Anche quest'anno è andata; con buona
pace di ristoratori, di spogliarellisti e di discotecari, abbiamo (??)
festeggiato la donna. Strano concetto quello che si è affermato:
le donne festeggiano se stesse emulando certi uomini.
Sarà liberatorio assistere allo spettacolo di un giovanottone in
perizoma che si dimena sul palco offrendo, alla vista di un pubblico scalmanato,
la sua mercanzia? Mah! Dicono: "è per divertirci", "per
trasgredire", "per fare qualcosa di diverso". Dico: "Facciamo
davvero qualcosa di diverso - FERMIAMOCI A RIFLETTERE -".
Se questa "festa" è nata per rivendicare i diritti delle
donne, soprattutto nel lavoro, come è possibile che si sia trasformata
in un affare? Non si onora così la memoria di quelle 146 donne,
operaie, che nel 1911 morirono in una fabbrica degli USA, a causa di un
incendio. Non si onorano così tutte quelle donne che ancora oggi,
in tante parti del mondo, sono succubi dello strapotere che, non si sa
quale Dio glielo abbia concesso, gli uomini hanno su di loro.
Essere donne oggi come in passato significa avere coraggio, non un solo
giorno ma 365 giorni all'anno, significa essere disposte a mettersi in
gioco con le armi affilate della determinazione ma anche con molta umiltà.
Significa avere la possibilità di esprimere al meglio le proprie
capacità senza per questo diventare competitive a tutti i costi.
Significa non lasciarsi castrare dal senso di colpa atavico che, strisciandoci
dentro, vorrebbe relegarci a ruoli "più femminili". Significa
fare i conti con il mostro della depressione che pare si nutra preferibilmente
di donne.
Essere donna significa essere un individuo complementare all'uomo ma diverso,
con il quale stabilire una comunicazione "alla pari", e far
si che queste non rimangano solo parole ma si traducano in fatti quotidiani,
soprattutto attraverso l'educazione dei nostri figli nei quali far maturare
l'idea che non è più sufficiente che vengano estesi a tutti
gli stessi diritti, e questo sarebbe già un punto di partenza,
ma occorre che vengano anche riconosciuti i diritti di ciascuno secondo
la sua specificità perché solo "la vera uguaglianza
dà libero corso alle differenze" (S. Natoli).