La "Rivista Marittima", periodico
della Marina militare italiana, nei 1913 riportava un articolo
dal titolo molto didascalico: "Palombaro sommozzatore che
lavora a 80 metri sott'acqua".
In quegli anni, le uniche persone che scendevano sott'acqua
in apnea, non protetti da scafandro né alimentati d'aria
dalla superficie, erano i pescatori di spugne, e le
HAGGI STATTI
profondità di lavoro erano abbastanza
basse. Mancavano trentasei anni al primo record d'immersione
profonda in apnea, quello di Raimondo Bucher nel 1949 a -30
metri. Nel 1951 Ennio Falco e Alberto Novelli si spingevano
fino ai -35 m e nel 1956 i due arrivaroni a -41. Enzo Maiorca
nel 1960 arrivava ai -49 e nel 1964 ai -55. Oggi il record di
immersione in apnea "in assetto variabile" appartiene
a Umberto "Pelo" Pelizzari con 131 metri.
Riviviamo i momenti di quel 4 agosto
del 1913: nel tardo pomeriggio,la corazzata italiana di prima
classe"Regina Margherita" s'appresta ad ancorare nella
baia di Pegadia all'isola di Scarpanto, tra Rodi e Creta, nell'Egeo.
Per la nostra unità si tratta di una delle ultime tappe
che l'avevano portata ad affiancare le operazioni delle truppe
in Libia, conquistate con la vittoria della guerra del 1911
contro l'impero Ottomano.
La nave avanza lentamente quando il comandante decide di gettare
l'ancora, il sottocapo addetto alle misurazioni da un po' rileva
circa 30 metri di profondità. E' questione di attimi,
la catena fila velocemente giú senza che sembri toccare
mai il fondo.
Un testimone oculare, Vittorio Pozzo, giornalista (e poi 'commissario
tecnico' della nazionale italiana di calcio campione del mondo
nel 1934 e nel 1938) cosí descrive gli avvenimenti: "Un
uragano di polvere rugginosa copriva la coperta, inutili risultavano
i tentativi dei maestro d'ascia di far agire lo strozzatoio:
la catena, che scendeva in mare
LA NAVE MARGHERITA
serpeggiando fragorosamente a velocità
pazzesca, si esaurì. Il maniglione, strappato per il
contraccolpo dal pozzo delle catene, raggiunse la coperta e,
liberatosi dal tamburo dei verricello, colpì il comandante
in seconda, capitano di fregata Proly, e i gabbieri schierati
ai posti di manovra; sfiorò la testa dei guardiamarina
Al Jack e, infilata la cubia, scompariva in mare. Ancora e catena
erano perdute!
Il sangue scorreva in coperta: una decina di uomini giacevano
lamentandosi. Il comandante era morto sul colpo!". A bordo
c'è sgomento, ci si appresta a portare soccorso ai feriti,
viene allestita la camera ardente per il comandante rimasto
ucciso, ci si consulta per il recupero dell'ancora, preoccupandosi
per lo scherno che i marinai riceveranno al ritorno a casa,
e si cerca di dare una ragiona all'accaduto: la nave, mentre
l'ancora cominciava a scendere, per abbrivio ha superato la
verticale di un gradino che sprofonda rapidamente...
La voce dell'incidente si è sparsa e un singolare personaggio
di nome Haggi Statti, pescatore di spugne di quei mari si offre
per aiutare i marinai Italiani. Quest'uomo dice di essere in
grado di ripescare l'ancora, incastrando un cavo sulla catena,
assicura di aver raggiunto in passato -110 metri e di poter
resistere, a -30 metri, fino a 7 minuti.
. Incredibile!
Una volta scandagliato il fondo ci si accorge che questi scende
rapidamente dai -64 ai -85 metri. Gli amici che accompagnano
il pescatore sono convinti che ce la farà. La tecnica
usata da Statti è per quei tempi ingegnosa e molto simile
a quella usata per il raggiungimento dei record attuali: prima
dell'immersione Haggi si terge la bocca e le cavità nasali
con acqua salata ed effettua una iperventilazione.
Si immerge portando con se una pietra di ardesia, piatta e squadrata,
del peso di 14,5 Kg., legata ad una cimetta che viene filata
da due assistenti in barca. Il sommozzatore ha il polso sinistro
collegato con una sagola alla pietra e con una ridancia entro
cui la cima scorre libera. Scendendo, tiene la pietra stretta
fra le mani, come un timone di direzione, l'adagia sul fondo
per poter lavorare e avere comunque un punto di riferimento
e di ancoraggio; per risalire, dà uno strattone e si
assicura alla pietra che gli amici, dalla barca, recuperano
a grandi bracciate. Da quanto si capisce non compensa. Non indossa
né maschera né pinne.
La profondità a cui giace l'ancora, pero, non gli deve
essere così familiare, in quanto Statti passa il primo
giorno ad allenarsi a quote sempre più crescenti. Il
giorno dopo scende per ben 5 volte, riuscendo ad agganciare
l'ancora con un rampino, dopo essere scivolato fino a -84 m,
trascinato dall'ardesia. Il terzo giorno raggiunge 7 volte i
-77 metri e riesce a collegare un cavo d'acciaio al maniglione
della catena dell'ancora. Un secondo cavo viene il giorno dopo
sulla catena che nel frattempo è stata sollevata di alcuni
metri, alando il cavo precedente: la mano passa ora agli argani
di bordo.
