Vie Ferrate

 

Sono un assiduo frequentatore della montagna e un occasionale frequentatore di vie ferrate.
Penso che le ferrate siano un "espediente" molto comodo per raggiungere luoghi inimmaginabili per chi, come me, vive in città e non ha tempo di iscriversi a corsi di alpinismo nè per allenarsi opportunamente.
Nonostante questo sono fermamente convinto che non si debbano costruire altre ferrate sulle nostre montagne, specialmente sulle Dolomiti, già abbastanza appesantite da cavi d'acciaio e scalette di metallo. Nè peraltro penso che occorra smantellare i percorsi attrezzati già esistenti, che, in molti casi, hanno un valore storico.
Ma alla fine troverei giusto che queste decisioni fossero prese da chi in montagna ci vive e ci lavora: i valligiani in passato sono stati i primi a voler costruire gli impianti di risalita così come le ferrate, in modo che un sempre maggior numero di turisti fosse attratto dalle montagne e migliorasse di conseguenza il loro tenore di vita. Oggi spetta ancora ai valligiani trovare il punto di equilibrio tra il turismo di massa e il rispetto per l'ambiente.
Un serio problema è anche quello della preparazione tecnica e della mentalità della gente che arriva in massa sulle nostre montagne. Così come ho visto gente percorrere ferrate piuttosto esposte con le scarpe da tennis, ho visto anche alpinisti iper-attrezzati e super-allenati affrontare lisce pareti dolomitiche col cronometro alla mano. Cosa c'entrano tutti costoro con lo spirito della montagna? Forse il CAI potrebbe fare qualcosa di più per educare chi si avvicina al grandioso mondo delle Alpi.

 

Gruppo del Cristallo - Sentiero Ivano Dibona (agosto 1998)

Venerdì sera siamo arrivati a Cortina e abbiamo dormito al Passo Tre Croci. Poi sabato mattina ci siamo incamminati per il sentiero attrezzato (=ferrata) Ivano Dibona, sul Cristallo.
Non è un sentiero tecnicamente molto impegnativo: è tutto in discesa e il percorso non è esposto se non nel tratto iniziale. Pero' la quota media è abbastanza alta (sui 2900 metri) e, soprattutto, abbiamo trovato un freddo becco. Alla stazione di monte della funivia c'erano 3 gradi sotto zero.
Dal sentiero si gode un panorama incredibile su tutte le dolomiti, dalla Marmolada fino all'Antelao, ma purtroppo noi abbiamo trovato un po' di nuvole basse lungo tutto il tratto iniziale del percorso (che poi è quello più panoramico).

Dalla stazione di monte della funivia si sale rapidamente di un centinaio di metri attraverso una galleria nella roccia, un paio di scale a pioli e uno spettacolare ponte sospeso nel vuoto lungo 30 metri. Si arriva quindi a sfiorare la vetta del Cristallino (quota 3036). C'era ghiaccio ovunque. Per fortuna siamo stati previdenti ed avevamo con noi tutto l'equipaggiamento necessario: pile, giacca a vento e guanti.
Quando il sentiero ha cominciato a scendere la temperatura ha cominciato a salire ed è persino uscito un pallido sole.

Il sentiero corre proprio lungo il crinale del Cristallo, in corrispondenza del vecchio fronte italiano della Prima Guerra Mondiale. Infatti il percorso è disseminato di baracche, postazioni e trincee costruite dagli Alpini. è incredibile pensare come si possa fare una guerra lassù, in quell'ambiente e a quelle quote. Ed è tanto più incredibile se si pensa che il sentiero Renato De Pol che corre parallelo a poche centinaia di metri dal Dibona era il fronte austriaco. Praticamente i due nemici potevano parlare tra loro da tanto che erano vicini.

Il percorso è molto lungo e richiede circa 7-8 ore di cammino per arrivare alla fine. Non ci sono nemmeno molte vie di fuga in caso di maltempo. C'è solo un bivacco ricavato dalla baracca da dove il Ten.Col. Carlo Boffa dirigeva le operazioni al fronte. Ma la baracca è a sole due o tre ore di cammino dal punto di partenza, quindi quasi all'inizio dell'itinerario. Il bivacco è a ridosso di una forcella di pochi metri quadrati. Quando siamo arrivati noi c'erano circa dieci persone, ammassate come piccioni sulle briciole.
Nonostante questo due ragazze si sono calate senza nessun problema le braghe e hanno fatto pipì, senza preoccuparsi della folla presente. Naturalmente nessuno si è scandalizzato. Il percorso era ancora molto lungo e senza ripari: quando la natura chiama non si puo' che risponderle!

Dopo la quarta ora di cammino si arriva all'unica via di fuga vera e propria del tracciato. Un sentierino si tuffa in un canalone stretto e molto accidentato sfociando poi nella Val Padeon. Qui abbiamo mangiato e, dopo aver fatto due calcoli, abbiamo deciso che era il caso di rientrare per evitare di perdere l'ultima seggiovia che porta al Passo Tre Croci.

