Nel Marzo di quest'anno il Parlamento appena
sciolto ha approvato definitivamente la legge costituzionale di modifica
del titolo V della Costituzione, realizzando il c.d. federalismo.
Questa importante riforma diverrà Costituzione vigente se supererà
il vaglio del referendum confermativo del prossimo autunno, ottenendo
la maggioranza dei voti validi.
Vista l'importanza della scelta che i cittadini dovranno compiere, il
teme merita certamente di essere approfondito e dibattuto, ma purtroppo
la stampa - salvo rare eccezioni - ha dedicato poco spazio ai commenti
sul merito del provvedimento e molto alla polemica tra gli schieramenti
politici. Quanti elettori hanno capito il significato e le implicazioni
di questa riforma, tanto attesa e voluta da Presidenti di Regioni, Sindaci
e amministratori locali di ogni estrazione politica?
Vediamo dunque quali sono i punti nodali della riforma.
In primis, dal nuovo art. 1 14 Cost. emerge il nuovo ordinamento federale
della Repubblica, che "è costituita dai Comuni, dalle Province,
dalle Città metropolitane e dallo Stato".
Il nuovo art. 1 17 Cost. indica le materie affidate alla potestà
legislativa esclusiva dello Stato (fra cui sono comprese la politica estera,
la difesa, l'ordine pubblico e la sicurezza) e quelle di potestà
legislativa concorrente, la quale spetta alle Regioni, salvo che per la
determinazione dei principi fondamentali, riservata allo Stato (art. 117
co. 3'). La potestà legislativa esclusiva delle Regioni è
determinata in negativo: in essa rientrano tutte le materie non espressamente
riservate alla legislazione dello Stato (art. 117 co. 4'). In tal modo
il legislatore, rovesciando il sistema precedente, ha scelto di seguire
il modello tedesco, nonostante la complessità che ne deriva per
individuare le materie di competenza esclusiva delle Regioni. Gran parte
delle materie inerenti i rapporti economici - in cui è molto forte
il ruolo del diritto europeo - sono ricompresse nella potestà legislativa
concorrente delle Regioni, la cui sfera &azione è dunque enormemente
ampliata. Ciò costringerà le Regioni ad arricchire la propria
cultura giuridica con la conoscenza del diritto europeo.
L'art. 118 Cost. affida le funzioni amministrative ai Comuni - cioè
all'ente più vicino ai cittadini - a meno ché, per assicurarne
l'esercizio unitario, non sia necessario affidarle a Province, Città
metropolitane, Regioni e Stato (principio di sussidiarietà).
L'art. 120 co. 2' Cost. prevede che il Governo può sostituirsi
a organi delle Regioni e degli enti locali in caso di mancato rispetto
di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria o di
pericolo per la sicurezza ed incolumità pubblica ovvero per la
tutela dei livelli essenziali concernenti i diritti civili e sociali a
prescindere dai confini territoriali dei governi locali. Si tratta di
una previsione opportuna per ovviare a eventuali inerzie di Regioni o
enti locali e per evitare che lo Stato vada incontro a procedure di infrazione
per inattuazione delle normativa europee davanti alla Corte di Giustizia
Europea.
L'art. 119 Cost. ridisegna il sistema della finanza pubblica. Si dice
che Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane hanno autonomia
finanziaria, di entrata e di spesa. Ciò vuol dire che tali enti,
con propri provvedimenti, possono introdurre nuove imposte: tale potestà
deve essere esercitata in armonia con la Costituzione e secondo i principi
di coordinamento della finanza pubblica e dei sistema tributario. Tutte
le Regioni dispongono di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali
(cioè statali) riferibili al loro territorio. Si prevede poi che
la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo per i territori più
poveri, la cui funzione è di destinare risorse aggiuntive ed interventi
speciali a tali territori bisognosi. L'ammontare e la destinazione di
questo fondo è questione tutta aperta e politica: qui si gioca
lo scontro nord-sud, che tanto interessa anche la Sardegna.
Il sistema di finanza pubblica delineato è quindi in parte vincolato
e in parte lasciato alla contrattazione politica fra i territori. Da quest'ultimo
aspetto nasce l'importanza di avere amministratori e rappresentanti politici
regionali e locali responsabili, preparati e soprattutto muniti della
necessaria stabilità e capacità decisionale. Per la Sardegna
il problema è cruciale: si pensi che dell'intera spesa pubblica
effettuata nella nostra Regione solo il 50% è coperto con le tasse
dei cittadini sardi; il restante 50% viene dalle Regioni più ricche.
E' dunque indispensabile che la Sardegna si doti al più presto
di una classe politica forte, che sappia rappresentare gli interessi dei
suoi abitanti in maniera adeguata nella contrattazione Stato-Regioni-enti
locali. La frammentarietà, l'inerzia, e la litigiosità che
attualmente contraddistinguono la classe politica sarda dovranno essere
al più presto superate. A questo risultato possono certo contribuire
l'introduzione dell'elezione diretta dei Presidenti anche nelle Regioni
a statuto speciale (legge cost. n. 2/2001) o la futura riforma dello statuto
regionale della Sardegna. Tuttavia, il cambiamento delle forme istituzionali
non è di per sé sufficiente a cambiare le cose, prova ne
sia il fatto che l'attuale statuto non è mai stato sfruttato bene
e a pieno dalla Sardegna e che, anzi, I"'autonomia sarda" si
è per lo più tradotta in sterili e propagandistici proclami
verbali o in prebende per i nostri politici, con buona pace dei richiami
al pensiero di Emilio Lussu. Occorre quindi che si sviluppi un parallelo
processo di rinnovamento radicale dell'attuale classe politica regionale,
il quale non potrà derivare che da una proficua contaminazione
tra il mondo politico e le aree migliori della nostra società civile
e da un controllo e una partecipazione costanti dei cittadini nei confronti
della vita politica.
E' questa la sfida da vincere per la Sardegna, sia nel caso in cui il
corpo elettorale approvi l'attuale riforma - la quale sembra contenere
un equilibrato mix tra federalismo competitivo e federalismo solidale
- sia nel caso in cui il nuovo Parlamento dovesse realizzarne una più
incisiva (ma anche più pericolosa e difficile da gestire).