Sebben che siamo donne...

Daniela Pia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche quest'anno è andata; con buona pace di ristoratori, di spogliarellisti e di discotecari, abbiamo (??) festeggiato la donna. Strano concetto quello che si è affermato: le donne festeggiano se stesse emulando certi uomini.
Sarà liberatorio assistere allo spettacolo di un giovanottone in perizoma che si dimena sul palco offrendo, alla vista di un pubblico scalmanato, la sua mercanzia? Mah! Dicono: "è per divertirci", "per trasgredire", "per fare qualcosa di diverso". Dico: "Facciamo davvero qualcosa di diverso - FERMIAMOCI A RIFLETTERE -".
Se questa "festa" è nata per rivendicare i diritti delle donne, soprattutto nel lavoro, come è possibile che si sia trasformata in un affare? Non si onora così la memoria di quelle 146 donne, operaie, che nel 1911 morirono in una fabbrica degli USA, a causa di un incendio. Non si onorano così tutte quelle donne che ancora oggi, in tante parti del mondo, sono succubi dello strapotere che, non si sa quale Dio glielo abbia concesso, gli uomini hanno su di loro.
Essere donne oggi come in passato significa avere coraggio, non un solo giorno ma 365 giorni all'anno, significa essere disposte a mettersi in gioco con le armi affilate della determinazione ma anche con molta umiltà. Significa avere la possibilità di esprimere al meglio le proprie capacità senza per questo diventare competitive a tutti i costi. Significa non lasciarsi castrare dal senso di colpa atavico che, strisciandoci dentro, vorrebbe relegarci a ruoli "più femminili". Significa fare i conti con il mostro della depressione che pare si nutra preferibilmente di donne.
Essere donna significa essere un individuo complementare all'uomo ma diverso, con il quale stabilire una comunicazione "alla pari", e far si che queste non rimangano solo parole ma si traducano in fatti quotidiani, soprattutto attraverso l'educazione dei nostri figli nei quali far maturare l'idea che non è più sufficiente che vengano estesi a tutti gli stessi diritti, e questo sarebbe già un punto di partenza, ma occorre che vengano anche riconosciuti i diritti di ciascuno secondo la sua specificità perché solo "la vera uguaglianza dà libero corso alle differenze" (S. Natoli).