Dalla Val Padeon bisogna risalire di circa 300 metri per arrivare alla stazione della seggiovia. La strada è una vecchia mulattiera costruita dagli Alpini e tuttora utilizzata dai mezzi della manutenzione degli impianti sciistici del Cristallo. Non è nemmeno molto ripida, ma abbiamo fatto una fatica bestiale a percorrerla. Sarà forse perchè eravamo stanchi dopo i faticosi saliscendi del Dibona o forse perchè avevamo speso tutte le energie a difenderci dal freddo di quota 3000, fattostà che siamo arrivati alla seggiovia stremati (ma in tempo!).

Ora che ci siamo ripresi con un bella doccia e un po' di riposo, era ormai sera. Tornare a Milano subito avrebbe significato arrivare a tarda notte. Molto meglio scendere a valle alla ricerca di un ristorantino tipico dove abbuffarsi di specialità del luogo!
Pur essendoci stati più volte, non possiamo dire di conoscere a fondo Cortina e i suoi locali . Inoltre ci fidiamo assai poco della "tipicità" dei locali di quella che ormai è diventata una città nel cuore delle Dolomiti, un insulto allo spirito della montagna. Così ci siamo mossi verso casa e, facendo i proverbiali due passi (intesi come Passo Falzarego e Passo Valles!), ci siamo ritrovati a S. Martino di Castrozza, luogo da sogno fin dalla mia infanzia.
Qui abbiamo dovuto girare un paio di malghe prima di trovarne una aperta, ma poi siamo riusciti a gustarci un succulento piatto di polenta con tosella (un formaggio fritto), salsiccia e funghi.

L'indomani è giunta l'ora di tornare a Milano.

Informazioni sul percorso:

Punto di partenza: stazione della seggiovia Rio Gere (m. 1680) sulla strada tra Cortina e il Passo Tre Croci.
Difficoltà: poco difficile
Tempi: 6.30 ore fino ad Ospitale, 5 salendo la Val Padeon per rientrare alla stazione di monte della seggiovia

 

Gruppo del Catinaccio - Ferrata del Passo Santner (agosto 1997)

Alla fine quelli dell'antivalanghe di Arabba ci hanno dato disco verde e così siamo partiti. Il bollettino non prometteva giornate paradisiache: quando fa molto caldo in pianura è inevitabile che si formino nubi cumuliformi sulle montagne. La cosa importante era che non piovesse e non venissero temporali. Questo prometteva il bollettino, questo abbiamo trovato sulle cime.

Il sole effettivamente c'era, soprattutto ieri. E naturalmente in quota picchiava duro sulla mia povera candida pelle. Il risultato è che le poche parti scoperte hanno assunto oggi un colorito rosso-arancione degno della più squisita delle aragoste bollite. La commessa del supermercato dove stamattina ho fatto la spesa deve aver pensato che mi fosse esploso tra le mani il forno a microonde. Guardandomi bene direi che assomiglio molto a...un pagliaccio! Che non sia un caso?

Due anni senza montagna hanno ridotto il mio fisico in uno stato di pietosa decadenza. Sono molto deluso da me stesso. è vero che non si può pretendere molto da un organismo che ha passa la maggior parte del tempo a mantenere attivo un cervello che si affatica a svelare i misteri della Teoria del Controllo, ma è altrettanto vero che fino a un paio di anni fa era sufficiente una sgambatina di mezza giornata per ritrovare il passo e il fiato del montanaro vero. E invece l'altroieri è stato un disastro.

Siamo arrivati in Val Canali, versante meridionale del Gruppo delle Pale di S. Martino, verso mezzanotte meno un quarto di lunedì. La mattina dopo ci siamo svegliati alle 6. Solo cinque ore e mezza di sonno prima di una grande faticata hanno sicuramente contribuito a ridurre le capacità del mio fisico informe, ma non mi bastano come scusa. L'obiettivo della giornata era forse un po' troppo ambizioso: dal parcheggio del Cant del Gal al Bivacco Reali, attraverso il Rifugio Treviso e la via ferrata "Sentiero Reali alla Croda Grande" e ritorno. In tutto 1400 metri di dislivello in salita (e naturalmente altri 1400 in discesa) per un totale di 8 ore e mezza di cammino. Già sulla prima rampa che dal parcheggio conduce all'imbocco della valle ero in debito di ossigeno. Sono arrivato al Rifugio Treviso con la lingua a penzoloni. All'attacco della ferrata, quota 2400, dovevo stare attento a non calpestare la mia stessa lingua. E sono iniziati anche i crampi.

"Un grande alpinista è colui che sa rinunciare alla vetta", ha detto Cassin. Sarà...io ho dovuto rinunciare alla Croda Grande ma non mi sono sentito affatto un grande alpinista. Anzi, mi sono sentito soltanto uno squallido cittadino supponente, un classico "gitante della domenica" che non riesce a trascinare il suo cumulo di muscoli in poltiglia fino in fondo. In più c'era un certo senso di colpa nei confronti di Andrea che era smanioso di fare la sua prima ferrata e dimostrava un passo veloce e sicuro.

