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Sono un assiduo frequentatore della montagna e un
occasionale frequentatore di vie ferrate.
Venerdì sera siamo arrivati a Cortina e abbiamo dormito al
Passo Tre Croci. Poi sabato mattina ci siamo incamminati per il sentiero attrezzato
(=ferrata) Ivano Dibona, sul Cristallo. Dalla stazione di monte della funivia si sale rapidamente
di un centinaio di metri attraverso una galleria nella roccia, un paio di scale a pioli e
uno spettacolare ponte sospeso nel vuoto lungo 30 metri. Si arriva quindi a sfiorare la
vetta del Cristallino (quota 3036). C'era ghiaccio ovunque. Per fortuna siamo stati
previdenti ed avevamo con noi tutto l'equipaggiamento necessario: pile, giacca a vento e
guanti. Il sentiero corre proprio lungo il crinale del Cristallo, in corrispondenza del vecchio fronte italiano della Prima Guerra Mondiale. Infatti il percorso è disseminato di baracche, postazioni e trincee costruite dagli Alpini. è incredibile pensare come si possa fare una guerra lassù, in quell'ambiente e a quelle quote. Ed è tanto più incredibile se si pensa che il sentiero Renato De Pol che corre parallelo a poche centinaia di metri dal Dibona era il fronte austriaco. Praticamente i due nemici potevano parlare tra loro da tanto che erano vicini. Il percorso è molto lungo e richiede circa 7-8 ore di
cammino per arrivare alla fine. Non ci sono nemmeno molte vie di fuga in caso di maltempo.
C'è solo un bivacco ricavato dalla baracca da dove il Ten.Col. Carlo Boffa dirigeva le
operazioni al fronte. Ma la baracca è a sole due o tre ore di cammino dal punto di
partenza, quindi quasi all'inizio dell'itinerario. Il bivacco è a ridosso di una forcella
di pochi metri quadrati. Quando siamo arrivati noi c'erano circa dieci persone, ammassate
come piccioni sulle briciole. Dopo la quarta ora di cammino si arriva all'unica via di fuga vera e propria del tracciato. Un sentierino si tuffa in un canalone stretto e molto accidentato sfociando poi nella Val Padeon. Qui abbiamo mangiato e, dopo aver fatto due calcoli, abbiamo deciso che era il caso di rientrare per evitare di perdere l'ultima seggiovia che porta al Passo Tre Croci. Dalla Val Padeon bisogna risalire di circa 300 metri per arrivare alla stazione della seggiovia. La strada è una vecchia mulattiera costruita dagli Alpini e tuttora utilizzata dai mezzi della manutenzione degli impianti sciistici del Cristallo. Non è nemmeno molto ripida, ma abbiamo fatto una fatica bestiale a percorrerla. Sarà forse perchè eravamo stanchi dopo i faticosi saliscendi del Dibona o forse perchè avevamo speso tutte le energie a difenderci dal freddo di quota 3000, fattostà che siamo arrivati alla seggiovia stremati (ma in tempo!). Ora che ci siamo ripresi con un bella doccia e un po' di
riposo, era ormai sera. Tornare a Milano subito avrebbe significato arrivare a tarda
notte. Molto meglio scendere a valle alla ricerca di un ristorantino tipico dove
abbuffarsi di specialità del luogo! L'indomani è giunta l'ora di tornare a Milano.
Alla fine quelli dell'antivalanghe di Arabba ci hanno dato disco verde e così siamo partiti. Il bollettino non prometteva giornate paradisiache: quando fa molto caldo in pianura è inevitabile che si formino nubi cumuliformi sulle montagne. La cosa importante era che non piovesse e non venissero temporali. Questo prometteva il bollettino, questo abbiamo trovato sulle cime. Il sole effettivamente c'era, soprattutto ieri. E naturalmente in quota picchiava duro sulla mia povera candida pelle. Il risultato è che le poche parti scoperte hanno assunto oggi un colorito rosso-arancione degno della più squisita delle aragoste bollite. La commessa del supermercato dove stamattina ho fatto la spesa deve aver pensato che mi fosse esploso tra le mani il forno a microonde. Guardandomi bene direi che assomiglio molto a...un pagliaccio! Che non sia un caso? Due anni senza montagna hanno ridotto il mio fisico in uno stato di pietosa decadenza. Sono molto deluso da me stesso. è vero che non si può pretendere molto da un organismo che ha passa la maggior parte del tempo a mantenere attivo un cervello che si affatica a svelare i misteri della Teoria del Controllo, ma è altrettanto vero che fino a un paio di anni fa era sufficiente una sgambatina di mezza giornata per ritrovare il passo e il fiato del montanaro vero. E invece l'altroieri è stato un disastro. Siamo arrivati in Val Canali, versante meridionale del Gruppo delle Pale di S. Martino, verso mezzanotte meno