Il lavoro è stato compiuto in 21 immersioni (comprese
quelle di allenamento), tra i 45 e gli 84 metri, nell'arco di
4 giorni. Il più stupito di tutti risulta essere il medico
italiano, il quale nella sua relazione scrive: "Da ogni
immersione è uscito nel pieno vigore delle sue forze
e lo dimostra la maniera con cui sale sull'imbarcazione, senza
l'aiuto dei compagni e, subito dopo, si libera dell'acqua entrata
nel naso e nelle orecchie. Haggi afferma di sentire tutta la
pressione sulle spalle, mentre sugli occhi nulla. Afferma anche
che a -80 m l'acqua è limpida, c'è abbastanza
luce per lavorare". Il medico è cosí sconcertato
da questi avvenimenti che stravolgono tutte le teorie ufficiali
di quei tempi per quanto riguarda la resistenza alla pressione
subacquea del corpo umano (si pensi che nel 1960 il dottor Cabarrou
dell'équipe di Cousteau dichiarava che "il limite
per l'uomo è -55m, oltre si sfascia") che propone
una sua teoria secondo la quale "in immersione, Haggi Statti
potrebbe essere favorito da una certa respirazione cutanea dell'aria
disciolta nell'acqua, favorita forse dalla pressione".
Questa teoria è sostenuta dal fatto che, durante la visita
medica, invitato a trattenere il respiro, Haggi non supera i
40 secondi di apnea.
Interessante è la relazione che riguarda la visita medica:
"Per quanto all'esame si constati un notevole enfisema
polmonare, tuttavia la parte alta dei torace non ha raggiunto
rilevanti proporzioni, pur essendo convessa e rigida. I toni
dei cuore si percepiscono lontani ma regolari. Frequenza dei
polso da 80 a 90, atti respiratori da 20 a 22 al minuto. Funzione
uditiva ridotta per mancanza assoluta di una delle membrane
dei timpano e residui dell'altra. Invitato a trattenere il respiro
nell'ambiente ordinario risulta che la sua capacità in
queste condizioni raggiunge appena i 40 secondi (ecco da dove
nasce la "necessità" della "respirazione
cutanea"!). Nelle operazioni di recupero si è trattenuto
sott'acqua da 1,30 a 3,35 minuti".
Questa è la storia dì Giorgio Haggi Statti, ignoto
pescatore di spugne, sordo perché non sapeva compensare
anche se favorito da questa menomazione nella velocità
di discesa).
......................
Oggi, dopo 85 anni, si parla di record.
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Un semplice costume da bagno e una
pietra di ardesia piatta e squadrata come zavorra. Ad
aprire la storia dell'apnea fu un pescatore di spugne greco.
Era il 4 agosto dei 1913 quando la corazzata italiana di prima
classe Regina Margherita, alla fonda presso l'isola
greca di Karpatos, perse la propria ancora. Mentre ufficiali
e comandante della nave si consultavano sul da farsi, sul
ponte si presentò un certo Georghios Haggi Statti, dalla muscolatura
gracile(1 metro e 75 per 60 chili, afflitto da un enfisema
nella parte inferiore dei polmoni e con una funzione uditiva
ridotta per la perforazione di un timpano), il quale in cambio
di una piccola somma di denaro si offri di recuperarla.
E dopo quattro giorni e 21 immersioni, trovò l'ancora su un
fondale di 76 metri e la riportò in superficie. Per
spiegare un'impresa ritenuta umanamente impossibile, l'ufficiale
medico Giuseppe Musengo ricorse a una bizzarra teoria: "in
immersione Haggi Statti potrebbe essere stato favorito da
una certa respirazione cutanea dell'aria disciolta nell'acqua,
favorita forse dalla pressione". Per ricordare l'antesignano
delle sfide agli abissi marini, in occasione dell'85' anniversario,
nel settembre scorso Umberto Pelizzari ha voluto ripetere
nelle medesime condizioni quella discesa nelle acque del Mar
Egeo. Risale, invece, al 1949 il primo record accreditato,
quando Raimond Bucher, capitano dell'Aeronautica Militare
nato in Ungheria ma naturalizzato italiano, scese a 30 metri
al largo di Napoli, portando una pergamena racchiusa in un
cilindro stagno per passarlo ad un amico palombaro che lo
aspettava sul fondo, col quale aveva fatto una scommessa di
50 mila lire.
Umberto Pelizzari
Due anni più tardi sono i napoletani
Ennio Falco e Alberto Novelli a portare il primato a meno
35, ma già nel '52 Bucher si riprende il record - il primo
documentato da una telecamera - arrivando a 39 metri.
Tuttavia, l'epoca d'oro dell'apnea inizia negli anni Sessanta
ed è legata soprattutto ai nomi di Enzo Maiorca e Jacques
Mayol. Il siciliano nel '61 tocca per primo la fatidica
soglia dei 50 metri e l'anno successivo smentisce la convinzione
medica secondo la quale oltre quella profondità un essere
umano sarebbe stato schiacciato dalla pressione. Dopo
un'alternanza di record con il brasiliano Amerigo Santarelli,
nel '65 spuntano all'orizzonte Teteke Williams, Robert Croft
e Jacques Mayol, il rivale più acerrimo di Maiorca, anche
se dotato di un fisico non proprio da Tarzan; tra l'altro
fu il primo ad associare tecniche yoga all'immersione.
Per vent'anni fu una battaglia a colpi di record, che non
fece mancare le polemiche, nate a causa della decisione dell'organismo
internazionale di non omologare più nessun record (una delle
motivazioni era la pericolosità per i sommozzatori di assistenza),
salvo poi trovare una scappatoia e concedere alle immersioni
un inutile riconoscimento come sperimentazioni. Cos'i
Mayol si schiera per la ricerca e afferma di immergersi per
motivi scientifici, mentre Maiorca ribatte polemico che, se
davvero il rivale scendeva in apnea solo per quello, avrebbe
dovuto evitare di andare in mezzo al mare con una squadra
di sommozzatori e medici accompagnati da stampa e tv.
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