L’impronta del Sinedrio nella società calabrese.IL Senato, nello svolgimento della sua funzione, era condizionato dal Sinedrio che, pur essendo un organo informale e quindi non avendo rilevanza istituzionale, riusciva tuttavia a determinare l’indirizzo della repubblica, attraverso i suoi trecento membri, i quali, essendo contemporaneamente anche membri del Senato e, solendo votare in modo solidale e compatto in ogni circostanza, di fatto ne determinavano le decisioni. Alcuni comportamenti della società calabrese ancora risentono di quella impostazione. Dal suo funzionamento si evince che, mentre nei confronti degli avversari esterni si era soliti agire con grande determinazione e inesorabile decisione ; nei rapporti interni vigeva il principio della massima compattezza e si procedeva con l’accordo di tutti in modo che l’organo collegiale, sempre ed in ogni circostanza, si comportasse come un sol uomo. La formula tipica osservata nella pronuncia del giuramento degli adepti, nel nostro caso, assume una fisionomia tutta particolare : infatti notiamo che il vincolo del giuramento non è diretto da ogni singolo membro verso l’ente nel suo complesso , come sarebbe stato normale in casi del genere; ma è rivolto invece da ognuno dei membri direttamente a ciascuno degli altri membri , in modo che in definitiva poi risultava un intreccio di tante obbligazioni private e personali, intercorrenti tra tutti i membri e ciascuno di loro. In quanto tale, ogni membro era titolare di una obbligazione personale, a cui corrispondeva la pretesa di tutti gli altri consociati, anche singolarmente considerati, di vederla rispettata.Ne derivava la piena legittimità della iniziativa personale per il rispetto e l’osservanza dei patti sottoscritti e diventava doveroso agire, anche autonomamente, nell’interesse di tutti e dello stesso ente. Stante così le cose, ogni membro aveva la consapevolezza di essere detentore della onorabilità della associazione , e tenuto a tutelare con atti di ritorsione, anche di natura privata, nei confronti dei trasgressori.
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Un plagio colossale.
In verità non poco pregiudizio la fama della scuola italica ebbe a subire dal fatto che alcuni filosofi antichi attinsero a larghe mani al suo patrimonio culturale , senza minimamente preoccuparsi di dire che si trattava di idee e principi appartenenti a quella scuola. In questa opera di spoliazione culturale sono stati facilitati dal fatto che Pitagora ed i pitagorici si attenevano al principio di non lasciare tradotta per iscritto la loro dottrina. Su questo argomento Porfirio dice che lo stesso Platone, come Aristotele e Senocrate spacciarono per proprio tutto quello che trovarono utile nelle dottrine pitagoriche. |
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In particolare si ricorda che Platone venne in Italia ( Magna Grecia )per assimilare i pensieri di Pitagora ed a questo scopo si recò prima a Taranto da Archita e quindi a Locri da Timeo per apprendere da questi la dottrina del loro maestro. Per di più lo stesso ebbe occasione di comprare per
quaranta mine alessandrine gli
scritti di Filolao, in conseguenza di che questi fu considerato
come un profanatore della scuola italica per aver venduto ad un
estraneo le teorie
pitagoriche Un comportamento
che venne fortemente deplorato dai suoi contemporanei,
anche se a sua scusanza si disse che ciò sia avvenuto ad opera
della moglie, in difficoltà economiche, dopo la tragica morte di lui. |
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Numa Pompilio,discepolo della scuola pitagorica. Tra quelli che hanno frequentato le sedi della Magna Grecia a scopo di istruzione si segnala Numa Pompilio, poi divenuto secondo RE di Roma. Egli effettivamente svolse un periodo di apprendimento nella città di Crotone , ricevendone quel grado di istruzione ritenuta necessaria, e prestigiosa per gli appartenenti alle migliori famiglie gentilizie di Roma , che aspiravano all’investitura delle alte magistrature dello stato. Epicarpo, che apprese le lezioni di Plutarco, dice che Numa Pompilio, che successivamente assunse il regno nel periodo della monarchia romana , nell’anno della XVI Olimpiade visse a Crotone e divenne uditore della filosofia di Pitagora. Lo stesso Ovidio nel terzo libro della sua opera “De Ponto” accenna a questa circostanza riportando la seguente sentenza:” Proemia nec chiron ab Achille Talia coepit, Pitagoraeque nourisse Numam” Lo stesso autore fa notare come Numa, dotato di sapienza ed erudizione pitagorica, si distinguesse anche per gli atteggiamenti esteriori e l’osservanza del culto istituito da Pitagora. In particolare l’essere taciturno , il circondarsi di mistero, l’osservanza di certi riti sacri , l’adorazione di alcuni simulacri che erano tipici del culto e della concezione pitagorica, atteggiamenti divenuti congeniali alla personalità di Numa , che denotano chiaramente l’origine della sua educazione di pretta marca pitagorica. Plinio, nel libro XIII della sua opera, fa menzione di sette libri “ de jure pontificio” attribuiti a Numa nei quali si rinvengono molti scritti di filosofia pitagorica, che purtroppo successivamente vennero bruciati per ordine del Pretore Petilio. Nel primo di detti libri, dedicato appunto ai problemi religiosi, egli esprime una concezione del tutto nuova rispetto a quelle correnti nell’ambiente romano a proposito del problema della pluralità degli dei, così affermando:” Nam Pitagoras Unum Deum ; non plures esse dicebat”.
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