stava consumando.
Ed è proprio con il " papa della chiesa dell'oppio" (così
amava definirsi Thomas de Quincey) che inizia il periodo "romantico"
della droga. Se la prima esperienza dello scrittore inglese è stata accidentale,
le altre che si susseguiranno per un arco di venti anni saranno volontarie,
e infine necessarie. Nella prima metà dell'ottocento l'uso dell'oppio
era d'altronde molto diffuso in Inghilterra, e non solo tra le classi agiate.
Accanto allo scrittore Samuel Taylor Colerdge (1772-1834), che provò
quasi tutte le droghe allora conosciute, dall'oppio al laudano, alla canapa
(nella quale credette di riconoscere il famoso nepente di Omero), ci sono anche
i primi proletari che preferiscono " ubriacarsi" con un grammo di
oppio anziché ricorrere all'alcool che costa molto più caro. Nella
sua opera, De Quincey descrive i benefici effetti e le meraviglie dell'oppio,
ma anche le sue torture, i lunghi e terribili sforzi che bisogna fare per liberarsi
della sua avvilente schiavitù. L'inglese resta tuttavia su un piano personale,
umano, e non riesce a trascendere su quello universale. Non riesce a cogliere
la negatività artistica della droga, la sua impotenza creativa per questo
ci vorranno Poe e Baudelaire messi insieme. La poesia, per i "fratelli
spirituali", non è (o non è solo) spontaneità, fantasia
e invenzione, ma anche e soprattutto composizione, applicazione severa, faticoso
studio creativo. Richiede cioè uno sforzo positivo delle volontà.
Al contrario, la droga offre troppo facilmente ai suoi adepti paradisi di immagini
fantastiche che poi fa loro scontare attraverso la lenta uccisione della volontà,
senza la quale tutte quelle immagini non possono tradursi in poesia: "
L'indomani il terribile indomani " scrive Baudelaire nei Paradisi artificiali.
" La impossibilità di applicarsi a un lavoro continuo vi insegna
crudelmente che avete giocato un gioco proibito." Perché, scrive
Claude Pichois nella prefazione all'opera di Baudelaire, " gli eccitanti,
anche ammettendo che possano aumentare il genio e l'immaginazione creativa,
deteriorano la volontà e rendono impossibile quello sforzo di composizione
senza il quale le più ricche concezioni risultano vane."
Il
gusto dell'infinito
" mio caro Théophile Gautire, si prenderà dell'hascisc
a casa mia, lunedì prossimo 3 ottobre (1845), sotto gli auspici dei dottori
Moreau de Tours e Albert Roche. Vuoi essere dei nostri ? Prenderai parte al
nostro modesto pasto e poi attenderai le allucinazioni." E' il biglietto
- invito a una " serata della droga" del gruppo che più tardi
Gautier avrebbe immortalato sotto il nome di Club des Haschischins. Il club
si riuniva all'Hotel Pimodan (dove a abitato anche Baudelaire), nell'isola di
Saint Louis. I promotori sono il pittore Boissard e il medico Moreau de Tours
l'"iniziatore" all'hascisc degli artisti francesi dell'ottocento.
Gli adepti si chiamano Gautier e Gérard de Nerval (scrittori); Chenevard,
Monnier, Daumier e Delacroix (pittori); Barberau (musicista); Clésinger
e Jean Jaques Feuchére (scultori). E poi, a far da spettatori interessati,
Baudelaire e Balzac. Quest'ultimo, durante le sue rare visite al club, a sempre
rifiutato di provare la droga, anche se poi scrive di aver provato la "
nuova droga ", che però non gli ha fatto alcun effetto, " a
causa della potenza del suo cervello ". Anche Baudelaire, che probabilmente
ha fatto le sue prime esperienze di droga già dal 1841- 42, assiste "
en spectateur " - è Gautier che lo dice - alle serate dell'hotel
Pimodan. In compenso, la droga - hascisc fino al 1850 e oppio in seguito - se
la prende a casa sua, in tête à tête con l'amante, la mulatta
Jeanne Duval. Nel 1851, Baudelaire pubblica l'articolo Del vino e dell'hascisc,
nel quale condanna la droga come appartenente alla classe delle gioie solitarie
(" è fatta per miserabili oziosi ") e la contrappone al vino
che a una missione sociale: "Il vino esalta la volontà, l'hascisc
l'annulla. Il vino rende l'uomo buono, socievole
. È per il popolo
che lavora e che merita di bere ". Responsabile del deprecabile uso dell'hascisc
è, per il poeta, il gusto dell'infinito che urge in ogni cuore: "
L'uomo ha cercato nella scienza fisica, nella farmacia, nei più volgari
liquori come nei profumi più sottili, sotto tutti i climi e in tutti
i tempi il modo di fuggire, anche per poche ore soltanto, alla sua prigione
di fango, di conquistare in un sol colpo il paradiso
. I vizi dell'uomo,
per pieni di orrore che siano, contengono la prova del suo gusto per l'infinito;
solo che è un gusto che sbaglia spesso di strada ". Nel 1860, Baudelaire
traduce ed inserisce nei suoi Paradisi artificiali le confessioni di De Quincey.