Ho lasciato che raggiungesse almeno la Forcella dell'Orsa a quota 2700, mentre io mi leccavo le ferite. Una magra consolazione è stato il fatto che le cime si erano appena incappucciate, percio' dalla ferrata non avremmo potuto comunque godere del panorama mozzafiato sulle Pale impervie e maestose.

Il giorno dopo per fortuna la musica è un po' cambiata. La sera prima ci siamo trasferiti dalla Val Canali alla Val di Tires, ai piedi del Catinaccio (Rosengarten), poco lontano dal famosissimo Lago di Carezza.

Il programma prevedeva qualcosa di un po' più leggero (chissà...forse se avessimo invertito il giro ce l'avrei fatta anche sul Sentiero Reali). Siamo andati a dormire alle 22, stanchi come non mai. Dal momento che per arrivare   in quota bisognava prendere una seggiovia, siamo stati "costretti" a svegliarci alle 7 (gli impianti aprono alle 8). Ma alle sette il cielo era plumbeo e le cime del Catinaccio erano coperte da dense nuvole. Come si spiega? E dire che quelli di Arabba assicuravano sole fino al tardo pomeriggio!
E' stato infatti sufficiente aspettare fino alle 8.30 che il cielo si è squarciato e sia il Catinaccio che l'attiguo Latemar hanno fatto accelerare il cuore a tutti i turisti che erano nella zona a godersi lo spettacolo.

La ferrata "Santner" che porta al passo omonimo non è tecnicamente niente di che, ma è paesaggisticamente superba.
Sono andato su molto bene, senza eccessiva fatica, aiutato anche dal fatto che i metri di dislivello erano solo 400 e che c'era tanta di quella gente attaccata a quelle pareti che sembrava di essere in coda in un ufficio pubblico.

In cima alla ferrata ci si è aperta l'esaltante vista delle attraenti e slanciate Torri del Vajolet. Un pasto veloce in cima al passo Santner, in mezzo ad una folla che sembrava di essere a Rimini, poi via la lunga discesa verso il Rifugio Re Alberto prima e il Rifugio Vajolet poi.

Anche durante la discesa non ho avuto nessun genere di problema, se non quello di superare qualche lento vecchietto col bastone (da ammirare!) e di superare il turbamento dovuto alla presenza di un po' troppe fanciulle in scarpette da ginnastica e tutina aderente (da ''ammirarè' ! ma ''conciate" così l'anno prossimo farebbero meglio ad andare al mare).

Poi la salita al Passo delle Coronelle ha segnato la mia fine, o quantomeno la fine dei miei sogni di gloria. Poco più di 400 metri in salita: un vero calvario. Gambe dure, durissime. Muscoli fibrosi, di legno. E poi ancora crampi, fiato corto. A nulla è servito mangiare un paio di mele e qualche tavoletta di Enervit. A nulla è servito finire l'acqua della borraccia per compensare i preziosi sali persi con la sovrabbondante sudorazione.
Sono arrivato in cima al Passo delle Coronelle quasi a carponi. Ma non era ancora finita: tra noi e la stazione di monte della seggiovia c'era ancora una ripidissima discesa in un canalone ghiaioso, pieno di sfasciumi e massi pericolanti.

La discesa è ripida, ma almeno è breve. Nel giro di mezz'ora il calvario era finito, ma a farne le spese è stato più di un tendine.

Andrea, in forma strepitosa, è sceso a piedi fino al camper. Io mi sono accontentato di una poco decorosa discesa in seggiovia.
Il tempo di rimetterci in sesto e siamo partiti subito per Milano, dove un caldo tropicale ci ha accolti alle undici passate.

Il bilancio della gita è triste ed esaltante allo stesso tempo: triste per la presa di coscienza del mio stato di salute fisica (di quella mentale già sapevamo...), esaltante perchè ogni volta che vedo quei posti non riesco a non innamorarmene.

Oggi all'appello non rispondono i seguenti muscoli: tibiale anteriore destro e sinistro, sartorio sinistro, retto femorale destro e sinistro, trapezio destro e sinistro, semitendinoso destro, bicipite femorale destro. Un dolore lancinante alla fossa poplitea destra mi impedisce di tendere completamente la relativa gamba. Mai più due anni senza montagna!!!

Informazioni sul percorso:

Punto di partenza: stazione della seggiovia (m. 1730) sulla strada del Passo Nigra.
Difficoltà: difficile
Tempi: 6 ore per Rifugio Fronza (m. 2337) e ritorno via Passo Santner (m. 2741), Rifugio Vajolet (m. 2243), Passo delle Coronelle (m. 2630)

 

 

Home Indietro Bibliografia