un quarto di lunedì. La mattina dopo ci siamo svegliati alle 6. Solo cinque ore e mezza di sonno prima di una grande faticata hanno sicuramente contribuito a ridurre le capacità del mio fisico informe, ma non mi bastano come scusa. L'obiettivo della giornata era forse un po' troppo ambizioso: dal parcheggio del Cant del Gal al Bivacco Reali, attraverso il Rifugio Treviso e la via ferrata "Sentiero Reali alla Croda Grande" e ritorno. In tutto 1400 metri di dislivello in salita (e naturalmente altri 1400 in discesa) per un totale di 8 ore e mezza di cammino. Già sulla prima rampa che dal parcheggio conduce all'imbocco della valle ero in debito di ossigeno. Sono arrivato al Rifugio Treviso con la lingua a penzoloni. All'attacco della ferrata, quota 2400, dovevo stare attento a non calpestare la mia stessa lingua. E sono iniziati anche i crampi. "Un grande alpinista è colui che sa rinunciare alla vetta", ha detto Cassin. Sarà...io ho dovuto rinunciare alla Croda Grande ma non mi sono sentito affatto un grande alpinista. Anzi, mi sono sentito soltanto uno squallido cittadino supponente, un classico "gitante della domenica" che non riesce a trascinare il suo cumulo di muscoli in poltiglia fino in fondo. In più c'era un certo senso di colpa nei confronti di Andrea che era smanioso di fare la sua prima ferrata e dimostrava un passo veloce e sicuro. Ho lasciato che raggiungesse almeno la Forcella dell'Orsa a quota 2700, mentre io mi leccavo le ferite. Una magra consolazione è stato il fatto che le cime si erano appena incappucciate, percio' dalla ferrata non avremmo potuto comunque godere del panorama mozzafiato sulle Pale impervie e maestose. Il giorno dopo per fortuna la musica è un po' cambiata. La sera prima ci siamo trasferiti dalla Val Canali alla Val di Tires, ai piedi del Catinaccio (Rosengarten), poco lontano dal famosissimo Lago di Carezza. Il programma prevedeva qualcosa di un po' più leggero
(chissà...forse se avessimo invertito il giro ce l'avrei fatta anche sul Sentiero Reali).
Siamo andati a dormire alle 22, stanchi come non mai. Dal momento che per arrivare
in quota bisognava prendere una seggiovia, siamo stati "costretti" a svegliarci
alle 7 (gli impianti aprono alle 8). Ma alle sette il cielo era plumbeo e le cime del
Catinaccio erano coperte da dense nuvole. Come si spiega? E dire che quelli di Arabba
assicuravano sole fino al tardo pomeriggio! La ferrata "Santner" che porta al passo omonimo
non è tecnicamente niente di che, ma è paesaggisticamente superba. In cima alla ferrata ci si è aperta l'esaltante vista delle attraenti e slanciate Torri del Vajolet. Un pasto veloce in cima al passo Santner, in mezzo ad una folla che sembrava di essere a Rimini, poi via la lunga discesa verso il Rifugio Re Alberto prima e il Rifugio Vajolet poi. Anche durante la discesa non ho avuto nessun genere di problema, se non quello di superare qualche lento vecchietto col bastone (da ammirare!) e di superare il turbamento dovuto alla presenza di un po' troppe fanciulle in scarpette da ginnastica e tutina aderente (da ''ammirarè' ! ma ''conciate" così l'anno prossimo farebbero meglio ad andare al mare). Poi la salita al Passo delle Coronelle ha segnato la mia
fine, o quantomeno la fine dei miei sogni di gloria. Poco più di 400 metri in salita: un
vero calvario. Gambe dure, durissime. Muscoli fibrosi, di legno. E poi ancora crampi,
fiato corto. A nulla è servito mangiare un paio di mele e qualche tavoletta di Enervit. A
nulla è servito finire l'acqua della borraccia per compensare i preziosi sali persi con
la sovrabbondante sudorazione. La discesa è ripida, ma almeno è breve. Nel giro di mezz'ora il calvario era finito, ma a farne le spese è stato più di un tendine. Andrea, in forma strepitosa, è sceso a piedi fino al
camper. Io mi sono accontentato di una poco decorosa discesa in seggiovia. Il bilancio della gita è triste ed esaltante allo stesso tempo: triste per la presa di coscienza del mio stato di salute fisica (di quella mentale già sapevamo...), esaltante perchè ogni volta che vedo quei posti non riesco a non innamorarmene. Oggi all'appello non rispondono i seguenti muscoli: tibiale anteriore destro e sinistro, sartorio sinistro, retto femorale destro e sinistro, trapezio destro e sinistro, semitendinoso destro, bicipite femorale destro. Un dolore lancinante alla fossa poplitea destra mi impedisce di tendere completamente la relativa gamba. Mai più due anni senza montagna!!!
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