Nella prefazione, annuncia subito di voler fare un libro "non di pura filosogia,
ma soprattutto di morale ". Vuole dimostrare che " i cercatori di
paradisi fanno il loro inferno, lo preparano, lo scavano con successo la cui
previsione forse li spaventerebbe ". Ma nonostante le belle pagine (che
fanno affermare a molti, Flaumbert in testa, che nei Paradisi artificiali Baudelaire
si dimostra addirittura un moralista cattolico) il poeta non riuscirà
mai a staccarsi definitivamente dalla droga. " L'oppio apre immensità
in cose sconfinate Allarga l'illimitato Approfondisce il tempo, scava la voluttà,
E di piaceri neri e cupi Empie l'anima oltre ogni limite " scrive nella
poesia Veleno 1857. Come si fa a non riconoscere a non ricercare più
queste immensità, questi piaceri cupi, il " paradiso " che
si è conquistato una volta e che si può riconquistare a volontà
? E, dopo Baudelaire, quanti saranno gli scrittori francesi che riusciranno
a sfuggire alla tentazione? Ben pochi. Non comunque Flaumbert, Géerard
de Nerval, Apollinaire, Proust, Jarry, Blaise Cendras Jean Cocteau e Guy de
Maupassant, che " si è annegato nella droga " (Hascisc, oppio,
morfina e soprattutto etere). E anche Dumas deve aver proprio provato l'hascisc,
se fa dire a Edmond Dantes mentre offre a Franz D'Epinay una specie di paste
verdastra: " Gustate questa e le barriere del possibile svaniranno: i campi
dell'infinito si apriranno; voi potrete passeggiare, libero di cuore, libero
di spirito nel dominio senza limiti della fantasia " (Il conte di Montecristo).
L.S.D.
Nuova religione
Le tremende carneficine delle due guerre mondiali segnano una netta svolta anche
nei rapporti che intercorrono tra droga e letteratura; è finita l'epoca
"romantica" e ne è iniziata un'altra che possiamo definire
" volontaria ". La droga da ora in poi si prenderà "per
vedere", per sfuggire all'angoscia viscerale ed esistenziale. Le due moderne
"scuole di droga" (europea - francese e americana), trovano entrambe
la loro radice nella tragica condizione dell'uomo inserito in una società
moderna. Da una parte, l'Europa delle distruzioni, l'angoscia irrazionale, la
voga poetica bodleriana e rimbodiana del " viaggio ", dell'"evasione".
Dall'altra, la società dei consumi, la necessità imperiosa di
difendersi dall'oppressivo conformismo sociale, di " allargare il proprio
io fino ad occupare ogni zona umana e difenderla dall'invasione nemica; non
per dimenticare o per cercare il nirvana, ma per raggiungere la consapevolezza
". Nel vecchio continente i portabandiera sono René Daumal, il suo
compagno Robert-Lecompte, morto nel 1843 per infezione tetanica provocata da
una iniezione di laudano (durante l'ultima guerra, in mancanza della droga,
molti tossicomani "si consolavano" con iniezioni di laudano; non pochi
sono morti di tetano); Antonin Artaud (il profeta del peyotl e degli allucinogeni)
e infine colui che può essere definito il capofila della scuola europea,
il poeta belga Henri Michaux (è nato a Namur 1893). Dall'altra parte
dell'oceano, gli appartenenti alla beat generation William Bourroughs, Gregory
Corso, Le Roi Jones, Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Bob Kaufman tanto per citare
solo i più noti. Ultimamente, a loro si sono aggiunti i seguaci della
"nuova religione" l'L.S.D. (acido lisergico) e il loro grande profeta
psicologo Timoty Leary. Ma che cosa è questa beat generation ? Un movimento
poetico e filosofico che si è propagato negli USA subito dopo la seconda
guerra mondiale: " Beat " ha scritto la specialista Fernanda Pivano
" designa il senso di sconfitta
.. la sconfitta dell'uomo moderno
di fronte alla falsa comunicazione, alla avidità di denaro, alla sete
di potenza, all'amore per la violenza ". Quindi quella dei beats, Gregory
Corso è una " disaffiliazione con la proposta di un modo di vita
per negare la tradizione (non del passato) ma del presente - preso dal passato
.. Così il beat è Cristo, il beat è Ivan, il beat
è qualunque uomo che rompa il sentiero stabilito per seguire il sentiero
predestinato. " Il fondamentale punto di divergenza delle due scuole sta
nell'atteggiamento da assumere nei confronti della droga. Per Michaux, non bisogna
abbandonarsi completamente, si deve tenere sempre "un occhio aperto"
. " E' di importanza capitale che resti in noi sufficiente presenza
vigile per osservare il mentale maltrattato che, che sempre in movimento, cerca
di continuare il suo lavoro
..". Per gli americani, questo atteggiamento
è assurdo, ridicolo, contraddittorio: bisogna lasciarsi penetrare completamente,
rifiutare l'autocontrollo: Altrimenti, perché si prende la droga? Michaux
replica: " si fermino coloro che prendono prodotti per darsi alle eccitazioni
collettive, alle confusioni, alle danze isteriche ai pestaggi e alle violenze,
e non pensino che qui ci sia qualcosa per loro. Non parliamo lo stesso linguaggio.
Non perseguiamo gli stessi effetti ". Ed è vero: le due scuole non
parlano lo stesso linguaggio. Michaux è l'ultimo discendente del razionalismo
occidentale, dissacratore, antimagico e antiliturgico, mentre la beat generation
e la scuola L.D.S. rinnegano il razionalismo della razza bianca, si alleano
all'animismo e all'irrazionalismo dei mistici popoli orientali (India, Cina,
Giappone, Tibet) e, forse, identificano la droga con la poesia. Ritornano insomma
alle origini, chiudono un millennio di storia che ha portato, nella sua ansia
di razionalizzazione e di specializzazione, alla rottura di quella divina unità
che era l'uomo.
La
Droga
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